Husserl, Scheler e l’idea di Europa di fronte alla globalizzazione

1.

Nel 1917 in Die christliche Liebesidee und die gegenwärtige Welt, dieci anni prima della celebre conferenza Der Mensch im Weltalter des Ausgleichs,1 Max Scheler parlava del cosmopolitismo al quale si sarebbe dovuto conformare lo spirito nazionale dei popoli per completarsi «in tutte le cose puramente culturali come ad esempio la filosofia, la scienza, l’arte».2 E dunque anticipava la questione dell’Ausgleich, dell’integrazione globale, come comune esigenza di apertura al mondo degli spiriti nazionali d’Europa. Il contesto di quelle considerazioni era il riscatto per una possibile, positiva, nuova identità europea di fronte al volgere al termine della prima guerra mondiale, probabilmente il primo evento realmente globalizzante,3 un evento peraltro tragicamente scaturito dai conflitti storicamente e profondamente radicati all’interno del cosiddetto vecchio continente. In realtà tali posizioni segnavano anche un progressivo allontanamento dalle tesi sostenute poco tempo addietro dallo stesso Scheler, che nel 1915 definiva la guerra come «l’apocalittico ultimatum divino all’Europa, l’ultima domanda del destino, […] l’ultimo tentativo di presentare, di fronte al destino, l’intera mortale anarchia della sua vita e della sua coscienza, e allo stesso tempo l’ultima opportunità di oltrepassarla partendo dalle radici più profonde della sua essenza».4 Analogamente, nel medesimo periodo, in Der Genius des Krieges und der deusche Krieg, la guerra veniva vista come un passaggio necessario e quasi catartico per una possibile ricostruzione di uno spirito unitario di fronte alla dissoluzione in Europa dell’egemonia dell’ethos cristiano con il suo ordine di valori.5

A poca distanza di anni Scheler invece, rovesciando radicalmente la propria posizione precedente, oltre al rinnegamento totale degli orrori della guerra ed al riconoscimento dell’accadimento di una catastrofe collettiva, sosteneva dunque la necessità di una totale apertura cosmopolita per il riscatto dei popoli europei e per la ripresa di una rinnovata idea d’Europa.6 Tale necessità non doveva significare affatto la soppressione delle individualità nazionali, al contrario cosmopolitismo e cultura nazionale erano visti come i due lati della medesima verità: quella dell’apertura all’altro assieme al riconoscimento delle proprie origini come possibilità di dialogo e integrazione fra culture diverse.7 Il richiamo fondante all’antichità classica, non implicava allora l’esclusione dell’importanza delle influenze orientali sulla cultura e sulla filosofia greca poiché si trattava secondo Scheler di una continuità e di una rottura solamente relativa rispetto alle forme asiatiche e al loro molteplice influsso – sin dagli inizi – sulla cultura greca e sul suo sviluppo. Tale dimensione di relatività, «il fatto che l’“antichità classica” non possa essere universalmente valida per l’uomo, ma nel migliore dei casi rappresenti un primo vertice dei valori dello spirito europeo è – sottolineava Scheler - la conoscenza più sicura della nostra epoca. […] Anche se questi valori non sono più normativi in senso umano universale, lo sono tuttavia in senso europeo».8

Anche Husserl, non molto dopo, agli inizi degli anni ’20, nei saggi scritti per la rivista giapponese «Kaizo»,9 partiva dalla radicale esigenza di rinnovamento della cultura filosofica rispetto a quella che veniva gravemente definita come la crisi dell’umanità europea culminata nella drammatica esperienza della prima guerra mondiale. E, come era già accaduto per Scheler, anche Husserl – probabilmente profondamente segnato dalla tragica perdita del figlio Wolfgang durante il conflitto – rovesciava totalmente il proprio giudizio a favore della guerra, che nella conferenza su Fichte del ’17 era stata addirittura definita come epoca di rinascita per l’intera Europa.10 Negli scritti preparati per «Kaizo» prendeva invece corpo il tema del rinnovamento morale e scientifico-filosofico che sarà in seguito - com’è noto - tra i motivi principali discussi nelle conferenze di Vienna e Praga del 1935 e ripresi nel volume pubblicato postumo Die Krisis der Europäischen wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie.11 Ma già in questi scritti emergeva la questione cruciale, la vera questione teleologica, quella del possibile destino di una rinnovata idea di Europa. Tale questione era per Husserl, come vedremo meglio, innanzitutto la messa in discussione, di fronte alla crisi, del rapporto della filosofia con la propria storia, con la propria nascita, non solo nel senso dell’individuazione della propria origine, ma anche come il riscatto per la razionalità europea tramite quella capacità sistematica di auto-interrogarsi che aveva essenzialmente caratterizzato il logos greco agli esordi del sapere occidentale.

In Scheler il richiamo all’origine greca non possedeva però una connotazione così forte come in Husserl e, a differenza di Husserl, per Scheler, perlomeno nel periodo che segna la fine della prima guerra mondiale, è soprattutto il cristianesimo, piuttosto che l’antichità classica, ad essere considerato come una forza formativa fondamentale, come la base per la ricostruzione culturale europea e per l’unità di ogni formazione intellettuale e morale.12 Ma per entrambi si poneva, di fronte ad una possibile nuova idea d’Europa, la messa in luce di una radicale esigenza comune: l’esigenza collettiva di una totale trasformazione spirituale-personale attraverso uno sguardo retrospettivo verso la propria origine. Non si trattava di una rifondazione dogmatica di valori assoluti ma - come veniva sottolineato da Scheler - di «torri necessarie e comuni di orientamento, dei fari per tutti i popoli europei, alle quali guardare non come a dei fini lontani ma a qualcosa che si deve sempre e di nuovo tornare a guardare, per riconoscere se sono presenti nel cammino dello spirito e dell’essenza europea».13 Gli sviluppi drammatici successivi della storia europea sono purtroppo notoriamente andati in ben altra direzione. Ma di fronte alle numerose ed inquietanti questioni che l’era globale propone oggi ed al sempre più evanescente volto dell’Europa nel contesto internazionale in un’epoca di profonda incertezza politica e culturale, forse non è del tutto inutile risalire alle riflessioni di Husserl e Scheler attorno ad un radicale ripensamento critico di quella stagione di profonda crisi morale e spirituale che prelude agli eventi più tragici della storia del ’900.

2.

L’esigenza di ripensare criticamente l’idea di Europa in Husserl si rispecchia pienamente nelle celebri battute finali della conferenza viennese del’35, e sono del tutto emblematiche della declinazione husserliana dell’idea di Europa che cercheremo innanzitutto di discutere. In esse viene evocata l’«idea razionale» di Europa come «teleologia storica di fini razionali infiniti», la cui lamentata decadenza va rintracciata non tanto nel razionalismo in quanto tale ma nella sua degenerazione in obiettivismo e naturalismo. La crisi interviene là dove si è oscurato il rapporto vivo con la tradizione: «l’uomo moderno dei giorni nostri, […] non vede più nella scienza e nella nuova civiltà che si è configurata sulla sua base, l’auto-oggettivazione della ragione umana, o l’universale funzione che l’umanità ha creata nei confronti di sé stessa per darsi la possibilità di una vita davvero soddisfacente».14 La crisi europea è l’oblio del senso delle sue origini greche. «L’umanità europea – afferma Husserl – si è allontanata dal telos che le è innato».15 Il predominio moderno del calcolo razionale oscura il senso originario della ragione:

La scienza nella sua specializzazione, è diventata una specie di tecnica teorica che, come la tecnica nel senso ordinario, si basa più su di un’“esperienza pratica” […] che non sulla penetrazione della ratio dell’operazione compiuta. Con ciò la scienza moderna ha lasciato cadere l’ideale di un autentico sapere, ideale vivente che agisce nelle scienze a partire da Platone […] e insieme, sul piano della prassi, ha perduto il radicalismo di un sapere responsabile di sé. […] La situazione attuale delle scienze europee esige prese di coscienza radicali.16

Rispetto alla crisi vi sono per Husserl solo due possibili vie d’uscita: il tramonto dell’Europa nell’alienazione totale del proprio senso razionale-vitale precipitando nelle barbarie, oppure la propria rinascita attraverso lo spirito della filosofia greca da cui ha avuto origine. Come vedremo anche in Scheler, per Husserl la cultura europea è inevitabilmente invecchiata: «il più grande pericolo per l’Europa è la stanchezza».17 Il rinnovamento personale deve dunque passare dalla riattivazione del senso originario della propria storia che in Husserl assume la connotazione forte della filosofia o meglio, come approfondiremo , quello della fenomenologia stessa.

La Crisi delle scienze europee è dominata dall’idea dell’origine. Per indicare le strutture di esperienza che stanno alla base delle formazioni concettuali astratte Husserl, com’è noto, parla spesso di strutture “antepredicative” ed è a partire da questa tematica di ordine generale che prende poi forma il rapporto tra scienza e Lebenswelt, il mondo della vita. La coscienza è per Husserl intersoggettivamente strutturata in una comunità linguistico-culturale, in forme costituenti originarie, Urstiftungen che posseggono la peculiarità di aprire nuovi orizzonti assorbendo quelli precedenti.18 L’abitualizzazione e la sedimentazione passiva che seguono alle Urstiftungen producono familiarità con la nuova oggettualità, modificando l’orizzonte preesistente in un nuovo orizzonte, il quale non si dissolve mai completamente ma può di nuovo venir richiamato e riprodotto. Anche gli sviluppi della scienza moderna sono il prodotto di una serie di Urstiftungen che però mantengono occulta, non tematizzata, la loro origine. Si tratta in primo luogo della paradigmatica matematizzazione della natura operata da Galilei, discussa, com’è noto, nella prima sezione della seconda parte della Krisis.19 La matematizzazione della natura comporta per Husserl la traduzione dell’effettiva esperienza del mondo naturale in qualità ideali che possono essere descritte in termini geometrici o matematici e che trasformano il mondo reale in quello del calcolo e della precisione scientifica. Ogni formazione concettuale, che abbia una particolare rilevanza di principio all’interno dell’elaborazione scientifica – ad es. il concetto di corpo, di spazio, tempo, causa, ecc. – e così anche i concetti matematici e i concetti logici – ad es. quelli di numero, operazione, soggetto, predicato, qualità, relazione, ecc. – provengono dall’esperienza quotidiana e concreta della realtà comune.20

Tale operazione idealizzanti si costituiscono dunque fondamentalmente trascendendo l’orizzonte vitale concreto-soggettivo dell’esperienza che da esse rimane in tal modo totalmente oscurato. La scienza moderna produce dunque un mondo obiettivato, idealizzato, rimuovendo e separandosi da quel mondo sedimentato delle abitualità che appartengono alla Lebenswelt, alla soggettività del mondo comune che effettualmente la precede. La crisi è la perdita di senso che il sapere scientifico ha subito nei confronti della vita, è il suo mancato riconoscersi nella Lebenswelt. «Nella miseria della nostra vita […] – afferma Husserl – questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l’uomo, il quale nei nostri tempi tormentati, si sente in balia del destino; i problemi del senso del non-senso dell’esistenza umana nel suo complesso».21 La via di riscatto è dunque il recupero della razionalità come criterio dominante nell’orientamento della vita umana attraverso la tematizzazione della connessione tra sapere scientifico e mondo della vita. «Tutte le questioni pratiche – per Husserl – celano in sé questioni conoscitive, che da parte loro si fanno generalmente afferrare e trasferire in quelle scientifiche».22

Il compito storico-filosofico della fenomenologia di fronte alla crisi è allora quello di far vedere come le strutture della razionalità siano radicate profondamente nel mondo delle forme vitali e ne costituiscano il fondamento di senso. Si tratta del suo compito educativo-formativo fondamentale: «la diffusione della filosofia non può avvenire semplicemente nella forma della diffusione di una ricerca professionale; piuttosto essa avviene al di là della cerchia professionale, nel movimento dell’educazione filosofica».23 Ponendo quella che è una questione cruciale anche per Scheler, Husserl mette dunque in luce il problema del riscatto personale rispetto alla crisi tramite la formazione e l’autotrasformazione individuale e collettiva: «la crisi delle scienze ha il suo fondamento in una crisi dell’autocomprensione dell’uomo. Il superamento di questa crisi potrà aver successo unicamente soltanto attraverso una trasformazione della comprensione che l’uomo ha di sé stesso».24

3.

L’oblio moderno della Lenbenswelt si fonda per Husserl su quella che è una caratteristica ineffabile insita nell’atteggiamento inconsapevole, naturale, della vita stessa, atteggiamento che tende spontaneamente a dimenticare le funzioni costituenti della propria soggettività, un atteggiamento ingenuo che si riflette interamente anche nelle pratiche scientifiche.

In sé il passaggio da una matematica legata alle cose alla sua logicizzazione formale, e il rendersi autonoma della logica formale ampliata a pura analisi e a dottrina della molteplicità, è qualcosa di completamente legittimo, anzi di necessario: così la tecnicizzazione e il perdersi temporaneo in un pensiero meramente tecnico. Ma tutto ciò può e deve costituire un metodo inteso e praticato coscientemente.25

Per Husserl, «la tanto deplorata specializzazione non è in sé una deficienza, anzi è una necessità nell’ambito della filosofia universale, così come qualsiasi disciplina specialistica esige l’elaborazione di un metodo adeguato. Ciò che è deplorevole è lo sganciamento dell’arte teorica dalla filosofia».26 La questione qui non è dunque affatto quella della ineluttabile pervasività moderna della scienza tecnologica ma quella della sua mancata consapevolezza, del suo conseguente mancato governo razionale ed infine del mancato equilibrio con il mondo della vita, un tema cruciale, presente, come cercheremo più avanti di mostrare, anche in Scheler.

Il recupero del significato costitutivo della Lebenswelt coincide allora con il ritorno alla motivazione razionale originaria della filosofia greca, alla sua capacità essenziale di auto-interrogarsi che rapppresenta il punto archimedico del logos greco. In Grecia ha origine l’idea di Europa: «questo vuol dire né più né meno, che non soltanto attribuiamo alla cultura europea […] la posizione più elevata tra tutte le culture storiche, ma che la consideriamo la prima realizzazione di una norma assoluta di sviluppo, destinata a rivoluzionare ogni altra cultura».27 Le vere battaglie della spiritualità europea sono lotte tra filosofie, tra le filosofie scettiche e quelle che invece lottano per un senso autentico dell’umanità: quello del telos contenuto nella filosofia greca che consiste nel tendere ad un’umanità consapevole di essere fondata sulla ragione filosofica, un’entelechia che è propria dell’umanità come tale.28 Husserl parla però di un’idea di Europa e non di una semplice realtà geografica: in Europa prende forma un’idea di razionalità divenuto un valore in sé, quello del processo conoscitivo infinito dentro un sistema-scienza che ha la sua origine nella Grecia antica.29 Si tratta di un valore in sè universale che acquista un significato del tutto sovra-europeo e che l’Europa stessa ha totalmente smarrito, un valore, quindi, dell’umanità intera in quanto tale.

L’umanità ci appare – secondo Husserl – come un’unica compagine di vita, della vita dei popoli congiunta esclusivamente da nessi spirituali, gremita da tipi umani e culturali che costantemente confluiscono l’uno nell’altro. È come un mare in cui gli uomini e i popoli sono onde fuggevoli che si formano, si trasformano e poi scompaiono, alcune sfrangiate, complesse, le altre più elementari.30

Da questo punto di vista anche la forma spirituale europea storicamente compiuta va considerata semplicemente come una cultura accanto alle altre, soggetta, come le altre, agli influssi ed ai mutamenti storici.31 Ciò che permane è invece l’idea razionale d’Europa, che rappresenta per Husserl la radicale apertura al domandare attorno a sé stessi e alla propria origine, volontà teleologica, esigenza di verità dischiusasi originariamente con la filosofia greca. Proprio in forza di questo domandare originario, l’idea di Europa diviene un’idea allargata che trascende la realtà empirica, così come trascende le altre realtà globali. L’idea d’Europa diviene allora quella dell’entelechia che è propria dell’umanità come tale, una radicale messa in discussione di sé stessi per poter dischiudere una vocazione umana in generale: l’apertura della ragione critica in tutta la sua ampiezza.32

Con ciò – afferma Husserl – abbiamo il carattere fondamentale della trasformazione della vita del popolo a partire dalla fondazione della filosofia greca e quindi, però, anche già il carattere fondamentale della cultura europea relativamente conclusa. Essa è caratterizzata come unità dell’internazionalità razionale e, comprensibilmente, si sviluppa anche l’epoca dello sviluppo presente della totalità dei popoli terrestri, caratterizzato come uno sviluppo che entra nel processo di una universale europeizzazione. E’ così, come se la Terra dovesse trasformarsi nel territorio unitario di un’unità sovranazionale di tutti i popoli, per così dire in una sovranazione derivante dalle fonti della ragione oggettiva, come è divenuta l’Europa stessa, quindi in una Europa allargata.33

E dunque anche Husserl, come in modo più esplicito farà Scheler nella conferenza del ’27 sull’Ausgleich, anticipa l’idea della necessità di un’apertura globale assieme a quella di un’integrazione sovra-nazionale dell’umanità. A differenza di Scheler, in Husserl però – seppure in una trasfigurazione universale – l’accento ideale-europeo di tale apertura è inequivocabilmente predominante: «è come se la terra dovesse divenire un territorio unitario di una unità sovranazionale di tutti i popoli», così come è avvenuto per l’Europa tramite la romanizzazione della grecità da cui quest’ultima è stata assorbita. In tal modo anche l’Europa ampliata non sarà più l’Europa ma un suo approfondimento e un tal senso una sua continuazione.34 Un’idea razionale che si costituisce dunque dapprima come interrogazione radicale attorno alla propria tradizione per allargarsi poi alla umanità in generale intesa come umanità razionale. Una tradizione che noi stessi siamo come effetto della storia europea, l’effetto della sedimentazione di una serie di strati attraverso cui quella tradizione medesima vive in noi: «vita storica che ogni volta che viene compresa è già una continuazione della vita che ha dietro altra vita, ma non nel modo di un’esteriorità puramente naturale, bensì in quello dell’interiorità di una tradizione intenzionale».35

Progressivamente emerge dunque nella riflessione storica husserliana sull’origine europea, il vero e proprio terreno fenomenologico: l’osservazione dell’origine non è un qualcosa di accessibile solo dall’immaginazione e all’invenzione letteraria, ma è rivelata dalla soggettività come auto-riflessione metodica. Essa non è solo e semplicemente la soggettività dell’uomo nel suo legame storicamente condizionato agli orizzonti del rispettivo mondo storico, ma è – come approfondiremo – la tematizzazione della soggettività trascendentale, di quella vita intenzionale che fa sorgere questi orizzonti stessi.36 In questo modo «il presente effettivo deve essere esplicitato, interpretato in un senso amplissimo “storicamente”, vale a dire che deve essere intenzionalmente disvelato, indotto, dischiuso ciò che intenzionalmente giace in esso».37 Comprendere una tradizione non significa ancora averla assunta, fatta propria. La responsabilità europea verso la propria storia è quella di opporsi ad una ripetizione passiva della tradizione. Dalla tradizione va liberamente riscattato il senso obliato, occultato, dell’origine.38 È questo l’autentico compito interpretativo della fenomenologia secondo Husserl, «la vita è da parte a parte storica; il proseguimento della vita è qualcosa che emerge dal vivere»,39 l’analisi storico-fenomenologica deve dunque diventare un’«ermeneutica della vita di coscienza».40

Per sua essenza, allora, l’idea d’Europa va necessariamente oltre i confini europei sino addirittura a dissolverli in una dimensione storica di nuovo livello, dove la ragione consapevole di sé è divenuta attività riformatrice e dominante, «come è accaduto unicamente presso i greci», e in modo tale può produrre effetti nuovi ed allargarsi tra le nazioni, una tradizione razionale che è in grado di vincolare tutti coloro «da qualsiasi nazione essi derivino, di cui abbiano subito l’influenza di una regolamentazione autonoma e scientifica della vita».41 Il piano della storicità si sovrappone dunque per Husserl a quello della stessa struttura della coscienza intenzionale; «la coscienza è un divenire incessante. Ma non è una mera successione di vissuti, un flusso nello stesso senso in cui si pensa a un flusso obiettivo. La coscienza è un divenire incessante in quanto è una costituzione incessante di obiettività nel progressus incessante della successione dei livelli. E’ una storia mai interrotta».42 Ciò che noi usualmente intendiamo come coscienza intesa come piena consapevolezza, rappresenta solo un grado determinato nella struttura delle operazioni intenzionali.43 In Husserl, la storicità si rende dunque tematica come storicità della coscienza intenzionale fluente. Si tratta di un fluire che contiene in sé sempre una parte in ombra, irriflessa in cui l’esperienza nuova che affiora da quella precedente avviene sotto forma di un’associazione che non ha alcuna necessità di elevarsi alla chiarezza di un esplicito potersi-ricordare. Già nella dimensione più elementare dell’esperienza sensoriale-percettiva legata ai processi cinestetici, si costituisce secondo Husserl un intreccio continuo tra passività e attività, tra i momenti genetico-passivi e quelli attivi motivazionali- intenzionali.44 Il flusso della coscienza è dunque un accadere passivo sulla cui base possono continuamente emergere, innestarsi e venire tematizzati, gli orizzonti del mondo consapevole come complesso delle nostre concrete possibilità di agire.

«Noi – afferma Husserl – ci troviamo sempre all’interno dell’unità complessiva di una connessione di vita senza fine, nell’infinità della nostra vita propria e di quella storica e intersoggettiva, che, per come è costituta, consiste in una totalità unitaria di validità che continuano a generarsi in infinitum, ma che si rivelano in infinitum quando si penetra negli orizzonti del presente, del passato e del futuro».45 Il problema del flusso della coscienza, nella sua temporalità costituente sé stessa è il problema storico di noi stessi, intesi come soggettività trascendentale, in quanto costituente nei suoi atti intenzionali il mondo e l’io, e noi stessi come persone nel mondo. Si tratta di un primum in sé cui conducono le operazioni della derealizzazione messe in atto dalla riduzione fenomenologica, un punto di partenza assoluto al quale però bisogna sempre instancabilmente tornare.46 L’agire su di noi della fattualità storica da cui provengono le nostre esperienze conoscitive coincide allora con la nostra capacità essenziale di auto-comprensione del nostro essere nel mondo. Il liberarsi dal piano fattuale che avviene tramite l’esercizio della variazione eidetica e della riduzione fenomenologica ai fini di ottenere i puri complessi essenziali delle operazioni intenzionali costitutive, non ha alcun altro senso, per Husserl, che quello di articolare le possibilità insite in quelle stesse operazioni anonime, pre-riflessive, storicamente sedimentate, che tale esercizio mette a tema e consente di rendere esplicite.

In questo modo viene pienamente in risalto l’intreccio tra persona, storia e mondo nella loro essenziale correlazione: le cose hanno bisogno della coscienza per esistere, proprio per il fatto che sono storicamente costituite nel loro essere, nel loro modo d’essere e nell’esperienza che abbiamo di esse. La stessa storia e il costituirsi intenzionale dell’esperienza del mondo sono dunque indissolubilmente intrecciati.47 Con la posizione del problema costitutivo come problema storico, genetico dinamico, emerge allora il legame concreto tra storia, soggettività e intersoggettività. Non vi è ad esempio una dimensione religiosa senza che sia possibile rintracciarvi in essa un implicito rinvio culturale inter-soggettivo, senza che emergano in primo piano le motivazioni culturali delle corrispondenti formazioni di senso.48 È quindi nel disvelamento della sua fondatezza storica e nell’intreccio intenzionale con essa, l’elemento su cui la ragione deve sempre e nuovamente potersi interrogare: questa capacità corrisponde per Husserl alla «capacità della ragione, dell’evidenza di una validità comune a tutti gli esseri umani, è la capacità di una validità che a piacere può essere ripetuta fondata e portata a consapevolezza ».49 Si tratta di quella libera capacità essenziale di interrogarsi criticamente che ha origine dall’idea d’Europa: una capacità instancabilmente aperta all’orizzonte futuro ma, allo stesso tempo, aperta anche al rischio radicale della sua dissoluzione. Una capacità di auto-formazione personale-razionale su cui discute anche Scheler focalizzandola attorno al tema centrale dell’Ausgleich, dell’integrazione globale.

4.

In una famoso passaggio della conferenza sull’Ausgleich del ’27, Scheler afferma che « l’uomo è un ente la cui stessa modalità d’essere è ancora una decisione aperta su ciò che è e su quel che vuole diventare».50 Ciò che è essenzialmente in questione in tale modalità d’essere è l’immagine possibile futura di un uomo globale in grado di armonizzare tutte quelle tendenze controverse che progressivamente vengono ad unificarsi nel mondo, quali le tensioni razziali, quelle delle mentalità (tra cui quella specifica maschile e femminile), quella di gioventù e vecchiaia, di capitalismo e socialismo, di popolazioni civili e primitive, delle concezione di sé del mondo e di Dio, delle culture ma anzitutto– come vedremo meglio – quella dell’Asia e d’Europa.51 Il problema della globalizzazione per Scheler non è dunque semplicemente la questione del livellamento mondiale, che è un processo inevitabile – e la cui essenza di pervasività Scheler intuisce con grande anticipo sui tempi attuali – bensì quello del suo governo, della sua guida consapevole.

La tendenza all’armonizzazione globale non è secondo Scheler un novum assoluto, «per ogni epoca del mondo si dà un uomo globale relativo, ossia un maximum delle capacità che l’uomo ha di farsi uomo globale, un massimo relativo nell’avere parte a tutte le forme più elevate dell’esistenza umana».52 Ma le epoche più pericolose per l’umanità, le più sconvolte dalla morte e dalle lacrime, non sono quelle in cui le tensioni si particolarizzano e si accumulano in modo crescente. Ma sono proprio quelle della globalizzazione. Ogni processo che chiamiamo catastrofe non corrisponde ad altro che ad un mancato controllo e governo razionale della globalizzazione come ad es. accade nel caso della globalizzazione razziale.53

«La globalizzazione in sé è destino ineluttabile».54 La questione politica essenziale di fronte alla globalizzazione è dunque per Scheler quella di dirigerla e guidarla attraverso un positivo incremento assiologico dei diversi gruppi nazionali e delle loro forze. Proprio la naturale tendenza ad espandersi della globalizzazione mette in crisi la centralità stessa dell’idea di stato nazionale. Scheler intravede dunque lucidamente il progressivo venir meno, il ripegamento su sé stessa, della «grande idea storica del XIX secolo – l’idea dello stato nazionale assolutamente sovrano, centralizzato, con un’economia nazionale e una politica coloniale di carattere espansionistico».55 Le nuove tendenze politiche sono influenzate dalla paura crescente che attanaglia le grandi borghesie europee, quella di vedere vacillare il dominio della propria classe di fronte alla possibilità di un nuovo conflitto mondiale.

In futuro – afferma Scheler – dobbiamo aspettarci la formazione di un pacifismo capitalistico delle grandi borghesie. L’europeismo sostenuto oggi tanto dal basso quanto dall’alto è effettivamente un destino – non un opzione. E anche in questo caso si tratta di dirigerlo politicamente ed economicamente sulla strada giusta, in modo che prenda le giuste forme.56

E dunque non solo l’idea moderna dello stato nazione ma anche quell’idea razionale di Europa, sostenuta con enfasi da Husserl, sembrerebbe qui sbiadire di fronte al riconoscimento della forza dilagante del processo globale di integrazione che coinvolge l’Europa stessa e i tre grandi centri asiatici: India, Cina e Giappone. La stessa posizione pioneristica europea nel campo scientifico-tecnologico è stata del tutto superata secondo Scheler dai paesi agricoli non europei e da quelli dell’Asia orientale sia nel livello teorico che in quello produttivo-applicativo. Ma la decadenza scientifico-economica non dissolve totalmente il ruolo globale dell’Europa. Il problema fondamentale della nuova armonizzazione mondiale che coinvolge i tre continenti e di cui una nuova idea d’Europa deve farsi carico, diviene per Scheler quello della mediazione, della ricerca dell’equilibrio tra il principio spirituale e il principio vitale nell’uomo: tra l’uomo globale apollineo e quello dionisiaco. Del predominio irrazionale di quest’ultimo si fanno invece portatori i movimenti vitalistici, anti-intellettuali e anti-spirituali,57 che Scheler vede assieme al prevalere dell’utilitarismo capitalistico come la «decadenza dell’Europa e la morte culturale dell’occidente».58 Il tema della mediazione tra l’uomo globale apollineo e quello vitale dionisiaco è anche il problema fondamentale che in Die Formen des Wissens und die Bildung ruota attorno al tema del rinnovamento e della formazione personale:

questo diveniente concentrarsi del grande mondo, del “macrocosmo”, all’interno di un centro spirituale personale e individuale, il microcosmo, e questo farsi mondo di una persona umana nell’amore e nella conoscenza: si tratta semplicemente di due espressioni delle diverse direzioni alla cui luce si può considerare lo stesso profondissimo processo configurativo che si chiama “formazione”.59

Si tratta della ripresa esplicita di un tema cruciale che Scheler, com’è noto, sviluppa nel fondamentale scritto del ’16 pubblicato postumo con il titolo di Ordo amoris:60 quello di dar forma al divenire personale in una struttura individuale, in «un’insieme di schemi ideali» che si trasformano nel proprio stile e «che precedono tutte le esperienze contingenti, lavorano unitariamente su di esse e le inseriscono nell’intero del mondo personale».61

La formazione personale si avvale fondamentalmente per Scheler di «un sapere d’essenza, strutturato e ottenuto in relazione a uno o a pochi esemplari di una cosa che siano genuine o pregnanti, sapere fattosi forma e regola della comprensione, “categoria” di tutti i fatti contingenti dell’esperienza futura che ricadono sotto la stessa essenza».62 Il sapere d’essenza è quella capacità di scindere il che cos’è nella sua tipicità ideale da ciò che esiste contigentemente e che consente in tal modo di comprenderne l’esistenza. Solo se si è già intuita l’essenza del fenomeno da indagare è possibile osservarlo e studiarlo. Si tratta secondo Scheler di quella libertà di poter oltrepassare l’esistenza fattuale tramite l’individuazione delle sue determinazioni essenziali, del loro So-sein, del loro esser-così in senso non accidentale. L’esempio grandioso è quello della conversione di Budda, il quale, nonostante fosse stato tenuto rinchiuso per lunghi anni nel palazzo paterno, lontano dalla realtà dolorosa del mondo, dopo aver incontrato per la prima volta un povero, un malato ed un morto, coglie attraverso tre fatti casuali «la struttura essenziale del mondo».63

Ogni gruppo storico-culturale possiede a giudizio di Scheler questa capacità, che è strutturata non solo attraverso le forme del pensiero e dell’intuizione eidetica ma anche e fondamentalmente negli atti spirituali dell’amare e dell’odiare e del loro conseguente ordine assiologico. Si tratta di quella straordinaria qualità di cui parla Scheler in Die Stellung des Menschen im Kosmos, quella dell’uomo come asceta della vita, come colui che è in grado di saper liberare l’essenza dal suo legame con l’esistenza, libertà di poter sciogliere il vincolo costrittivo con la sfera del mondo vitale, senza annullarlo o scalfirne l’esistenza ma indicandone invece il senso ideale.64 Questa qualità è la qualità ontologica fondamentale che caratterizza il sapere formativo nel suo accrescere la dimensione individuale-personale: quella «del prender parte di un essente all’esser così (Sosein) di un altro essente senza che in tale esser così sia stata posta alcuna alterazione».65 Una qualità che è anche l’essenza stessa della tensione che lega il sapere all’amore: «senza una tendenza nell’ente che “sa” ad uscire fuori da sé per avere parte a un altro ente non c’è affatto alcun “sapere” possibile. Non trovo altro nome per questa tendenza se non “amore”».66 Una qualità inoltre che, come cercheremo di approfondire, mette bene in luce la centralità della forza mediatrice del sapere formativo nell’idea d’Europa scheleriana attraveso la mediazione tra la capacità pratica tecnico scientifico di controllo e manipolazione della realtà in base ai valori vitali e quella dimensione spirituale-sacrale dal cui predominio tale sapere si è liberato.

5.

In Die Formen des Wissens und die Bildung Scheler parla, com’è noto, di tre forme essenziali del sapere che sottostanno rispettivamente alle tre forme essenziali del divenire: il sapere volto alla trasformazione del divenire del mondo tramite il dominio e la pratica tecnico-scientifica (Herrschaft oder Leistungswissen), il sapere inteso come formazione del divenire del pieno dispiegamento dell’essere personale (Bildungswissen) e infine il sapere di liberazione che ha come fine il divenire atemporale del divino nel suo supremo essere in sè e nel suo fondamento d’essere (Erlösungs- oder Heilswissen).67 Le tre forme di sapere sono ordinate gerarchicamente da Scheler in forma ascensionale: dal valore vitale del sapere pratico-scientifico a quello spirituale della formazione personale sino al vertice del sapere sacrale di liberazione.68 «Nessuna di queste specie di sapere può “rimpiazzare” o “sostituire” le altre».69 La questione essenziale, quella dell’Ausgleich, si rivela allora essere quella dell’armonizzazione dei tre saperi, i quali non si reggono in sè se lasciati isolati ma richiedono invece la loro integrazione nel rispetto del loro ordine assiologico:

nella loro storia, le grandi culture hanno sviluppato ciascuno in modo unilaterale le tre specie di sapere. L’India ha coltivato il sapere di liberazione e la tecnica psichico-vitale volta al raggiungimento della capacità di dominio (Machtgewinnung) dell’uomo su sé stesso, la Cina e la Grecia hanno coltivato il sapere di formazione, mentre l’Occidente dall’inizio dell’XII secolo ha sviluppato il sapere finalizzato al lavoro nelle scienze positive specialistiche. Stando così le cose, è giunto ora il momento epocale in cui deve avere inizio un’armonizzazione e insieme un’integrazione di questi orientamenti unilaterali dello spirito.70

Rispetto a tali questioni l’idea d’Europa allora non si dissolve affatto ma piuttosto acquista un ruolo fondamentale proprio nel farsi carico della riproposizione di quei caratteri fondamentali per la formazione personale che sono in qualche misura il ponte necessario con le altre due forme di sapere. Scheler ritiene in questo modo di riaccendere il senso filosofico antico della metafisica, quella «audacia della ragione di spingersi fin nell’assolutamente reale, audacia di cui si risponde solo personalmente e con tutte le forze personali dell’essenza dell’uomo»,71 audacia tramite cui il sapere metafisico si rivela come la principale leva per ogni possibile crescita e rinnovamento individuale-personale. La metafisica in questo senso deve essere strettamente intrecciata alla formazione personale, la quale si può sviluppare solo «attraverso la funzionalizzazione del sapere eidetico».72 Si tratta, come si è visto, di quella capacità di «ideazione ed essenzializzazione delle singole esperienze contingenti esercitata sempre in modo rinnovato».73 La metafisica, allora, da questo punto di vista, si trova ad essere in contrasto con il necessario specialismo delle scienze moderne. Non potendo completarsi né incrementarsi in un processo di formazione (Bildungsprozess), la scienza è in sé destinata ad un’interminabile processo produttivo, infinito per principio. Solo nel sapersi ricongiungere ai valori metafisici, i risultati del sapere scientifico possono, allora prender parte, integrandosi, al valore della formazione personale.74

Si tratta, di conseguenza, per l’idea d’Europa che voglia farsi carico di tali questioni, di portare a chiara coscienza quelle che Scheler chiama un «minimo di convinzioni metafisiche comuni», quelle convinzioni che devono essere dunque in grado di sorreggere anche il sapere scientifico-tecnologico e che nelle battute finali dello scritto Probleme einer Soziologie des Wissens del 1926 prendono la forma di una vera e propria richiesta di una costruzione di un’«università paneuropea».75 L’occidente ha smarrito quasi completamente l’idea di una tale metafisica «completamente soffocato com’è – secondo Scheler – dall’opprimente fede dogmatica della chiesa da un lato e dalla scienza positiva specialistica di prestazione dall’altro. Isolare l’uomo e separarlo dal contatto vivente ed esistenziale con il fondamento di tutte le cose significa produrre in lui un pauroso restringimento».76 Il ruolo cruciale di un’idea d’Europa nel possibile riscatto dall’invecchiamento spirituale europeo sta dunque in un rinnovato rapporto di integrazione tra il sapere scientifico moderno e il sapere d‘essenza che, seppure trasfigurato nella visione centrale dell’Ausgleich, ripropone la questione centrale husserliana di fronte alla crisi europea della mediazione della fenomenologia tra le scienze e il mondo della vita.77

6.

L’idea di Europa di fronte al mondo globale e al predominio tecnologico-scientifico si propone dunque come un’idea di rinascita di un sapere inteso come sapere di formazione e rinnovamento personale:

La più recente storia dell’Occidente e delle sue appendici culturali autonomamente sviluppatesi (America ecc.) ha coltivato quasi esclusivamente, e in modo sempre più unilaterale, il sapere di rendimento orientato alla possibile trasformazione pratica del mondo, sviluppandolo nella forma delle scienze positive specialistiche secondo la divisione del lavoro. Nella storia più avanzata dell’Occidente il sapere di formazione e quello di redenzione sono stati messi sempre più in secondo piano.78

La caratteristica più importante del configurarsi della storia occidentale della religione rivelata e delle scienze esatte è la «lotta comune» contro ogni forma di spirito metafisico autonomo, che in conformità con l’antico spirito pratico romano, agisce cercando di sottomettere ogni forma di atteggiamento teorico-contemplativo. In tale aspetto fondamentale risiede per Scheler l’essenziale differenza con le culture asiatiche, nelle quali è invece la metafisica di auto-conoscenza e salvezza a conseguire la vittoria sulla scienza positive. Da tutto questo, inoltre, scaturisce la credenza orientale «nella superiorità dell’ideale del saggio rispetto ai modelli e agli ideali occidentali degli eroi e dei santi»79 e, assieme, anche il mancato avvento di una scienza specialistica sulle cui basi si possa sviluppare un’industria tecnica di produzione.

Per Scheler l’ethos, i valori guida delle collettività umane, hanno una validità relativa e consistono nelle «regole di volta in volta dominanti e valide per la preferenza dei valori spirituali».80 La metafisica buddista e il suo ethos, ad esempio, sviluppano una volonta di dominio per nulla inferiore a quella occidentale con la differenza però che essa non è rivolta alla soddisfazione personale per mezzo dei beni esteriori ma al controllo interiore dell’anima e di tutti processi corporei ad essa connessi.81 Solo quando sarà possibile mettere insieme l’arte tecnico-scientifica occidentale volta alle eliminazione delle cause esterne del male e del dolore, con l’arte orientale «fondata sulla tecnica dell’anima», quella dell’eliminazione del male intimo della sofferenza interiore, vi sarà, dunque, la concreta possibilità di un effettiva armonizzazione, di una nuova razionalità globale.82 «L’Europa e l’Asia hanno avviato l’opera del sapere possibile dell’uomo in direzioni radicalmente diverse: l’Europa nella direzione che va prevalentemente dalla materia all’anima, l’Asia in quella che va dall’anima alla materia. […] Unicamente in questa sintesi potrebbe nascere l’uomo universale, essenzialmente possibile».83

La persona, in Scheler, non significa semplicemente la persona individuale ma include anche i soggetti collettivi fondati su di un ethos comune di ordine di valori, quali le nazioni, gli stati, la chiesa, l’Europa, l’India etc. «Il sapere che i membri di un certo gruppo hanno gli uni degli altri e la possibilità del loro reciproco “comprendersi” non è in primo luogo un qualcosa che sopraggiunga in un gruppo sociale ma piuttosto è un qualcosa che con-costituisce (mitkonstituiert) l’oggetto “società umana”».84 La persona non vive né casualmente e neppure fattualmente ma essenzialmente una vita comunitaria, originariamente l’essere dell’uomo è dunque sia un essere per sé stesso, sia un essere con altri uomini.85 Si tratta dunque di mettere insieme, di armonizzare, sistemi di valori relativi a vantaggio di una cooperazione solidale universale tra tutti i popoli e le nazioni. Non però nell’accezione di una astratta dottrina storico-universale ma come quel riferimento concreto ed essenziale ad un’ordine personale di valori in cui possa rispecchiarsi l’ethos della solidarietà: principio comune di una personalità individuale che si riconosce in quella collettiva, che già Scheler nel Formalismus definiva come «un cosmo di persone etiche finite».86

Rispetto a tutto ciò il problema principale dell’Ausgleich non è allora solo quello dell’armonizzare i differenti e relativi ethos valoriali delle tradizioni orientali e occidentali ma quello di dar loro un governo e una guida di fronte al loro integrarsi in uno sviluppo e in un processo globale la cui forza e realta è del tutto avvolgente e ineludibile: «noi – afferma Scheler – possiamo ben guidare e dirigere il flusso degli eventi, in primo luogo lo possono gli uomini di stato che comandano ma in una qualche misura ciascun individuo in quanto soggetto politico. […] Noi possiamo guidare e orientare ma non produrre e generare. E guidare e condurre è un’attività negativa – significa ostacolare e liberare le forze presenti e le tendenze, in conformità con le idee e i valori che ci orientano».87

Ben diversamente di un inconciliabile dualismo della cui accusa da più parti è stato fatto oggetto Scheler in relazione alla famosa teoria dell’Onmacht des Geistes,88 emerge qui in tutta la sua centralità il valore di mediazione e di conciliazione del sapere formativo-personale tramite cui la forza vitale delle scienze moderne deve essere frenata e guidata: per Scheler, «ogni sapere finalizzato al lavoro e al raggiungimento dei possibili scopi dell’uomo in quanto essere vivente deve essere al servizio dello sviluppo del centro più profondo tra quelli posseduti dall’uomo, ossia al servizio della sua persona».89 Non si tratta dunque di una qualche forma inefficace quanto velleitaria di volontarismo, ma della comprensione della forza vitale della tecnica scientifica moderna nella sua dimensione pervasiva e globale, dilagante quanto efficace, ma che, in quanto tale, va frenata, diretta e guidata: «dirigere (Leiten) è la funzione primaria dello spirito, guidare (Lenken) quella secondaria. Dirigere è mantenere un’idea in cui è accentuato il valore, guidare è un inibire o disinibire gli impulsi istintivi, i cui movimenti coordinati realizzano l’idea. Il dirigere determina la forma del guidare».90

Il tema del rinnovamento e della trasformazione personale è dunque un tema centrale per la riflessione scheleriana sulla gobalizzazione, centrale per il destino stesso dell’idea di Europa e per il suo contenuto politico. Indispensabile in questo senso diviene l’esigenza di costruire un gruppo dirigente, un’«élite ben selezionata, dinamica, energica», in grado di mettere insieme cultura e potere e di saper guidare, su questa base, il processo di integrazione mondiale delle nazioni. Un gruppo dirigente, dunque, capace di dar fronte alla nuova epoca del mondo (Weltalter) e alle sue sfide, in grado di non sottovalutare affatto «quel profondo cambiamento di cose, circostanze, istituzioni, concetti e forme fondamentali delle arti e di quasi tutte le scienze» del mondo moderno e di dare un governo positivo a quel cambiamento che è un «cambiamento dell’uomo stesso».91 Tale gruppo dirigente dovrebbe infine farsi carico, in tutta la sua gravità, di una fondamentale responsabilità dischiusa dalla stessa esigenza dell’ora dell’epoca attuale: quello di preservare l’Europa dall’avvento di una nuova Guerra, dal Crepuscolo degli dei, dall’annichilimento totale di sé e della propria cultura.

Rispetto a tale monito il destino europeo è andato invece esattamente e tragicamente nella direzione opposta. Ma di esso rimane intatto, ed oggi ancor più incalzante, il messaggio fondamentale dell’idea d’Europa: lottare per la costruzione e l’attuazione di quel progetto federativo giuridico-politico, che già Kant aveva messo in luce nel suo saggio sulla pace perpetua,92 e che Scheler definisce come «una ricerca dei comuni compiti europei per il futuro nella cui realizzazione fondata sulla cooperazione dei popoli possono unirsi ed in tal modo attenuare le loro tendenze belliciste ».93 Si tratta del medesimo, cruciale, problema storico di cui anche Husserl, di fronte alla crisi europea, era profondamente consapevole ed il cui superamento auspicato doveva portare ad un profondo cambiamento e ad una profonda trasformazione dello sviluppo delle singole nazioni verso un’integrazione globale: ogni «nazione – sosteneva Husserl – ha la sua propria storicità, che si è originariamente sviluppata all’interno della sua propria generatività. Entrando in relazione con un’altra nazione, con i suoi elementi storici, si avvia, nello stesso tempo, un processo tendente a una trasformazione della storicità nazionale, verso una storicità politica e verso una certa unificazione delle diverse politiche in una storicità di ordine superiore».94


  1. Cfr. M. Scheler, Der Mensch im Weltalter des Ausgleichs, Späte Schriften, Gesammelte Werke (d’ora in poi GW e numeraz. sgg) , Band IX, Bouvier, Bonn 1995, pp. 145-170. ↩︎

  2. M. Scheler, Die christliche Liebesidee und die gegenwärtige Welt, in Vom Ewigen im Menschen, GW V, Franke Verlag, Bern 1968, p. 386. Cfr. R. A. Mall, Philosophie im Vergleich der Kulturen, Wissenschafliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1995, p. 44. ↩︎

  3. Per Scheler lo scoppio della guerra mondiale rappresentava la prima «esperienza globale» dell’umanità. Cfr. Der Krieg als Gesamterlebnis (1916), in Politisch-pedagogische Schriften, GW IV, Bouvier, Bonn 1982, pp. 267-282. ↩︎

  4. M. Scheler, Europa und der Krieg (1915), GW IV, p. 253. ↩︎

  5. Cfr. M. Scheler, Der Genius des Krieges und der deusche Krieg, GW IV, pp. 7- 250. Per una puntuale e rigorosa distinzione delle varie fasi dell’idea scheleriana d’Europa, cfr. W. Henckmann, Max Scheler e l’idea di Europa nell’epoca del livellamento, in R. Cristin, M. Ruggenini (a cura di), La Fenomenologia e l’Europa, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 1999, pp. 305-329. ↩︎

  6. Cfr. M. Scheler, Vom Kulturellen Wiederaufbau Europas, GW V, pp. 416-417. ↩︎

  7. Ivi, p. 421. ↩︎

  8. Ibidem, p. 429, tr. it di P. Premoli De Marchi, in L’eterno nell’uomo, Bompiani, Milano 2009, p. 1039. ↩︎

  9. Cfr. E. Husserl, Fünf Aufsätze über Erneuerung, in Aufsätze und Vorträge (1922-1937), Husserliana (d’ora in poi HUA e numeraz. sgg.), Band XXVII, Kluwer, Dordrecht 1989, pp. 3-124. ↩︎

  10. Cfr. E. Husserl, Fichtes Menschheitsideal, in Aufsätze und Vortäge (1911-1921), HUA XXV, pp. 267-293. Sia Husserl che Scheler sono del tutto assorbiti dal clima intellettuale di quegli anni interamente favorevole alla Guerra come ad es. nel caso di Georg Simmel e Max Weber. ↩︎

  11. E. Husserl, Die Krisis der Europäischen wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, HUA VI, M. Nijhoff, Den Haag 1976. ↩︎

  12. Cfr. M. Scheler, Vom Kulturellen Wiederaufbau Europas, GW V, pp. 422-423. ↩︎

  13. Ibidem p. 429, tr. it. cit., p. 1039. ↩︎

  14. E. Husserl, Formale und transzendentale Logik, HUA XVII, Nijhoff, Den Haag 1974, pp. 4-5, tr. it. di G. D. Neri in Logica formale e trascendentale, Laterza, Bari 1966, p. 8. ↩︎

  15. HUA XXVII, p. 118, tr. it. di C. Sinigaglia, in L’idea di Europa, Raffaello Cortina Editore, Milano 1999, p. 136 ↩︎

  16. HUA XVII, pp. 3-4, tr. it. cit., pp. 6-7. ↩︎

  17. HUA VI, p. 348, tr. it. di E. Filippini, in La crisi delle scienze europeee e la fenomenologia trascendentale, il Saggiatore, Milano 1961, p. 358. ↩︎

  18. Per la centralità della nozione di Urstiftung nella fenomenologia husserliana cfr. L. Niel, Husserl’s Concept of Urstiftung: From Passivity to History in R. Walton et al. (eds), Perception, Affectivity, and Volition in Husserl’s Phenomenology, Springer, Dordrecht/Heidelberg/New York/London 2017, pp. 137-161. ↩︎

  19. Cfr. Ibidem, pp. 18-60. ↩︎

  20. Cfr. G. Piana, Conversazioni su“ La crisi delle scienze europee” di Husserl, Lulu.com 2013, pp. 13-14. ↩︎

  21. HUA VI, p. 4, tr. it. cit. p. 35. ↩︎

  22. E. Husserl, Erste Philosophie (1923/4). Erster Teil: Kritische Ideengeschichte, HUA VII, M. Nijhoff, Den Haag 1956, p. 207. ↩︎

  23. HUA VI, p. 334, tr. it. cit., p. 346. ↩︎

  24. E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie. Ergänzungsband. Texte aus dem Nachlass 1934-1937, HUA XXIX, Kluwer, Dordecht/Boston/London 1993, pp. 137-138. ↩︎

  25. HUA VI, p. 46, tr. it. cit., pp. 75-76. ↩︎

  26. HUA VI, p. 198, tr. it. cit., p. 219. ↩︎

  27. HUA XXVII, p. 73, tr. it. cit., p. 87. ↩︎

  28. Cfr. HUA VI, pp. 12- 14. ↩︎

  29. Cfr. HUA VI, pp. 318-319. ↩︎

  30. HUA VI, p. 319, tr. it. cit., p. 333. ↩︎

  31. In questo senso ci sembrano del tutto inadeguate le accuse rivolte ad Husserl da Derrida di razzismo eurocentrista, così come quella di Feyerabend di un’enfatica presunzione nell’intendere i filosofi come «I funzionari dell’umanità». Cfr. J. Derrida, De l’esprit: Heidegger et la question, ed. Galilée, Paris 1987, pp. 94, nota 2, e P. Fayerabend, Farewell to Reason, Verso, London/New York 1987, p. 274 e p. 277. Come scrive R. De Monticelli in Al di qua del bene e del male, Einaudi, Torino 2015, p. 155: «Europa più che un continente è una sempre rinascente eccedenza dell’ideale sul reale e del diritto sul potere, del valore sul fatto e della ricerca sul dogma». ↩︎

  32. Come sostiene E. Franzini in Oltre l’Europa. Dialogo e differenze nello spirito europeo, Edizioni dell’arco, Milano 1992, p. 31: «Husserl combatte qui contro una razionalità unilaterale, contro l’assolutizzazione di qualsiasi verità singola, contro il naturalismo ingenuo o scientista». ↩︎

  33. HUA XXIX, p. 16. ↩︎

  34. Cfr. HUA XXIX, pp. 16-17. ↩︎

  35. HUA XXXII, p. 147. ↩︎

  36. Cfr. ivi p. 33. ↩︎

  37. HUA XXXII, p. 148. ↩︎

  38. Cfr. HUA XXIX, p. 373. ↩︎

  39. Natur und Geist, Vorlesungen Sommersemester 1927, HUA XXXII, Kluwer, Dordrecht 2001, p. 147. ↩︎

  40. E. Husserl, Phänomenologie und Antropologie, HUA XXVII, p. 177. ↩︎

  41. HUA XXIX, pp. 15-16. ↩︎

  42. E. Husserl, Analysen zur passiven Sinthesis, HUA XI, Nijhoff, Den Haag 1996, pp. 218-219, tr. it. di V. Costa. in Lezioni sulla sintesi passive, La Scuola, Brescia 2016, p. 324. Cfr. L. Landgrebe, Phänomenologie und Geschichte, Gütersloher Verlaghaus Gerd Mohn, Gütersloh 1968, pp. 15-16. ↩︎

  43. Cfr. L. Landgrebe, Der Weg der Phänomenologie, Gütersloher Verlaghaus Gerd Mohn, Gütersloh 1963, p. 21. ↩︎

  44. Cfr. E. Husserl, Aktive Synthesen: Aus der Vorlesung ‘Transzendentale Logik’ 1920/21. Ergänzungsband zu “Analysen zur passiven Synthesis”, HUA XXXI, Kluwer, Dordecht/Boston/London 2000. ↩︎

  45. E. Husserl, Erste Philosophie (1923/24). Zweiter Teil: Theorie der phänomenologische Reduktion, HUA XIII, Nijhoff, Den Haag 1959, p. 153, tr. it. di V. Costa, in Filosofia prima. Teoria della riduzione fenomenologica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, p. 198. ↩︎

  46. Per Husserl, come sottolinea Landgrebe in Phänomenologie und Geschichte, cit., pp. 30-32, tr. it. a cura di G. Forni, inFenomenologia e storia, il Mulino, Bologna 1972, p. 33: «l’assolutezza della filosofía come scienza non vuol dire quindi altro che l’assolutezza del suo punto di partenza. […] Ciò non comporta affatto l’idea che la filosofía possa giungere ad una connessione di fondazione assoluta ed eternamente valida di determinati teoremi; che la fenomenología husserliana avanzi l’assurda pretesa di avere in qualche modo filosofato anche per i tempi futuri. […] Al contrario: il ritorno alla soggettività trascendentale è ritorno alle sue operazioni costitutive, le quali sono già sempre avvenute, e divengono accessibili alla nostra autocomprensione come operazioni intenzionali nello svelamento delle implicazioni di senso degli enti e di noi stessi». ↩︎

  47. Come sostiene V. Costa in Husserl, Carocci, Roma 2009: p. 164: «Ciò che chiamo “io” è una storia, io sono una storia. Il cogito è dunque esso stesso già una storia, è un movimento, è l’effetto di una storia. L’io che costituisce il mondo è esso stesso costituto, l’io che costituisce la storia è esso stesso un io che si è costituto in una storia. […] La nozione di trascendentale, cioè il movimento dell’apparire e il costituirsi dell’esperienza, si modifica e viene a coincidere con la nozione stessa di storia». ↩︎

  48. Cfr. G. Piana, Conversazioni su“ La crisi delle scienze europee” di Husserl, cit., pp. 114-115. ↩︎

  49. HUA XXIX, p. 15. ↩︎

  50. M. Scheler, Der Mensch im Weltater des Ausgleichs, GW IX, p. 150. ↩︎

  51. Cfr. ivi, p. 152. ↩︎

  52. Ivi, p. 151, tr. it. di G.Mancuso, in Formare l’uomo, FramcoAngeli, Milano 2009, p. 128. ↩︎

  53. Cfr. GW IX, p. 153. ↩︎

  54. Ivi, p. 152. ↩︎

  55. GW IX, p. 164, tr. it. cit., p. 142. ↩︎

  56. GW IX, p. 165, tr. it. cit., p. 143. ↩︎

  57. Cfr GW IX, pp. 155 sgg. ↩︎

  58. Cfr. M. Scheler, Prophetischer oder marxistischer Sozialismus, Schriften zur Soziologie und Weltanschaungslehre, GW VI, Bouvier, Bonn 1986, p. 271. ↩︎

  59. M. Scheler, Die Formen des Wissens und die Bildung, GW IX, p. 91. Cfr. anche M. Scheler, Der Formalismus in der Ethik und die material Wertethik, GW II, Francke Verlag, Bern 1980, p. 395. ↩︎

  60. Cfr. M. Scheler, Ordo Amoris in Schriften aus dem Nachlass. Band I, GW X, Bouvier, Bonn 1986, pp. 345-376. ↩︎

  61. Cfr. M. Scheler, Die Formen des Wissens und die Bildung, GW IX, p. 118. ↩︎

  62. Ivi, p. 109. ↩︎

  63. Cfr. Die Stellung des Menschen im Kosmos, GW IX, pp. 40-41. ↩︎

  64. Cfr. Ivi, p. 44. ↩︎

  65. M. Scheler, Die Formen des Wissens und die Bildung, GW IX, p. 111. Cfr. per le considerazioni che seguono anche M. Scheler, Erkenntnis und Arbeit. Eine Studie über Wert Und Grenzen des Pragmatischen Motivs in der Erkenntnis der Welt, GW VIII, Francke Verlag, Bern 1980, pp. 203-211, che corrispondono grosso modo alle pp. 111-119 di Die Formen des Wissens und die Bildung↩︎

  66. M. Scheler, Die Formen des Wissens und die Bildung, GW IX, p. 113. ↩︎

  67. Cfr. M. Scheler, Die Formen des Wissens und die Bildung, GW IX, pp. 113 sgg. ↩︎

  68. Cfr. ivi, p. 114. ↩︎

  69. GW IX, p. 119, tr. it. p. 86. ↩︎

  70. M. Scheler, Die Formen des Wissens und die Bildung, cit., p. 119, tr. it. cit., pp. 86-87. ↩︎

  71. M. Scheler, Probleme einer Soziologie des Wissen, Die Wissenformen und die Gesellschaft, GW VIII, p. 87, tr. it. cit., p. 86, tr. it. di D. Antiseri, in Sociologia del sapere, ed. Abete, Roma 1976, p. 151. ↩︎

  72. M. Scheler, Probleme einer Soziologie des Wissen, cit., p. 87, tr. it. cit., p. 152. ↩︎

  73. M. Scheler, Der Mensch im Weltater des Ausgleichs, GW IX, p. 163, tr. it. cit., p.141. ↩︎

  74. Cfr, GW IX, Der Mensch im Weltater des Ausgleichs, cit., pp. 87-88. ↩︎

  75. Cfr. M. Scheler, Probleme einer Soziologie des Wissens, GW VIII, pp. 185 sgg. ↩︎

  76. M. Scheler, Der Mensch im Weltater des Ausgleichs, GW IX, p. 163, tr. it. cit., p. 141, ↩︎

  77. Si tratta a nostro giudizio di un’importante analogia tra Husserl e Scheler, nonostante quest’ultimo accusi la riduzione fenomenologica husserliana di limitarsi ad essere una tecnica gnoseologica. Una tecnica che non sarebbe in grado di tener conto della messa fuori gioco della dinamicità effettiva della realtà pulsionale-istintiva dalla cui sospensione scaturisce per Scheler la conoscenza essenziale. Cfr. Probleme einer Soziologie des Wissen, GW VIII, pp. 138-139. Per un approfondimento di tali questioni, che cerca di mettere in risalto tratti comuni e sostanziali differenze tra la costituzione del senso nell’accezione trascendentale husserliana e il rapporto di trascendenza tra essenza e realtà in Scheler, ci sia consentito rimandare al nostro Fenomenologia delle emozioni. Scheler e Husserl, Mimesis, Milano 2016, pp. 111-129. ↩︎

  78. M. Scheler, Die Formen des Wissens und die Bildung, GW IX, p. 115, tr. it. cit., p. 82. ↩︎

  79. M. Scheler, Probleme einer Soziologie des Wissen, GW VIII, p. 81, tr. it. cit., p.144. ↩︎

  80. M. Scheler, Probleme einer Soziologie des Wissen, cit., p. 93, tr. it. cit., p. 158. ↩︎

  81. Cfr. M. Scheler, Probleme einer Soziologie des Wissen, GW VIII, p. 95. ↩︎

  82. Cfr. ivi, p. 139. Cfr. anche, Max Scheler, Der Mensch im Weltater des Ausgleichs, GW IX, p. 160 e Max Scheler, Vom Sinn des Leides, in Schriften zur Soziologie und Weltanschauungslehre, GW VI, Bouvier, Bonn 1986, pp. 55 sgg. ↩︎

  83. M. Scheler, Probleme einer Soziologie des Wissen, GW VIII, p. 146, tr. it. cit., p, 220. ↩︎

  84. M. Scheler, Probleme einer Soziologie des Wissen, GW VIII, p. 52, tr. it. cit., p.113. ↩︎

  85. Cfr. M. Scheler, Die christliche Liebesidee und die gegenwärtige Welt, GW V, p. 372. ↩︎

  86. M. Scheler, Der Formalismus in der Ethik und die material Wertethik, GW II, p. 523. Cfr. M. Scheler, Probleme einer Soziologie des Wissen, GW VIII, p. 154. ↩︎

  87. M. Scheler, Zur Idee des ewigen Friedens und der Pazifismus, GW XIII, Bouvier Verlag, Bonn 1990, p. 97, tr. it. a cura di L. Allodi, in L’idea di pace e il pacifismo, FrancoAngeli, Milano 1995, p. 144. ↩︎

  88. Si veda ad es. E. Cassirer, Geist und Leben in der Philosophie der Gegenwart in <<Die neue Rundschau>>, 41 (1930); H. Plessner, Erinnerungen an Max Scheler e A. Gehlen, Ruckblickauf die Antropologie Max Schelers in P. Good (a cura di), Max Scheler im Gegenwartsgeschen der Philosophie, Francke Verlag, Bern 1975, rispettivamente alle pp. 23-27 e 179-188; per una attenta ricostruzione del dibattito cfr. G. Cusinato, Impotenza dello spirito e dualismo nell’ultimo Scheler, in «Verifiche», 1995, n. 1-2, pp. 65-100. ↩︎

  89. M. Scheler, Die Formen des Wissens und die Bildung, GW IX, p. 119, tr. it. cit., p. 87. ↩︎

  90. M. Scheler, Probleme einer Soziologie des Wissen, GW VIII, p. 40, Nota 1, tr. it. cit., p. 110, nota 29. Cfr. Die Formen des Wissens und die Bildung, GW IX, pp. 100-101; Philosophische Weltanschauung, GW IX, p. 81, Die Stellung…, GW IX, p. 44 e p. 49 e Idealismus-Realismus , GW IX, p. 236, nota 1. ↩︎

  91. Cfr. M. Scheler, Der Mensch im Weltater des Ausgleichs, GW IX, pp. 145-147. ↩︎

  92. Cfr. I. Kant, Zum ewigwn Frieden. Ein philosophischer Entwurf, Hofenberg, Berlin 2016, p. 48. ↩︎

  93. M. Scheler, Zur Idee des ewigen Friedens und der Pazifismus, GW XIII, p. 121, tr. it. cit., p. 172. ↩︎

  94. HUA XXIX, p. 10. ↩︎