Salta il menù

Invia | Commenta

Peccati che gridano vendetta (al cospetto di S. Cecilia)

(29 marzo 2006)

La situazione della musica liturgica in Italia sta destando negli ultimi tempi preoccupazioni vive. In questo editoriale si tenta di fare un rapido bilancio della situazione, proponendo iniziative (impegnative) per un rinnovamento. Prima di essere pubblicato, questo testo è circolato in forma più ristretta per raccogliere osservazioni e critiche. Ringraziamo tutti coloro che hanno finora così contribuito, e in particolare Giacomo Baroffio che ha fornito un suo testo sul medesimo argomento.

Il disastro

Se c'è un campo dove il giudizio sull'attuale prassi liturgica in Italia è pressoché concorde, esso è quello della musica, unanimente ritenuta dagli esperti in una situazione disastrosa e imbarazzante. Sull'architettura sacra vi possono essere giudizi contrastanti, e in ogni caso non mancano numerosi esempi di edifici recenti significativi, suggestivi e ben pensati, e ancor di più una diffusissima coscienza della loro importanza; la tradizionale lamentela per prediche sciatte e sconclusionate non toglie che in certi casi il cristiano possa uscire da una chiesa contento di aver ascoltato un'omelia (magari per virtù di Spirito Santo) coinvolgente e intelligente; e così via. Ma i casi in cui in una celebrazione italiana si possa partecipare ad una musica liturgicamente appropriata, esteticamente coerente e tecnicamente ben eseguita, sono così limitati, fatte le debite proporzioni pure nelle occasioni più solenni, da costringere a porre con serietà il problema delle cause del disastro e soprattutto dei modi per porvi rimedio.1

La riforma liturgica...

L'occasione più evidente che ha dato origine a tale situazione è stata certamente la riforma liturgica. Sia l'introduzione delle lingue nazionali, sia la giustificata preoccupazione che i canti liturgici non fossero più appannaggio di una schola estranea all'assemblea, ha provocato l'abbandono improvviso di un secolare patrimonio musicale, percepito come espressione di uno spirito élitario incompatibile con l'ideale di una liturgia non spettacolo stupendo e misterioso, ma azione corale di un'assemblea credente e unanime. Se al Concilio di Trento (secondo la tradizione) ci fu l'autorità e l'arte di Giovanni Pierluigi da Palestrina (laico, tra l'altro) a salvare in extremis le sorti della polifonia, vista con sospetto per il ruolo subordinato cui pareva costringere il significato dei testi, il Concilio Vaticano II non ha avuto nessun interlocutore paragonabile, né la musica sacra contemporanea ha mai avuto una diffusione superiore a limitate occasioni, oppure oggi, più realisticamente, alle sale da concerto e ai CD. D'altra parte, lo stesso canto gregoriano era destinato ad essere abbandonato malgrado le indicazione contrarie del Concilio. La richiesta conciliare di un'edizione semplificata dei canti gregoriani venne poi sì soddisfatta nel bel Graduale simplex, ma raggiungendo il duplice record del libro liturgico forse scientificamente meglio pensato (a giudizio degli esperti), e del libro liturgico meno utilizzato nella storia della Chiesa latina: l'indicazione secondo cui esso è destinato alle piccole chiese che non possono permettersi l'uso del Graduale romanum ha, visto il panorama attuale italiano, qualcosa di involontariamente comico.

... non è la colpevole

Significa tutto ciò che il rinnovamento liturgico è responsabile dell'attuale stato agonico della musica sacra, e bisogna semplicemente sospirare i bei tempi andati? La conclusione sarebbe insensata. Anzitutto è significativo come le voci che invocano un puro ritorno al «passato» siano costrette a fingere (qui come in tutti altri casi) un passato mai esistito. Non è affatto vero, per esempio, che il Gregoriano costituisca l'ininterrotta tradizione secolare della Chiesa latina: quello che si trova nei libri di Solesmes è il risultato di una restaurazione, per altro pregevolissima, incoraggiata solo agli inizi del Novecento, che intende ricostruire una prassi esecutiva perduta e risalente ad un millennio prima. È piuttosto vero che lungo la storia bimillenaria della Chiesa latina si sono succedute le forme musicali più diverse e innovative, a volte proprio tra le proteste di chi era diffidente verso di esse, e da un punto di vista di storia comparata dei riti questa continua innovazione e sperimentazione è un carattere tipicamente latino. Le accuse dei tradizionalisti possono da questo punto di vista essere facilmente ribaltate: il vuoto che ha lasciato dietro di sé la prassi musicale preconciliare e l'incapacità che essa ha mostrato di rinnovarsi mostra anche i problemi da cui essa era afflitta, divisa com'era da un nobile ma un po' archeologico ritorno all'antico (spesso riassunto nel binomio «Gregoriano e Palestrina») e sviluppi abnormi che a dir poco alteravano l'equilibrio della struttura delle celebrazioni.2

I colpevoli: ignoranza e disinteresse

Ma soprattutto, la necessità di un profondo rinnovamento non avrebbe ottenuto risultati tanto devastanti se non si fosse congiunta in Italia sia con la mancanza di una continua tradizione di musica sacra italiana, sia con un'ignoranza musicale diffusa (due elementi che tra l'altro si può fondatamente supporre che abbiano un qualche legame tra loro), sia infine, evidentemente, con un diffuso disinteresse da parte dei legittimi responsabili. I repertori di canti sacri attualmente diffusi in Italia mostrano meglio di qualsiasi discorso l'esito finale: raccolte informi che gridano vendetta al cospetto di S. Cecilia, spazianti da imitazioni gregoriane al laudario di Cortona, dai corali luterani a David Maria Turoldo, da canzonette d'amore popolari inglesi a Jesus Christ Superstar; il tutto, ad onta di Guido d'Arezzo, mai fornito all'assemblea con la musica (e anche per questo deformato in infinite varianti). La libertà di scelta, poi, non solo ha seppellito la preziosa tradizione latina dei tre canti (introito, offertorio, comunione) propri ad ogni domenica, ma intesa come «libertà d'esser pigri» ha avuto anche l'esito di irrigidire il repertorio su una manciata di titoli che periodicamente formano una sorta di koiné diffusa in tutto il territorio italiano, senza praticamente alcun rapporto con la celebrazione del giorno e spesso neppure con il suo momento. È evidente, in conclusione, che il lavoro di traduzione dei libri liturgici, che è stato travagliato ma felice e creativo, non è stato praticamente neppure intrapreso per quelli musicali, dove certo la «traduzione» comporterebbe un lavoro teologico e artistico difficile e affascinante di reinvenzione di testi e musiche, in consonanza con i temi del giorno e del tempo liturgico.3

Nessuno ama la musica brutta

Che la situazione attuale italiana sia di per sé l'esito dell'adattamento della liturgia alla «sensibilità contemporanea» è fortemente da dubitare, anzi è semplicemente falso. L'imbarazzante periodica esplosione di successo anche commerciale del canto gregoriano o di altre riprese della tradizione liturgica occidentale dovrebbe far riflettere. Oppure, deve far riflettere quanto sia facile affascinare i bambini con una significativa musica e una bella esecuzione, e bisognerebbe chiedersi se seppellire di mossette ogni messa ad essi destinata sia un modo per andar loro incontro, o piuttosto, pure quando sarebbero capaci e felici di far cose di gran lunga più belle e durature, per respingerli in un'effimera immagine della fede da Mago Zurlì (con una competizione peraltro persa in partenza, perché un bel musical sarà sempre più divertente di una messa). Il problema è qui più basilare ancora della spesso invocata, non senza ambiguità, «differenza» della liturgia rispetto all'esperienza comune. Prim'ancora di porsi il lecito problema se il pop o il jazz siano di per sé adatti alla liturgia, bisogna infatti chiedersi di quale livello sia l'uso di stili compositivi ed esecutivi contemporanei: quanto spesso chi esce da una messa può ritenere onestamente che ciò che ha canticchiato, se non altro per colpa di testi melensi, sfiori la bellezza sui generis di una canzone di Battisti o De Andrè? è solo per un incidente che anche in importanti occasioni ecclesiali la musica leggera di generica ispirazione spirituale (Bob Dylan, Branduardi o Battiato, per fare qualche nome) è sembrata nettamente anteposta all'omologa musica leggera «cristiana»?

La liturgia vuole l'arte, genera l'arte

È giustificato lamentare con tanta forza una situazione che tutto sommato riguarda un elemento accessorio della liturgia? In primo luogo, si deve dubitare che esso sia accessorio: è solo in forma subordinata e in fondo eccezionale che una celebrazione eucaristica può essere fatta senza canto. Il Gloria o il Sanctus sono essenzialmente canti, il Salmo e l'Alleluia sono essenzialmente canti, se il Messale comprende il testo dell'antifona di ingresso e di comunione è perché questi canti sono ritenuti così importanti che, nel caso non li si possa proprio eseguire, almeno il testo ne deve essere tenuto presente. Non sembra dunque ingiustificato che un aspetto importante della celebrazione riceva almeno la stessa attenzione che pongono gli amici che davanti ad una torta non sarebbero così sciatti da recitare «Tanti auguri a te». Per un cristiano, l'eucarestia è la cosa più importante della vita, e bisogna chiedersi se questa semplice verità possa venire trasmessa e testimoniata, al mondo e a sé stessi, da una celebrazione scriteriata o brutta anche solo da questo punto di vista. Una musica bella o elaborata può apparire ipso facto élitaria e «non liturgica» solo se si dà per ovvio che la partecipazione significhi contemporaneamente improvvisazione senz'alcuno sforzo: una strana tesi contro la quale si possono ridirigere le sagge osservazioni che S. Agostino rivolgeva contro chi riteneva che l'omelia andasse carismaticamente improvvisata, quando replicava che ciò era presunzione ed un modo per tentare Dio. Più specificamente, bisogna chiedersi quanto la trascuratezza in questo terreno nasconda anche un'incomprensione dell'intimo rapporto tra arte e liturgia: è verissimo che la liturgia non è luogo per far concerti, ma è anche vero che i concerti traggono il loro fascino dalla capacità che hanno di commuovere con una bellezza che in ultima analisi è sempre «sacra». Il problema non consiste insomma nell'evitare come fuori luogo cose «troppo belle», ma nel cercare di mantener fedele ogni forma di bellezza al contenuto specifico che essa deve testimoniare e al contesto in cui lo deve testimoniare. Senza un ripensamento di tutto questo, bisogna rassegnarsi a vedere spesso tanta più commozione, profondità e spirito ad un concerto di Chopin che ad una messa.4

La musica va commissionata

Passati ormai alcuni decenni dalla riforma liturgica in Italia, sarebbe bello che questi problemi fossero finalmente affrontati come meritano, e che per amore della Chiesa si tolga definitivamente all'ottuso tradizionalismo almeno l'arma del dileggio su questi esiti spuri del Concilio. La soluzione non può consistere in documenti (la cui inutilissima pletora venne denunciata pure dall'allora card. Ratzinger), ma solo in spartiti; non si tratta di reprimere abusi o correggere una sensibilità, ma di ricreare e diffondere qualcosa che ora non esiste, o esiste pochissimo.5 Esistono certamente luoghi (per esempio monastici, o legati a gruppi particolari) che hanno sviluppato una propria tradizione organica e significativa, ma ciò che manca è una prassi della Chiesa italiana, o almeno di singole diocesi. Perché essa sia istaurata sembrano richieste almeno due condizioni. La prima è che sia ristabilito il contatto vitale tra la Chiesa e i grandi compositori contemporanei. Il Canticum sacrum di Strawinsky, la più grande opera dodecafonica mai composta, che venne eseguito in prima mondiale in onore della città di Venezia nella basilica di S. Marco, con l'incoraggiamento del patriarca Roncalli, è stato forse l'ultimo grande esempio storico in Italia di un rapporto che ora è dappertutto in fortissima crisi. Se pure il Codice di Diritto canonico (can. 212, § 3) codifica il diritto-dovere di ogni laico ad esprimere la sua opinione su questioni che riguardino la Chiesa, bisogna chiedersi se non bisogna finalmente dare qualche ascolto anche alle voci dei seri musicisti che lamentano di venire ignorati ed emarginati a favore di un deteriore dilettantismo. La musica, come ogni grande arte, si è sviluppata soprattutto quando è stata sistematicamente commissionata, cercata, apprezzata, valorizzata, e anche pagata. La generazione spontanea dalla spazzatura non esiste né per i vermi né per gli spartiti.6

Che cosa serve per un Graduale italiano

La seconda è che si sappia esattamente che cosa si vuole: sia la lunga tradizione latina, sia lo spirito della riforma liturgica, sia le esperienze degli ultimi decenni (almeno in quanto mostrano ciò che non bisogna fare), offrono sicuramente materiale sufficiente per pensare ad un serio programma futuro. Il ruolo preminente dei testi biblici e in particolare dei Salmi, la necessità che la musica valorizzi i testi e non vi si sovrapponga in maniera ipertrofica, la caratterizzazione di una celebrazione con tre canti legati al giorno (come nel Graduale romanum) o almeno al tempo liturgico (come nel Graduale simplex), la possibilità di scegliere tra diversi ordinari coerenti esteticamente e distinti a seconda della solennità della celebrazione, l'opportunità che siano previste diverse modalità di esecuzione a seconda delle possibilità dell'assemblea, l'esigenza che l'assemblea possa in linea di principio partecipare anche ai brani più elaborati (per esempio con l'antico sistema dell'alternanza tra monodia e polifonia): sono per esempio principi, desunti dalla tradizione latina, che potrebbero costituire alcuni punti di riferimento di un Graduale italiano e di un Kyriale italiano. Gli unici libri liturgici la cui mancanza è ancora bruciante.

I vostri commenti

Saremo felici di ricevere commenti a questo articolo. Nel caso abbiate dato l'assenso, il vostro commento potrà essere eventualmente pubblicato (integralmente o in sintesi). Grazie!

Note

  1. Uno spaccato alquanto esagitato nei toni, ma senza dubbio significativo, è quello del gruppo di discussione news://it.arti.musica.polifonia. La due lamentele più costanti riguardano l'occupazione delle posizioni di maggiore responsabilità da parte di incompetenti (con le debite eccezioni, per esempio Valentino Miserachs Grau), e l'ostilità dei parroci (non certo delle assemblee) a qualsiasi forma artisticamente dignitosa. Anche se per ipotesi queste lamentele fossero infondate, per lo meno esse sono il segno di un disagio di cui bisogna tenere conto. Testo

  2. L'uso della Messa dell'incoronazione di Wolfgang Amadeus Mozart nella celebrazione papale dei Santi Pietro e Paolo nel 1985 (poi immortalata in un CD della Deutsche Grammophon attribuito in copertina a Giovanni Paolo II e Herbert von Karajan) è da ricordare tra i pochi eventi che hanno tentato di restituire una collocazione liturgica a musica oggi quasi universalmente giudicata più appropriata ad un concerto. Sembra significativo che un esperimento simile non sia stato mai più ripetuto. Testo

  3. Due piccoli esempi che mostrano come la traduzione italiana dei libri liturgici abbia spesso messo tra parentesi l'aspetto musicale, dando apparentemente per ovvio che esso era ormai perduto: i testi delle «Antifone O» riciclati come versetti dell'Alleluia (capovolgendone quindi collocazione liturgica e senso musicale); le sequenze spostate prima dell'Alleluia (spezzandone quindi il legame estetico e contenutistico con il canto di questo). Un felice ma limitato controesempio è costituito da La messa dei fanciulli, che alle pp. 107-114 presenta delle melodie ad experimentum, composte sul saggio presupposto che recitare «canti» e «acclamazioni» è un controsenso. Testo

  4. La Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II rappresenta nei tempi recenti la più autorevole e chiara presa di posizione in favore del valore teologico della bellezza: «La Chiesa ha continuato a nutrire un grande apprezzamento per il valore dell'arte come tale. Questa, infatti, anche al di là delle sue espressioni più tipicamente religiose, quando è autentica, ha un'intima affinità con il mondo della fede, sicché, persino nelle condizioni di maggior distacco dalla cultura della Chiesa, proprio l'arte continua a costituire una sorta di ponte gettato verso l'esperienza religiosa. In quanto ricerca del bello, frutto di un'immaginazione che va al di là del quotidiano, essa è, per sua natura, una sorta di appello al Mistero. [...] Si comprende, dunque, perché al dialogo con l'arte la Chiesa tenga in modo speciale e desideri che nella nostra età si realizzi una nuova alleanza con gli artisti» (n. 10). Testo

  5. Senza ovviamente nulla togliere al fatto che il patrimonio secolare della musica latina, dal gregoriano in poi, non merita di essere completamente confinato alle sale da concerto, od offerto in comodato a riletture New Age. In tutta la sua storia la Chiesa latina ha sempre incoraggiato cose nuove, ma senza dimenticare la saggia regola del padrone di casa che dal suo tesoro estrae anche cose antiche. Testo

  6. È interessante l'ipotesi, formulata in anni recenti (James W. McKinnon, The Advent Project. The Later Seventh-Century Creation of the Roman Mass Proper, University of California Press, Berkeley and Los Angeles, 2000), secondo cui gran parte del corpus gregoriano è stato composto in pochissimo tempo accompagnato da un chiaro programma teologico-liturgico. Anche se ovviamente essa deve contentarsi dello statuto di una fondata ipotesi musicologica, gli argomenti in suo favore per lo meno fanno giustizia (se ce ne fosse bisogno) dell'idea romantica di una spontanea crescita che per miracolo si cristallizza in forme ordinate. Testo