Il governo delle emozioni. Husserl e la vocazione personale

Quest’unico dominio del bello […] è ciò cui io stesso appartengo dal centro più profondo della mia personalità, ed esso a sua volta mi appartiene in quanto mi è proprio, in quanto è ciò che mi interpella nel mio essere personale ed è ciò in cui io sono chiamato.1

1. L’ordine personale

Nell’esordio di Ordo amoris Max Scheler parla di un interminabile processo in cui sono coinvolti il mio agire, le mie passioni, le mie volizioni, la mia percezione cognitiva e da cui consegue che ogni sorta di giustezza, falsità e stortura della mia vita e del mio agire venga ad essere determinata «come se si desse un oggettivo giusto ordine di questi moti del mio amore e odio, delle mie inclinazioni e avversioni, del mio molteplice interesse alle cose di questo mondo, e come se fosse possibile imprimere ai miei sentimenti questo “ordo amoris”».2 Non è difficile scorgere dietro a queste affermazioni un tema fenomenologico fondamentale del pensiero scheleriano: quello del radicamento del mondo dei valori in ciascun vissuto individuale e del celarsi in tale radicamento del nucleo che sta dietro ogni agire personale.

Il radicamento personale nel mondo dei valori, il suo ordine o eventuale disordine corrisponde per Scheler «al peculiare modo dei suoi atti e delle sue potenzialtà d’odio e d’amore»,3 e rappresenta inoltre una sorta di norma fondamentale per il riconoscimento reciproco: «chi ha l’ordo amoris di un uomo ha quest’uomo»,4 chi comprende l’ordo amoris dell’altro ne conosce la valenza etica fondamentale, la struttura valoriale portante del suo essere personale individuale.

Il rapporto vincolante tra ragione, conoscenza e mondo dei valori è un tema centrale anche per Husserl sin dal periodo delle Ricerche Logiche. Con parole che riecheggiano i temi dell’ordo amoris scheleriano, Husserl si domanda: «come posso ordinare razionalmente la mia vita e le mie aspirazioni, come posso sfuggire alla penosa discordia con me stesso, come alla legittima riprovazione dei miei simili? Come posso disporre la mia vita intera al bello e al buono e come posso, in linea con l’espressione tradizionale, ottenere la pura eudaimonia, la felicità? ».5

In un passo del Formalismusbuch, Scheler parla della sfumatura assiologica d’un oggetto (Wertnuance) come del “Medium”, che lo precede ed è il primo ambasciatore (der erste Bote) della sua immagine e del suo significato concettuale.6 Anche per Husserl, il valore informa di sé il proprio oggetto e viene percepito attraverso atti emozionali specifici. Anche per le analisi husserliane è dunque essenziale l’intreccio tra la sfera motivazionale volitiva che pone in gioco i valori e la sfera emotiva tramite cui essi si manifestano, vengono percepiti e riconosciuti come tali. Sulla scorta di queste suggestioni, cercheremo di discutere in Husserl, sebbene a tratti generali, il costituirsi di un ordine personale in relazione ai valori e alla loro cognizione. Un ordine in cui si rivela la struttura portante dell’idea stessa di vocazione personale: quella di essere il nesso essenziale tra la sfera emotiva (Gemüt), la motivazione della volontà e la coerenza logico-argomentativa.

Tramite l’analisi del valore, la sfera emotiva si rivela per Husserl non solo come una dimensione antepredicativa del giudizio cognitivo ma anche come condizione di un suo concreto arricchimento di significato. Tramite il valore e la sfera della percezione emotiva (Fühlen) a cui esso è vincolato, può essere inoltre ampliato, colorito, il senso ristretto, formale, dell’enunciato predicativo. Ad es. «al fiore visto, proprio in virtù del piacere che ci procura, spetta qualcosa che va oltre il contenuto delle note caratteristiche fornite dalla percezione: in virtù di questo piacere il fiore assume un contenuto ulteriore, cioè il carattere di “attraente, bello, amabile” e simili. Passiamo con facilità dall’atteggiamento del piacere, dove l’io è emotivamente rivolto verso il fiore, all’atteggiamento del giudizio, in cui il “bello”, l’“attraente” viene afferrato in una credenza che si radica nell’esperienza e poi viene trasformato in un enunciato predicativo. […] Tutti questi predicati, dunque, hanno un’origine antepredicativa e, prima dell’esperienza che li afferra, sono già dati emotivamente. Così come altri predicati, quelli relativi al buono o al cattivo, all’utile […] e al dannoso, hanno la loro fonte nella volontà legata alla sfera emotiva che pone il valore».7

Per Husserl, al contrario di Kant, il giudizio estetico può tradursi in un giudizio cognitivo. E ciò può accadere in virtù del duplice aspetto del valore: quello del suo manifestarsi nella sfera emotiva e quello, correlativo, del suo concretizzarsi tramite la scelta razionale della volontà agente, che lo riconosce come tale e se ne appropria come suo motivo fondamentale. Come nell’esempio citato, è proprio il valore a fare da ponte, a rendere cioè possibile il passaggio dalla dimensione del sentimento estetico a quella cognitiva, dal sentimento del piacere provocato dal bello alla cognizione di tale sentimento come valore della bellezza.

La sfera emotiva nella sua immediatezza si pone dunque come il manifestarsi del valore che, a sua volta, si rivela come condizione di approfondimento dell’esperienza cognitiva e del suo potersi articolare in enunciati predicativi. Si tratta per Husserl di una tipicità che è estendibile a tutte le scienze come forme umane di cultura e rappresenta il loro tratto peculiare: «Tutte le scienze della cultura, nel senso specifico delle scienze delle formazioni culturali, al posto della mera natura con i loro rispettivi predicati, hanno, nel loro ambito tematico, proprio i predicati che scaturiscono dalla sfera emotiva, quelli che rimandano al soggetto che dà forma ponendo valori e volendo».8

Il valore viene dunque sentito emozionalmente, ma la vera comprensione del valore avviene solo nella scelta razionale, quando cioè l’emozione si è tradotta concretamente in valore: solamente quando l’intelletto riconosce ciò che si è reso manifesto negli atti emozionali come valore, il valore diventa realmente tale. Vi è, per così dire, un atteggiamento dapprima ingenuo, irriflesso del valore nel suo manifestarsi tramite la sfera emozionale e poi un momento positivo, ad esso correlato, in cui il valore viene autenticamente colto e può concretamente essere voluto e fungere da motivazione per l’agire razionale.

Anche per la creazione artistica ed il suo rapporto con il valore del bello, vi è, secondo Husserl, un movimento intenzionale che prende avvio dalla percezione affettiva del valore che si offre nella sfera emotiva e che grazie alla sua cognizione diviene principio di guida dell’attività pratica e la cui realizzazione nell’opera porta infine a pieno compimento, a piena soddisfazione (Erfüllung) l’intuizione originaria. «La sfera emotiva è ciò che puramente in sé pone valori, e la volontà agente è ciò che, puramente in sé, o in quanto tale da forma al bello. La verità, l’autenticità del valore, e dunque dell’opera, si annunciano a loro volta originariamente, in maniera ingenua, nella pura soddisfazione, così come la realizzazione pratica del bello si annuncia in quella coscienza di aver raggiunto il proprio scopo».9

Va però sottolineato che, per Husserl, rispetto a tutto ciò, vi è un’istanza superiore che è quella della responsabilità della conoscenza, la quale, tramite le modalità del conoscere, quelle del giudizio e delle sue forme logiche, può ricondurre l’intuizione del valore a norme assiologiche evidenti e generali.

2. Etica e logica

Esiste una profonda analogia, un’analogia logica tra il conoscere e il valutare, tra la coscienza conoscitiva e quella emotiva e volitiva. Entrambe presuppongono una presa di posizione intenzionale,10 presuppongono cioè la questione della correttezza o scorrettezza delle proprie intenzioni, della loro validità, in altri termini, presuppongono la questione del valore. Si tratta di un presupposto che le accomuna in maniera evidente, ma che non deve far confondere la loro differente qualità, la loro differenza specifico-essenziale, che per Husserl caratterizza le diverse modalità dei vissuti di coscienza. Com’è noto, secondo Husserl, il senso di ciò che è posto intenzionalmente varia nel modo in cui viene posto. Ad es. la coscienza di un ricordo di un paesaggio è evidentemente diversa dalla sua percezione in un vissuto attuale ma questo non significa che entrambi non posseggano una loro legittimità razionale, piuttosto si tratta semplicemente di vissuti differenti in cui il paesaggio è oggetto di un vissuto di ritenzione in un caso e di uno di percezione nell’altro.11

Proprio l’esigenza in sé della comprensione razionale non deve dunque far confondere la ragione emotiva con quella logica. La confusione dei due ambiti si dibatte infatti tra quei due estremi messi in luce da Husserl sin dalle Ricerche Logiche: quello psicologistico in cui la ragione logica viene trasferita alla sfera emozionale traducendola in una sorta di sentimentalismo che si manifesta puramente nel sentire, e quello intellettualistico che tende ad escludere ogni dimensione emotiva nella sfera razionale riducendola a pura attività logica. Il punto decisivo, però, e tutt’altro che scontato, è quello secondo cui la ragione logica è l’aspetto necessario per chiarire la sfera emotiva e volitiva. «La ragione logica deve dunque per così dire gettare uno sguardo anche sul terreno del pratico, deve prestare a questo l’occhio dell’intelletto».12

Come già si è accennato, la ragione assiologica, nella sua qualità specifica, si manifesta solo in virtù degli atti emotivi, solo sulla base del vissuto della coscienza emotiva. La sfera dell’emotività riguarda dunque le decisioni, le valutazioni, il riconoscimento di contenuti di valore, rispetto ai quali richiede precise prese di posizione, richiede cioè quel mettere in evidenza, l’accertare, il determinare, l’obbiettivare nel senso specifico del termine che è un suo compito specifico. In un certo senso spetta alla logica mettere in luce ciò che è già presente nel vissuto emotivo, essa non inventa nulla, poiché «la ragione assiologica con tutto ciò che le compete è per così dire nascosta a sé stessa».13 Per Husserl, la ragione logica, rispetto agli altri ambiti razionali, dispone di una prerogativa normativa straordinaria: quella di predicare le leggi di correttezza e di inferenza non soltanto per ciò che concerne il proprio campo, ma anche per ciò che concerne ogni altra sfera della ragione. La logica offre dunque la capacità argomentativa alla ragione pratica, le dà voce, e fa vedere con evidenza i suoi contenuti razionali senza di cui essa sarebbe totalmente cieca.14

Ma vi è un aspetto ulteriore che lega la ragione logico teorica (theoretische Vernunft) a quella pratica, ed è quello secondo cui la ragione pratica deve valere sotto forma di una coerenza razionale (in Gestalt vernünftiger Kosequenz walten) .15 Anche se vi sono dei parallelismi per cui sia nella ragione teorica che in quella pratica si parla di correttezza e scorrettezza, di valore e disvalore, tutto questo avviene in accezioni diverse, poiché il valore di una inferenza logica ha evidentemente un significato diverso da quello dell’adeguatezza del rapporto tra mezzi e fine per il raggiungimento di uno scopo. La questione decisiva che accomuna entrambe, ragione pratica e ragione teorica, è invece una questione di diritto, vale a dire se e in quale misura le proprie asserzioni siano dimostrabili e giustificabili. Ma per la ragione pratica non è tanto essenziale la questione di fatto, cioè quali siano gli scopi fondamentali che guidano l’agire umano, ma quella di valore, cioè se tali scopi debbano essere perseguiti in quanto effettivamente meritino di essere perseguiti.16 Di qui si pone per Husserl, come domanda conseguente, non solo l’interrogarsi attorno alle singole realizzazioni di singoli scopi, ma la questione etica vera e propria, quella che estende la ragione dei singoli fini e delle singole volizioni alla loro subordinazione ad un fine supremo, la questione normativa per eccellenza: quella dell’ordine dei nostri valori che ogni viva volontà deve realizzare per realizzare il proprio meglio.

L’ordine dei valori — e la determinazione della volontà che li sottende —, sposta decisamente il discorso husserliano dall’analogia tra ragione teorica e pratica verso la sfera etica personale: «chiamiamo “etico” non solo le volizioni e azioni con i loro fini, ma anche le convinzioni permanenti della personalità in quanto direzioni abituali della volontà. […] Così chiamiamo varie gioie o tristezze ora “belle”, nobili, ora cattive, abiette, volgari, e vediamo in ciò predicati etici, e allo stesso modo convinzioni corrispondenti, direzioni abituali del sentimento come l’amore e l’odio. Valutiamo, quindi, tutte le abituali qualità naturali di una persona e, colto nel suo insieme, l’intero “carattere” come etico o eticamente ricusabile […] e così infine e in un modo particolare la persona stessa».17

La capacità della valutazione si trasforma qui non solo nella questione della comprensione del significato dell’unità personale, dell’unità di una vita umana nella sua interezza, ma anche come la facoltà stessa dell’autovalutazione (Selbstbewertung) e dell’autodeterminazione (Selbstbestimmung). Si tratta della centralità che il processo di autoformazione personale come educazione di sé viene ad assumere nel discorso etico husserliano come quella capacità di riconoscere il rapporto tra la norma e il proprio ordine personale dei valori.18

Tali norme non sono nulla di astratto o di puramente formale. Ma sono il contenuto costante della capacità stessa di saperle riconoscere e cogliere come norme personali. Esse sottintendono cioè il saper individuare ciò che per me si pone come obbligo assoluto, il dover essere nella mia declinazione personale individuale che corrisponde per Husserl alla mia stessa vocazione personale per il mio meglio. Questa capacità consiste nel saper confrontare la norma generale con le questioni che ci riguardano direttamente e mettono profondamente in gioco l’ordine dei nostri valori e delle nostre preferenze. Ad es. «la domanda etica concreta: “come devo organizzare la mia vita per una vita che sia assolutamente buona?”, racchiude in sé la domanda: “fa per me, è per me assolutamente dovuto, abbracciare la professione scientifica o non piuttosto una professione pratica?”».19

3. La vocazione personale

Vi è quindi un aspetto fondamentale che lega il valore alla ragione ed è quello di scaturire sì dalla realtà passiva, pulsionale dei propri affetti e delle proprie inclinazioni ma di richiederne simultaneamente il governo tramite l’esprimersi libero della personalità che vuole comprendere entrambi, dar loro forma e tradurli quindi effettivamente in valori, cioè in motivazioni concrete di un agire consapevole e razionale. Se vogliamo, ridotto nei suoi termini essenziali, è proprio questo il senso teleologico della vita etica secondo Husserl, e del peso centrale che in esso acquisisce il termine vocazione (Berufung): quello dello scopo supremo, quello della realizzazione di sé, a cui ciascun individuo è liberamente chiamato nel realizzare l’ordine dei propri valori. Si tratta però di un ordine che deve essere in grado di rigenerarsi continuamente in un processo sempre crescente, cosa che per Husserl è possibile solo in base alla norma ideale di un ôåëïs razionale assoluto: un polo che trascende qualsiasi finitezza e, allo stesso tempo, un desiderio infinito «che ogni uomo etico reca in sé, che desidera infinitamente e ama, e dal quale si sente infinitamente lontano». Telos che fa da controcanto alla dimensione finita del continuo tendere verso l’uomo migliore possibile, all’immerwieder di quella scienza-coscienza che di volta in volta si presenta al soggetto etico come la migliore possibile.20

Tutto questo è conforme al carattere essenziale della vita umana che è quello di tendere al bene, mirando sempre al proprio meglio, di aspirare all’affermazione di valori positivi anche in ogni aspirazione negativa come accade ad es. quando si vuole sfuggire al dolore sensibile, che in realtà si rivela essere soltanto un passaggio verso l’aspirazione positiva: «l’assenza di dolore, nella quale si allenta il non aspirare — esattamente come l’assenza di piacere nel caso del rilassamento ultimo dell’aspirazione al piacere che si ottiene assaporando il valore godibile “fino in fondo” — motiva immediatamente nuove aspirazioni positive, volte a riempire con qualcosa dotato di un valore positivo il vuoto che si è creato».21

Pur nel succedersi di delusioni e sconfitte, in ciascuna dimensione esistenziale-personale, è sempre in gioco, secondo Husserl, una lotta per una vita piena di valore, una vita che può tradursi in vita etica quando il soggetto non è più relegato al grado più basso, sottomesso al teatro passivo delle forze motivazionali in lotta tra loro, ma quando invece cerca di abbracciare con l’interezza del proprio sguardo la propria vita e di dare ad essa, nella propria libera consapevolezza, un governo, una forma soddisfacente compiuta dell’ordine dei propri valori, la forma di una vita felice.22

Contro ogni relativismo e allo stesso tempo contro ogni astratto universalismo, ciascun destino è dunque iscritto per Husserl nella propria storia individuale, nella libera volontà personale, e su questa base, anche in quella collettiva. Si tratta dunque di un destino che deve essere sempre teso alla formazione di un ordine di valori personali e alla loro conseguente gerarchia, gerarchia che non può mai dirsi assoluta, ma che segue sempre il percorso, irto di difficoltà, del rinnovamento individuale in cui i valori superiori assorbono quelli inferiori in uno sviluppo continuo e si orientano secondo il paradigma ideale della conoscenza e della scienza, dove le verità prodotte nei gradi inferiori sono conservate e si fondono nelle teorie di grado superiore.23

L’ideale della conoscenza non è dunque un ideale astratto ma è quello sempre in movimento della coscienza di sé (Selbstbewußstsein). L’autocoscienza, l’essere costantemente rivolti verso sé stessi, segna il distacco dall’immediatezza di una vita ingenua totalmente immersa nel proprio mondo ambiente (Umwelt). Essa è il punto d’avvio per la propria autovalutazione (Selbstbewertung) che deve necessariamente riflettere sulle possibilità di successo e di insuccesso, di soddisfazione e insoddisfazione, di felicità o infelicità, che a loro volta costituiscono il presupposto per la propria autodeterminazione pratica (praktische Selbstbestimmung) .24

L’ideale normativo della conoscenza di sé ha sempre come sua origine una coscienza ingenua e come suo contenuto il sentirsi obbligati al suo superamento, si tratta di un dovere che non si limita all’ambito specifico delle proprie competenze, così come ad es. lo scienziato può seguire, nella propria specifica regione del sapere, una coerenza normativa verso una costante ridefinizione delle proprie consapevolezze ma essere però del tutto ingenuo in altri ambiti della propria vita normale. Tale ideale è il paradigma normativo per eccellenza che abbraccia, secondo Husserl, la vita in tutte le sue attività, in tutti suoi ambiti esistenziali.

L’essenza del volere e dell’agire etico consiste dunque innanzitutto nel fatto di non essere un agire ingenuo, e nemmeno di essere un’istanza puramente volontaristica: la sua motivazione razionale risiede invece nella consapevolezza della propria capacità normativa (im Bewusstsein seiner Normhaftigkeit), dalla quale viene motivato.25 Ma la capacità normativa in sé non è sufficiente a stabilire una vita etica, anche un criminale ad es. può prefiggersi e perseguire i suoi scopi delittuosi con coerenza e metodo per interi tragitti della propria esistenza. Il vero senso etico è, più fondamentalmente, quello che si interroga sulla possibilità di dirigere la propria vita verso il bene e il giusto in maniera inscindibile dalla ricerca del proprio meglio, dalla ricerca dell’attuazione della propria vocazione personale: «voglio vivere la mia vita, l’intera mia vita d’ora in poi, in tutti i suoi atti e con il contenuto dell’insieme dei vissuti, in modo tale che essa sia la miglior vita possibile; la mia migliore possibile, ossia la migliore possibile di cui sono capace».26

Secondo Husserl un soggetto è tale in senso pregnante quando è autenticamente soggetto di volontà (Willenssubjekt): quando cioè non segue più passivamente il corso degli affetti e delle pulsioni, ma valuta sé stesso coerentemente in quanto soggetto di volontà. Nel seguire coerentemente la propria vocazione o nel trascurarla, il soggetto si trova di fronte alla propria scelta personale tramite cui può valutare sé stesso e agire giustamente o ingiustamente. Si tratta certamente di un ideale individuale ma è, per Husserl, allo stesso tempo, anche un ideale sociale, poiché la stessa vita di una comunità può assumere la forma di una vita etica all’insegna del rinnovamento collettivo, solo sul fondamento della capacità del rinnovamento individuale che si rivela dunque come il suo presupposto necessario e indispensabile.27


  1. E. Husserl, (Hua: Husserliana. Edmund Husserl Gesammelte Werke), Hua VIII, Erste Philosophie (1923-1924). Zweiter Teil. Theorie der phänomenologische Reduktion, Hrsg. R. Boehm, Martinus Nijhoff, Den Haag, 1959, tr. it di V. Costa in Filosofia Prima, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, p. 20. ↩︎

  2. M. Scheler, (GW: Gesammelte Werke), GW X, Schriften aus dem Nachlass, Band I, Bouvier, Bonn, 1986, p. 347. ↩︎

  3. Ivi, p. 348. ↩︎

  4. Ibidem. ↩︎

  5. E. Husserl, E., Hua XXVIII, Vorlesungen über Ethik und Wertlehre 1908-1914, Hrsg. U. Melle, Kluwer, Dordrecht, 1988, tr. it. di P, Basso e P. Spinicci in Lineamenti di etica formale, Le Lettere, Firenze 2002, p. 32. ↩︎

  6. Cfr. M. Scheler, GW II, Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik. Neuer Versuch der Grundlegung eines ethischen Personalismus, Francke Verlag, Bern/München, 1980, p. 40. ↩︎

  7. E. Husserl, Filosofia prima, cit., p. 29. ↩︎

  8. Ivi, p. 30. ↩︎

  9. Ibidem↩︎

  10. La questione di fondo che qui è sottesa è relativa alla nota distinzione, contenuta nella Quinta ricerca logica, tra atti oggettivanti, i vissuti di coscienza in cui si rende direttamente manifesto un oggetto e atti non oggettivanti che dipendono dai primi per la loro relazione all’oggetto, come appunto è il caso degli atti volitivo-emozionali. Grazie al tema del valore e alla sua volizione, Husserl attenua progressivamente questa distinzione estendendo anche per i vissuti emotivi e volitivi — seppure in senso amplissimo — il carattere diretto che compete agli atti oggettivanti, come appare chiaramente ad es. nel § 117 di Ideen I, (cfr. rispettivamente E. Husserl, Logische Untersuchungen, II/1, Niemeyer, Tübingen, 1913 e Hua III, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologische Philosophie. Erstes Buch. Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, Hrsg. K. Schumann, Martinus Nijhoff, Den Haag, 1976. ↩︎

  11. Cfr. ad es. Hua III, cit., § 136. ↩︎

  12. Lineamenti di etica…, cit., p. 81. ↩︎

  13. Ivi, p. 80. ↩︎

  14. Cfr. Hua XXVIII, pp. 68-69. ↩︎

  15. Cfr. E. Husserl, Hua XXXVII, Einleitung in die Ethik. Vorlesungen Sommersemester 1920/1924, Hrsg. H. Peucker, Kluwer, Dordrecht, 2004, pp. 4-5. ↩︎

  16. Cfr. Ivi, p. 6. ↩︎

  17. Hua XXVII, tr. it. a cura di F. S. Trincia, in Introduzione all’etica, Laterza, Bari 2009, p. 8. ↩︎

  18. Cfr. Hua XXXVII, p. 9. ↩︎

  19. Hua XXXVII, tr. it. cit., p. 9. ↩︎

  20. Cfr. Hua XXVII, Aufsätze und Vorträge (1922-1937), Hrsg. T. Nenon und H. R. Sepp, Kluwer, Dordrecht, 1989, pp. 30, 40. ↩︎

  21. Hua XXVII, Aufsätze und Vorträge (1922-1937), Hrsg. T. Nenon und H. R. Sepp, Kluwer, Dordrecht, 1989, tr. it. di C. Sinigaglia, in L’idea di Europa, Raffaello Cortina, Milano 1999, p. 30. ↩︎

  22. Cfr. Hua XXVII, p. 25. ↩︎

  23. Cfr. Hua VIII, pp. 13-14. ↩︎

  24. Cfr. Hua XXVII, pp. 34-35. ↩︎

  25. Cfr. Hua XXXVII, p. 247. ↩︎

  26. Cfr. Hua XXXVII, tr. it. cit., p. 247. ↩︎

  27. Cfr. Hua XXVII, pp. 22-24. ↩︎