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Fidelium Deus... Il percorso di una colletta per i defunti

di Francesco Bonomo (15 agosto 2010)

L'articolo si prefigge lo scopo di scandagliare brevemente l'itinerario di formazione e modifica di una delle collette presenti nel Sacramentario Veronese e giunte fino al Messale del Concilio Vaticano II. In un percorso storico si pone l'accento su alcune differenze linguistiche che hanno creato dei fraintendimenti nella lex credendi.

1. La colletta «Fidelium Deus» nel Sacramentarium Veronense

La riforma voluta dal Concilio Vaticano II in ambito liturgico a partire dalla Sacrosanctum Concilium e la seguente codificazione dei libri liturgici ha permesso la fruizione di un patrimonio teologico derivante dall'eucologia che per secoli era stato frainteso o comunque abbandonato perché non più conosciuto.

Questa premessa di ordine teologico vede il suo sviluppo a partire dalla fede celebrata e vissuta nel culto cristiano, nei sacramenti ed in tutta la prassi liturgica della Chiesa. In un contesto così ampio il lettore potrebbe smarrire l'orientamento necessario a cogliere le linee di ogni sviluppo organico derivato dalla celebrazione liturgica. Per questo la nostra riflessione si restringe ad una campo limitato e che, a nostro avviso, al giorno d'oggi è terribilmente afflitto dalla banalità e, a volte, dalla superstizione. Il presente contributo vuole dare degli spunti di riflessione sull'eucologia funebre sancita con la codificazione liturgica voluta dal Concilio senza aggiungere nulla di nuovo ma volendo sottolineare quanto sia fondamentale la portata dei contenuti dei Praenotanda in materia di celebrazione esequiale. L'eucologia è un tesoro che nelle consuetudini pastorali ancora non è stato sfruttato nella sua intera estensione.

Alla base della nostra eucologia funebre esiste un'abbondante e forte tradizione che affonda le sue radici nella liturgia cristiana del VI-VII secolo.

Nel Sacramentarium Veronense,1 testo composito e non precisamente ordinato che possiamo far risalire al VI2 secolo come testimone di una liturgia precedentemente in uso, al mese di ottobre sono assegnati con la titolatura Super defunctos della sezione XXXIII i testi dal n. 1138 al n. 1160 cui si aggiungono i nn. 1161-1163 della sezione XXXIIII sancti Siluestri.

In questi formulari la nostra attenzione si vuole concentrare sul n. 1150 di cui si riporta il testo:

Fidelium, deus, animarum conditor et redemptor, famulo tuo cunctorum remissionem tribue peccatorum, ut quam semper optavit indulgentiam consequatur. Per Dominum.3

Il testo è stato scelto per due motivi. A partire dal sacrementario Veronese, esso si ritrova nel sacramentario Gelasiano antico e con esso giunge fino al messale di Trento. Inoltre il testo possiede delle particolarità che possono aiutare a comprendere il percorso fatto dal pensiero teologico insito nei testi liturgici attraverso il Medioevo fino all'epoca moderna.

Dal punto di vista tecnico vediamo una preziosa amplificazione dell'invocazione iniziale che è poi il soggetto dell'azione divina richiesta nella colletta. Dio è presentato in questa eucologia romana quale fidelium animarum conditor et redemptor. Con l'imperativo tribue l'autore chiede a Dio di perdonare i peccati del defunto. Con la petizione introdotta da ut si chiede che il defunto possa ottenere quam semper optavit indulgentiam.

L'eucologia veronese non presenta particolari problemi e nella sua essenziale formulazione offre una linearità di pensiero scarna ma piuttosto profonda. A partire dalle singole parole vediamo una ricchezza del tutto particolare.

Dio, soggetto di azione, viene definito creatore e redentore.

Conditor: con questa apposizione viene riconosciuta a Dio la sua essenziale dimensione di esistenza. Dalla sua esplicita volontà creativa ha origine tutto ciò che esiste e in un'orazione funebre chiamare Dio creatore significa certamente prendere coscienza ecclesiale di essere di natura creata e che come tale le fila della vita e della morte appartengono e tornano a Dio che le ha poste in essere. Il termine conditor si può trovare da solo od accompagnato da un qualche genitivo come nel nostro caso.

Redemptor: La misericordia di Dio nei confronti dei vivi come dei defunti non si ferma alla sola creazione ma si concretizza nel Figlio e nell'opera redentiva realizzata nel mistero di passione morte e risurrezione per la salvezza dell'uomo. In questo senso si può osservare che il termine redentore è quasi esclusivo del Figlio ma in questo caso l'autore del testo forse ha voluto sottolineare l'iniziativa di Dio tanto nella creazione quanto nella redenzione all'interno dei movimenti trinitari.4

Il genitivo fidelium animarum specifica esattamente l'appartenenza dell'uomo al Dio che crea e che salva l'intera persona. Soffermandoci su anima notiamo come all'origine del termine ci sia il soffio, atman, pneuma, inteso in senso forte come soffio e principio di vita, almeno nella nomenclatura classica. Come psyche ci troviamo dinnanzi la vita individuale dell'uomo; in senso indefinito può indicare una qualsiasi persona e in senso affettivo diviene il centro delle affettività naturali. In altre due accezioni può significare qualcosa di opposto al corpo o di separato dal corpo, ovvero quella che sarà l'anima riferita propriamente ai defunti. Dunque l'espressione fidelium animae possiamo dire che arrivi ad essere un sinonimo per indicare i defunti almeno in ambito eucologico. Allora «Dio, creatore e redentore dei defunti» potrebbe essere una traduzione del nostro sintagma dal quale si evince la totale appartenenza del defunto al Dio che prima lo ha creato ed ora, nel momento della morte, si invoca perché redentore.

Nell'orazione si trova l'imperativo tribue. Non credo che si debba vedere qui un comando dato a Dio ma quasi una conseguenza. Infatti dato che Dio è creatore e redentore e nelle sue mani sono le sorti dei fedeli, proprio perché tale deve concedere la remissione di tutti i peccati.

L'attenzione si deve ora fermare su questo aspetto. La ricerca vuole condurre a comprendere perché in un testo dedicato ad un defunto si debba chiedere il perdono delle colpe commesse in vita. Il contesto dei formulari del Veronese consente con un piccolo margine di dubbio di risalire, per via di assonanze concettuali ed in base alla storia della penitenza, alle seguenti conclusioni.

Da questi tre elementi possiamo comprendere che si tratta di testi prevalentemente dedicati ad un defunto che verosimilmente in vita era entrato a far parte dell'ordine dei penitenti e che la morte ha stroncato prima del giovedì santo, giorno in cui si sanciva liturgicamente la riconciliazione. L'ultimo percorso del cammino della penitenza pubblica si compie in coincidenza della Quaresima, naturale anticamera del perdono e della nuova vita da fedele cristiano. Questa possibile coincidenza spiegherebbe la presenza di differenti formulazioni riferentesi alla redenzione.7 È quindi evidente che il perdono dei peccati è richiesto a Dio perché sia lui a compiere il desiderio del cuore del defunto, ovvero quello di rientrare nella comunione ecclesiale e nella vita da figlio di Dio liberato da uno dei peccati per il quale aveva ricevuto l'imposizione della penitenza. Ogni altra motivazione di richiesta di perdono, al di fuori del particolare contesto ecclesiale e celebrativo della penitenza pubblica, apparirebbe fuori luogo.

A testimonianza di questo discorso troviamo nel Gelasiano antico8 la titolatura del formulario XCVIII orationes ad missa pro defunctis cuius desiderantibus penitenciam et minum consecutus. Di per sé a questo titolo chiarissimo segue una rubrica per i penitenti che al sopraggiungere del sacerdote in casa non hanno più l'uso della parola.9

2. La colletta «Fidelium Deus» nel Sacramentarium Gelasianum vetus

In questo contesto di penitenza pubblica e di orazioni per i penitenti defunti troviamo il testo oggetto del presente contributo. Nel terzo libro del Sacramentario Gelasiano il n. 1671 è la colletta della CI missa itam alia, alternativa dunque alla precedente C in agenda plurimorum:

Fidelium deus omnium conditor et redemptor, animarum famulorum famularunquae tuarum remissionem cunctorum tribue peccatorum, ut indulgenciam quam semper optauerunt, piis supplicacionibus consequantur: per dominum

In una sinossi possiamo controllare le differenze dei due testi:

Fidelium, deus,
animarum

conditor et redemptor,

famulo tuo
cunctorum remissionem tribue peccatorum,
ut quam semper optavit indulgentiam

consequatur.
Per Dominum.
Fidelium deus

omnium
conditor et redemptor,
animarum
famulorum famularunquae tuarum
remissionem cunctorum tribue peccatorum,
ut indulgenciam quam semper optauerunt,
piis supplicacionibus
consequantur.
Per Dominum.

Dalla tabella deriva che:

  1. Innanzitutto cambia il genitivo dell'amplificazione dell'invocazione. Mentre nel Veronese si invoca «Dio, creatore e redentore delle anime dei fedeli» nella formulazione gelasiana si ha «Dio creatore e redentore di tutti i fedeli». Inoltre nel Veronese si chiede «concedi al tuo servo la remissione di tutti i peccati» nel Gelasiano si ha una modifica sostanziale in «concedi la remissione di tutti i peccati delle anime dei tuoi servi e delle tue serve»
  2. La formulazione è al plurale per cui si hanno le varianti animarum famulorum famularumque tuarum, con una chiara eco del Canon Missae e di un gran numero di formulari, e del verbo optaverunt.
  3. La seconda consiste nell'interpolazione dell'espressione piis supplicationibus che può essere già il segno di una differente percezione dell'orazione in cui si pone una sorta di contrappeso all'imperativo tribue: si usa l'imperativo ma con delle suppliche umili, definite giuste o sante o comunque con valore positivo.

Dal punto n. 1 risulta che non si invoca più Dio come creatore e redentore dei defunti (fidelium animarum) ma si invoca come creatore e redentore dell'intera progenie dei fedeli cristiani. L'aspetto interessante è nel contenuto dell'azione divina. Dio nel Gelasiano non concede più «al tuo servo la remissione» (dativo + accusativo) ma concede solo «la remissione di tutte le colpe delle anime» (accusativo + genitivo). Il punto critico è che nel Gelasiano le colpe appartengono alla anime, trovando qui una separazione terminologica tra il corpo e l'anima in cui le colpe sono un entità negativa che vanno ad intaccare la parte spirituale del defunto e che per questo deve essere purificata.

Dal contesto dei formulari del Gelasianum vetus si evince che è molto presente la concezione del perdono dei peccati legata all'esperienza terrena della penitenza pubblica ma si cominciano a vedere delle modificazioni di pensiero per quanto riguarda le colpe commesse in vita ed il passaggio post mortem , cosicché il concetto del «perdono dei peccati» si estende ad altri formulari che non si riferiscono minimamente alla penitenza pubblica.

3. La riforma di Pipino ed il Liber sacramentorum gellonensis

Quando Pipino il Breve decide di risollevare la disastrosa vita ecclesiale delle Gallie dovuta alle crisi ed alle devastazioni che hanno preceduto il suo regno, tramite i suoi collaboratori mise mano ad una decisa riforma anche sul piano liturgico. Il testimone di questa riforma è il sacramentario Gelasiano dell'VIII secolo (GeVIII). Di questo testo, come degli altri sacramentari pervenuti fino ad oggi, non esiste l'originale dal quale sono state esemplate le copie successive. Il GeVIII è quindi un testo ipotetico cui si rifanno i manoscritti di sacramentari che non sono né gelasiani né gregoriani e che si diffondono su impulso di Pipino. Questo sacramentario è certamente un'opera composita in cui è evidente una predominanza del rito romano. La fonte del GeVIII è costituita dal Gelasianum Vetus del tipo Vat. Lat. Reg. 316 e dal sacramentario Gregoriano Paduense del tipo D. 47. L'anonimo compilatore di questo sacramentario archetipo, che si tenta di riconoscere in Remedio di Rouen, fratello di Pipino od in Crodegango di Metz, ha un gusto romano che predomina unitamente ad elementi dell'antica liturgia gallicana, delle consuetudini monastiche e alcuni appartenenti ai libelli missarum del tipo del Sacramentario Veronese. La disposizione interna del sacramentario GeVIII rispetta l'intenzione di non eliminare del tutto la liturgia gallicana. Esso infatti segue l'impostazione gregoriana del Santorale frammisto al Temporale in un unico anno liturgico disposto sull'intero libro liturgico;10 i formulari invece sono impostati secondo lo stile romano11 e non secondo lo schema del gregoriano a tre orazioni. Il compilatore evidentemente prediligeva la liturgia romana cui attinse anche per altri elementi come i sacramenti, i sacramentali e i funerali. Il GeVIII da vari elementi risulta essere stato scritto in Francia in un monastero benedettino dopo il pontificato di Gregorio II (715-731) perché contiene i formulari dei giovedì di Quaresima che prima del detto pontefice rimanevano a-liturgici. Si sottolinea anche che probabilmente il sacramentario, come ipotizzava il Bishop,12 sia un testo compilato sotto il regno di Pipino il Breve (751-768) grazie al particolare incentivo della presenza del Papa Stefano II e della sua corte in Francia.

Sfortunatamente l'intento riformatore di Pipino in materia liturgica non ottiene i risultati sperati. Avendo come scopo quello di creare l'uniformità cultuale delle Gallie, il sacramentario GeVIII, testo che compone in sé sia le spinte filoromane sia quelle gallicane nel rispetto di un buon numero di elementi propri dell'antica liturgia delle Gallie con l'attenzione ai riti locali, non si impone con successo sulla scena liturgica. Il nuovo sacramentario, per la penuria di libri, per la scarsità di validi e numerosi copisti e per il problema dell'onerosa sostituzione dei codici precedenti, ha contribuito così all'aumento delle tradizioni e della confusione, andandosi ad inserire in un contesto già molteplice e frammentario.

Il testimone che è ritenuto il più fedele al codice originale del GeVIII è il Liber sacramentorum gellonensis.13 In questo testo nella sezione liturgiae ad mortem troviamo, sempre nel contesto dell'in agenda plurimorum, il formulario 503 item alia missa14 che ha come colletta il nostro testo. La redazione del Ge è la seguente:

Fidelium deus omnium conditor et redemptor animabus famulorum famularumque tuarum remissionem cunctorum tribuae peccatorum, ut indulgentiam quam semper obtauerunt, piis supplicationibus consequantur.15 Per Dominum.

In questa redazione, in cui l'invocazione e la relativa amplificazione rimangono invariate rispetto alla formulazione gelasiana, si scorge un'ulteriore modifica che ha nuovamente come oggetto la parola «anima». Ritornando al paradigma Veronese tribue + dativo + accusativo si ottiene tribue animabus famulorum famularumque tuarum remissionem. La modificazione del Ge acquista un senso ancora più concreto dato che ora l'anima, la parte spirituale del corpo, diviene il termine concreto dell'azione divina di concedere la remissione delle colpe commesse in vita. L'orazione e l'intero formulario, tranne l'orazione super syndonem, così come la troviamo nel Ge passa nel supplementum16 al sacramentario voluto da Carlo Magno per adattare l'authenticum ricevuto da papa Adriano nell'ambito della riforma liturgica del regno franco, iniziata da Pipino e continuata dal figlio.

4. La codificazione tridentina

Il Messale codificato dopo il Concilio di Trento attinge quasi interamente dal Sacramentario Gregoriano Adrianeo e come in molti altri casi anche l'orazione che abbiamo osservato ci è stata tramandata ma nel MR1570 ha una posizione più definita. Essa infatti è la colletta della prima messa delle tre assegnate In Commemoratione omnium fidelium defunctorum del 2 novembre, nel formulario delle missae quotidianae pro defunctis nella sezione pro omnibus fidelibus defunctis e come orazione finale per l'assoluzione del tumulo. In quanto orazione per tutti i fedeli defunti il testo era di uso frequentissimo rispetto a tutti gli altri formulari. Il testo nel Messale tridentino subisce una sola modificazione: la conclusione dell'orazione invece di essere Per Dominum diviene Qui vivis et regnas cum Deo Patre cioè la conclusione prevista per un'orazione rivolta al Figlio! Con il testo tridentino si perde così l'originale invocazione al Padre tipica della liturgia romana per cui l'orazione Fidelium per soli quattro secoli è stata rivolta al Figlio anziché al Padre.

5. La codificazione del Concilio Vaticano II

La riforma dei libri liturgici del Concilio Vaticano II, anche se non ha preferito l'originale ed essenziale formulazione del Veronese, ha ripreso quella del gelasiano apportando comunque delle modifiche. L'orazione nella prima edizione typica si trovava nelle Missae defunctorum, schema B Pro pluribus aut pro omnibus defunctis come colletta ad libitum mentre nell'editio typica emendata del 2008 è la colletta della messa 4 della medesima sezione.17 Ecco il testo dell'orazione attuale:

Fidelium, Deus, omnium conditor et redemptor,
famulis tuis remissionem cunctorum tribue peccatorum,
ut indulgentiam, quam semper optaverunt,
piis supplicationibus consequantur. Per Dominum.

Il Messale odierno ha ristabilito l'uso dell'originale termine famulus riacquistando così il senso della remissione dei peccati che si applica a tutta la persona. Inoltre in questa redazione si è provveduto a ristabilire l'unica conclusione esatta ovvero il Per Dominum.

6. Conclusioni

Nella scorsa che abbiamo fatto dei testi nei principali sacramentari abbiamo rilevato degli elementi che ci permettono di trarre alcuni punti essenziali sullo sviluppo della teologia a partire dal testo di un'orazione.

  1. Con il sacramentario veronese abbiamo una formulazione in cui a Dio, creatore e redentore, appartengono le animae fidelium locuzione che paragonata con le altre presenti nel sacramentario stesso può essere assurta come sinonimo di defunto/i. Con una costruzione sintattica chiara si chiede con forza a Dio che conceda al suo servo il perdono dei peccati in vista della escatologica fruizione dell'indulgentia.
  2. La maldestra interpolazione di omnium e lo spostamento di animarum dopo l'apposizione legandolo al genitivo famularum famularumque tuarum ha creato il cambiamento più radicale perché Dio è divenuto il creatore ed il redentore di tutti i fedeli -- locuzione che non ha più un significato particolare -- che perdona le colpe commesse dalle anime.
  3. Con il messale tridentino la lontananza dalle fonti e dalla comprensione del testo ha portato alla inversione dell'invocazione della preghiera interpretando Deus con Christus.
  4. Il recupero del termine famulus nel MR2008 ha permesso di recuperare il senso dell'interezza della persona cui vengono perdonate le colpe e l'autentico indirizzarsi della preghiera della Chiesa al Padre, per mezzo del Figlio.

Il presente lavoro di analisi, lungi da essere completo ed esaustivo ha cercato di offrire degli stimoli per approfondire i testi con cui la Chiesa prega e per dare un segno alle coscienze di tutti sull'obbligo di non fermarsi dinnanzi alla superficialità di ciò che si offre ai nostri occhi ma di scavare fino alle fonti, in questo caso alle fonti della liturgia.

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Note

  1. L.C. Mohlberg -- L. Eizenhofer - P. Sifrin, Sacramentarium veronense, (RED Series Maior, Fontes I), Herder, Roma 1978. Testo

  2. Si veda ad esempio la ricca bibliografia sulla datazione del sacramentario in Mohlberg, Sacramentarium, LIV- LXXXI. Testo

  3. Dio creatore e redentore delle anime dei fedeli, concedi al tuo servo la remissione di tutti i peccati perché possa ottenere quel perdono che ha sempre desiderato. Testo

  4. G. Sarbak -- L. Weinrich (ed.), Sicardi Cremonensis Episcopi Mitralis de officiis, Brepols, Turnhout 2008, l. 3, c. 2, 143: Queritur de hac oratione 'Fidelium, Deus, omnium conditor', etc. Redemptor enim proprie Christus est. Respondeo: Ad Patrem sermo dirigitur. Tota enim Trinitas est Deus, omnium conditor et redemptor. Nam 'Deus omnipotens, misericors, eternus, sempiternus,' licet sint essentialia nomina, tamen personaliter ad Patrem significandum sepius in orationibus ponuntur. Queritur et de illis, in quibus sermo dirigitur ad caput Ecclesie, si qua reperiatur: Caput enim Ecclesie Christus est. Respondeo: Similiter ibi ad Patrem sermo dirigitur. Tota enim Trinitas est caput Ecclesie. In exorcismalibus orationibus dicitur: 'Per eum, qui uenturus est iudicare uiuos et mortuos et seculum per ignem', etc. Quodquam cito diabolus audit, fugit, iudicium ignis timens. Similiter quidam uoluerunt esse dicendum in orationibus defunctorum, sed usus in aliquibus contradicit. 'Per omnia secula seculorum' dicitur, quia se secuntur. Testo

  5. Nn. 1140; 1141; 1142; 1144; 1145; 1146; 1150. Testo

  6. Cfr. P. Rouillard, Storia della penitenza dalle origini ai nostri giorni, (Giornale di Teologia 265), Queriniana, Brescia 1999, 38-39. Testo

  7. N. 1138: in tuae redemptionis sorte requiescat. N. 1145: per haec sacrificia redemptionis. N.1147 in tuae redemptionis parte numeretur. N. 1148: ut resurrectionis diem spe certae gratulationis expectet. N. 1150 fidelium, deus, conditor et redemptor. Testo

  8. L. C. Mohlberg, Liber sacramentorum Romanae Ecclesiae ordinis anni circuli, (RED Series Maior, Fontes IV), Herder, Roma 1981. Testo

  9. A. Chavasse, Le sacramentaire gélasien (Vaticanus reginensis 316), sacramentaire presbytéral en usage dans les titres romains au VII siècle, (Bibliothèque de Théologie, série IV, Histoire de la Théologie, v. 1), Desclée, Tournai 1957, 57-71; 140-155. Testo

  10. Quindi non un libro romano come il Gelasiano con Santorale e Temporale divisi su tre libri. Testo

  11. Oratio (colletta), seconda orazione, spesso anche la praefatio, communio ed ultima orazione. Testo

  12. E. Bishop -- A. Wilmart, «La réforme liturgique de Charlemagne» EphLi 45(1931), 186-207. Testo

  13. A. Dumas (ed.), Liber sacramentorum gellonensis, Textus (Corpus Christianorum series latina 159), Brepols, Turnholti 1971. Testo

  14. Che è quello del Gelasiano. Testo

  15. N. 2979. Testo

  16. J. Deshusses, Le sacramentaire grégorien : ses principales formes d'après les plus anciens manuscrits, I, Le sacramentaire, le supplément d'Aniane, Éditions universitaires, Freiburg 1979, CVIIII item alia missa, n. 1437 Testo

  17. Missale Romanum ex decreto sacrosancti Concilii Œcumenici Vaticani II instauratum auctoritate Pauli pp. VI promulgatum Ioannis Pauli pp. II cura recognitum, Typis Vaticanis, Civitatis Vaticanae, 2008, 1211. Testo