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Il movimento esicasta de «Il Roveto Ardente»
e il poeta Vasile Voiculescu

di Iuvenalie Ion Ionaşcu (9 maggio 2010)

Nei Paesi Romeni (sul territorio dell'attuale Romania), la seconda metà del XIX secolo è conosciuta per il suo atteggiamento anti-monastico. Il paisianismo viene rigettato come «russo», la cultura filocalica come anacronistica. Le riforme del principe Alexandru Ioan Cuza spogliano i monasteri dei beni di ogni genere, fino ai vasi liturgici. La cultura diventa sempre più «laica», in accordo con la filosofia illuminista. Perciò, molti monaci cercano riparo sul Monte Athos.

Questa tendenza si fa sentire anche nei primi decenni del XX secolo. Ma grazie ad alcuni staretz, tra cui Ioanichie Moroi, Vichentie Mălău oppure Nicodim Măndiţă, l'esperienza della vita monastica e la pratica della «preghiera di Gesù» vengono tramandate e saranno i germi di un grande movimento spirituale, importante anche per la sua dimensione culturale.

Dopo la prima guerra mondiale si fa sentire sempre di più l'influenza della cultura occidentale, con le sue tendenze materialistiche ed atee, oppure di stampo panteista ed antroposofico. È il caso del filosofo Lucian Blaga, poeta geniale, pensatore, autore di un solido sistema filosofico, influenzato però in grande misura da Hegel e Bergson. La sua poesia sensibile ad una dimensione mistica è comunque essenzialmente panteista. Sarà seguito da vicino da altri filosofi: Camil Petrescu, Constantin Noica, D. D. Roşca.

In questo contesto, una grande parte dell'intellettualità romena si impegna a mettere in luce le basi metafisiche dell'ortodossia, il rapporto tra Chiesa e cultura, il ruolo dell'identità nazionale. Si attualizzano i valori esicasti e della preghiera del cuore, e si sottolinea la dimensione sintetica della cultura romena, quale ponte tra la spiritualità orientale e la latinità occidentale.

Nacque così il movimento culturale spirituale, e che alcuni chiamano filocalico,1 altri «gândirista». Un ruolo importante lo hanno avuto le riviste «Gândirea» a Bucarest e «Revista Teologică» a Sibiu. Gli intellettuali romeni, dalle pagine di queste due riviste, invitavano ad un confronto di idee riguardanti il vero volto dell'ortodossia: l'unità indissolubile tra il dogma e l'esperienza spirituale, tra l'inaccessibilità di Dio e la sua partecipazione da parte dell'uomo attraverso le energie increate, secondo la dottrina palamita.

Fondamentale è stato il ruolo del direttore della rivista «Gândirea», Nichifor Crainic, poeta, filosofo, professore di teologia, accademico e più tardi testimone cristiano nelle carceri comuniste. Crainic presentò il primo corso di ascetica e mistica ortodossa presso la Facoltà di teologia a Bucarest. Egli seppe catalizzare i talenti dell'intellettualità romena intorno alla rivista da lui diretta. Le pagine di «Gândirea», pur essendo di un certo orientamento ortodossista e nazionalista, erano diventate una «tribuna» della cultura romena interbellica; qui apparvero anche dei testi di filosofia non religiosa e venivano pubblicati anche autori di orientamento di sinistra. Il merito fondamentale di questa rivista fu quello di aver radunato la gran parte dell'intellettualità romena e di aver stimolato i valori culturali della spiritualità ortodossa.

A «Gândirea» collaborarono Daniel Sandu Tudor, Vasile Voiculescu, Tudor Arghezi, Eugen Ionescu, Zaharia Stancu, Mircea Eliade, Ion Minulescu, Constantin Noica, Anton Dumitriu, Camil Petrescu, Lucian Blaga, Dumitru Stăniloae, Al. Mironescu, per ricordare solo alcuni.

Negli anni '45-'48, il monastero di Antim, a Bucarest, diventerà il centro di un famoso movimento culturale spirituale, chiamato Rugul Aprine ovvero Il Roveto ardente, al quale parteciperanno molti degli amici di «Gândirea». Stimolati dalla figura prevalentemente misteriosa e mistica dell'esicasta pellegrino Ioan Culâghin, che diventerà l'animatore del «Roveto Ardente», appariranno delle produzioni culturali di profonda ispirazione esicasta.

Nel 1958, i membri del gruppo esicasta sviluppatosi ad Antim saranno arrestati e molti di loro troveranno la morte nel gulag comunista romeno.

1. Il gruppo del «Roveto ardente»

Intorno al '45, la comunità del monastero di Antim contava una quarantina di monaci, tra cui c'erano degli studenti, dei lavoratori nelle fabbriche di Bucarest e nelle botteghe di pittura del Patriarcato.

Lo staretz Vasile Vasilachi aveva organizzato il programma giornaliero delle funzioni liturgiche, cosicché tutti potessero partecipare alle attività culturali: conferenze, letture in biblioteca ed incontri culturali e spirituali.

La vita monastica ad Antim era incentrata sulla «preghiera del cuore», praticata da tutti. A tali incontri liturgici, di preghiera e culturali partecipavano assiduamente molti intellettuali della capitale: professori, artisti, studenti in varie università. Nasceva così un vero movimento culturale spirituale, di stampo esicasta, chiamato «Il Roveto ardente, che bruciava ma non si consumava» (Es. 3, 2-5), quale simbolo della preghiera incessante, cioè della Preghiera di Gesù. Questa interpretazione appartiene allo ieroschimonaco Daniel Teodorescu, l'iniziatore del «Roveto Ardente», morto nel carcere di Aiud.2

Tra i conferenzieri si distinguevano: lo ieroschimonaco Daniel Teodorescu (Sandu Tudor), l'archimandrita Benedict Ghiuş, l'archimandrita Vasile Vasilachi, il padre Dumitru Stăniloae, il prof. Alexandru Elian, il prof. Alexandru Mironescu, lo scrittore Paul Sterian, lo scrittore Ion Marin Sadoveanu, il poeta Vasile Voiculescu. A questi aggiungiamo il prof. Anton Dumitriu, il musicista Paul Constantinescu, l'architetto Constantin Joja, il padre Petroniu Tănase, il padre Arsenie Papacioc, l'archimandrita Paulin Lecca, il padre Adrian Făgeţeanu, il padre Roman Braga e il poeta Daniel Turcea. Le conferenze riguardavano piuttosto problemi di teologia, come il rapporto dell'uomo con Dio, poi i grandi temi dell'esicasmo: la preghiera di Gesù, gli scritti filocalici, le grandi figure di maestri esicasti e santi, la preghiera incessante praticata dai laici. Altre conferenze riguardavano, in chiave spirituale, la liturgia, il vespro ed il mattutino, come pure i sacramenti della Chiesa, con il loro simbolismo teologico, iconologico, musicale e mistagogico.3

Questo cenacolo ha rappresentato veramente un fenomeno unico per la cultura romena di questo secolo. Ha stimolato la creazione di opere di cultura religiosa ovvero spirituale mistica, oltre a creare dei profili spirituali che sarebbero stati i grandi padri del monachesimo romeno del dopo guerra, di cui alcuni saranno successivamente martirizzati dal regime comunista.

Tra le opere più insigni, riteniamo i poemi di Vasile Voiculescu, l'Inno Acatisto al Roveto ardente di Daniel Sandu Tudor, e il Canone, opera musicale omofona e corale sul testo della preghiera del cuore, del musicista Paul Constantinescu.

Dobbiamo aggiungere qui il contributo essenziale del padre Dumitru Stăniloae, professore di teologia a Sibiu e quindi a Bucarest. È lui che crea il contesto spirituale accademico eminentemente esicasta, cominciando la traduzione della Filocalia in romeno, ampliandone il canone sia greco (di Nicodemo l'Aghiorita), che quello slavo-russo (di Paisij Velicicosky). La Filocalia romena è giunta a dodici volumi, di cui i primi quattro furono stampati tra il 1947 e il 948, gli altri tra il 1976 e il 1992. Sarebbe stato fra i primi teologi dell'Ortodossia ad iniziare il momento «neo-filocalico», riportando d'attualità il pensiero di Gregorio Palamas, nel libro La vita e l'insegnamento di San Gregorio Palamas (1938). Nel 1943, P. Stăniloae pubblica Gesù Cristo ovvero la restaurazione dell'uomo, un libro fondamentale per la letteratura teologica del tempo per il suo contributo alla soteriologia. Nel terzo volume della sua Teologia morale ortodossa egli pubblica «una magistrale sintesi di spiritualità ortodossa, che presenta il processo dell'unione dell'uomo fedele con Dio in Cristo; le tappe principali di questo processo, cioè la purificazione, l'illuminazione e la divinizzazione, costituiscono il titolo e l'oggetto di ciascuna della parti del libro».4

Altri discepoli di Antim hanno rappresentato per il popolo fedele, negli anni di oppressione, delle vere luci, con il loro consiglio, con le loro preghiere e con l'esempio di vita, essendo tutto ciò il grande contributo che un padre spirituale può offrire.

2. Vasile Voiculescu

Tra coloro che hanno trasferito le esperienze culturali del cenacolo del Roveto Ardente nell'arte e nella propria vita, si distingue il poeta medico Vasile Voiculescu (1884-1963). La sua presenza si fa notare negli anni 1949-1950, quando partecipa alle funzioni liturgiche nel monastero di Antim. Partecipa quindi a conferenze sulla preghiera del cuore, legge dei libri e si accinge a metterli in pratica. Le sue esperienze di preghiera si riflettono così nelle sue poesie. «Tra gli intellettuali che si potevano incontrare al Monastero di Antim, penso che Vasile Voiculescu abbia raggiunto più degli altri, il livello della vera preghiera della mente nel cuore, cioè della preghiera pura, contemplativa», mi confessava Padre Paulin Lecca, che aveva conosciuto il poeta da vicino.

Nelle prime sue poesie, l'influenza religiosa è piuttosto formale. Il primo volume Poemi con angeli (1927) è dedicato a tematiche bibliche. Dopo aver scoperto la preghiera del cuore, scrive poesie d'ispirazione esicasta; ma, col tempo, la sua poesia diventa essa stessa ispirazione. La poesia diventa preghiera, e la preghiera uno stato permanente di conoscenza e di comunione con Dio. Un'avventura spirituale che si consuma nelle profondità del suo essere trasfigurato dalla fede e dalla preghiera.

2.1. La preghiera

Per Voiculescu la preghiera è «la libertà dello spirito che comunica l'universale anche nei minimi dettagli», «uno spazio angelico»5 in cui l'uomo diventa sé stesso. Perciò la sua poesia rivela il suo stato di preghiera, le sue ricerche esistenziali, i suoi incontri con Dio. La sua formazione di medico e la sua vocazione poetica vengono riassunte e trasfigurate in preghiera, in questa «vera ispirazione religiosa, l'unica a poter accoppiare l'arte e la fede». Le parole, rivestite di grazia, esprimono l'anima stessa, poiché «la vera preghiera», «la preghiera suprema» si esprime «mutamente... con le labbra dell'anima».6

La preghiera è Dio stesso, è l'esistenza medesima. Per l'uomo la preghiera è la rivelazione di Dio, che gli sta parlando faccia a faccia. «Dio Stesso è, in principio, l'infinità, la suprema preghiera compiuta; l'atto della creazione è un'incessante preghiera cosmica, che si compie continuamente: perché il Logos spermatikós, il Figlio tramite cui tutte le cose sono state create, è la sua adorazione, obbedienza e glorificazione rivolte al Padre, in cui è contenuto; e lo Spirito che è il compimento si trova in loro, ma tutti e tre sono una sola cosa.»7»Gli angeli e le potenze celesti pregano senza sosta.»8 E l'uomo, che «s'immagina di aver scoperto la preghiera e di essere l'unico al mondo che prega», si accorge che, in effetti, «la sua definizione sarebbe non di homo politicus, né di homo faber, bensì di homo adorans. La preghiera è un atto universale ed eterno.»9

2.2. La preghiera quale conoscenza ed operato

La preghiera è l'incontro supremo dell'uomo con Dio e di Dio con l'uomo. È il mistero della teandria. L'uomo ritrova il suo stato originale di felicità paradisiaca, di salvezza, procurando così una gioia inesprimibile agli angeli e a tutto il creato.

Non amore, non misericordia, non perdono
Voglio, ma solo il mio divino stato:
Donamelo, fammi ritornare a ciò che ebbi,
Fammi perfetto e Tu diventa perfetto in me! («De profundis»)

Tuttavia, il movimento della preghiera di Voiculescu non è solo verticale, verso Dio; esso è anche un movimento orizzontale, di amore e compassione per gli altri, che alla fine si riconduce sempre a Dio, all'originale fonte dell'amore. La sua preghiera comprende tutti i suoi simili e li riporta a Dio, li avvolge nell'amore divino. Perciò le due coordinate della preghiera non sono Dio e l'uomo, ma sempre Dio.

«La preghiera, dice Voiculescu, si muove su due assi che hanno il punto di partenza nel cuore. Un'asse è la mente, la ragione, che verso l'apice diventa conoscenza di Dio. L'altra: il sentire, la carità che culminano nell'amore divino. Chi ha toccato Dio ritrova tutto il mondo dentro di sé... La preghiera diventa un'altra esistenza. Si crea in noi un essere nuovo, superiore, in cui la sostanza e l'essenza s'immedesimano, le contraddizioni si sciolgono, la nascita e la morte cadono; resta, immutabile, la Permanenza: l'eterna verità, l'infinito amore, l'incessante bellezza. Vedere e sentire così il mondo vuol dire vedere Dio faccia a faccia.»10 Oltre le varie fatiche, preoccupazioni o ricerche, l'unica che conduce alla conoscenza di Dio è la preghiera.

Ci sbattiamo la testa per scoprirTi,
Radunati nei concili, come nelle feste;
Come se fossi, o Signore, una domanda,
Invece d'inginocchiarci a pregare! («Ne batem capul»)

Tramite la preghiera, il poeta si convince della possibilità della perfezione dell'uomo, e sempre essa è la guida tra le ostilità della vita, nella continua ricerca della luce divina. Perciò ci sono delle poesie che rispecchiano le profondità del suo essere; esse sono delle autorivelazioni, dei travagli interiori di un'anima che cerca di avvicinarsi al suo Signore:

Sia! Anche se il castigo eterno mi minaccia
Non ha importanza, quanto incatenato sarei
Oltre e sopra le eternità tutte, stai Tu,
E tutte le eternità, trascinando me, l'indegno, torneranno a Te. (Apocatastază I)

Il Signore, che è dovunque e sempre, è il tesoro che l'anima deve acquistare. E questo tesoro si nasconde a volte negli angoli dell'anima; il cuore lo sente, lo identifica: si accorge che il «ladrone» è proprio lo Sposo. Da qui risulta lo scontro amoroso tra Dio e l'anima:

Oh, t'ho preso Signore, non mi sfuggi più,
Ti prendo come ostaggio...
Bene, sorrise Lui, tieniMi per un attimo;
Oh, ho gridato, sono perduto...
Per un attimo, il mio cuore era diventato cielo. («Prizonierul»)

Tra l'anima e il suo Signore si dà una vera battaglia. Ognuno vuole l'altro tutto intero. Perciò, deve far di tutto per avere l'amore del suo amante, anche rubarlo.

Pietoso ladrone
Preferirei di entrare da una finestra
Nell'imperiale Tua basilica azzurra
A rubare il divino altare. [...]
Signore, solo il Tuo amore vorrei rubare. («Tâlhar»)

Tutto il piano di battaglia viene fatto tra mente ed anima, in un sottile dialogo interiore. La conquista riguarda il regno della luce che l'anima deve raggiungere, abbandonando le tenebre:

Parlavo con l'anima in silenzio
Oh, vai negli orizzonti sereni,
Non restar più come un uccello di notte
Nelle tenebre delle mie profondità
Abitate solo da rovine. («Bufniţa»)

È un dialogo interiore in cui l'anima si lascia coinvolgere in una guerra spirituale; deve conquistare la luce, il suo Signore. Questa battaglia è uno stato continuo di preghiera: è la preghiera attiva, è la faticosa via della conoscenza, in cui lo Sposo si lascia conquistare e, a sua volta, conquista l'anima che prega, avvolgendola nel suo amore.

2.3. Lo stato di preghiera

Invocato in preghiera, Dio scende dall'altezza della Sua gloria, si tramuta in noi, facendo del nostro cuore la sua casa. Se una volta, venuto dal cielo, per l'incarnazione, è stato accompagnato da canti e dalla gloria dei suoi angeli e la grotta è diventata cielo, anche adesso per l'invocazione continua della preghiera, il mistero della Sua venuta si attualizza nel cuore del credente e porta con sé tutti i doni della presenza del Signore. La visitazione del Signore è il dono più grande che la preghiera può portare. In effetti, è questa la vera preghiera che fa del cuore dell'uomo il paradiso di Dio. A questo punto la preghiera si dispensa dei suoi aspetti formali: divenuta una preghiera contemplativa, visionaria, senza parole. È la preghiera nel silenzio, in cui l'anima sente la presenza di Dio. È uno stato di preghiera. Ma uno stato attivo che non ha niente a che fare con la passività. L'inabitazione di Dio nell'uomo e, al contempo, la trasfigurazione dell'uomo che diventa trasparente verso Dio sono dei processi continui della grazia.

Questo stato di preghiera viene espresso dal poeta nel suo «Colind II». La poesia incomincia con un dialogo tra corpo ed anima, sorto a esprimere i sentimenti interiori:

Oh, anima, alzati e comprendi
Che nasce splendente bambino
Dal palazzo della Trinità
Nella grotta del cuore. («Colind II»)

Come se commentasse l'icona della Natività, il poeta descrive la venuta di Cristo nel cuore che prega. Sono presenti lo Spirito Santo, la Madre di Dio e gli angeli: tutti partecipano alla rivelazione. L'anima avvolta dalla «grazia che viene», si unisce a Dio misticamente, vive il suo grande giubileo, la pacificazione con sé e con Dio: il grande miracolo del supremo incontro.

Io non dormo, confessa soavemente il corpo;
Fermo nell'inesprimibile miracolo,
Sto in silenziosa preghiera
A muovermi non è giusto;
Ma con la grazia che viene
Tutto il paradiso si trova in me. («Colind II»)

Lo spazio dell'incontro con Dio è il cuore che prega. Gli succedono delle cose impossibili, che sfidano le leggi comuni. S'incontrano Dio e l'uomo come, paradossalmente s'incontrano due parallele. Da qui sorge la vera tensione, il dramma dell'anima che cerca Dio:

Quale assioma delle geometrie divine
Mi impedisce fin ora, affinché
In un punto per un attimo ti toccassi
Nella mia interiorità senza limiti?
L'ottusità della mente? Del cuore? («Curbură»)

E se l'incontro non avviene, l'anima subisce l'inesprimibile sofferenza dell'abbandono. La poesia diventa desiderio e tribolazione. Fin quando la misericordia divina non si riversa di nuovo. Allora l'anima gioisce, il cuore esulta, perché si consumano le sue nozze con l'amatissimo Sposo: è la fase dell'unione mistica con Dio nella preghiera contemplativa.

2.4. La preghiera come unione perfetta

Nella preghiera contemplativa, in cui le labbra tacciono e le parole sono indegne, il silenzio diventa rivelazione, le tenebre diventano luce abbagliante e la comunione è perfetta. Non esistono più ostacoli, né distanze, nemmeno l'inferno. Tutto diventa Presenza.

Quanto più cado nel buio,
Tanto ti vedo meglio.
Tutto l'inferno è, verso di Te,
Un terribile occhio aperto. («Spovedanie»)

L'anima ha trovato la sua vita e vive un amore appassionante, unico ed eterno:

Ho nostalgia di Te, oh Signore, come di una fanciulla... («Intâia dragoste»)

Un simile amore è totale, esclusivo, quasi pazzesco; è tutto. Perché tutto, pure il dolore, la colpa o l'inferno si consumano nell'amore. In effetti, Dio-amore si dona diversamente a chi lo ama: a volte come bontà o castigo, altre volte come gloria o virtù o perdono.

Io Ti voglio, o Signore, ad essermi il Tutto!
Non so dividere, non posso scegliere,
Qui, il cuore, di là la mente Ti vuole
Io Ti desidero umanamente, intero,
Per tutti i miei peccati. [...]
Tu sii la mia tribolazione, la passione, la tempesta, la perdizione,
Non solo la luce,
Ma tu il pericolo, Tu il buio, Tu il dolore, Tu la colpa,
Tu la tentazione, Tu la malvagità, Tu il peccato intero! («Intâia dragoste»)

In quanto Dio riempie tutto, l'anima che lo ama lo incontra dappertutto. Anche nella caduta:

Da quando mi sono separata da Te e non finisco più
La mia terribile caduta che riempie l'infinito,
Mi sto avvicinando a Te, per quanto mi sto allontanando. («Aici»)

La presenza di Dio e l'amore dell'anima di colui che ha fatto del suo cuore il paradiso fanno trasfigurare l'uomo intero. Ma anche se la preghiera è l'incontro personale dell'uomo con Dio, essa non si separa dalla Chiesa e dai suoi sacramenti. L'icona della Natività viene assimilata esistenzialmente: Cristo viene ad incarnarsi eucaristicamente nell'uomo che prega. E per la presenza del Signore, l'uomo, con la sua

... cella buia
fatta di carne e ossa

si cambia, entrando

... Cristo,
... Egli stesso, corpo e sangue,
Cambiato, per (la Sua) creazione,
In una preziosa briciola,
La dolce Comunione,

l'uomo corpo ed anima, viene trasfigurato. L'eucaristia fa di lui il «cielo splendente». Il Signore Cristo, insieme allo Spirito Santo ed gli arcangeli vengono ad abitare in lui. Non si tratta più del «mondo svuotato del sacro, asservito alla materia, frantumate dalle incertezze»,11 ma trasfigurato eucaristicamente. La sua esistenza diventa un'incessante liturgia, che è la preghiera perfetta. In esse, l'uomo, penetrato dalla grazia, fa della sua vita una continua ed essenziale invocazione:

Entra, o Signore, anche da noi. («Colind I»)

La liturgia, quale preghiera perfetta, perché della Chiesa, coinvolge l'uomo in un amore che lo realizzare lo fa partecipe alla teandria. A questo punto la gioia di Dio diventa la gioia dell'uomo, la vita divina diventa la nostra vita e i nostri nemici non esistono più. Esiste solo la preghiera eterna, che si manifesta come stato normale dell'uomo di fronte alla Presenza suprema

2.5. L'eternità della preghiera

In comunione perfetta con Dio, l'uomo stesso diventa una preghiera incessante, la sua vita un inno senza fine. L'anima, nella sua integrità, sta davanti al tremendo giudizio. Per questo momento, il poeta prega:

L'unico pensiero: su, alla Presentazione [...]
Voglio poter portarti l'anima intera. («Alarmă»)

Ma, al tempo stesso, il poeta orante sa che non esiste più giudizio, né la morte. Tutte saranno trasfigurate, perché il Signore invocato sarà presente come nell'Eucarestia.

Alla grande festa, fra poco, della mia morte [...]
Avvocato mio, in cielo, per l'eterna vita,
Col Tuo santo Corpo e Sangue, sii pure tu presente. («Ultima rugăciune»)

Perciò, non ha più paura né della morte, né dell'eterno riposo. La vita eterna

Non è uno stare (fermo)
Ma un operato senza fine. («Nemurire»)

È un lavoro eterno ed amoroso. «Ci solleva dalla limitatezza alla pienezza originale»12 che è eterna. Ci fa partecipi delle bontà del regno di Dio, che è il regno dei cuori che pregano.

V. Voiculescu ha subìto gli orrori delle carceri comuniste. Fu imprigionato nel 1958, all'età di 74 anni. Quando ne uscì, aveva la salute a pezzi. Ma la sua anima era intera, purificata e trasfigurata dalla preghiera, la sua amica e fedele compagna. E uscì per usufruire del dono mistico della preghiera: l'Eucarestia.

Tutti lo ricordavano in luce di santità. E tutti sapevano che lui pregava con il cuore. La sua preghiera era diventata arte. E il risultato della sua contemplazione era la poesia.13 Quale fossero la sua vita, le sue gioie spirituali, nessuno lo sa, a nessuno ha detto niente. Chi l'ha conosciuto, ha capito che la preghiera pura, nella mente e nel cuore si può praticare anche in mezzo al mondo. E che il regno di Dio non è lontano: è in mezzo a noi, nei nostri cuori.

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Note

  1. Serafim Joantă, Isihasmul, tradiţie şi cultură românescă (L'esicasmo, tradizione e cultura romena), Ed. Anastasia, Bucureşti 1994, 182. Testo

  2. Cf. Archim. Sofian Boghiu, Rugul aprins şi temniţa (Il Roveto Ardente e la prigione), in Vestitorul Ortodoxiei, n. 157, 1996, 2. Testo

  3. Cf. ibidem. Testo

  4. Serafim Joantă, Isihasmul..., op.cit., 184. Testo

  5. Andrè Scrima, Timpul rugului aprins (Il tempo del Roveto Ardente), Humanitas, Bucureşti 1996, 148. Testo

  6. V. Voiculescu, Confesiunea unui scriitor şi medic (La confessione di uno scrittore e medico), in Gânduri albe 1986, 451, appud.Maria Fanache, Printre poemele religioase postume ale lui V.Voiculescu (Tra i poemi religiosi postumi di V.Voiculescu), in Gândirea, nr.1-2/1996, 71. Testo

  7. V.Voiculescu, Aşchii dintr-o smerită meditaţie (Bricciole di un'umile meditazione sulla preghiera), in Roxana Sorescu, V.Voiculescu - inedit, in România Literară, nr.34/1997, 10. Testo

  8. Ibidem. Testo

  9. Ibidem. Testo

  10. Ibidem. Testo

  11. Maria Fanache, Printre..., op.cit., 69. Testo

  12. V. Voiculescu, Aşchii...., op.cit., 10. Testo

  13. Bartolomeu Valeriu Anania, Rotonda plopilor aprinşi (Il cenacolo dei pioppi accesi), Cartea Românească, Bucureşti 1983, 259. Testo