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Spezzare la catena per non curvarsi sotto l'ombra della storia. Riflessioni sulla catena umana: E. Stein, E. Hillesum, V. Frankl, E. Wiesel

di Cristiana Dobner (15 giugno 2007)

1. Una scottatura da riverbero

1.1. La via dei Pazzi

Una bibliografia, anche se selettiva, elenca quasi duemila volumi in molte lingue e più di diecimila pubblicazioni solo su Auschwitz. Perché aggiungerne un'altra?

Per indurre a pensare, a prendere coscienza dell'evento Auschwitz nella coscienza stessa della modernità, per suggerire o spingere oltre.

La coscienza storica, e la coscienza interiore della persona, è impossibilitata ad integrare Auschwitz con le categorie che la riflessione oggi presenta, cioè a ritenerlo un atto fondatore, un segmento della dinamica di civilizzazione o s-civilizzazione. Si trova dinanzi ad un quid che non risponde alla classificazione, alla comprensione e ritiene di procedere sul piano inclinato dell'ottusità o della superficialità.

Se si osserva l'evento con occhio critico e distaccato, balza chiaramente davanti che si tratta di una gravissima e profonda lacerazione di umanità, che destabilizza i modelli gnoseologici e epistemologici usuali.

La cesura è una spaccatura terrificante provocata dal genocidio ebraico; due ragioni possono esserne la causa:

Quando si esercita la riflessione, collocata nel contesto di quel paradigma molto discusso che è Auschwitz, dall'atmosfera inquieta e chiaroscurale, gli interrogativi pullulano e contano moltissimo, forse anche più delle stesse conclusioni cui si giunge. Come frecce acuminate convergono sul simbolo della Shoah, sulla domanda centrale per l'uomo d'oggi:

Dove c'è la Shoà, nessun pensiero è possibile. Auschwitz è 'senza perché'. Nei due sensi, in cui quest'affermazione può essere intesa: è 'senza perché'in quanto lì ogni perché era bandito, ed è 'senza perché'in quanto Auschwitz appare ancor oggi qualcosa di incomprensibile, di inspiegabile, di troppo terribile, troppo osceno, troppo ripugnante, troppo antiumano, semplicemente troppo.2

Dire Shoah significa esercitarsi appunto sul nodo critico, nel deserto della memoria:

Do più importanza alle domande che alle risposte. Soltanto le prime diventano condivisione.3

Da domanda a domanda, in un'analisi elicoidale che si sviluppa via via in una mappa ben precisa, si innesta così la cascata delle domande, perché

In questo inizio del XXI secolo, la Shoah appare come un fenomeno storico complesso nel quale si coagulano accadimenti e rappresentazioni del passato, proiezioni della memoria e inquietudini del presente.4

Auschwitz è un simbolo che, in questo contesto preciso, va inteso in un'accezione specifica:

La storia del nostro secolo ha prodotto un simbolo in grado di travalicare la storicità e la concretezza proprie dell'evento stesso e, pur conservando intatta tutta la forza e l'evidenza del dato, ne ha fatto emergere un significato universale che va al di là del tempo e di tutti i suoi aspetti contingenti. Il simbolo è costituito da un nome, e il nome è Auschwitz. Attraverso questo simbolo o metafora, o specchio della coscienza individuale e collettiva ogni uomo viene prepotentemente posto di fronte al limite stesso della sua esperienza vitale, esperienza intesa sia come specifica singolarità del vissuto, sia come appartenenza alla generalità della condizione umana al di fuori delle sue componenti storiche e culturali.5

Si impone perciò di pensare nello scambio di due piani, continuo ed inavvertito: l'ordito temporale dei fatti cronostorici e la loro incisività sulla coscienza umana, in termini di filosofia, teologia e umano vivere fraterno, nella fatica e nel dolore del ricordo.

Queste pagine che presento allora saranno come un radar con cinque campi sovrapposti:

Campi che non si elidono creando zone d'ombra, ma che confluiscono, sospinti dal tragico moto di marea della storia, nelle persone vittime della Shoah; in questo preciso caso nel confronto fra alcune persone: Elie Wiesel,6 ebreo, deportato, testimone, scrittore e Premio Nobel per la Pace e Victor Frankl,7 ebreo, deportato, padre della Logoterapia; Etty Hillesum,8 ebrea, deportata, testimone con un legato postumo letterario ed Edith Stein,9 ebrea, deportata, pure testimone con un legato postumo letterario e spirituale, proclamata santa e Patrona dell'Europa da Giovanni Paolo II nel 1999.

Sopravvissuti i primi due, periti le seconde. L'interrogativo si colloca in un ambito preciso: il male e la reazione al male, configurantesi come odio.

Un campo simbolico ed insieme un'arena critica quindi, però anche una strozzatura obbligata e un discorso, fuor di dubbio, percussivo.

Pensare quindi, ma non in astratto e solo chinandosi sui documenti, bensì ascoltando la viva voce di alcuni testimoni e accettandone la guida, cioè la loro esperienza reale e viva che non si è fermata e bloccata, quasi impietrita nel ricordo, ma ha saputo diventare richiamo per tutti, per i due sopravvissuti, viva nel loro lascito di scrittura che si tramanda, per le due perite. Non per uno iato di metodo ma per una resa in chiave testimoniale, in quella che è la forbice più spalancata del secolo scorso e che costringe a collocarsi nel taglio che traccia: "Prima dell'Olocausto" -- "Dopo l'Olocausto", questa terrificante linea di demarcazione segna l'unico modo per interpretare il secolo, per sapere il senso dei suoi eventi.10 "Prima" e Dopo": due avverbi che si dimostrano nella rete dei piombi che ordisce le pareti di vetro della storia, sensibili alla luce e alla Luce, alle tenebre e alla loro opacità.

Pensare che non esclude il tridente ineludibile coniato da R. Hilberg,11 ma lo satura di una valenza altra, e qualifica le persone coeve alla Shoah:

Carnefici: coloro che ebbero un ruolo specifico nella formulazione o nell'applicazione dei provvedimenti antisemiti. Il primo e massimo carnefice fu naturalmente A. Hitler.

Vittime: sempre allo scoperto.

Spettatori: la grande maggioranza di coloro che vissero all'epoca della catastrofe ebraica non furono né carnefici né vittime, anche se molti vedevano e sapevano in parte che cosa stava succedendo. Non erano "coinvolti", non intendendo né far del male alle vittime né essere presi di mira dai carnefici.

Alla triplice possibilità, aperta ad ogni cuore umano, è sottesa, non come panacea universale, ma come correttivo reale, il pensare, il riflettere, per fare sempre affiorare la memoria e munirsi, attrezzarsi di posture mentali che creino libertà, misericordia, altruismo.

Esclamano i testimoni in quel grido scrittorio, accessibile solo all'orecchio di possiede l'occhio vigile e sgombro:

Le vittime vogliono essere dei testimoni.12

La premessa pone un interrogativo: si può o meno scrivere dopo Auschwitz?

La risposta è inevitabilmente dialettica. No, non è possibile scrivere niente dopo Auschwitz. Ma sì, è possibile scrivere qualcosa su tutti i silenzi che circondano Auschwitz: i silenzi della colpa, della vergogna, dell'orrore, dell'insensatezza. In questo senso non solo possiamo, ma abbiamo il dovere di scrivere su Auschwitz e l'Olocausto.13

Shoah è luogo senza anabasi, senza conquista e senza ritorno, il mistero del silenzio che diviene la linea di faglia della riflessione, del cuore dell'uomo; il silenzio: è corretto usare questo termine, non bisogna tentare di portare il linguaggio ad un'espressività più specifica e meno trasformista?

Dopo Auschwitz (perché è stata la Shoà a far "ricominciare" la teologia, come afferma Johann B. Metz), la domanda sul male ha assunto molte voci, secondo il credere o il non credere degli interroganti: c'è chi, come Elie Wiesel, si è chiesto dov'era Dio, e chi come Primo Levi, dov'era l'uomo. Se la spiegazione è forse in quel volto divino dal quale la morte ci separa, non per questo Dio ci ha liberati dalla domanda: anzi, vien quasi da pensare che quell'alito insufflato nel primo uomo altro non sia che lo spirito di domanda. E tuttavia non c'è dubbio che anche nelle domande più "aperte", cioè senza risposta, c'è un progresso rispetto alle certezze precedenti. Soprattutto se si va oltre l'abbaglio di una terminologia ingannevole e di una retorica devota.14

È necessario, di conseguenza, procedere per non tradire nella memoria e non ricordare trascorrendo le corde della dimenticanza.

Queste pagine esigono una postura peculiare, la esigono perché la postulano ed è l'unica che possa garantire di avvicinarsi, quanto più possibile, al bersaglio. È Elie Wiesel che suggerisce la modalità di quanto si deve fare dinanzi a Birkenau:

... trattenere il fiato ed aspettare, insieme, per riuscire ad ascoltare, almeno un po', la voce più imperiosa di questo tempo, quella di un ricordo che brucia e brucia, e mai si consuma.15

Perché, quanto E. Wiesel ha saputo raccontare con la speranza nell'umanità, non si tramuti in una ragnaia, in quella rete per l'uccellazione che cattura e prelude alla morte; perché quanto V. Frankl ha comunicato con la Logoterapia e con le persone portate ad una sana e matura armonia non diventi una trappola per eludere i problemi; perché la memoria delle due donne perite, E. Stein ed E. Hillesum, così diverse e così simili nella loro oblatività di verità, insieme con i loro scritti, diventino lettera morta.

Chi abbia visitato il Museo dell'Olocausto di Washington DC ricorda di aver visto una lettera in una bacheca protettiva. Il suo contenuto non può che far sussultare chi conosce, o almeno afferra, la portata dell'evento Auschwitz:

Egregi Signori, come certo capite, gli affari incalzanti della guerra ci impediscono di porre mente ai dettagli che avete ritenuto di sottoporci. Forse in un successivo periodo delle operazioni...

La firma appartiene al Ministro della guerra americano in risposta alla petizione ricevuta dal Congresso Mondiale, in cui venivano indicate le dislocazioni dei campi di sterminio in Germania.

Anche questa documentazione consente di situare in modo corretto il pressante interrogativo che, abitualmente, così viene formulato:

Si poteva sapere qualche cosa di quanto era in atto?

Un prigioniero di guerra britannico C. J. Coward risponde affermando decisamente:

Era assolutamente impossibile non sapere.16

Perché, oltre al citato documento conosciuto dalle alte sfere politiche, la realtà quotidiana presentava ben più di spie o illazioni.

Me lo chiedo dalla sponda della reale documentazione, era:

La costellazione, priva di luce e funerea, dei Totenlager (i lager dei morti) è impositiva e ineludibile. È la Via caliginosa del "Mistero dell'iniquità", ma insieme anche di quello della risurrezione dai morti.

L'atto di accusa, murato nel suo silenzio da più di mezzo secolo, è più eloquente di tante parole sparse al vento. La responsabilità della colpa non tocca solo la coscienza morale, e quindi il senso di colpa personale e collettivo, ma anche la sfera metafisica, delle idee e degli aneliti dell'uomo e della donna.

Le categorie del pensiero utilizzate dai filosofi e dai teologi si trovano nella indesiderata posizione di scacco matto, dettata dalla paura, dalla visione superficiale dell'evento o forse, è l'abbozzo di risposta più attendibile, pronunciata dall'impossibilità di usare la strumentazione.

I testimoni, qui prescelti, allora si ergono e pongono la loro vita ustionata e, drammaticamente falciata, come dono per ripensare, prima della loro testimonianza, la modalità di approccio di questo evento che scuote e travaglia la storia, stringendola ad un bivio da cui deve uscire, pena la perdita dell'umanità: Dio e l'uomo, il loro rapporto, la fede pensata e riflessa e il mysterium iniquitatis, altrimenti non ne viene alcun lume. Il mysterium iniquitatis (2Tes, 2,1-12), inteso dal card. Martini: «... nel suo senso più proprio: c'è un mistero di salvezza (cf Rm 25-26; Ef 3,8 ss, Col 1,25 ss), un piano salvifico eterno mediante il quale Dio dispone nella storia la salvezza dell'uomo (il Mysterium della Scrittura, che ha la sua rivelazione piena in Cristo e l'avrà luminosamente nella parousia), e in parallelo, in contrappunto c'è un mysterium iniquitatis, un piano di perdizione, un certo sviluppo della storia che, con una sua logica e intelligenza, trama la perdizione dell'uomo, la sua umiliazione, il suo schiacciamento, il suo annientamento».19

Si rischia quindi di perdersi in un cannocchiale prospettico dove la tensione della ricerca si vanifica?

Perché si può parlare di un evento che squassa la teologia? Per l'essenziale ragione che «la teologicità dell'evento della Shoah è strettamente collegata al monoteismo che accomuna le "religioni del Libro". L'eliminazione del "popolo del Libro" equivale all'eliminazione del Dio che quel Libro ha ispirato».20

Elie Wiesel è testimone dei morti perché i vivi diventino testimoni di vita e non di morte, perché il loro tratto terreno sia una ricchezza e non una perdita definitiva:

Quando l'uomo, nella sua pena, diventa muto -diceva Goethe -, Dio gli dà la forza di cantare la sua prova. Da quel momento gli è proibito non cantare. Poco importa che il suo canto sia udito o no. L'importante è combattere il silenzio per mezzo della parola o di un altro tipo di silenzio. L'importante è cogliere qui un silenzio, lì una lacrima, e giustificare così la fede che tanti compagni hanno avuto in te, una volta.

Perché scrivo? Per strapparli dall'oblio. E per aiutare così i morti a vincere la morte.21

Victor Frankl è il testimone medico, che già nel 1949 espresse il suo parere senza risentimento, odio e vendetta, commemorando in un incontro dell'Associazione medica viennese i colleghi assassinati durante il nazismo:

In quell'occasione dissi che il mio compito era quello di testimoniare davanti a loro in che modo dei medici viennesi patirono e morirono nei campi di concentramento e di offrire una testimonianza di medici autentici -- che hanno vissuto e sono morti da medici, incapaci di starsene impassibili a guardare chi soffre, ma che sapevano di persona come si soffre, sapevano professare la vera sofferenza, sapevano soffrire in tutta onestà. Tra le ultime cose che avevano detto non c'era una parola d'odio -- dalle loro labbra uscirono solo parole di struggimento e di perdono -- perché ciò che essi odiavano, e anche noi odiamo, non sono certo gli esseri umani. Gli uomini vanno perdonati, mentre va odiato il sistema -- che condusse gli uni alla colpa e gli altri alla morte. Non è forse meglio non far troppo causa agli altri? Fintanto che giudichiamo e accusiamo, non arriveremo mai alla fine. Allora non ricordiamoci solo dei morti, ma perdoniamo anche i vivi. Così come una stretta di mano simbolica ci unisce ai morti al di là delle fosse e dell'odio e pronunciamo la frase "onore ai morti", aggiungiamo pure "e pace a tutti i vivi di buona volontà".22

Etty Hillesum23 vive, nel presente agghiacciante, la sua testimonianza di perdono e amore per gli uomini che votavano allo sterminio il suo popolo.

Edith Stein, fin dal sorgere e dal primo imporsi del nazismo, afferrò la portata distruttiva di quanto incombeva sulla sua patria con i nuovi detentori del potere che odiavano gli ebrei; è certa di dover scrivere con uno sguardo ampio, che guarda al di là e si rivolge al futuro. Fra amiche, ella racconta, ci si chiedeva «se solo sapessi in che modo Hitler sia arrivato al suo terribile odio per gli Ebrei».24 Anche l'analisi dei diversi ebrei segnalatasi nella storia recente non lo giustificano. Mentre imperversano gli scritti programmatici di chi gode della voce del più forte:

Padre Santo! Come figlia del popolo ebraico, che per grazia di Dio è da 11 anni figlia della Chiesa cattolica, ardisco esprimere al padre della cristianità ciò che preoccupa milioni di tedeschi. Da settimane siamo spettatori, in Germania, di avvenimenti che comportano un totale disprezzo della giustizia e dell'umanità, per non parlare dell'amore del prossimo. Per anni i capi del nazionalsocialismo hanno predicato l'odio contro gli ebrei. Ora che hanno ottenuto il potere e hanno armato i loro seguaci -- tra i quali ci sono dei noti elementi criminali -- raccolgono il frutto dell'odio seminato. Le defezioni dal partito che detiene il governo fino a poco tempo fa venivano ammesse, ma è impossibile farsi un'idea sul numero in quanto l'opini one pubblica è imbavagliata. Da ciò che posso giudicare io, in base a miei rapporti personali, non si tratta affatto di casi isolati. Sotto la pressione di voci provenienti dall'estero sono passati a metodi più "miti" e hanno dato l'ordine "che a nessun ebreo venga torto un capello". Questo boicottaggio -- che nega alle persone la possibilità di svolgere attività economiche, la dignità di cittadini e la patria ha indotto molti al suicidio: solo nel mio privato sono venuta a conoscenza di ben 5 casi. Sono convinta che si tratta di un fenomeno generale che provocherà molte altre vittime. Si può ritenere che gli infelici non avessero abbastanza forza morale per sopportare il loro destino. Ma se la responsabilità in gran parte ricade su coloro che li hanno spinti a tale gesto, essa ricade anche su coloro che tacciono. Tutto ciò che è accaduto e ciò che accade quotidianamente viene da un governo che si definisce "cristiano". Non solo gli ebrei ma anche migliaia di fedeli cattolici della Germania e, ritengo, di tutto il mondo da settimane aspettano e sperano che la Chiesa di Cristo faccia udire la sua voce contro tale abuso del nome di Cristo. L'idolatria della razza e del potere dello Stato, con la quale la radio martella quotidianamente la masse, non è un'aperta eresia? Questa guerra di sterminio contro il sangue ebraico non è un oltraggio alla santissima umanità del nostro Salvatore, della beatissima Vergine e degli Apostoli? Non è in assoluto contrasto con il comportamento del nostro Signore e Redentore, che anche sulla croce pregava per i suoi persecutori? E non è una macchia nera nella cronaca di questo Anno Santo, che sarebbe dovuto diventare l'anno della pace e della riconciliazione? Noi tutti, che guardiamo all'attuale situazione tedesca come figli fedeli della Chiesa, temiamo il peggio per l'immagine mondiale della Chiesa stessa, se il silenzio si prolunga ulteriormente. Siamo anche convinti che questo silenzio non può alla lunga ottenere la pace dall'attuale governo tedesco. La guerra contro il Cattolicesimo si svolge in sordina e con sistemi meno brutali che contro il Giudaismo, ma non meno sistematicamente. Non passerà molto tempo perché nessun cattolico possa più avere un impiego a meno che non si sottometta senza condizioni al nuovo corso. Ai piedi di Vostra Santità, chiedendo la benedizione apostolica.

Dott.ssa Edith Stein, docente all'Istituto tedesco di Pedagogia scientifica presso il Collegium Marianum di Münster

In quale forma acustica si palesa questo silenzio da esprimersi in parola? In quello dell'inchiostro che, goccia goccia, scende su di un foglio bianco e lo verga, per sempre, di una parola che si concretizza, che rimane quando il suono si perde negli spazi infiniti.

Si palesa anche nella forma dell'incidenza civile e umana in cui E. Wiesel e V. Frankl si sono dimostrati maestri gratuiti e impareggiabili, anche nel linguaggio, cioè nel modo con cui organizzare il proprio esperire nella riflessione e nella consapevolezza, afferma Giselher Guttmann:

Frankl rappresenta, sotto forma di dissezione obiettiva, la situazione limite di un'esistenza permanentemente provvisoria e dalla costante incertezza sulla fine. Tuttavia egli ebbe non soltanto l'energia per sopravvivere, ma anche la forza, dopo il ritorno dai Lager, di rimanere fedele ai suoi principi con tranquilla assennatezza.25

Si palesa anche, nella stessa forma dell'incidenza civile e umana in cui la testimonianza e gli scritti di E. Hillesum e E. Stein attualmente stanno irrompendo e contagiando molte persone a riflettere e a interrogarsi.

Non si può indagare in ogni recesso l'evento Shoah, sarebbe una pretesa immane e come voler conoscere una foresta primordiale, con i suoi segreti e la sua nascosta ed informe trasformazione, oppure voler coglier il punto pullulante dell'origine continua (Luzi). Lo spostamento del focus sarebbe rischioso, il terreno più sicuro è l'indagine serrata, consapevole dei suoi stessi limiti, ma non per questo costretta all'improvvisazione o alla superficialità.

1.2. Auschwitz

In breve: mi sembra che in questa parola -- Auschwitz -- racchiudiamo una scala di valori nella quale la vita e la morte stanno in primo piano e dove il bene e il male sono in relazione con esse. Il termine Auschwitz è quindi un termine simbolico.26

È stata conservata la testimonianza oculare di chi osservò, mentre stava al sicuro, il procedimento della gasazione; solo le parole stesse possono risultare incisive:

I cadaveri non giacevano sparpagliati, ma erano accatastati gli uni sugli altri. È facile spiegarne il motivo: lo Zyklon B, fatto penetrare dall'esterno, sviluppava i gas letali prima all'altezza del suolo e poi raggiungeva gli strati d'aria superiori, poco per volta. Perciò quei poveri sventurati si calpestavano a vicenda, tentando di arrampicarsi l'uno sull'altro; più in alto si arrivava, più tardi si veniva raggiunti dal gas. I lattanti, i bambini e i vecchi giacevano al di sotto di tutti, mentre sopra c'erano gli uomini più robusti. Giacciono lì per terra, aggrappati gli uni agli altri, i corpi ricoperti di graffi, con il sangue al naso e alla bocca; le teste tumefatte, di color blu e sfigurate fino a essere irriconoscibili.27

A D. Bonhoeffer, il teologo protestante che fu vittima della furia nazista perché si opponeva al regime, fu posta una domanda precisa sull'identità di Hitler, la sua risposta fu pari alla domanda, nitida e ineludibile:

Attendevamo con ansia la sua risposta e ci aspettavamo qualche riferimento biblico sulla nostra domanda. Egli disse: "No, Hitler non è l'Anticristo, per questo egli non è grande abbastanza. L'Anticristo si serve di lui, ma non è stupido come lui! ".28

Rudolf Höss scrive nelle sue memorie autografe un brano che vale la pena di essere citato integralmente per la sua agghiacciante linearità:

Nell'estate del 1941 -- al momento non potrei citare la data esatta -- venni improvvisamente convocato a Berlino presso il Reichsführer, tramite il suo aiutante. Contrariamente al solito, Himmler mi ricevette senza che fosse presente nessun aiutante, e mi disse sostanzialmente quanto segue: -- Il Führer ha ordinato la soluzione finale della questione ebraica, e noi SS dobbiamo eseguire quest'ordine. In centri di sterminio attualmente esistenti a Oriente non sono assolutamente in condizione di far fronte alle grandiose azioni previste. Ho scelto perciò Auschwitz, sia per la sua ottima posizione dal punto di vista delle comunicazioni, sia perché il territorio ad esso appartenente può essere facilmente isolato e camuffato. Per questo compito, avevo deciso di scegliere un alto ufficiale delle SS; ma per evitare fin dall'inizio difficoltà dovute a incompetenza, ho abbandonato tale idea; il compito sarà dunque affidato a Lei.29

L'ordine dato dell'annientamento e del potenziamento del lager di Auschwitz, farebbe vibrare le vene ai polsi a chiunque ed anche Höss un qualche disgusto dovette provarlo. Come mai non reagì, quantomeno defilandosi? Egli afferma:

In effetti era un ordine straordinario e mostruoso, ma le ragioni che mi fornì mi fecero apparire giusto questo processo di annientamento.30

C'è di che allibire. Se Höss ritenne giusto quanto avrebbe messo in atto, i valori che la sua mente e il suo animo conservavano e nutrivano, erano distorti o comunque asserviti al potere dominante e denunciavano l'incapacità di formulare un giudizio che fosse degno di chi si chiami persona. Eichmann invece non razionalizzò nulla, non sottopose a riflessione o a interrogativo quanto gli si imponeva, afferma di aver operato «solo "im Auftrage", per incarico dei superiori».31

Con ogni probabilità, secondo gli storici, Himmler si sbaglia di un anno nel riferire questa visita, lo confermerebbero anche i carteggi con la Topf, la ditta che costruiva disinvoltamente strumentazioni di morte, stampati nel volume di J.C. Pressac32 mentre «Wisliceny ricorda che a Berlino, nell'agosto o nel luglio 1942, Eichmann gli mostrò un ordine di Himmler, scritto su un foglio dai margini rossi che significava azione immediata, e riguardava la "soluzione finale" del problema ebraico, Eichmann gli spiegò che il termine "soluzione finale" significava lo sterminio biologico del popolo ebraico».33

Inoltre la documentazione di campo è precisa e registrata con ogni scrupolosa ufficialità:

Nel maggio 1942 venne sistemata una piccola baracca a Birkenau per rimpiazzare la camera a gas di Auschwitz (Bunker 1: due stanze, senza ventilazione meccanica); un mese dopo fu la volta del Bunker 2, sempre a Birkenau: 4 stanze, superficie totale di 105 mq, camera a gas priva di ventilazione meccanica.34

Si porti lo sguardo su di una piantina del campo: i Bunker I e II di Birkenau furono attivati tra il maggio e il giugno 1942. Verso la fine del 1942 invece furono costruiti i crematori II, III, IV e V. Lo attesta il comandante del lager, un polacco.

Pressac osserva che «nel 1942 Himmler impiegasse l'espressione "soluzione finale" (Endlösung) nell'accezione di "sterminio biologico dell'ebraismo europeo" non desta alcuna sorpresa, visto che -- secondo Poliakov (citato da Mattogno) -- questa accezione subentrò a quella che si riferiva al progetto di un'emigrazione in massa a partire dalla fine del 1941».35

Himmler infatti, nel luglio 1942, aveva visitato il campo e si era molto preoccupato per il fetore e il fermentare della terra che scoppiava e formava delle crepe maleodoranti per le fosse comuni in cui venivano gettati i cadaveri:

L'autorità del campo fece attenzione che lo sterminio fosse il più possibile occultato e rimanesse segreto. A questo scopo -- almeno a partire dalla seconda metà del 1942 -- furono presi provvedimenti affinché le tracce dei crimini commessi venissero completamente cancellate. Così le ceneri dei corpi e quanto di loro rimaneva dopo la cremazione venivano raccolte e sparse sui campi dei dintorni o versate nei fiumi e negli stagni nei pressi del campo.36

Solo invece nel marzo 1943 «fu messa a punto la camera a gas 1 (provvista di un dispositivo di ventilazione) del Crematorio II e,, nel corso dell'anno, vennero inaugurate le camere a gas dei crematori III, IV e V».37

Chi, con un solo movimento del suo dito, ha mandato a morte anche solo una persona, mai vista prima e mai conosciuta, quindi privo di conoscenza specifica, non può neppure acquisire la qualifica di boia. Si colloca, ipso facto, al di là di ogni possibile classificazione di servizio o di mestiere, si arroga solo la vita o la morte, una decisione irreversibile, in nome di una ideologia che, ai suoi occhi, lo ha reso grande, importante, facendosi credere un personaggio che passerà alla storia. Con quale giudizio però sul suo animo, sulla sua qualità di uomo?

Ad Auschwitz tutti gli sguardi dei deportati in fila erano fissi sul pollice destro del guardiano graduato. A sinistra, la morte. A destra, provvisoriamente, la vita. Ma i nuovi arrivati nel campo non vedevano che l'incomprensibile e regolare oscillazione del dito di un funzionario in servizio.38

V. Frankl visse questa orribile esperienza in prima persona:

E finalmente mi trovai di fronte a lui: alto, magro, aitante, in un'uniforme perfetta e pulitissima; era un uomo elegante e curato, ben diverso da noi miserabili, segnati da notti insonni, sciatti. Stava in piedi con aria disinvolta, appoggiando il gomito destro sulla mano sinistra, la mano destra levata; con l'indice di questa mano compiva un piccolo, misuratissimo cenno -- ora a destra, ora a sinistra -- molto più spesso a destra... Nessuno di noi poteva supporre, neppure da lontano, qual era il significato di questo piccolissimo gesto, fatto dall'indice della mano d'un uomo -- ora a destra, ora a sinistra, più spesso a destra. Tocca me. Qualche istante prima, qualcuno m'aveva sussurrato: a destra (rispetto a chi guarda) si va al lavoro; a sinistra, in un Lager per inabili e malati. Mi abbandonai al corso delle cose, per la prima di molte altre volte. Il mio tascapane mi trascinava a sinistra; m'allungai, raddrizzandomi come potevo. La SS mi guardò con occhio clinico, parve sospettoso o incerto, appoggiò le sue mani sulle mie spalle. Mi sforzai d'avere un'aria "risoluta", rigido e diritto. Poi, l'ufficiale mi gira lentamente di spalle, indirizzandomi a destra; me la svignai subito.

Alla sera sapevamo il significato di questo gioco con l'indice: era stata la prima selezione. Avevano deciso per la prima volta: essere o non essere.39

Un convoglio poteva contare anche 3.000 deportati, ma era noto che solo il 20% sarebbe stato lasciato in vita, iscritto nei registri dei campi e usato per il lavoro. Infatti i deportati ad Auschwitz assassinati al loro arrivo assommano a quasi 900.000, mentre furono immatricolate solo 100.000 vittime.

Rudolf Höss ha la spudoratezza di tramandare alla storia l'inaugurazione dell'uso del gas Zyklon B, nell'autunno 1941. Le vittime furono i prigionieri di guerra russi: «In occasione di un mio viaggio di servizio, il mio sostituto Hauptsturmfüher Frizsch, di sua iniziativa, usò il gas per sterminare questi prigionieri di guerra...».40

La camera a gas viene invece, ufficialmente, inaugurata il 17 marzo 1942 a Belzec, mentre dal febbraio erano state iniziate le gasazioni sperimentali:

La prima gassazione si svolge nel Block 11 del lager di Auschwitz, ma richiede che l'edificio venga arieggiato per almeno due giorni dopo l'operazione. Si decide allora di adibire a camera a gas la camera mortuaria del crematorio I di Auschwitz.41

Il piano criminale era grandioso e comportava uno sterminio di massa, Auschwitz fu il perno centrale, da qui si sarebbe irradiato lo sterminio di tutto l'ebraismo europeo che, via via, avrebbe coinvolto tutti i paesi vinti e sottomessi. Confrontando le statistiche si può sostenere che il nazismo riuscì a mettere in atto quasi la metà del piano previsto, perché le vittime della Shoah ammontano ad una cifra che si avvicina ai sei milioni, pari alla metà dell'ebraismo europeo.

Auschwitz, che funzionò quindi dal 1940 alla metà del 1943, poteva incenerire al giorno fino a 340 cadaveri (talvolta di persone ancora agonizzanti o vive), quando la sua potenzialità non reggeva alla mostruosità dell'ingranaggio di sterminio: «... i corpi venivano portati nei pressi del villaggio di Brzezinka (Birkenau) e sotterrati in grandi fosse comuni. Nell'estate 1942 i nazionalsocialisti fecero riaprire tutte le fosse della Polonia orientale, tra cui quelle che si trovavano in prossimità dei campi di sterminio tra il settembre e il novembre 1942, all'interno di questa operazione (la cosiddetta "Aktion 1005") furono riaperte anche le fosse di Birkenau e bruciati a cielo aperto i più di 100.000 corpi che vi erano interrato».42

Kremer, di professione medico e operante ad Auschwitz -- non come medico ma come assassino -- tenne un diario dal 30 agosto al 18 novembre 1942: «Non è certamente, come scrivono gli editori di Faurisson, "l'ultimo argomento di coloro secondo i quali "le camere a gas'sarebbero esistite", ma è un documento importante, diretto, autentico, su quell'epoca relativamente antica della storia dello sterminio di Auschwitz».43

Il 18 ottobre giunse al campo una retata di deportati, partiti dall'Olanda in 1710, solo 116 entrarono nel campo; l'aritmetica non è un'opinione, almeno fino a prova contraria, eseguita la sottrazione ci si ritrova con la cifra 1594. Dove sono finite queste persone: donne, uomini, anziani, bambini, ragazzi, tutti con il loro volto, con un corpo come il nostro, con la possibilità di pensare, di agire, di plasmare la storia? Svaniti nel nulla, senza lasciare traccia reperibile; tranne nella coscienza di chi ne ordinò la scomparsa, direttamente o indirettamente, preparandola e covandola da lungo e a distanza.

Nel gergo nazista "azione speciale" indicava un intervento non usuale, non quotidiano, portato a conclusione da truppe sempre speciali, addestrate in modo particolare che entravano in azione irrompendo improvvisamente di notte. Kremer, in data 2 ottobre 1942, ancora una volta dà voce a una simile efferatezza:

Ho assistito per la prima volta a un'azione speciale all'esterno, alle 3 del mattino. In confronto, l'Inferno di Dante mi sembra quasi una commedia. Non per nulla Auschwitz viene chiamato il campo della Vernichtung [sterminio].44

La menzogna, riflessa e perpetrata, reggeva l'impianto nazista, sia da un punto di vista teorico sia da un punto di vista esecutivo. La soluzione della burocrazia si escogitava con un codice segreto e una propaganda palese, così la realtà veniva occultata e mistificata, veniva porta con una veste che non corrispondeva agli eventi constatabili.

Auschwitz ha cancellato il gusto del tempo? In E. Wiesel e in V. Frankl è riuscito ad attenuarlo ed è sembrato lo soffocasse. Eppure è rispuntato, ancora più vigoroso di prima ed orgoglioso delle sue cicatrici, non per esporle, richiamando una compassione vittimistica, ma per denunciarle e renderle segni simbolici.

Un sentiero è aperto e disteso per chi voglia riflettere e pensare, porta una denominazione sconcertante: "Via dei pazzi".

I pazzi di Elie Wiesel infatti sono coloro che si sono schierati in favore di Dio e degli uomini. Ed oggi lo è, chi accetti di venire sommosso in se stesso, si accolli con soddisfazione garbata questo epiteto, lo renda pubblico e se ne faccia promotore.

Il "pazzo" ha il senso dell'udito sviluppato oltre umana misura, si apparenta a quello del mondo animale che vibra ad ogni minima onda che percorra il tempo e lo spazio; la tonalità della preghiera perciò muta e si associa a quella E. Wiesel:

Non ti chiedo più la vita per quel bambino, e nemmeno la fede. Ti imploro solamente di ascoltarlo e di far sì che io possa ascoltarlo insieme a te.45

V. Frankl, a sua volta, si schierò sempre dalla parte degli uomini, considerandoli per quello che essi in realtà, nel profondo del cuore, sono:

Sulla terra esistono solo due razze umane, e solo queste due: la "razza" degli uomini per bene e quella dei "poco di buono". Queste razze sono diffuse ovunque, penetrano e si infilano in tutti i gruppi.46

La visione di Edith Stein è ampia e solistica, poggia sulla sua esperienza di cristiana e di fenomenologia raffinata:

Come l'uomo e la donna sono da considerarsi conii (Ausprägungen) diversi dell'immagine di Dio, come ogni anima umana reca in sé un suo proprio divino sigillo, così va anche considerato come ordinamento divino della razza umana che essa si articoli in popoli ognuno con un peculiarità di conio.47

Etty seppe guardare tanto profondamente negli uomini da capire che il male non risiede in chi ti sta dinnanzi, chiunque sia, ma nello sguardo che tu, in persona, gli rivolgi. Lezione somma tratta direttamente dal Mysterium iniquitatis che si stava rovesciando sul popolo ebraico:

19 febbraio 1942, giovedì pomeriggio, le due. Devo dire quanto, oggi più mi impressionò? Le grandi mani piene di geloni di Jan Bool. È stato anche torturato a morte. Il dolce ragazzo della Libreria Cultura. Ricordo che suonava il mandolino. Aveva una simpatica ragazza che nel corso di russo sedeva accanto a me in classe. Divenne poi sua moglie e c'era anche un bambino. "Quelle bestie" diceva Jan Bool nello stretto corridoio dell'Università, lo hanno fatto a pezzi. E Jan Romein e Tielrooy e diversi altri tra i professori più vecchi e più fragili, nello stesso parco di Veluwe, in cui, in una amichevole pensione avevano passato le vacanze estive, ora sono prigionieri in una baracca piena di correnti. Raccontava Aleida Schott nella cafeteria: non possono neppure indossare il pigiama, né con sé. Vogliono abbrutirli completamente, creando in loro un sentimento d'inferiorità. Con il morale i nostri ragazzi sono forti abbastanza, la salute della maggioranza però è davvero molto fragile. Pos si trova in un convento a Haren. Scrive un libro. Dicono. C'era un grande sconforto stamattina fra i colleghi.

Non c'era solo e del tutto sconforto, c'era un punto di luce. Una breve, inattesa chiacchierata con Jan Bool lungo il freddo e stretto Langebrugsteeg, e poi in attesa del tram. Che cosa spinge gli uomini a fare a pezzi gli altri? Chiede amaro Jan. Ed io: gli uomini, sì gli uomini, ricordati però che anche tu sei uomo. Inaspettatamente, mi dà ragione, il cocciuto, brusco Jan. Il marciume che c'è negli altri c'è anche in noi, predicavo. Non trovo altra soluzione, veramente non ne vedo nessun'altra, che quella di raccoglierci nel proprio centro strappar via tutto il nostro marciume. Non credo più che noi possiamo migliorare qualcosa nel mondo esterno, quanto non abbiamo migliorato prima in noi stessi. È l'unica lezione di questa guerra che abbiamo appresa, dobbiamo cercare in noi stessi, non negli altri.

E Jan, ora in accordo con me, abbordabile negli interrogativi, non più arroccato alle teorie sociali durissime di un tempo. Diceva: è anche a buon mercato, il sentire vendicativo verso l'esterno. Vivere solo per l'unico momento di vendetta. Non ci tange per nulla. Aspettavamo il tram al freddo, Jan con le sue grandi mani livide per i geloni, e con il mal di denti. E non erano mere teorie, quelle notizie. I nostri professori erano imprigionati, un altro tra gli amici di Jan era stato ucciso, ed ancora, troppo per un elenco, ci dicevamo: a buon mercato, quel sentire vendicativo.

Era proprio un punto di luce, oggi (D 254).

2. Tacere è proibito, parlare è impossibile

La memoria, personale e collettiva, storica ed emotiva, scientifica ed empirica, è attendibile? É un fatto non dirimente il rimembrare? Sono scarsi e grami gli anelli che intreccia?

Elie Wiesel non è un cantore romanticamente sprovveduto ed ingenuo? Il colpo egli lo accusa nettamente, eppure sa come uscire dal cunicolo tenebroso:

Io ho sempre avuto paura di perdere la memoria. La memoria è vulnerabile, lo so. La memoria si sbriciola, va in polvere. Ci sono cose che ho dimenticato? Ci sono visi che non sono più nei miei occhi? Ci sono gesti che non ricordo più? Allora, che fare? Come si può dire tutto, dire tutto quello che va detto? Uno scrittore come me, come te, non può fare a meno di porsi queste domande.48

Victor Frankl non è un uomo sfinito e depauperato che esce da un'esperienza allucinante? Eppure la sua reazione è cristallina:

L'esperienza di Auschwitz è stata decisiva per Frankl. È certo uno dei doni più grandi di questo nostro tempo il fatto che abbia perso nella maniera più orrenda i genitori, il fratello e la moglie e sia uscito da tutta questa situazione disumana da vero vincitore, che non solo non ha perduto la fede negli uomini, ma anzi li ama con piena dedizione e cerca di far capire loro il senso della vita e, se necessario, anche quello della morte.49

Il famoso psichiatra non perse mai un'occasione per parlare, per esprimere quello che era il suo pensiero, unito profondamente alla concretezza del suo quotidiano, come accadde nella piazza municipale di Vienna il 10 marzo 1988 alla presenza di trentacinquemila persone, in occasione del cinquantesimo anniversario dell'invasione dell'Austria da parte dell'esercito hitleriano:

Signori e signore, vi prego in quest'ora di ricordare con me mio padre, che morì nel lager di Theresienstadt; mio fratello, che morì nel lager di Auschwitz; mia madre, che finì in una camera a gas di Auschwitz; e la mia prima moglie, che perse la vita nel lager di Bergen-Belsen. E tuttavia devo chiedervi di non aspettarvi da me una sola parola di odio. Chi mai dovrei odiare? Io conosco soltanto le vittime, non i carnefici, quantomeno non li conosco personalmente -- e io rifiuto di dichiarare qualcuno collettivamente colpevole. Una colpa collettiva infatti non esiste, e io questo non lo dico oggi, l'ho detto fin dal primo giorno in cui fui liberato dal mio ultimo campo di concentramento.50

Non solo detto, ma anche scritto in quella che definisce «una conferenza metafisica» dal titolo Sincronizzazione a Birkenwald pubblicata nella rivista Der Brenner nel 1948 con lo pseudonimo Gabriel Leon, proprio per non sfruttare l'onda di compassione del sopravvissuto, unendo il nome del padre con il cognome della madre.

Si svolge un dialogo fra i deportati Franz e Paul:

FRANZ: Però non voglio darmi per vinto, non ancora. Ora sogno di nuovo, nel lager, ma qualcosa di diverso. Di quello che farò poi, fuori -- se ce la farò ad uscire.

PAUL: E si può sapere che hai in mente?

FRANZ: Mi comprerò un auto...

PAUL: Sì, anch'io sogno di comprarmela.

FRANZ: ... e con quella nei primi giorni, appena tornato a casa, girerò tutto il tempo, per tutte le strade, seguendo la lista.

PAUL: Che diavolo vuoi dire?

FRANZ: Già da molto tempo nella mia mente ho compilato una lista; ci ho messo i nomi delle persone a cui, in un primo momento, sopraffatti dall'odio, vorremmo torcere il collo. E io l'odio lo prevedo. E finirà che verranno aggrediti anche coloro dei quali non si saprà se segretamente abbiano fatto qualcosa di buono. Io ho preparato tutta una lista di persone che ora, ancora ora, vestono quelle uniformi che odiamo tanto, ma sotto quell'uniforma hanno conservato un cuore. Credimi, qualcuno è rimasto un uomo, nonostante tutto, e fa quel che può; solo che pochi lo sanno. Ma questi pochi- credimi- avranno poi il dovere di preoccuparsi di queste persone. È una lista bianca, la mia, e la tengo pronta; devo affrettarmi a recarmi da queste persone per aiutarle, per salvarle.

PAUL: Sei matto, puramente e semplicemente matto. Mi fai orrore. Sai che cosa sei? Un traditore, ecco cosa sei!

FRANZ: (con un sorriso mite) Un traditore? E di chi, di che cosa?

PAUL: Di noi, di noi tutti che siamo qui costretti a soffrire- a soffrire proprio a causa di quelle persone che vuoi aiutare.

FRANZ: Non sono un traditore, non tradisco niente e nessuno. Soprattutto non tradisco una cosa: l'umanità.

PAUL: Ah, la chiami umanità? Sottrarre al giusto castigo queste canaglie, questi criminali?

FRANZ: Il giusto castigo... Cos'è giusto, per te? Rispondere all'odio con l'odio, all'ingiustizia con l'ingiustizia? Fare noi quello che hanno fatto gli altri? Trattarli come ci hanno trattati? Questa non è giustizia. Così non si fa che perpetuare l'ingiustizia.

PAUL: Occhio per occhio, dente per dente... te lo sei scordato?

FRANZ: Lascia stare la Bibbia! Potresti averla intesa male. E poi chissà se la conosci veramente. O devo farti l'esame? Dimmi allora: perché Dio ha impresso su Caino, il primo omicida nella storia dell'umanità, il "segno di Caino"?51

Edith Stein ed Etty Hillesum pretendono di parlare dalle loro ceneri? Oggi?

Lo dimostrano ampiamente le edizioni dei loro scritti che si continuano a stampare e a moltiplicarsi, come pure l'incidenza della loro vita nel contesto attuale, con iniziative, convegni, scuole, che si ispirano alla figura di queste due donne.

3. E Dio?

L'uomo e gli uomini, appartenenti alle tre categorie distinte da Hilberg, devono rapportarsi ad Auschwitz. Qualcuno di loro latita o si nasconde?

E Dio, allora e oggi?

Elie Wiesel nel suo dialogo con Semprún non concede spazio a dubbio:

Sì, un problema c'era. ma comunque per me Dio era l'ancora di salvezza. non lo so, Jorge, io non capisco, ma Auschwitz e Buchenwald per me sono inconcepibili, con o senza Dio. In effetti, ogni volta mi pongo lo stesso interrogativo: ma Dio là dentro dov'era? e se c'era cosa faceva? Perché, vedi, io provengo da un ambiente religioso, estremamente religioso. Tu invece hai una formazione politica. tu lavoravi nella resistenza. Io non ho fatto niente. Ho lasciato fare. Dio faceva e l'uomo disfaceva: le cose, gli eventi, le creature umane. Per me c'era solo Dio, perché tutto sommato, l'uomo ai miei occhi non contava. Contava Dio, Lui soltanto importava. Spettava a Lui dare un senso alla mia vita. Era Dio la motivazione di tutto quello che mi succedeva. E proprio per questo io avvertivo un'assenza, un'eclissi: già, ma Dio dov'era?52

Etty si sporge ancora più in là, non si lascia avvinghiare da discorsi o elucubrazioni teoriche, come sempre si colloca nel vivo della storia:

E se Dio smette di aiutarmi, allora sarò io ad aiutare Dio. Lentamente su tutta la superficie terrestre si sta allargando un unico, grande campo di sterminio e nessuno, o quasi, potrà restarne fuori. È una fase da attraversare. Qui gli ebrei si raccontano delle belle storie: in Germania vengono murati vivi o sterminati con gas asfissianti (D 163).

Victor Frankl racconta quanto sperimentò prigioniero nell'anus mundi e di come scaturì in lui un pensiero e uno stato d'animo che si rapportò immediatamente a Dio:

D'un tratto, un pensiero mi fa sussultare: per la prima volta nella mia vita, provo la verità di ciò che per molti pensatori è stato il culmine della saggezza, di ciò che molti poeti hanno cantato; sperimento in me la verità che l'amore è, in un certo senso, il punto finale, il più alto, al quale l'essere umano possa innalzarsi. Comprendo ora il senso del segreto più sublime che la poesia, il pensiero umano ed anche la fede possono offrire: la salvezza delle creature attraverso l'amore e nell'amore! Capisco che l'uomo, anche quando non gli resta niente in questo mondo, può sperimentare la beatitudine suprema -- sia pure solo per qualche attimo -- nella contemplazione interiore dell'essere amato.

...

Se avessi saputo che mia moglie era morta, credo che questa consapevolezza non m'avrebbe affatto turbato: avrei continuato nell'amorosa contemplazione, i miei dialoghi spirituali sarebbero stati ugualmente intensi, m'avrebbero dato la stessa pienezza. In quell'attimo scoprii la verità di quella parole del Cantico dei cantici:

Mettimi come sigillo sopra il tuo cuore
...
Poiché forte come la morte è l'amore (VII, 6).53

Edith Stein, ormai prigioniera della Gestapo ed internata nel campo di smistamento, rimane viva nella deposizione ai Processi di Beatificazione nelle parole di chi la incontrò:

Parlava con umile sicurezza, tanto da commuovere chi la sentiva. Una conversazione con lei [...] era come un viaggio in un altro mondo. In quei momenti Westerbork non esisteva più... Mi disse: -- Non avrei mai creduto che gli uomini potessero essere così e... che i miei fratelli dovessero soffrire tanto! -- Quando non ci fu più dubbio che dovesse essere trasportata altrove, le domandai se potevo aiutarla e (cercare di liberarla); ... di nuovo mi sorrise supplicandomi di no. Perché fare un'eccezione per lei e per il suo gruppo? Non sarebbe stata giustizia trarre vantaggio dal fatto che era battezzata! Se non avesse potuto partecipare alla sorte degli altri la sua vita sarebbe stata rovinata: -- No, no, questo no!54

... ella disse "con sicurezza e umilmente": "Il mondo è formato da contrasti... Ma la finale non sarà formata da questi contrasti. Rimarrà solo il grande amore. Come potrebbe essere diversamente?" ... "Non avevo mai saputo realmente che i miei fratelli e le mie sorelle dovessero soffrire così... Ogni momento prego per loro. Se Dio ascolta la mia preghiera? Egli ascolta certamente il loro lamento".

... "devo chiamare uno dei poliziotti fidati di Utrecht?". Ella di nuovo rise. "No, non lo faccia, per favore non lo faccia", perché un'eccezione per lei o per questo gruppo? ... Se ella non avesse potuto condividere la sorte con gli altri, la sua vita sarebbe stata come annientata. E andò al vagone pregando accanto a sua sorella Rosa. Vidi il suo sorriso- la sua incrollabile sicurezza... che l'accompagnavano a Auschwitz.55

Etty Hillesum, immersa nel fango della brughiera e nel fango, ancora peggiore, della mancanza di umanità e di vessazioni di ogni genere, ha il coraggio di scrivere:

Mi sono smarrita. Volevo solo dire: la miseria qui è veramente terribile, però, di sera tardi, quando il giorno è profondamente scomparso dietro di noi, mi capita spesso di camminare lungo il filo spinato con passo alacre, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce -- non ci posso farci niente, è così, è di una forza elementare -, e questa voce dice che la vita è splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo del tutto nuovo, ad ogni nuovo atto di crudeltà dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà, conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire molto, ma non dobbiamo soccombere. E se sopravviveremo intatti a questo tempo, sia il corpo e sia l'anima, soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. Forse io sono una donna ambiziosa: vorrei dire anch'io la mia piccola parola (L 656-657).

Gli interrogativi che pulsano nel cuore dell'uomo piombano come obici su di un frutteto in fiore:

«E se Dio ne avesse avuto abbastanza del suo popolo? Se avesse cambiato partito?»;

«C'è Dio qua dentro?»;

«E se Dio non fosse più dalla mia parte, ma dalla parte del nemico?».

La risposta di E. Wiesel, lacero e affamato, stroncato nel suo fisico di adolescente ancora in crescita, è commovente e stringe alle corde:

Può darsi che Dio diventi nemico, ma il nemico non è Dio.56

Gli venne chiesto in un'intervista se non si potesse dare un'interpretazione puramente razionale di Dio, se non si potesse mettere l'oceano in quel bicchiere; rispose:

Posso. Posso. Ritengo che una persona possa annegare in quel bicchiere. Non deve annegare nel mare. Posso annegare in una lacrima.57

L'interrogativo però martella il foglio di rame della storia del deportato e lo bulina in opere che, nel segno, lasciano intravedere l'interrogativo:

Dov'è Dio in tutto questo?.58

In una catena ininterrotta di morte e di cadaveri, in un subisso di angherie che negano il volto umano del vivere e fanno esplodere la bestialità degli aguzzini.

La reazione alla morte certa è diversa, come diversi sono i volti dei deportati, «tutti destinati al massacro, senza eccezione alcuna».59 E. Wiesel tramanda da un anonimo cronista, che poi ricevette la sua propria identità di Leib Langfus, un aneddoto:

In un certo giorno giunsero dei trasporti da Sosonic e Bendiu. Vi si trovava pure un vecchio rabbino. Provenendo da così vicino, tutti sapevano di essere condotti alla morte. Il rabbino entrò nella baracca dove si spogliò, e poi entrò nella camera a gas cantando e danzando. Egli ebbe il privilegio di morire per santificare il nome dell'Eterno.60

Etty Hillesum, insieme al suo gruppo di deportati, partì anche lei per l'orribile destinazione cantando, con un atteggiamento ancora più sconvolgente e assurdo, se non si conoscesse quanto aveva maturato nel suo animo:

Ho ricevuto una lettera da Leguyt, che mi ha molto commossa, anche lui è fra gli uomini per cui si vorrebbe fare il meglio per rivederli più tardi. Mi ha trasmesso una frase del Dr. Korff: "Eppure Dio è amore". Io sottoscrivo completamente, ora più che mai vale. Il signor Leguyt, tra l'altro, scrive: "Sarei stupito se Lei fosse tanto elastica spiritualmente da poter ancora prestare più di mezzo orecchio a chi è rimasto fuori". Io ho conservato tutt'e due le mie orecchie e tutta la mia attenzione per voi, sono ancora in vostra compagnia mentre vivo qui e, di quando in quando, prendo riposo con voi per i pesi eccessivi che devo portare. Per voi più che per noi, è più difficile digerire quanto avviene qui. Noto che in ogni situazione, anche nella più peggiore, l'uomo sviluppa nuovi organi, con cui può continuare a vivere. Su questo Dio è sufficientemente misericordioso (L 651).

Anche in E. Wiesel serpeggia o sedimenta quanto Jonas, senza mezzi termini, ha scritto?

Dopo Auschwitz possiamo e dobbiamo affermare con estrema decisione che una divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile. [...] (Dio) ha abdicato ad ogni potere di intervento nel corso fisico del mondo.61

Primo Levi ha portato questa traccia su di sé, traccia sempre rovente. Rita Levi Montalcini svela un lato del grande scrittore che al lettore non sarà sfuggito, ma che è prezioso poter documentare di prima mano.

La tua autobiografia termina con una frase che a molti può suonare blasfema: "C'è Auschwitz quindi non può esserci Dio". Sul dattiloscritto, a matita, hai aggiunto: "Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco ma non la trovo...".62

Al rabbino D. Rosen venne posta la seguente domanda: «Dove era Dio mentre si compiva l'Olocausto?». La meditata e riflessa risposta è un segnavia impareggiabile:

La risposta più semplice a questa domanda molto difficile è che Dio era proprio lì, ad Auschwitz come a Treblinka, e in tutti quei posti terribili, a lasciarsi umiliare e distruggere da coloro che rinnegavano il divino. Il nazismo personificava la negazione di Dio, perciò lo scopo del male era la distruzione di ciò che personificava la presenza di Dio nel mondo. A un livello filosofico più profondo, vedendo l'intera questione da una prospettiva religiosa, dobbiamo cercare di capire quanto Dio interferisca, fra virgolette, nel processo della storia. E il principio fondamentale, del punto di vista biblico dell'Ebraismo, conferma la volontà di Dio di lasciare libertà di scelta dell'uomo.

Gli uomini hanno la capacità di scegliere il bene o il male. Perciò la domanda non è tanto dove fosse Dio, bensì dove fosse l'uomo. Fu il prodotto di una scelta umana e fu questa scelta umana a portare a quei terribili eventi.63

Egli consegna così la chiave teologica e pone il dilemma nei suoi termini più propri e più corretti.

4. La pace interiore

Vivere però la tragedia della Shoah in prima persona poneva una problematica esistenziale profonda e ineludibile. In un lungo dialogo alla televisione americana fra il Cardinale O'Connor ed W. Wiesel lo si venne a sfiorare.

L'uno fece appello a quella dimensione interiore senza di cui la vita, anche ridotta nei suoi minimi termini, diviene impossibile:

Ritengo che una persona potesse trovare la pace interiore anche in un campo di concentramento, come il dott. Frankl e P. Kolbe.64

L'altro, pur conscio della dinamica psicologica e di fede, deve negarne la presenza:

Oh, conosco dei sopravvissuti ebrei molti religiosi, ma neppure loro ebbero la pace interiore.65

Questa pace si vedeva sul volto di Edith Stein mentre si trovava al campo di smistamento di Westerbork e incontrò un deportato, poi sopravvissuto e che depose ai Processi:

Io ho parlato con Edith Stein e le ho chiesto: Che cosa sarà di noi? Essa disse: Dobbiamo solo confidare nel Signore, è evidente che noi stessi non possiamo farci niente. Suor Rosa ha pianto molto. Suor Edith era più tranquilla... quando al primo appello fu chiesto a Edith Stein che cosa era, essa disse: sono cattolica. L'SS disse: tu maledetta giudea, mettiti lì. Suor Rosa disse: sono ebrea» (P VIII, 17, 409)... «Era molto coraggiosa: dava le sue risposte così come era essa stessa. Quando l'SS bestemmiava, essa non reagiva, ma rimaneva se stessa. Non aveva assolutamente paura (P VIII, 17, 410).

Stessa pace che strutturava il quotidiano della piccola e fragile donnetta Etty che stava affrontando l'anus mundi con piena consapevolezza:

Amsterdam, fine dicembre 1942.

Credete che vi abbia comunicato qualcosa su Westerbork, con la mia lunga chiacchierata? Se richiamo questo Westerbork davanti al mio occhio interiore, in tutte le sue sfaccettature e nella sua storia movimentata, in tutte le sue necessità spirituali e materiali, allora vedo che il successo non mi ha arriso. Inoltre: è un resoconto molto parziale. Avrei potuto rappresentarvene un altro colmo di odio, amarezza e ribellione. Ma la ribellione che nasce solo quando la miseria comincia a toccarci personalmente, non è vera ribellione, e non potrà mai dare buoni frutti.

Assenza d'odio poi, non significa per nulla assenza di un elementare sdegno morale.

So che chi odia ha fondati motivi per farlo. Ma perché dovremmo sempre scegliere la strada più corta e a buon mercato? Laggiù ho potuto sperimentare come ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo rende un luogo ancora più inospitale.

E credo anche, forse infantilmente ma ostinatamente, che questa terra potrebbe ridiventare un po' più abitabile solo grazie a quell'amore di cui l'ebreo Paolo scrisse agli abitanti di Corinto nel tredicesimo capitolo della sua prima lettera ai Corinti (L 629).

5. La memoria

E. Wiesel66 non nota la distruttiva dialettica fra amore e odio, ma coglie un passo successivo che li elide entrambi in nome di una quiete e di un'assenza di sguardo aperto verso gli altri, quello dell'«indifferenza"».67

Indifferente può essere anche la generazione immediatamente successiva alla Shoah e tutte le generazioni che si alterneranno nella storia, inclusi «gli assassini delle memoria»,68 cioè i negazionisti.

Modalità sovrana dell'indifferenza è il perdere la memoria, lasciare cadere nell'oblio gli interrogativi e significherebbe dare morte certa all'identità dell'ebreo, perché «la perdita della memoria sarebbe la perdita di questa identità».69 Memoria individuale e collettiva.

Non contano le risposte, conta il subbuglio che crea l'interrogativo, spandendosi nello spazio interiore della persona e percorrendo tutto lo spazio dell'universo.

Esiste una fotografia scattata da un ricognitore americano, con cui anche chi non è esperto di reperti bellici è in grado, semplicemente servendosi dei suoi occhi e della sua intelligenza, di identificare la struttura del famigerato campo di detenzione e di morte. La data è certa e assodata.

Il travaglio, successivo alla liberazione, del deportato "A-7713", non suona beffardo e non si scaglia automaticamente contro un silenzio provocatorio e colpevole?

Perché non avevano lanciato qualche bomba sulla ferrovia che portava a Birkenau, se non altro per mostrare a Himmler che gli Alleati non erano indifferenti? E ce l'avevo (perché non confessarlo?) con Dio stesso, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe: come poteva abbandonare il suo popolo nel momento in cui aveva bisogno di lui? Come poteva lasciarlo agli assassini? Come spiegare, come giustificare la morte di un milione di bambini ebrei? Per mesi e mesi, per anni vissi solo. Non mi fidavo del prossimo, sospettavo il mio simile. Non credevo più al verbo come veicolo di pensiero e di vita; sfuggivo l'amore, aspiravo soltanto al silenzio e alla demenza, considerarla logica ovvero giusta.70

L'oblio, la dimenticanza, sono una gomma universale che elimina ogni traccia dalla storia. Memoria e oblio, una declinazione dialettica di forze costruttive o distruttive.

Il silenzio è, in questo caso, falsa moneta. Non esprime il dolore rispettoso, lo stupore attonito dinanzi ad una ributtante scoperta, rischia solo di essere un'apologia fondata su di una rimozione.

Il ragazzo che riuscì a sopravvivere ad Auschwitz sembra soccombere alla liberazione da Auschwitz; la marchiatura a fuoco non scompare solo quando ai bisogni più elementari viene data risposta, diventa ancora più rovente finché l'integrazione non si elabora, finché l'uomo non ritrova il suo baricentro. Se poi lo ritrova, perché la marchiatura potrebbe essere entrata fino in fondo ai gangli, ai circuiti cerebrali e ormai fare blocco con tutto se stesso:

Mi sentivo sopra tutto estraneo e straniero, avevo perso la mia fede, dunque il mio senso di appartenenza e di orientamento. La fede nella vita: coperta di cenere. La fede nell'uomo: derisoria, puerile, sterile. La fede in Dio: a pezzi. Cose e parole avevano perduto il loro significato, il loro asse. Un'immagine della Kabbalah descrive il mio stato d'animo d'allora: la creazione intera si era spostata dal suo centro per esiliarsi. Su che cosa potevo appoggiarmi? A che cosa aggrapparmi? Mi cercavo, mi sfuggivo e, sempre, in me questo gusto dello scacco, questa sensazione di sconfitta.71

Il gravame della sofferenza altrui diventa l'àncora che impedisce di smarrirsi in una rimozione pericolosa e inutile, a Primo Levi E. Wiesel chiese: «... di capirmi a sua volta: ho visto troppe sofferenze umane (le stesse) per rompere con il passato e rifiutare l'eredità di quanti le hanno subite».72

Lo scrittore italiano si chiese: «Dov'è Dio?», lo scrittore ungherese: «Dov'è l'uomo?». Due interlocutori ebrei, segnati dal fuoco corrosivo di Auschwitz, che si pongono l'uno da una parte delle fiamme e il secondo dall'altra. Arsi entrambi.

V. Frankl dà una risposta concreta a quest'interrogativo, in modo apparentemente indiretto, quando fa parlare Franz, uno dei due deportati della conferenza metafisica già citata, continuando a spiegarsi sul dramma suscitato da Caino:

PAUL: Ma è chiaro: perché lo si riconosca come omicida, come criminale, e ci si guardi da lui, comportandoci di conseguenza.

FRANZ: Nient'affatto! Invece il segno di Caino doveva far sì che non gli succedesse niente, che gli uomini non volessero punirlo ulteriormente dopo che Dio lo aveva punito, e lo lasciassero in pace. Capisci ora che cos'era il segno di Caino? Pensa per un momento a cosa altrimenti sarebbe accaduto: le uccisioni non sarebbero più cessate, un omicidio ne avrebbe provocato un altro, un'ingiustizia un'altra ingiustizia. Questo se si fosse continuato a ripagare con la stessa moneta. No! Bisogna spezzare una buona volta la catena del male! Basta col contraccambiare odio con odio, ingiustizia con ingiustizia, violenza con violenza. La catena... Paul... la catena, ecco cos'è. Va spezzata una buona volta (ricade sul tavolaccio).73

Nella tormenta va cercato il nodo di congiunzione semantica, quella espressività che sola consente di potervi mettere sopra le dita tremanti e incerte per scioglierlo e dividerne i due capi. Allora, e solo allora, l'uomo ritrova se stesso in un capo, perché ha ritrovato l'Eterno nell'altro. Il groviglio della storia sotto l'influsso malefico del mysterium iniquitatis si sfilaccia e, alla luce della Parola e sotto la Parola, si mostra come strada da percorrere insieme, spalla a spalla.

Ormai a Parigi E. Wiesel è ancora ricoperto dalla coltre cinerina di Auschwitz e lotta con se stesso:

Ho voglia di smettere di pregare. È questa la soluzione? Non credo. Sarebbe una confessione di sconfitta sia smettere di bere "alla vita", sia smettere di vivere o di credere nella vita. Penso che bisognerebbe invece arrivare a bere pur continuando a ricordare, e questa è una lezione della nostra storia: la sofferenza non conferisce all'uomo nessun privilegio, tutto sta in ciò che egli ne fa; se, come altri hanno fatto, la utilizza per propagare la sofferenza, la sua è menzognera. Noi abbiamo cercato di utilizzare questa sofferenza per aiutare gli altri. Ed è in questo che la storia ebraica diviene universale. Riflette ciò che la circonda e incide in essa. Più l'ebreo è ebreo e più serve a coloro che, intorno a lui, non lo sono.74

Bisogna riproporsi oggi, con coraggio non umano, di ricominciare la teologia e di abbozzare non una risposta sul male, ma una domanda variegata e multicolore, esito delle voci, che si intersecano, evitando la schiuma che mette, spesso, fuori pista.

Con l'opera scritta di E. Wiesel si è imposta una svolta, determinante, nell'espressione scrittoria e nel pensiero:

Una volta, la letteratura era evasione. La mia non lo è. Ritengo che le mie parole oggi debbano veicolare un momento, la memoria di mio padre. Ogni singola parola che scrivo deve onorare questa memoria.75

Intriso di solitudine che sola è il grembo della marchiatura, Elie Wiesel non può che rivolgersi a chi, come lui, nuota in questo liquido amniotico:

Fra l'autore e il lettore deve esserci un dialogo. Quando si parla a Dio c'è un dialogo. Il processo creativo è strano: proviene dalla solitudine, va verso la solitudine e ancora è un incontro fra due solitudini.76

Il dramma del dolore, della sofferenza, rimbalzando sulla coscienza, sul corpo, sulla mente, diventa lancinante, perché non è il porre astratto di una problematica, ma il rilevare una realtà che tocca, sfiora, colpisce, ottunde. E. Wiesel, sofferente e dolorate, tuttavia non è intrappolato, o quanto meno, che non si lascia intrappolare da una facile soluzione:

Dio non vuole che l'uomo soffra, l'uomo soffre contro Dio. crediamo che soffrire non è la risposta; soffrire è solo l'interrogativo.77

Il flusso del patire lo trattiene nel luogo giusto, nell'unico che gli concede di sporgere, con i suoi contorni netti e precisi, sfuggendo alle definizioni, alla facile risoluzione. Accollandosi l'apertura indefinita dell'interrogativo, tiene desti i tessuti, li rende elastici e pulsanti ad ogni minimo cenno di sofferenza e dolore.

Indubbiamente, accogliere Dio nel proprio dialogo storico, significa prestare il fianco a critiche e a derisioni. Se la Shoah è concepita come svolta apicale che concerne il mondo intero e come uno spartiacque intriso di fatalità nel rapporto uomo-Dio, l'accusa di metastoria non è che una logica conseguenza. Oppure, nella mia concezione di vita, un'illogica ed arbitraria conseguenza, tirata in base a pregiudizi invalicabili perché ormai sedimentati nell'emotivo e non nella ragione.

Con questa consapevolezza proseguo nella ricerca. Non è sufficiente delineare accuratamente e scientificamente il profilo logico e storico dell'indagine, è necessario, coraggiosamente, interrogarsi anche sulla ricerca delle cause. Troppo spesso viene lanciata l'accusa di ricerca metafisica, tuttavia se la conclusione non può risultare solo espositiva o peggio moraleggiante, tocca l'antropologia e quindi la concezione dell'uomo.

Il reticolo multidimensionale del fatto storico deve accettare una seria indagine che non chiuda l'uomo (e la concezione dell'uomo) al solo momento cronologico. L'avvenimento o l'evento posseggono priorità da rispettare.

Lo conferma lo stesso zakhor che, se lasciato alla sola sfera della memoria e del rapporto memoria e storia, perisce:

La Shoà è un evento storico che si costruisce non solo su documenti, ma che determina anche un'impalcatura e un reticolo seriale, ovvero dà luogo a monumenti.78

Non si deve sottoporre Auschwitz a una riduzione, portandolo ad essere un luogo della mente, deve, al contrario, rimanere nitida la distinzione fra astrarre e condurre un evento storico dentro se stessi, nella propria mentalità. Sulla strada di questa metodologia, Auschwitz non si riduce, bensì diviene realtà di vita personale non destoricizzata e non decontestualizzata.

La definizione di anus mundi non si proietta come figura della mente, ma come realtà umana da tutti semplicemente afferrabile, come si afferra la propria realtà personale. Fu Kremer ad escogitarla, scrive il 5 settembre, nel già citato Diario: «Il maresciallo Thilo, medico della truppa, ha ragione quando dice che ci troviamo qui nell'Anus mundi». Nel processo istituito a Cracovia, Kremer deporrà il 18 agosto 1947 e ne esporrà la ragione; «ho usato questa definizione perché non riuscivo a immaginare niente di più rivoltante e mostruoso».79

Non è la cosiddetta psicostoria che trattiene in un ambito indebito e con metodologie spurie, e neppure lo slancio ad un sovratemporale non ben identificato, è la reale consapevolezza di un rapporto fra Dio e la creatura, fra la storia vissuta con Dio e in Dio e una storia che Lo rifiuta e lo elimina.

È spazio non storico lo spazio teologico e spirituale?

Le previsioni degli eventi, ed ancora di più la loro difesa aprioristica, sono sovente paradossalmente ridicole. Chi non ricorda la sicumera di Hitler quando «ha urlato che aveva stabilizzato il suo Reich "per i secoli che verranno", che "tra dieci anni non ci sarà più marxismo". Tra dieci anni, invece, il Reich millenario sarà totalmente andato all'inferno -- la bestia sarà morta, i prestigiatori non evocheranno più nessuno spirito. Non resta più che un avvertimento profetico -- guai a ogni dittatura che misconosce questo»?80

E il suo tirapiedi Goebbels quando scrisse Stur wie Panzer, risoluti come carri armati, quale frase incipitaria di un editoriale, ben sapendo che ormai il Reich era in piena disfatta?

Fatti i conti con la semplice e pura realtà di constatazione, Hitler è stato davvero un profeta credibile?

Per superficiali che siano le conoscenze storiche dell'epoca presa in esame, la seguente asserzione non fa che corroborare una precisa diagnosi di megalomania e di pregiudizio ormai radicato:

Non è vero che io o chiunque altro in Germania abbiamo voluto la guerra nel 1939. Essa è stata voluta e provocata esclusivamente da quegli uomini di stato internazionali che erano d'origine ebraica o lavoravano per interessi giudaici... Passeranno secoli, ma dalle rovine delle nostre città e dei nostri monumenti si rinnoverà l'odio contro il popolo alla fin fine responsabile, che dobbiamo ringraziare per tutto questo: il giudaismo internazionale e i suoi soccorritori... . Soprattutto impongo ai dirigenti di mantenere rigorosamente le leggi razziali e di opporre una resistenza inesorabile all'avvelenatore di tutti i popoli, il giudaismo internazionale.81

Chi non ha riconosciuto A. Hitler in questa sorta di proclama?

Le nuove modalità di riflessione, di pensiero, che scaturiscono da Auschwitz minano la certezza di chi era sicuro di "possedere la verità", scuotono invece, in senso positivo, di chi riteneva che la verità fosse un dono, un servizio quindi da porgere, ben consapevoli di una pluralità di ottiche da rispettare, in un dialogo aperto e sincero, privo di autoritarismi, anche se consapevole della Verità una, vissuta e pensata in plurime posture esistenziali... dare un senso a Auschwitz è idolatria, è blasfemia (non a caso siamo costretti a ricorrere a una terminologia religiosa). Auschwitz è e deve restare la cifra della negazione di ogni senso -- umano o divino che sia. Il suo silenzio è simile a quel particolare silenzio che nella Bibbia è chiamato 'tohu', cioè informità, caos, vuoto di ogni cosa... In Genesi 1,2 Auschwitz è come il silenzio che precede la creazione... Ora, i nazisti ad Auschwitz hanno messo in piedi un'opera della fine, un'anti-creazione, un non-ordine, un'anti-armonia, una 'negazione' che può essere espressa appunto con la parola 'tohu' e con le altre parole etimologicamente legate ad essa: 'shoà', cioè desolazione, mancanza di sole, buio, morte... (nelle antiche lingue semitiche la lettera tau e la lettera shin erano equivalenti); 'sheol' cioè il regno delle tenebre, dei morti, di coloro che non parleranno più; 'shaww' cioè evanescenza, vacuità, vanità, inafferrabilità del nulla.82

Uno squarcio su di un tessuto tutti sono pronti a riconoscerlo, ben più arduo è volerlo constatare nella storia e nel proprio interiore. Posto che si rimargini, ne rimane il grave e obbrobrioso segno: i subumani non lasciano segni banali. La cicatrice è indimenticabile, anche se rimossa.

Elena Loewenthal, rigorosa studiosa di ebraismo, individua83 tre atteggiamenti di scrittura possibili:

Fuori da queste categorie, Primo Levi innalza la sua voce, per la semplice ragione che sintetizzava vitalmente (o mortalmente, per il grave segno impresso) la Shoah: nella pelle, nel midollo e nella mente, appunto.

Edith Stein, a sua volta, scrive da studiosa e da ricercatrice ma conosce anche un'altra dimensione perché vuole che si conosca adeguatamente la realtà ebraica:

Come in uno specchio concavo, essi ci rimandano l'immagine di una spaventosa caricatura. Forse essa è stata disegnata con sincera convinzione. Forse i singoli tratti imitano modelli viventi. Ma, l'umanità ebraica è il prodotto del "sangue ebraico" tout court? I grandi capitalisti, i grandi saccenti, le menti irrequiete che hanno ricoperto ruoli di primo piano nei movimenti rivoluzionari degli ultimi decenni sono gli unici o anche soltanto i più autentici rappresentanti dell'ebraismo? In tutti gli strati del popolo tedesco si trovano persone che lo negano: essi sono entrati in contatto con le famiglie ebree come impiegati, vicini di casa, compagni di scuola e di università, e vi hanno trovato bontà d'animo, comprensione, calorosa partecipazione e solidarietà; e il loro senso di giustizia si indigna per l fatto che queste persone vengano ora condannate ad un'esistenza da paria. Molti altri, però, non hanno fatto queste esperienze. Tale opportunità è negata soprattutto ai giovani, che oggi vengono educati nell'odio razziale fin dalla primissima infanzia. Nei loro confronti, noi, che siamo cresciuti nell'ebraismo, abbiamo il dovere di rendere testimonianza.84

Per Etty Hillesum il percorso fu ancora diverso e articolato:

Mercoledì. [...] Un'oggettività dal sangue freddo e gelida non mi è naturale, con la mia complessione. Ho troppo sentimento. Non ne vado più però. Daan è caduto dall'aeroplano, uno dei tanti giovani pieni di vita, e ricchi di promesse, che giorno e notte muoiono. Non so da dove incominciare a pensare. Con tutto il dolore che mi circonda, comincio a vergognarmi di prendermi au sérieux. Eppure devi continuare a prenderti au sérieux, devi continuare a rimanere il centro, e in qualche modo devi venire a capo degli eventi di questo mondo; in nessun caso puoi chiudere gli occhi, devi "auseinandersetzen" (confrontarti) con questi orribili tempi, e cercare risposta alle tante questioni di vita e di morte che ti pongono. Forse per qualcuna troverai risposta, non solo per te stessa ma anche per gli altri. Io vivo una volta sola. Io devo affrontare ogni cosa. Non posso permetterlo a me stessa. A volte mi sento come un palo ritto in un mare infuriato, sbattuto dalle onde da ogni dove. Io però rimango ben salda e gli anni mi passano sopra. Voglio continuare a vivere completamente. Voglio diventare il cronista di tanti fatti di questo tempo (al piano di sotto fuoco e fiamme, papà grida. vattene allora, e sbatte le porte; anche questo va elaborato e improvvisamente scoppio in pianto, dunque non sono ancora così oggettiva; non posso proprio vivere in questa casa, infine avanti di nuovo); sì, un cronista, dicevo. Io noto che alla mia sofferenza soggettiva si accompagna sempre una curiosità oggettiva, un interesse appassionato per quanto concerne questo mondo, i suoi uomini, i moti della mia anima. A volte credo di avere un compito. Chiarire nella mia testa, e poi descrivere, quanto mi avviene intorno. Povera testa e povero cuore, quante cose vi toccherà elaborare! Ricca testa e ricco cuore, avete però una bella vita. Ormai non piango più. La testa però mi gira terribilmente. Qui è un inferno. Per descriverlo sulla carta, dovrei saper scrivere già molto bene. In ogni caso, io vengo da questo caos, ed è mio compito portarmi più in alto. S. lo chiama costruire con materiale nobile, quel tesoro (D 91-92).

Più tardi sarò il cronista delle nostre vicende. Le racconterò in una lingua nuova e le conserverò in me stessa, se non avrò la possibilità di raccontarle e scriverle. Diventerò apatica e rivivrò, cadrò a terra e mi rialzerò, e forse, molto più tardi, se potrò avere uno spazio tranquillo intorno, tutto mio, e allora ci starò perfino un anno se necessario, fintanto che la vita ritornerà a gorgogliare, e mi verranno le parole giuste per testimoniare quanto dovrà essere testimoniato (D 540).

Scrivere implica, nel caso di Wiesel, un foglio di carta che deve essere impresso. L'inchiostro, anche il più pregiato, è strumento vile e incongruo, è necessario scendere sotto i graffi vergati, sprofondare oltre le righe, allora non potrà che emergere il fuoco e il sangue, come annota un acuto commentatore e studioso di E. Wiesel:

Le sue parole sono scritte con il fuoco e il sangue, il fuoco del crematorio e il sangue delle vittime. Così esse distruggono, proprio come il fuoco e il sangue distruggono illusioni, compiacenze e indifferenza. In entrambe però le tradizioni ebraica e cristiana, il fuoco e il sangue posseggono pure delle possibilità creative. Il fuoco purifica e il sangue monda; sono pure simboli di nuovi inizi. Così avviene con le parole di Wiesel. Quando la loro opera chirurgica è compiuta -anche mentre si sta compiendo -- diventando strumenti di salvezza, superando il profondo crepaccio del dolore, non per anestetizzare o per nascondere ma per trasformare.85

Tuttavia, non fu né immediato né facile. L'atteggiamento di silenzio che avvolse, per ben dieci anni, E. Wiesel si apparenta non solo ad una difficoltà psicologica di assorbimento, ma contiene, più profondamente, la tensione elianica:

Così come Dio si rivelò a Elia presso il monte Oreb, non attraverso il fuoco e il terremoto, ma nella "voce del silenzio", così anche l'uomo, in certe situazioni come questa che definiamo con la cifra di Auschwitz, può rendere testimonianza di Dio solo attraverso il silenzio.86

Chi non ha vissuto in prima persona la tragicità dello sterminio, scrivendo quale postura deve assumere, creare, controllare?

La definisco la postura dell'empatia, rigorosa e scientifica, attenta e percettiva non solo ai dati ma alle persone, alla realtà dell'uomo e della donna, dell'anziano e del bambino che non sono datità da enumerare o da scandagliare, ma persone da incontrare e da comprendere.

Anche quando, o forse soprattutto, la riflessione si trovi in una zona oscura, come si presenta quella del mysterium iniquitatis e dell'odio.

La scottatura da riverbero è la peggiore, chi non ne è esposto fra di noi che viviamo in questo scorcio di tempo?

L'umanità deve confrontarsi con una sfida senza pari, che si gioca sulle fondamenta e sulla fondazione, l'autocoscienza è chiamata in causa, come pure lo è la potenzialità umana. L'esito non può che condurre o a una disperazione abissale e con il baratro spalancato oppure ad un'altrettanta, abissale e con il baratro spalancato, postura di speranza.

La capacità degli esseri umani di portare distruzione, annientamento, sibilanti onde grigie, è ben nota dalla storia dei popoli e delle nazioni, tragicamente solcata da guerre e da queste denominata nelle sue epoche:

Il "troppo" dell'olocausto non è riconducibile alla consistenza, pure enorme, del numero delle sue vittime. Altri episodi di eccidio e di genocidio hanno raggiunto cifre anche più alte: è il caso della caduta demografica in America Latina nella prima metà del Cinquecento, all'urto con i conquistatori spagnoli. Ma qui alla crudeltà umana s'erano aggiunte, ingigantendone gli effetti distruttivi, le malattie contagiose importate dall'Europa; e quella stessa crudeltà presentava ora la figura selvaggia del gesto di violenza improvviso ora il carattere di effetto derivato e preterintenzionale di una pratica di sfruttamento (lavori forzati nei campi o nelle miniere).

L'olocausto è un annientamento integralmente intenzionale, lucidamente progettato e perseguito fino alla prospettiva di una "soluzione finale". Ancora: non fu comandato da interessi, positivi per quanto sordidi, da obiettivi al cui servizio venisse pensata e attuata la distruzione degli ebrei; questa venne voluta come un fine in sé: la negazione dell'ebreo in quanto ebreo è un obiettivo gratuito, dotato di senso e rilevanza immanenti. Si comprende come Auschwitz abbia significato per molti ebrei la "morte di Dio", per molti teologi ebrei e cristiani l'urgenza di ripensare l'idea di Dio.87

L'elasticità del telaio si piega ad un arco vibrante, la storia sottomessa al campo di forze negative esercitate dalla Shoah.

La cesura, il turning point, rischiano di essere definizioni e non punti pulsanti della storia se vengono considerati staticamente, invece se sono aperti e ruotano a 360 gradi, sono atti a guardare indietro, ad affondare il proprio sguardo direttamente alle origini, sempre più in là, tanto quanto lo consenta l'acutezza della mente e la perspicacia del cuore.

Il centro, allora, della storia del XX secolo si presenta da sé, senza ulteriori considerazioni, con il nome di luogo assurto a simbolo: Auschwitz, da porre a sottofondo di tutta l'indagine, insieme con una civiltà ed una cultura che spariscono nel nulla come un nugolo di storni.

5.1. Singolarità

Il magma sfaccettato che è Auschwitz va ancora frantumato:

Se si vuole prendere in considerazione la rottura storica rappresentata dalla Shoah occorre partire dalla constatazione che, per il nazionalsocialismo, gli ebrei costituivano un unicum negativo, essendo tutti portatori della stessa essenza razziale e tutti destinati al massacro, senza eccezione alcuna.88

L'accostamento non è sterile discettazione ma inserimento in una fecondità dialettica i cui poli sono la memoria del passato e lo sguardo critico sull'attualità. La rete che si tesse allora fa esplodere, tristemente, un'immagine di uomo a quella della camera a gas, come annotava G. Batailles.89 Ben dolente emblema per un secolo.

Non cade allora nel ridicolo, affranto dal dolore, e quindi ghigno e non sorriso, il detto latino historia magistra vitae e memoria rerum? Non denuncia la carie dei muri delle vicende umane?

L'apex delirante della storia del XX secolo che genera, involontariamente, un paradigma ermeneutico, quale senso può avere se non quello di spezzare tanti involucri, tante incrostazioni? Sull'uomo e su Dio? E sul loro reciproco rapporto?

È la coscienza storica con i labbri di una ferita insanguinata, una cesura decisiva e irrimediabile, senza ritorno, creata nel cuore stesso dell'uomo moderno.

Un rovesciamento che getta a gambe all'aria una concezione della storia, tutto quanto si è appreso ed è divenuto patrimonio dell'essere e dell'esistere, di quella rappresentazione mentale che sorregge ogni momento di vita e che, distrutta o lacerata, porterebbe ad uno sgomento di morte.

Auschwitz perciò, quale cellula di verità che mina le fondamenta di un edificio dall'apparenza splendida e dalle basi corrotte, dissolte. Un volto umano dai tratti sconosciuti nella sua espressività, nel suo porsi a se stessi e agli altri; tratti purulenti che negano l'appartenenza all'umanità.

Non significa, immediatamente, demonizzare o satanizzare l'agire umano, ma rilevare quanto e quale può essere la possibilità lasciata nelle mani stesse dell'uomo di pervertirsi, fino a non riconoscere se stesso e, di conseguenza, gli altri.

Negare agli altri la possibilità di essere uomini, denuncia che questa stessa possibilità è già diventata una tomba.

E. Wiesel e V. Frankl non si sono solo fermati, e direi arrestati, all'evidenza della mostruosità della Shoah, hanno saputo allargare il loro sguardo alle necessità di ogni sofferenza, l'uno creando la "Elie Wiesel Foundation for Humanity", l'altro la Logoterapia, che non sono una ferita riconnessa, ma un comprendere il linguaggio del bisogno umano:

Afferma E. Wiesel:

Non sono così ambizioso, così presuntuoso da credere di poter salvare l'umanità. Che una persona muova un passo in avanti con umanità verso l'umanità sarebbe sufficiente per me. Questo è realmente lo scopo del mio scrivere e delle mie altre attività. Portare un momento messianico, un momento redentivo nella vita di un'altra persona -- salvandola dalla disperazione o dall'abbandono. ... questo è lo scopo del mio scrivere, portare le persone insieme, dal passato e dal presente, il lettore e un altro lettore, il lettore e lo scrittore (C 168).

In un'intervista, comparsa sul Corriere della Sera dopo l'11 settembre 2000, Elie Wiesel dimostra quanto la sua maturazione umana sia perspicace; egli sa cogliere nel gesto demenziale la sua radice:

L'odio è come un cancro, quando c'è è difficile fermarlo perché contagia da cellula a cellula, da arto a arto, da persona a persona fino alla morte.

Spostando lo sguardo sulla situazione dei Balcani, l'intervistatore tocca un punto nevralgico per l'ebreo che è E. Wiesel: la memoria, lo zikkaron, e la sua articolazione nella concretezza del vivere e dei rapporti umani:

Io credo che la memoria sia un rimedio contro l'odio, ma loro usano la memoria per spargere odio. È un problema di cultura.

V. Frankl accettò sempre di partecipare a conferenze e incontri che potessero tenere desta la memoria e chiarire a tutti il dramma della persecuzione ebraica da parte del nazismo. Nel 1945 egli non conobbe esitazioni, malgrado la disapprovazione generale ("Ricevetti tirate di orecchi da parte di diverse organizzazioni") per la lucidità del suo giudizio:

Ciononostante continuai a parlare contro la colpa collettiva e lo feci anche davanti a un generale che comandava le truppe francesi di occupazione, in occasione di una conferenza che ero stato invitato a tenere nella zona occupata dai francesi. Il giorno dopo venne a trovarmi un professore universitario, a suo tempo ufficiale delle SS, e mi chiese con le lacrime agli occhi dove trovassi il coraggio di schierarmi così apertamente contro il giudizio generale. "Lei non può farlo -- gli risposi --, perché parlerebbe pro domo sua. Ma io, che sono stato il detenuto n. 119.104 a Dachau, io sì che posso farlo. Anzi, devo farlo. Mi tocca farlo: è un obbligo".90

Di E. Stein viene tramandato, da parte di una sua studentessa divenuta monaca carmelitana, un episodio significativo al massimo per delineare la sua comprensione del nazismo:

La serva di Dio si sentiva proprio ebrea. Ne aveva una tale coscienza, che spesso me ne stupivo. Sentiva quindi molto dolorosamente le ripercussioni antisemitiche del nazionalsocialismo. Quando dalla strada entrava in casa il rumore di esplosioni di spirito antisemitico ne soffriva molto. Si poteva vedere questa sofferenza dall'espressione del suo viso, sebbene anche in questo si dominasse molto. Quando uscivamo insieme evitavamo il più possibile i gruppi nazionalsocialisti. Ma in casa si mostrava serena e lieta senza sforzo... (P I, 9, 72).

Prosegue sempre la stessa teste riferendosi ai tempi dell'Accademia:

Una volta a Münster si parlò a tavola del libro di Hitler: "Mein Kampf". Una giovane studentessa disse che era un libro straordinario come pochi altri. A questo punto la Serva di Dio fece un'osservazione tagliente, che noi sentimmo essere molto appropriata e che fece ammutolire la studentessa. Non ricordo più quali furono le sue parole. Quando più tardi fummo sole, la Serva di Dio, la mia amica ed io, ci domandò se le sue parole non fossero state troppo maligne. Io le avevo trovate assolutamente giuste (P I, 9, 73-74).

Ella sigillò con la vita donata il suo pensiero sul nazismo in un momento in cui tutto in lei era in gioco e, apparentemente, si trovava come preda nelle loro mani; la deposizione ai Processi descrive una realtà elaborata alla luce di un sentire raffinato e libero, anche se imprigionato. Le domande sono poste a Erna Stein, la sorella più vicina a Edith per età e per condivisione di studi, amicizie e di sani divertimenti:

In occasione di questa deportazione ebbe espressioni di odio verso i nazisti?

Era molto addolorata della cosa. Non so se abbia usato la parola odio, ma pensava che si trattasse dell'anticristo.

Ex officio: Odiando quello che facevano i nazisti espresse questo odio, e allo stesso tempo odio contro i nazisti stessi?

Io raggiunsi mio marito in America nel febbraio del 1939. Egli vi si trovava già fin dal 1938. A quel tempo mia sorella era in convento in Olanda. So che ci scrivevamo, ma non posso affermare categoricamente che esprimesse odio contro alcuno in particolare, pur sapendo che aveva compassione delle persone e soprattutto dei membri della nostra famiglia che erano deportati dai nazisti.

Le consorelle carmelitane furono vicine a Edith Stein in tutto il lungo periodo in cui ella fu ben consapevole di quale sarebbe stato il destino del suo popolo e quello suo personale. La loro testimonianza perciò, è quanto mai preziosa perché concerne una ferita viva che, continuamente, veniva esacerbata.

La domanda posta concerne appunto l'atteggiamento di Teresa Benedetta verso il nazismo:

Maria Agnese Knecht OCD: La Serva di Dio sapeva che non ti accade niente senza la permissione di Dio. Non conosceva lamento contro l'azione divina. Ma era indignata, per amore del suo popolo, contro i nazisti. A ricreazione dovevamo usare la massima prudenza per non ferirla. Difendeva sempre il suo popolo. Si vedeva nella sua espressione che soffriva per la persecuzione del suo popolo.

Maria Regina Nusschen, OCD: Non inveiva mai contro i nazisti. Ne parlava poco. Non raccontò nulla neanche delle angherie che lei e sua sorella subirono un giorno ad Amsterdam.

Odiava il male?

Sì.

Domanda ex officio: Come lo sa?

Al tempo dei nazisti odiava senz'altro quello che facevano.91

È ben chiara quindi la ragione per cui ella vuole conservare la memoria della famiglia Stein:

Ciò che scriverò in queste pagine, non vuol essere un'apologia dell'ebraismo. Per sviluppare l'"idea" di ebraismo e difenderla da ogni deformazione, per esporre il contenuto della religione ebraica, o scrivere la storia del popolo ebraico, per tutto ciò vi cono persone più competenti. E chi vorrà informarsi in proposito, troverà un'ampia letteratura. Io vorrei semplicemente fare un resoconto di ciò che sperimentato come umanità ebrea; una testimonianza accanto ad altre che sono già state pubblicate o che verranno pubblicate in futuro: essa sarà utile a coloro, ai quali interesserà prendere imparzialmente informazioni delle fonti.92

Etty Hillesum fu pure lei convocata dalla Gestapo e si può immaginare con quale preoccupazione e patema, allora, gli ebrei rispondessero a quella chiamata. La sua reazione fa comprendere il cammino di libertà percorso dalla giovane ragazza e la sua capacità di vedere molto più in là delle apparenze, anche quando il giovane della Gestapo tenta di intimorire i presenti urlando, Etty conserva il suo sorriso e suscita ancora di più le ira, del giovane che ritiene un infelice:

In realtà non ho paura. Non per una sorta di temerarietà, ma perché sono cosciente di aver sempre davanti degli esseri umani, di cercare sempre di capire ogni espressione, di chiunque sia e fin dove mi sarà possibile. E il fatto storico di quella mattina: non era un infelice ragazzo della Gestapo urlante contro di me. Piuttosto che non ne fossi sdegnata. Anzi, mi faceva pena, tanto da volergli chiedere: hai avuto una giovinezza cosi triste o la tua ragazza ti ha tradito? Era tormentato e assillato, peraltro pur molto sgradevole e molle. Avrei voluto iniziare un percorso psicologico. Sono ben consapevole che questi giovani sono da compiangere, fintanto che non sono in grado di fare del male, tuttavia diventano pericolosissimi se liberi di avventarsi sull'umanità. Criminale è solo il sistema che usa questi ragazzi.

Ancora su questa mattina. La mia più forte impressione, credo, di non essere capace di odiare gli uomini. Malgrado il dolore e l'ingiustizia del mondo, la coscienza che tutti questi orrori non sono una sorta di pericolo misterioso e lontano al di fuori di noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi. Sono quindi molto più familiari e assai meno angosciosi. Quanto fa paura è certi sistemi possano crescere da superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa satanica, autori e vittime, cosi, grandi edifici e torri, costruiti dagli uomini con le loro mani, s'innalzano sopra di noi, ci dominano, e possono crollarci addosso e seppellirci (D 269).

Quale il telaio pensante di Etty Hillesum nei riguardi del mysterium iniquitatis e dell'odio? La giovane ragazza ha sperimentato sulla sua pelle che cosa significhino il vuoto intellettuale e la dicotomia psicologica e non si tratta, nel suo caso tanto di un tema di indagine critica quanto di un esercizio personale del capire.

Per certi aspetti, dinanzi a Etty Hillesum, ci si trova alle prese con uno specchio acustico della realtà storica e umana del suo tempo.

All'unisono fra anima e futuro, una ribattuta di suono riesce ad incrinare la realtà ad altissima viscosità.

Lo statuto del poetare di Etty Hillesum, in una prosa che si avvicina sempre alla poesia e che suona come tale, in quel cammino stilistico che le è peculiare, esprime la sensazione di perplessità personale e storica, colta attraverso un andamento franto, in una mistica preghiera in dialogo con l'assenza.

Etty la esperimenta insieme con tutte le possibili plurime assenze, fino a quella grande e ultima, la morte, che sente e sa avvicinarsi a grandi, ineludibili, passi; completamente dentro le cose, in uno spazio linguistico che va, lentamente, raffinandosi, proprio come il suo sentire; la giovane ragazza scrive:

Devo buttarmi e ributtarmi nella realtà, devo confrontarmi con tutto ciò che incontro sul mio cammino, devo accogliere e nutrire il mondo esterno col mio mondo interno e viceversa, ma è tutto terribilmente difficile e proprio per questo mi sento così oppressa (D 52 53).

Non esiste TU senza luogo, senza dove, e questo è ben palese nella sua intricata vicenda che scopre il TU che la abita quando rinviene il dove, proprio in se stessa, in quel pozzo che dimora in lei. Ella diviene allora una persona concentrata in modo conflittuale, ma presente a se stessa:

Un pozzo molto profondo è dentro di me. E Dio c'è in quel pozzo. Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri (D 97).

6. La Malattia dell'anima

Etty Hillesum conosce e sperimenta l'odio? Quale la sua postura dinanzi a un sentire umano che, pur nella sua spontaneità innegabile, rimane pur sempre un tossico che logora la personalità di chi lo accoglie?

Il suo dialogo con J. Spier si fa sempre più intenso e profondo, tocca tutta la sua interiorità, ma non rarefatta o astratta, quanto piuttosto lo strato del suo essere profondo e vitale:

15 marzo, le nove e meno di mattina. [...] Ieri pomeriggio abbiamo letto insieme gli appunti che mi aveva dato. Quando siamo giunti alla frase: è sufficiente che esista un solo uomo degno di esser chiamato tale per poter credere negli uomini, nell'umanità, spontaneamente gli ho buttato le braccia al collo. È uno degli odierni problemi: l'odio feroce per i tedeschi avvelena l'animo. Frasi come "affoghino tutti, canaglie, muoiano col gas", entrano ormai nel nostro quotidiano conversare; talvolta capita di non sentirsi più di vivere in questi frangenti. D'un tratto, qualche settimana fa, è emersa una riflessione liberatrice, come un esitante e tenero filo d'erba in un deserto d'erbacce: se anche non ci fosse che un solo tedesco rispettabile, questi meriterebbe di essere difeso contro quell'orda di barbari e, grazie a lui, non avremmo il diritto di rovesciare il nostro odio su un popolo intero (D 29).

Non si trattò di una piena del sentire o di una decisione già acquisita, Etty scoprì "un esitante e tenero filo d'erba" emergere da una lunga a faticosa elaborazione in cui, senza dubbio, giocò la sua dignità personale e il suo carattere leale.

Pur immersa in un'atmosfera condizionante e assolutamente gravida di risentimenti, Etty riesce a distinguere in se stessa fra sentire primitivo e ragioni susseguenti, fra generale e particolare, fra odio e sdegno che attesta una sanità mentale e un porsi dinanzi a cose ed eventi che sollecitano fin dal profondo:

Questo non significa che uno sia indulgente nei confronti di determinate tendenze, si deve ben prendere posizione, sdegnarsi per certe cose in certi momenti, provare a capire, ma quell'odio indifferenziato è la cosa peggiore che ci sia. É una malattia dell'anima. Odiare non è nel mio carattere (D 30).

In psicologia è ben noto e dimostrato, purtroppo, come la realtà di vita oppressa e negata, condizioni e modifichi persone equilibrate e sempre rivolte agli altri; aneddoti che lo confermano pullulano nella letteratura memorialistica e concentrazionistica.

Etty comprende la spinta che, in questo senso, potrebbe giocare su di lei e quasi costringerla a mutare la disposizione della sua vita:

Se, in questo periodo, io arrivassi veramente a odiare, sarei ferita nella mia anima e dovrei cercare di guarire il più presto possibile (D 30).

L'analisi del suo sentire procede serrata e senza mezze misure, quel filo d'erba di dimostra ben più prezioso di quanto potesse apparire a prima vista.

Etty è consapevole della turbolenza che si agita in lei e sa ricondurla a delle ragioni precise anche se, ora, le ritiene superficiali:

Quando mi sentivo lacerata tra odio e altri sentimenti, credevo che fossero i miei istinti primitivi di ebrea minacciata dalla distruzione a essere in conflitto con le concezioni razionali socialiste che avevo acquisito -- e che mi avevano insegnato a guardare a un popolo non come a un insieme, ma come a una maggioranza buona, ingannata da una minoranza cattiva. Dunque, un istinto primitivo contrapposto a un'abitudine razionale (D 30).

Ella parla di superficialità perché le idee socialiste penetrate in lei e fatte proprie, di fatto, concedevano spazio all'odio per tutto e per tutti quanti vi si opponessero.

La sua maturazione invece viene ad acquisire altri parametri, vivi ed esistenziali, in tempi relativamente vicini:

Ultimamente ho sentito che era mio compito mantenere l'armonia in questa famiglia contraddittoria: una donna tedesca, cristiana, di origini contadine, che è per me come una buona seconda madre; una studentessa ebrea di Amsterdam; poi Lernard, un vecchio socialdemocratico equilibrato e piccolo-borghese, una persona pulita e abbastanza intelligente, ma limitata appunto dalle sue origini piccolo-borghesi; e il giovane studente di economia, leale, buon cristiano, che ha la gentilezza e la comprensione ma anche la combattività e le maniere tipiche dei cristiani come li veniamo a conoscere in questo periodo (D 30).

Su questo ritaglio di mondo incombeva una politica distruttrice, la sensibilità di Etty lo afferra e la conduce a dare una risposta densa di consapevole dignità umana e di apertura notevole:

Mi sembra che valga la pena di tenere in piedi questa piccola comunità, per testimoniare che la vita non può essere rinchiusa in uno schema determinato (D 30).

In lei la risposta non né immediata, né scontata, anzi è pagata a caro prezzo, sotto diversi profili: dolore, forti conflitti interiori, reciproche offese, nervi a fior di pelle, rimorso...

La giovane ragazza si lascia anche trascinare dall'impeto non controllato, non sottoposto al vaglio della ragione:

A volte, se sono improvvisamente presa dall'odio, dopo aver letto il giornale o dopo aver avuto notizie di fatti che capitano, mi metto a inveire contro i tedeschi, fuori di me (D 30).

Non è solo la crisi di linguaggio che fa vacillare le categorie, c'è qualche cosa di più; Etty è onesta, non mostra nella vita e neppure sulle pagine del suo diario interiore, una maschera accettabile ai benpensanti, ma chiama le cose per nome, sapendo catturarne la ragione; tutto infatti scaturisce dalla sua ferita che vuole assolutamente ferire invece di guarire e così guarire anche gli altri:

So che lo faccio apposta per ferire Käthe, per sfogare in qualche modo il mio odio anche se poi lo scarico su una persona sola -- una persona di cui so che ama la sua patria d'origine, com'è più che naturale e comprensibile, del resto: ma in quel momento io non riesco ad accettare il fatto che lei non provi altrettanto odio, voglio che tutto il mio prossimo sia in sintonia con me. Eppure so che lei trova la nuova mentalità altrettanto pericolosa, che si sente altrettanto oppressa per gli eccessi compiuti dal suo popolo. È naturale che Käthe si senta legata a quel popolo nel profondo dell'anima, capisco bene che sia così, ma in quel momento non lo sopporto, per me tutti quanti i tedeschi dovrebbero essere, e saranno, sterminati -- e allora sono capace di dire con tanta cattiveria: è un popolo di canaglie (D 30).

È il momento della bocca eruttiva di un'ebrea fiera, viva, carica di mordente e di indignazione, che sta vivendo una situazione limite gravissime, eppure riesce ad entrare in se stessa, a cogliere il proprio sentire e orientarsi.

Tutto quanto è stato indicato e portato a riflessione in queste pagine, non è altro che spunto nel senso perenne di incompiutezza, però in una sbozzatura che conduce a maturazione e può cambiare i paradigmi dell'esistenza:

Dopo Auschwitz, tutto ci riporta a Auschwitz (P 12).

Per chi resta e per ogni persona futura si apre un'impresa spirituale, perché la Shoah ha esaminato l'uomo e Dio, aiutiamoLo a spezzare la catena.

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Note

  1. Wiesel E., Al sorgere delle stelle, Marietti, Casale Monferrato 1985, p. 148. Testo

  2. Giuliani M., Auschwitz nel pensiero ebraico, Morcelliana, Brescia 1998, p. 16. Testo

  3. Wiesel E., Al sorgere..., op. cit., p. 149. Testo

  4. AA. VV., Storia della Shoah. La crisi dell'Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo, vol. I, UTET, Torino 2005-2006, intr. p. 3. Testo

  5. D'Agostino Trevi E., Hannah Arendt: il male "banale", in Il male, Cortina, Milano 2000, p. 25. Testo

  6. Cavaglion A., Sopravvissuti: Primo Levi, Elie Wiesel, Jean Améry e altri, in Storia della Shoah, op. cit., vol. V, 2006, pp. 2-26. Testo

  7. Nella prolifica bibliografia relativa a V. Frankl rimando solo a qualche opera: Uno psicologo al lager, Ares, Milano 1967; Logoterapia e analisi esistenziale, Morcelliana, Brescia 1967. Testo

  8. Hillesum E., Pagine mistiche, saggio introduttivo di Dobner C., Ancora, Milano 2007. Testo

  9. Dobner C., Il libro dai sette sigilli. Edith Stein: Torah e Vangelo, Monti, Milano 2001. Testo

  10. Colombo F. nella presentazione di Battifora P. -- Maneschi A., Olocausto e responsabilità morale, Vallecchi Editore, Firenze 1995, p. 11. Testo

  11. Hilberg, Carnefici, vittime, spettatori, Mondatori, Milano 1994, prefazione. Testo

  12. Wiesel E., Al sorgere..., op. cit., p. 58. Testo

  13. Heller A., Scrivere dopo Auschwitz, in Lettera Internazionale 1995, nn. 43-44. Testo

  14. De Benedetti P., Quale Dio ? Una domanda dalla storia, Morcelliana, Brescia 1996, p. 13. Testo

  15. Wiesel E. in Wiesel E. -- Lustiger J.M -- Süssmuth R. -- Bartoszewski W., Per non dimenticare Auschwitz, Piemme, Casale Monferrato (AL), 1993, p. 11. Testo

  16. Laqueur W., Il terribile segreto, Giuntina, Firenze 1984, p. 34. Parla C.J. Coward prigioniero di guerra britannico. Testo

  17. Langbein H., Uomini ad Auschwitz, Mursia, Milano 1984, p. 464. Testo

  18. Grossmann V.-Erenburg I., Il libro nero. Le testimonianze che Stalin cercò di cancellare per sempre, Milano 2000, p. 690. Testo

  19. Martini C. M., Nel mistero dell'iniquità, in L'assurdo di Auschwitz e il mistero della Croce, Ancora 1998, pp. 25-26. Testo

  20. Baccarini E., in Baccarini E. -- Thorson L., Il bene e il male dopo Auschwitz, Implicazioni etico-teologiche per l'oggi, Paoline, Milano 1998, intr. p. 19. Testo

  21. Wiesel E., Parole di straniero, Spirali, Milano 1986, p. 13. Testo

  22. Frankl V., Ricerca di Dio e domanda di senso. Dialogo tra un teologo e uno psicologo, a cura di Eugenio Fizzotti, Claudiana, 2006, p. Testo

  23. Per quanto concerne Hillesum indico le seguenti sigle: D Diario: Etty, De nagelaten geschriften van Etty Hillesum 1941-1943, Uitgeverij Balans, Amsterdam, 1992; L Lettere: Etty, De nagelaten geschriften van Etty Hillesum 1941-1943, Uitgeverij Balans, Amsterdam, 1992. Per i contesti rimando a Hillesum E., Pagine mistiche, saggio introduttivo di C. Dobner, Ancora, Milano 2007. Testo

  24. Stein E., Dalla vita di una famiglia ebraica, Città Nuova Morena OCD, Roma 2000, pp. 23-24. Testo

  25. Introduzione a Frankl V. E., Logoterapia. Medicina dell'anima, a cura di Eugenio Fizzotti, Gribaudi Editore, Milano 2001. Testo

  26. Lepicard E., Auschwitz nella prospettiva di Norimberga, implicazioni mediche ed etiche, p. 205 in Baccarini E. -- Thorson L., Il bene e il male dopo Auschwitz, Implicazioni etico-teologiche per l'oggi, Paoline, Milano 1998, p. 206. Testo

  27. Adler H.G., Langbein H., Lingens-Reiner E., Auschwitz, Zeugnisse und Berichte, Europäische Verlaganstalt, Frankfurt/Main 1979, p. 67. Testo

  28. Bethge E., Dietrich Bonhoeffer, Queriniana, Brescia 1975, p. 771. Testo

  29. Höss R., Comandante ad Auschwitz, Einaudi, Torino 1985, p. 171. Testo

  30. Ibidem, p. 127. Testo

  31. Minerbi S., Eichmann, diario del processo, Luni, Milano Trento 2000, p. 8. Testo

  32. Pressac J.-C., Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945, Feltrinelli, Milano, 1994. Testo

  33. Minerbi S., Eichmann..., op. cit., p. 54. Testo

  34. Pressac J.-C., Le macchine..., op. cit., p. 146. Testo

  35. Idem, p. 159. Testo

  36. Saletti C., La voce dei sommersi. Manoscritti ritrovati di membri del Sonderkommando di Auschwitz, Marsilio, Venezia 1999, p. 209. Testo

  37. Pressac J.-C., Le macchine..., op. cit., p. 146. Testo

  38. Jabès E., Il libro della condivisione, Milano 1991, p. 111. Testo

  39. Frankl V., Uno psicologo..., op. cit., p. 39. Testo

  40. Höss R., Comandante..., op. cit. 1958, pp. 173-174. Testo

  41. Ibidem, pp. 173-174. Testo

  42. Saletti C., La voce ..., op. cit., pp. 247-248. Testo

  43. Vidal-Naquet P., Gli assassini della memoria, «Qualestoria» 2/3, anno XIX, agosto-dicembre (1991), p. 21. Testo

  44. Pisanty V., L'irritante questione delle camere a gas. Logica del negazionismo, Bompiani, Milano 1998, p. 69. Testo

  45. Wiesel E., Al sorgere..., op. cit., p. 43. Testo

  46. Frankl V., Uno psicologo..., p. . Testo

  47. Stein E., Jugendbildung im Lichten des katholischen Glaubens, in Ganzheitliches Leben, Schriften zur religiösen Bildung, ESW, and XII, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1990, p. 221. Testo

  48. Semprún J.-Wiesel E., Tacere è impossibile. Dialogo sull'Olocausto, Guanda, Parma 1996, p. 20. Testo

  49. Wyschogrod In Levinson N. P., Il Messia nel pensiero ebraico, Città Nuova, Roma 1997, p. 157. Testo

  50. Giovetti P., Victor Frankl. Vita e opere del fondatore della logoterapia, Edizioni Mediterranee, Roma, 2001, p. 54. Testo

  51. Frankl V., Sincronizzazione a Birkenwald, Giuntina, Firenze 1995, pp. 47-49. Testo

  52. Semprún J.-Wiesel E., Tacere..., op. cit., p. 33-35. Testo

  53. Frankl V., Uno psicologo..., op. cit., pp. 74-76. Testo

  54. Ibidem, pp. 233-234. Testo

  55. Ibidem, p. 234. Testo

  56. Semprún J.-Wiesel E., Tacere..., pp. 36 -37. Testo

  57. Wiesel E. -- J. O'Connor, A Journey of Faith, Donald I. Fine Inc., New York 1990, p. 9. Testo

  58. Ibidem, p. 7. Testo

  59. Traverso E., Gli ebrei e la Germania, Auschwitz e la "simbiosi ebraico-tedesca", Il Mulino, Bologna p. 16. Testo

  60. Wiesel E., Le Juif et la guerre, in La conscience juive face à la guerre, Données et débats, XVI Colloque d'Intellectuels juifs de Langue française organisé par la Section Française du Congrès Juif Mondial, Presses Universitaires de France, Paris 1976, p. 161. Testo

  61. Jonas H., Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Il melangolo, Genova 1991. Testo

  62. Montalcini Levi R., Senz'olio contro vento, Baldini Castoldi, Milano 1996, p. 95. Testo

  63. Montefoschi G. -- Nirenstein F., Un solo Dio, tre verità. Arabi, ebrei e cristiani: l'enigma della fede, Mondatori, Milano 2001, p. 173. Testo

  64. Wiesel E. -- J. O'Connor, A Journey..., op. cit., p. 5. Testo

  65. Ibidem, p. 6. Testo

  66. Cfr. Storia della Shoah, op. cit., vol V, ottavo contributo La memoria, pp. 573-628. Testo

  67. Wiesel E. - J. O'Connor, A Journey..., op. cit., p. 28. Testo

  68. AA. VV., Storia della memoria, op. cit., vol V, p. 617. Testo

  69. Wiesel E. -- J. O'Connor, A Journey..., op. cit., pp. 44-45. Testo

  70. Wiesel E., Parole..., op. cit., pp. 178 -179. Testo

  71. Ibidem, pp. 179 -180. Testo

  72. Wiesel E., Tutti i fiumi vanno al mare. Memorie, Bompiani, Milano 1996, p. 100. Testo

  73. Frankl V., Sincronizzazione..., op. cit., pp. 47-49. Testo

  74. Wiesel E., Parole..., op. cit., p. 127. Testo

  75. Wiesel E. -- J. O'Connor, A Journey..., op. cit., p. 56. Testo

  76. Cargas H. J., Conversations with Elie Wiesel, Justice Books/Diamonds Communicatons, Inc., 1976, p. 6. Testo

  77. Ibidem, p. 19. Testo

  78. Bidussa D., Le "angosce" della "normalità" e la "consolazione" del "terrificante". I nodi storiografici della Shoà tra responsabilità e innocenza, in Pensare Auschwitz, Humanitas 5 (1995), p. 740. Testo

  79. Bastian T., Auschwitz e la «menzogna su Auschwitz». Sterminio di massa e falsificazione della storia, Bollati Boringhieri, Milano 1995, pp. 44-45. Testo

  80. Bloch E., Eredità del nostro tempo, a cura di L. Boella, Il Saggiatore, 1992, p. 57. (fra Bidussa e Boesch) Testo

  81. Maser W., Hitler segreto. Lettere e appunti inediti, Garzanti, Milano 1974, 359 ss. Testo

  82. Giuliani M., Auschwitz nel pensiero ebraico, Morcelliana, Brescia 1998, pp. 21-22. Testo

  83. Loewenthal E., La letteratura ebraica e la Shoà: appunti e riflessioni, in Pensare Auschwitz, Humanitas 5 (1995), pp. 696- 704. Testo

  84. ESGA vol. I, pp. 24-25. Testo

  85. Mcafee Brown R., The Holocaust as a Problem in Moral Choice, in AA. VV., Dimensions of the Holocaust, Northwestern University Press, Evaston, Illinois 1977, p. 50. Testo

  86. Ben-Chorin S., La fede ebraica, Il melangolo, Genova 1997, p. 211. Testo

  87. Rizzi A., L'Europa e l'altro. Abbozzo di una teologia europea della liberazione, Paoline, Cinisello Balsamo, Milano 1991, p. 127. Testo

  88. Traverso E., Gli ebrei e la Germania, Auschwitz e la "simbiosi ebraico-tedesca", Il Mulino, Bologna p. 16. Testo

  89. Batailles G., Sartre, in Œuvres complètes, Gallimard, Paris 1988, t. XI, p. 228. Testo

  90. Frankl V.E. (1993), Ciò che non è scritto nei miei libri. Appunti autobiografici, in Fizzotti E. (Ed.), "Chi ha un perché nella vita...". Teoria e pratica della logoterapia, LAS, Roma, p. 102. Testo

  91. P: Positio super causae introductione, Roma 1983. Testo

  92. Stein E., Dalla storia..., op. cit., p. 25. Testo