L’individuo e la comunità intenzionale. Husserl e la fenomenologia personale

1. La percezione dell’altro

Le considerazioni che seguono sono rivolte a delineare, nei suoi tratti più generali, quel percorso husserliano che culmina nellla Quinta meditazione e nei materiali di ricerca che le fanno da coronamento,1 dove emerge il ruolo cruciale della cosiddetta riduzione primordinale o primordiale2 in stretta connessione con le modalità intersoggettive dell’empatia. Tramite il graduale approfondimento di tali questioni, si cercherà di mostrare come si vada profilando nel pensiero maturo di Husserl una vera e propria fenomenologia dell’individualità personale.3

In un passo della Quinta meditazione, Husserl sostiene che «se vi fosse la possibilità di accedere direttamente all’altro in ciò che gli è essenzialmente proprio, allora l’altro sarebbe meramente un momento dell’essenzialmente mio e, in definitiva, io e l’altro non saremmo che la medesima cosa».4 Si tratterà di vedere progressivamente, nelle analisi che seguiranno, come da tale proibizione — quella della negazione della possibilità di un accesso diretto alla sfera più intima altrui — scaturisca la questione cruciale dell’intangibilità di ogni esistenza singolare che sta al fondo dell’essere personale con i suoi i legami intersoggettivi.

Per Husserl, l’esperienza dell’altro è in primo luogo un’esperienza percettiva in virtù della quale io e gli altri siamo effettivamente presenti. Questa dimensione oggettiva richiede che io sia in grado di estranearmi, modificando la mia immediata autopercezione, per cogliere un altro io, quell’io che non sono, ed espormi inoltre, a mia volta, come un io che diviene oggetto della percezione altrui. In altri termini sono costretto, almeno in parte, a modificare quella certezza che originariamente si fonda sulla piena e reale percezione che possiedo interamente solo del mio io e del mio corpo vivente e della mia vita di coscienza (Bewusstseinsleben). Ma poiché alla mia percezione di un io estraneo mancano necessariamente tali tipi diretti di esperienza, interviene la mediazione dell’empatia: «non posso fare esperienza dell’altro se non per mezzo dell’empatia (Einfühlung)».5 Il ricorso all’empatia rivela dunque un tratto indispensabile della mia esperienza dell’altro: solo tramite l’empatia possiamo cogliere e comprendere la presenza dell’altro attraverso quella modalità del tutto specifica che — com’è noto — Husserl chiama appresentazione (Appräsentation).6 La necessità dell’empatia scaturisce dunque dal fatto che l’altro non possa mai essere direttamente accessibile per me come invece io posso fare nei confronti di me stesso.

Ma per Husserl, la figura dell’altro viene ad essere chiamata in causa già a partire dalla percezione della propria corporeità. Io sono corporeamente presente a me stesso sempre in modo parziale, diversamente da come invece mi si presentano le cose che mi circondano e che divengono oggetto della mia percezione. Com’è noto, il mio corpo vivente (Leib) è, secondo Husserl, la posizione privilegiata, «il punto zero» di tutti gli orientamenti. Punto zero d’orientamento significa sostanzialmente che «mentre io ho la libertà di fronte a tutte le altre cose di modificare a piacimento la mia posizione rispetto ad esse e con ciò allo stesso tempo di variare le modalità molteplici di apparizioni attraverso cui esse mi si danno, non ho la possibilità di allontanarmi dal mio corpo oppure di allontanare il mio corpo da me».7 Essere un punto zero d’orientamento significa che ogni riferimento spazio-temporale del mio corpo è sempre caratterizzato dal «qui», come sua situazione assoluta, un «qui» non oltrepassabile, che non può mai avere altro al di fuori di sé, perché in relazione ad esso sarebbe già un là, un altrove.8 In questo senso il mio corpo è inalienabile e mi appartiene assolutamente poiché solo io posso percepirlo come vicinanza assoluta. Questo come vedremo, è inoltre un’essenziale segno della mia individualità, di ciò che rappresenta la mia originale, primordiale sfera di appartenenza.

D’altro canto, però, «la pluralità delle manifestazioni dello stesso corpo vivo sono limitate in modo determinato: certe parti del mio corpo, io posso vederle soltanto secondo un peculiare scorcio prospettico, altre (per es. la testa) mi sono invisibili. Lo stesso corpo vivo, che mi serve da mezzo percettivo, mi è d’ostacolo nella percezione di sé stesso ed è una cosa costituita in un modo curiosamente incompiuto».9 Di conseguenza, la mia corporeità è totalmente afferrabile solo dalla serie delle prospettive percettive dell’altro, solo l’altro dunque è realmente in grado cogliermi nella mia interezza.

Il mio corpo dipende dunque dall’altro per il suo senso oggettivo: ho costitutivamente bisogno del corpo altrui affinché possa venir compensata la mia carenza autopercettiva. Da questo lato oggettivo, la percezione del corpo altrui non si distingue però da quella della semplice cosa. Il suo approccio percettivo è identico a quello di un oggetto qualsiasi. Segue cioè quel profilo di trascendenza, quello stile che caratterizza la nostra esperienza percettiva come vissuto di coscienza. Per Husserl, com’è noto, gli oggetti della nostra percezione visiva si costituiscono sempre secondo una modalità adombrante.10 Nel nostro campo intenzionale l’oggetto non è ci è mai dato nella sua totalità ma sempre secondo un certo ristretto profilo ed una certa prospettiva e secondo una determinata sequenza. L’appercezione non è altro che quella percezione che ci dà la piena consapevolezza dell’oggetto, anche se, intuitivamente, ci è data solo una parte di esso,11 essa è la modalità necessaria della sua presenza. Husserl, per descrivere tale genere di vissuto intenzionale, parla a riguardo di orizzonte interno dell’oggetto, che corrisponde appunto a quel suo profilo e a quei suoi lati che provvisoriamente si celano al nostro sguardo (rimangono parzialmente nascosti, in ombra).12

Il significato del profilo presente dell’oggetto dipende dunque dalla relazione con quello assente: la percezione di un oggetto deve essere permeata da un orizzonte intenzionale aperto che rimanda ai profili assenti che io posso verificare attraverso nuove sintesi percettive.13 In ogni cosa percepita alcune parti rimangono dunque necessariamente in ombra, e tuttavia la mia percezione si dispiega secondo un’ orizzonte intenzionale, vi è cioè intenzionato un senso unitario che va oltre quel lato di ciò che mi è effettivamente presente. Ho ha che fare quindi sempre con una sorta di eccedenza intenzionale, poiché io intendo sempre effettivamente di più di quanto possa effettivamente e direttamente cogliere. Questa eccedenza intenzionale, questo intendere di più, diviene evidente per Husserl «mediante il passaggio ad una successione sintetica di percezioni possibili che io avrei se girassi intorno alla cosa».14

Si tratta di un presupposto intersoggettivo poiché i molteplici lati non direttamente percepiti (gli adombramenti dell’oggetto) corrispondono ad una pluralità — accertabile — di altri possibili punti di vista. La mia visione è dunque necessariamente parziale, prospettica, ma implica allo stesso tempo che vi siano altri soggetti virtualmente presenti: sono quei punti di vista in grado di cogliere quei lati della cosa che rispetto a me rimangono necessariamente in ombra. Possiamo allora pensare ai profili assenti come se fossero in relazione a delle percezioni fittizie co-presenti, come cioè se fosse sempre possibile uno sguardo gettato contemporaneamente verso il medesimo oggetto da altri soggetti dalle loro differenti prospettive. Ogni singola appercezione non è dunque un evento isolato poiché io sono in grado di anticipare il senso globale della cosa non solo in virtù delle mie abitualità e delle mie capacità associative ad esse correlate, ma anche perché tali abitualità e capacità poggiano su di una necessaria condivisione intersoggettiva attuale o potenziale della mia esperienza percettiva all’interno del mio campo intenzionale. Tale base intersoggettiva, di un mondo percettivo comune, è dunque la garanzia dell’unità sintetico-temporale della mia percezione e del suo senso oggettuale.15 «Ogni oggetto — afferma Husserl — viene inteso come quello stesso oggetto che ognuno può poi sempre esperire nelle sue apparizioni e che è anche riconoscibile nel possibile scambio comunicativo, o anche solamente nella possibilità di accordo con gli altri come quel medesimo oggetto che chiunque può eventualmente riconoscere».16

Questo nesso sociale dell’esperienza percettiva può essere in parte approfondito tramite l’analisi dell’empatia. Anche l’esperienza dell’altro è sintesi di percezione e appercezione ma con un tratto distintivo che la distingue fondamentalmente dal modo in cui mi è presente la semplice cosa. Vi è infatti, come si è visto, un’evidente ma essenziale differenza tra la percezione della cosa e quella dell’altro: se posso, per lo meno in linea di principio, accertarmi della verità percettiva della cosa verificandone i lati rimasti in ombra, la realtà psichica, ciò che anima la corporeità dell’altro, non mi è mai direttamente accessibile. Vi è nella percezione altrui solo in parte quel fondamento naturale intersoggettivo, per cui anche l’altro fa parte di quegli oggetti «che possono essere originariamente presenti non soltanto a un soggetto, […] ma possono idealmente darsi in una presenza originaria a qualsiasi altro».17 Il modo in cui io colgo l’altro e, viceversa, vengo colto dall’altro, non è dunque riducibile ad un evento solo percettivo, la presenza dell’altro trascende, eccedendo la dimensione stessa della percezione oggettiva.

Questa eccedenza non è allora un elemento riducibile ad oggetto ma è invece, propriamente, l’elemento soggettivo dell’altro la cui realtà psichica, di conseguenza, può essere esperita solo in forma mediata tramite la sua appresentazione. «Io esperisco i corpi vivi che mi stanno di fronte nella loro presenza originaria, come le altre cose, esperisco invece l’interiorità dello psichico attraverso l’appresenza».18 L’appresentazione dell’altro, la modalità della sua presenza, è dunque il significato essenziale di ciò che Husserl intende come empatia, sulla cui base posso fattualmente, intuire che «il corpo vivo visto comporta una vita psichica quanto il mio».19

Ma il fondamento percettivo non esaurisce però la questione dell’intersoggettività, ed è paradossalmente proprio l’empatia nel suo vincolo percettivo a mettere in luce tale problema, rivelandosi come necessaria là dove la percezione stessa si mostra insufficiente. L’incontro con l’altro mette dunque in rilievo una trascendenza che non potrà mai avere, neppure idealmente, al contrario della percezione della cosa, una piena soddisfazione. D’altro canto dietro a tale insoddisfazione intuitiva, come si cercherà gradualmente di approfondire, si cela anche per Husserl la garanzia della intangibile singolarità dell’individuo e della sua autonomia personale.

2. Il fondamento estetico della persona

Vi è, per Husserl, alla base del mio rapporto con l’altro, innanzitutto una relazione corporea, naturale: «per stabilire un rapporto, una relazione tra me e un altro, per comunicare a un altro qualche cosa, ecc. deve stabilirsi una relazione corporea, una relazione corporea attraverso processi fisici».20 L’altro è un mio analogo, un corpo vivente estraneo che possiede però le mie stesse capacità di auto-percezione. Ma — come si è visto — sebbene sulla base di tale comunanza io possa mettermi nella prospettiva dell’altro e viceversa, «l’altro non può mai avere unitamente a me (in relazione al contenuto originario del vissuto attribuitogli) quella stessa manifestazione che ho io. Le mie manifestazioni appartengono a me, le sue a lui. Solo tramite l’appresentazione posso avere le sue manifestazioni e il suo “qui” cui sono relate e che mi sono date assieme al suo corpo vivente».21

La riflessione attorno all’empatia si profila dunque secondo questi due tratti fondamentali: quello del mio legame corporeo con l’altro, contrassegnato dall’appartenenza ad un mondo percettivo comune, ma anche quello della mia irriducibile singolarità. Per approfondire il senso di tale individualità è necessario cogliere sino in fondo il radicamento che essa ha per Husserl nella concreta vita percettiva. L’esperienza di sé, la riflessione attorno alla propria dimensione individuale non può prescindere da tale radicamento. Il fondamento estetico-percettivo è dunque il primo elemento importante da aver presente per intendere il senso dell’individualità personale. Husserl, nelle sue analisi sul Leib, sul corpo vivo, lo delinea innanzitutto come uno strato inferiore con le proprie regole e i propri decorsi costitutivi, come una base che sorregge in modo anonimo ma indispensabile, la soggettività consapevole, quella dell’io nell’effettivo esercizio delle sue scelte razionali.

Il Leib, gioca un ruolo centrale nella vita dell’io: è innanzitutto il polo unificatore delle sue attività percettivo-sensoriali. Questa funzione di polarizzazione è un aspetto tutt’altro che astratto, appartiene invece a ciascuna vita individuale nella sua concretezza: il corpo mi appartiene intimamente tanto quanto il pensiero. Il Leib è per Husserl il costante hic et nunc del mio senso spazio-temporale nel mondo. Ogni relazione intrattenuta con il mio mondo circostante è imprescindibile dal mio corpo vivente e dalla sua capacità motorio percettiva. Il corpo mi appartiene come corpo vivente, in un senso che va oltre il significato di un semplice possesso, si tratta invece di un’identità piena: il senso di questa appartenenza sta a significare quel che mi è più peculiare, ciò che io effettivamente sono, la mia concreta singolare individualità.

Il corpo si trova sempre immerso nell’attualità della vita percettiva nella quale si espone e interagisce con il mondo circostante. E accanto alla spontaneità dei suoi processi cinestetici originati dalla libera volontà dell’io, vi sono «i processi passivi a cui la spontaneità non partecipa affatto». Io subisco questa dimensione passiva in cui il movimento del mio corpo viene esperito come un processo meccanico, un subire che va inteso semplicemente come l’avvertire «la mia mano mossa, il mio piede urtato», come un qualcosa di meramente materiale determinato da nessi causali.22

Il Leib, inoltre, in quanto organo percettivo, polo cinestetico-sensoriale, è la base indispensabile alla costituzione della realtà psicosomatica anche dal lato volitivo. In questo senso, il corpo non è soltanto organo percettivo ma anche organo della volontà. Esso è «l’unico oggetto che la volontà del mio io puro possa muovere liberamente e spontaneamente e che sia mezzo per produrre un movimento spontaneo e mediato di altre cose».23 La sfera del Leib, quella del corpo proprio, è dunque per Husserl una componente essenziale per la stessa sfera spirituale delle motivazioni e per la dimensione della scelta e dell’agire. Da queste analisi sulla corporeità, sviluppate da Husserl per la maggior parte in Ideen II, emergono alcune importanti conseguenze.

Innanzitutto il cogito non è la sola cifra essenziale per cogliermi in quanto soggetto, bensì lo diviene anche il mio corpo come corpo vivente poiché il Leib mi si rivela come quella mia peculiarità essenziale del poter agire. Poter dire io sono non è solo dunque il frutto dell’esercizio del dubbio cartesiano, ma è la facoltà di potermi individuare come vita fungente, realtà su cui il mio io costituisce le proprie capacità riflessive. L’esercizio della riflessione si fonda per Husserl sull’attività fungente che è costituita dalla vita percettiva dell’io, in cui l’io è spontaneamente rivolto verso sé stesso, «io stesso sono il soggetto dell’attuale “io vivo”, patisco e agisco, subisco affezioni, ho un mio di fronte, vengo attratto, respinto, vengo motivato nei modi più diversi. Oppure, più chiaramente: l’autopercezione è una riflessione (riflessione dell’io puro su se stesso) e, per essenza presuppone una coscienza irriflessa».24

Inoltre, nel radicamento dell’io all’interno della vita percettiva, la dimensione solipsistica si rivela del tutto insufficiente a cogliere il senso della realtà individuale, «nell’esperienza solipsistica noi non raggiungiamo mai la datità di noi stessi quali cose nello spazio simili a tutte le altre e non perveniamo all’oggetto naturale “uomo” (essere animale). […] Per giungere a ciò dobbiamo imboccare un’altra strada: dobbiamo andare al di là del nostro soggetto e rivolgere la nostra attenzione agli altri esseri animali che incontriamo nel mondo esterno».25 La riflessione deve dunque sospingere il proprio sguardo distanziandosi da sé. Se il corpo proprio, visto attraverso l’«atteggiamento rivolto verso l’interno», appare come il sistema degli organi liberamente mobili tramite cui il soggetto fa esperienza del mondo interno come latore delle sensazioni che si intrecciano nella vita psichica,26 tutto questo non è sufficiente a darci in pieno la nostra realtà individuale poiché è solo nell’analisi intersoggettiva, nell’analisi della relazione con gli altri che essa può concretamente emergere.

Lo scoprirsi immersi nell’attualità e nell’effettualità della vita percettiva presuppone dunque, a sua volta, l’esser immersi nella vita e nell’attualità degli altri. La tematizzazione dell’incontro con l’altro, non può dunque emergere altrimenti che dalla riflessione attorno alla condivisione di un mondo percettivo, dal fondamento estetico intersoggettivo della realtà individuale.

3. Libertà e motivazione espressiva

Il corpo vivo, il Leib, come polo del nostro sistema cinestetico-sensoriale interferisce liberamente nel mondo causale: a partire da esso si dispiega la mia attività volitiva. Il Leib è quella realtà psicosomatica che, in una sorta di stratificazione, si situa al livello basico del formarsi del volere di ogni individualità personale: «è la costituzione dello strato inferiore che conferisce a tutte le cose dell’esperienza, almeno in quanto siano nei loro stati momentanei cose sensoriali, la più originaria condizionalità psicofisica».27 Il corpo vivo è organo del volere: «la mia mano mossa spontaneamente e immediatamente, spinge, afferra, solleva ecc. Le cose meramente materiali possono essere mosse solo meccanicamente, […] solo i corpi vivi possono essere mossi spontaneamente e immediatamente (“liberamente”), e cioè attraverso l’io libero e la propria volontà che al corpo vivo ineriscono».28 Il Leib si muove dunque non solo meccanicamente ma anche in base a motivazioni. Nella libertà del Leib, del corpo proprio, la motivazione svolge un ruolo fondamentale. Essa ha per Husserl una relazione di interdipendenza con ciò che viene motivato, essendo strutturata secondo una duplice articolazione di correlazione: quella tra «le sensazioni cinestetiche da un lato, dal lato motivante e le sensazioni del carattere dall’altro lato, dal lato motivato»,29 come ad esempio accade quando, nel toccare una superficie, vi è la sensazione motivante del movimento della mano correlata all’effetto motivato del carattere di ruvidezza della superficie toccata.

La mia sfera motivazionale-volitiva è dunque inscindibilmente intrecciata con la mia realtà proprio-corporea. In tale intreccio si costituisce la struttura stessa della mia soggettività personale. La motivazione mette in luce un aspetto essenziale del corpo proprio: la libertà del suo essere soggetto individuale, vale a dire il suo potersi muovere e orientare secondo la propria autodeterminazione.

«Le cose — sostiene Husserl — sono “esperite”, sono “date intuitivamente” al soggetto, in quanto unità di un contesto spaziale-temporale-causale; e in questo contesto rientra necessariamente una cosa peculiare: “il mio corpo vivo”, che è il luogo in cui, per una necessità essenziale, un sistema di condizionalità soggettive si intreccia col sistema della causalità».30 È dunque a partire dal fungere effettivo del Leib nel suo essenziale differire dalla realtà meccanica che si dischiude quella sfera di libertà che sta alle radici dell’io come un io spirituale personale. La piena unità tra l’io e il Leib, è perfettamente sintetizzata dalla nota espressione husserliana dell’Ich kann, dell’io posso: «questo io ha la “facoltà” (“io posso”) di muovere liberamente questo corpo vivo, oppure gli organi in cui esso si articola, e per mezzo di loro percepire un mondo esterno».31

Corpo vivo e soggetto sono dunque la medesima cosa, vi è tra l’io e il Leib piena identità: nel suo rivelare l’io puro come radicato nella sua realtà psicosomatica, l’Ich kann si rivela come la vera nuova cifra del trascendentalismo husserliano. «Il corpo vivo è sempre partecipe di tutte le altre “funzioni di coscienza”. […] L’intera coscienza di un uomo è in certo modo legata al suo corpo vivo attraverso la sua base hyletica».32 Quest’assoluta intimità con il corpo vivo in quanto proprio, è ciò che Husserl descrive in Ideen II, individuando nella corporeità come la localizzazione delle sensazioni,33 la vera proprietà del Leib come ciò che mi è sempre e del tutto prossimo.

Alla libertà del Leib appartiene inoltre essenzialmente la facoltà di potersi esprimere: il metter a tema l’espressione consente a Husserl di passare dalla base puramente sensoriale-percettiva della motivazione a quella personale spirituale. Ciò avviene, dunque, a partire dalla libera motilità del corpo-proprio poiché, come si è visto, i movimenti di un individuo non sono solo dei movimenti meccanici ma piuttosto sono movimenti vivi in quanto liberi movimenti di un corpo proprio. Il carattere personale si forma oltre l’abitualità, che è il tratto regolare originato dal sedimentarsi delle associazioni percettive e di quelle culturali, e si forma tramite l’intreccio di libertà espressiva e motivazione. Sulla base di tale intreccio può elevarsi il valore stesso della persona in quanto tale: «il valore più alto è rappresentato dalla persona la quale conferisce abitualmente la più elevata forza di motivazione alla decisione autentica, vera, valida, libera».34

L’espressione possiede dunque la medesima libertà che appartiene al movimento del Leib, in essa si rivela la differenza essenziale tra la relazione motivazionale e quella meccanica di causa ed effetto. A differenza di quest’ultima, esiste nell’espressione un libero legame di tipo significativo tra motivazione e motivato. Arrossire per vergogna, ad esempio, è essenzialmente diverso dal rossore del volto conseguente ad uno sforzo. La motivazione espressiva, al contrario del decorso causale di un movimento meccanico, scaturisce immediatamente dal vissuto mostrando l’inestricabile legame tra l’espressione e il proprio contenuto. Ciò che si incarna nell’espressione pare esso stesso visibile (ad es. nel sorriso la serenità, in uno sguardo la gioia, ecc.) Il legame tra espressione e motivazione ci riporta allora nuovamente sul terreno dell’empatia.

L’espressione gioca un ruolo centrale nella modalità dell’empatia: tramite l’espressione mi si offre la possibilità concreta di comprendere la coscienza altrui e di afferrarne il suo sentire.35 Nella relazione con l’altro, nel mio riconoscerlo come un altro io, come un altro corpo vivente, espressione e motivazione rivelano con maggiore evidenza il loro essere strettamente legate. La vita intenzionale diviene vita spirituale (e non semplicemente animale) quando ha come essenza il suo radicarsi nella sfera espressiva-personale. Tale sfera si mostra in tutta la sua ricchezza dunque solo nella dimensione delle motivazioni intersoggettive: le motivazioni altrui stimolano o influenzano le mie e si intrecciano continuamente nello scambio interpersonale, della comunicazione, degli affetti, delle mediazioni culturali ecc. L’espressività è per Husserl lo statuto intuitivo in cui ci si presenta la persona altrui: nel «gioco della fisionomia, dei gesti, della “parola” pronunciata, della sua cadenza ecc. — si esprime la vita spirituale delle persone, il loro pensiero, il loro sentire, il loro desiderare, il loro fare, il loro rinunciare. […] Tutto, qui, è intuitivo, il mondo esterno e il corpo vivo come l’unità somato-spirituale che ho di fronte».36

La presenza espressiva dell’altro motiva e sollecita dunque direttamente la mia comprensione. L’altro, allora, non mi appare semplicemente e solamente tramite il suo Leib. Come nel linguaggio la parola rimanda immediatamente al suo contenuto di senso scavalcando il suo aspetto segnico o sonoro, così l’esperienza dell’intesa con l’altra persona va oltre la sua immediata presenza vitale proprio-corporea, la sua apparizione percettiva. Nell’altra persona, tramite l’espressione, afferriamo l’aspetto spirituale in identità con quello psicosomatico. «Soltanto attraverso l’espressione si presenta al soggetto esperiente la persona dell’altro».37 In essa io posso coglierne la motivazione spirituale, il fondamento del suo agire e volere. «L’unità totalmente intuitiva che ci si propone quando cogliamo la persona come tale (per esempio: parlare in quanto persona ad altre persone, oppure ascoltare i loro discorsi, lavorare con loro, guardare le loro azioni) è l’unità di “espressione” ed “espresso”, che inerisce all’essenza di tutte le unità di comprensione».38 È attraverso il coglimento diretto ad esempio della mimica facciale e ovviamente ancor più tramite l’espressione linguistica che io mi appresento immediatamente l’altro; tramite l’espressione, di fatto, io sono messo direttamente in relazione all’altro, sono direttamente chiamato in causa dalla sua presenza, motivato a rispondergli.

L’esprimersi comunicativo inerisce allora essenzialmente all’empatia, alla modalità dell’esperienza dell’altro, io pervengo dunque all’apprensione dell’uomo in senso spirituale attraverso la comprensione dell’espressività altrui, che non è solo mimica corporea ma anche manifestazione intenzionalmente comunicante, esso è per Husserl discorso (Rede) manifestazione intenzionalmente comunicante, modalità tramite cui mi rivolgo direttamente all’altro e tramite cui faccio parte, assieme all’altro di un comune mondo comunicativo. Attraverso l’espressione comprendo gli altri «non soltanto come elementi centrali per il mondo circostante, ma anche per il mio corpo vivo, che per loro è un oggetto del mondo circostante. Appunto così io li comprendo come uomini che mi apprendono in modo analogo a quello in cui io li apprendo, come uomo sociale, come unità comprensiva di corpo e spirito».39

L’espressione comunicativa è dunque il medium, il veicolo per la comprensione individuale, corporeo-personale dell’esistenza dell’altro. Tramite la modalità espressiva dell’empatia ci viene incontro il mondo circostante in tutta la sua ricchezza, come un mondo comune, un mondo comunicativo «che si costituisce nell’esperienza dell’altro, nella comprensione reciproca e nell’accordo»,40 mondo intriso di soggettività, di senso costituito, di interessi, di valori, di relazioni sociali. «Siamo in relazione con un mondo circostante comune — afferma Husserl — siamo entro una collettività personale: le due cose vanno insieme. Non potremmo essere persone per gli altri se non ci stesse di fronte, di fronte alla nostra comunanza, ai legami intenzionali della nostra vita, un mondo circostante comune».41

4. Le monadi hanno finestre

La comprensione di tale appartenenza al mondo intenzionale intersoggettivo in cui viviamo richiede innanzitutto però, secondo Husserl, un’indagine metodica che analizzi il soggetto in modo isolato rispetto al concreto intreccio personale dell’agire comunicativo. Dobbiamo cioè, poter vedere quel mondo limitandolo e riducendolo essenzialmente alla prospettiva del nostro ego. Husserl in un passo di Ideen II, definisce così questa sfera dell’ego:

in termini ideali, ogni persona ha, dentro il mondo circostante comunicativo, un proprio mondo circostante egoistico, nella misura in cui è in grado di “astrarre” da tutte le relazioni dell’accordo e dalle appercezioni che in esse si fondano, oppure nella misura in cui è in grado di pensare separatamente queste relazioni. In questo senso esiste dunque una “possibilità unilaterale di staccare” uno di questi mondi dalla relazione con l’altro, e il mondo circostante egoistico costituisce un nucleo essenziale di quello comunicativo, tanto che se si vuol giungere a mettere in rilievo il primo sono necessari certi processi che portano ad astrarre dal secondo.42

Anticipando quelli che saranno i temi cardine della riduzione primordinale discussi nella quinta delle Meditazioni cartesiane, Husserl sottolinea dunque qui il fatto decisivo che bisogna prima raggiungere il senso del mondo privato dell’ego per poi guadagnare quello del mondo interpersonale. In questa ricerca viene messa in luce l’esigenza del cercare una sfera del tutto propria, personale, individuale, che ineludibilmente appartiene solo a me e che — in quanto mia — non può essere data originariamente a nessun altro. «Nella comunità comunicativa ognuno vede quello che vedo io, ognuno sente quello che sento io, oppure: ognuno può vedere e sentire le stesse cose. […] E tuttavia, per ciascuno le proprie manifestazioni sono esclusivamente sue, ciascuno ha i propri esclusivi vissuti».43

Viene dunque in luce, tramite l’analisi fenomenologica, un aspetto irripetibile che appartiene all’effettiva esistenza di ciascun individuo in carne ed ossa, con i suoi vissuti intenzionali e il loro decorso temporale. Questo esser interamente per sé dell’individuo corrisponde per Husserl al suo essere una monade indivisibile: è la caratteristica essenziale, assolutamente personale, inalienabile, dell’esistenza individuale. Si tratta di quel carattere che rende gli individui separati l’uno dall’altro ma che è allo stesso tempo la loro essenziale caratteristica comune. Secondo il tratto fondamentale di tale individualità, l’individuo coesiste con gli altri.44 A differenza delle monadi leibniziane che sono del tutto chiuse in sé stesse, la monade husserliana è una monade aperta in relazione necessaria con le altre monadi. L’empatia è la forma e la modalità di tale apertura: essa è per Husserl la finestra aperta verso l’altro, il modo secondo cui le monadi interagiscono tra loro. «Ciascun io è per sé, è per sé un’unità, ha le proprie correnti di vissuti, ha i propri poli reali in cui si rappresentano le proprie formazioni di immagini ideali ecc. Ogni io è una “monade”. Ma le monadi hanno finestre. Per quanto in realtà non abbiano alcuna finestra o porta attraverso cui un altro soggetto possa realmente entrare, ma tramite di esse (l’empatia) si può fare esperienza dell’altro».45

Il senso dell’io e della mia individualità come monade, l’io fenomenologico, non è dunque una semplice astrazione, una sorta di comun denominatore di ciascun io empirico. Il senso individuale di tale io è l’esito concreto dell’esercizio metodico della mia effettiva riflessione fenomenologico-mondana, del tutto inseparabile da essa, poiché il vero senso metodico della riduzione fenomenologica è, per Husserl, la consapevolezza della mia concreta, reale soggettività, e non semplicemente quello di un’astratta metodologia.46

5. La struttura temporale della monade

La vita di coscienza nella sua piena concretezza e nella ricchezza dei suoi intrecci intenzionali è temporalmente strutturata. Nella coscienza intesa come vissuto percettivo, la temporalità si caratterizza come un perdurare della corrente temporale del percepire e del percepito, come coscienza sintetica che trattiene in unità i continui mutamenti di prospettiva e di connessione della nostra esperienza percettiva.

Riprendendo un celebre esempio husserliano, quello della percezione di un esaedro, il senso e l’intreccio di tale connessione temporale emerge con chiarezza. Il cubo, con le sue sei facce, è una concreta unità oggettiva che presenta però una varietà di aspetti a seconda delle modalità tramite cui la consideriamo: quella della prospettiva in cui si offre alla mia percezione, quella del suo mutare secondo il mio movimento, quella relativa ai suoi tratti colorati ecc. In tutte queste variazioni esso mantiene la propria identità come unità percettiva. Questa identità è un tratto della coscienza stessa, è un’immanente perdurare temporale. «Di ogni fase diciamo sempre lo stesso: l’esaedro è percepito, […] i diversi tratti e fasi della percezione non sono perciò esternamente aderenti, essi sono unitari come è unitaria la loro coscienza. […] Non ci sono prima le cose e poi il loro inserimento nella coscienza, […] un cogito e un altro si legano in un cogito che li unifica, e che come nuova coscienza è ancora coscienza di qualcosa». La capacità di sintesi temporale è la proprietà fondamentale della coscienza intenzionale, tramite essa emerge anche la distinzione fondamentale «tra contenuti di coscienza reali e ideali, meramente intenzionali».47

L’oggetto intenzionato dalla percezione considerato fenomenologicamente, noematicamente, non è affatto dunque un entità reale, una porzione di realtà. Il cubo nelle sue molteplici modalità percettive è sempre lo stesso non dal punto di vista della realtà ma da quello del suo senso oggettivo. Esso può infatti essere ricordato, immaginato, interpretato come tale a prescindere dalla sua reale esistenza. La sua identità, l’essere sempre lo stesso cubo, è colta fondamentalmente tramite una sintesi costitutiva della coscienza:

l’intera vita di coscienza è attraversata dal rapporto della coscienza all’oggettività, la quale si rivela come proprietà essenziale di ogni coscienza, per cui è possibile in modi sempre nuovi e vari di coscienza passare alla coscienza dell’unità di uno stesso oggetto. A ciò si connette il fatto che nessun cogito singolo è isolato nell’ego, […] l’ego trascendentale […] è […] un’unità intuibile concreta che vive in modo unitario in modi di coscienza sempre nuovi eppur unitari e si oggettiva continuamente nella forma del tempo immanente.48

Questa continuo generarsi dell’ego in relazione ai suoi cogitata, assieme alla sua capacità essenziale di polarizzazione, è la sua caratteristica determinatamente temporale: «ogni singolo cogitatum in virtù della sua estensione temporale è una sintesi d’identità, coscienza di qualcosa che è continuamente lo stesso».49 Nella continua sintesi temporale della varietà del suo vivere intenzionale, l’io, struttura dunque costantemente la propria unità individuale come monade concreta. «La monade è un’unità vivente che porta in sé un io come polo dell’agire e del patire e un’unità della vita desta e celata, un’unità di facoltà di “disposizioni”, e ciò che è celato, “inconscio”, è un modo caratteristico per le implicazioni monadiche, il cui senso necessario si deve attingere originariamente in modi caratteristici».50 Nell’individualità trascendentale dell’ego, nel suo essere monade, si riflette dunque tutta la varietà delle modalità della vita personale nei lati più manifesti così come in quelli più occulti.

Per Husserl, io, come ego trascendentale, sono colui che può ritrovare se stesso nel divenire immanente del proprio reale e vero essere (come unità personale e come concreta monade) e, di conseguenza, sono anche colui che può porre la questione fondamentale di come pervenga a generarsi il mio io, di come esso si costituisca.51 Come si è visto, il senso oggettuale della nostra vita percettiva, avviene attraverso continue sintesi temporali che sono il risultato di un intreccio tra un aspetto attivo ed uno passivo dell’ego. Torniamo nuovamente all’esempio dell’esaedro.52 Nella percezione del cubo vi è un continuo susseguirsi di sintesi tramite cui, nella mutevolezza delle sue apparizioni, ho a che fare sempre con il medesimo cubo (l’identità del cubo rimane tale nel ricordo, nell’aspettativa di senso ecc.). Queste sintesi, descritte nella loro genesi, si costituiscono all’interno della coscienza, come un suo «immanente senso oggettivo» che scorre all’interno di un flusso unitario che trascorre passivamente, e che Husserl chiama, «l’onnicomprensiva coscienza interna del tempo».53

Tramite l’analisi genetica, la fenomenologia descrive dunque la storia della soggettività trascendentale, nel suo esser immersa nel flusso temporale. Questa storia sorregge inoltre anche la possibilità dell’io di fungere attivamente nella sfera sociale produttiva del suo agire, giudicare, percepire:

ogni costrutto dalla attività presuppone necessariamente come grado inferiore una passività che determina la datità seguendo la quale noi ci imbattiamo nella costituzione secondo una genesi passiva. Quel che nella vita ci si presenta, per così dire, come bell’e pronto, come mera cosa esistente […] è ciò che è dato nell’originarietà del sé stesso nella sintesi dell’esperienza passiva. Come tale, questa cosa è presupposta alle attività spirituali che iniziano con l’apprensione attiva. Mentre queste attività compiono le loro operazioni sintetiche, continua intanto a svolgersi la sintesi passiva che fornisce loro ogni materia.54

Questo scorrere passivo della vita intenzionale dell’io, che trae origine dalla capacità fungente della coscienza di conservare costantemente il flusso dell’esperienze in unità significanti tramite la loro continua ritenzione, si svolge in un decorso anonimo. L’io è dunque fungente anche se non vi è l’esplicita consapevolezza del suo fungere. Potrebbe sembrare allora che anche l’io puro si dissolva quando il singolo cogito sprofonda nell’inattualità. Ma «l’io non può mai scomparire, continua ad essere nei suoi atti, ma in modi diversi: se essi sono o diventano atti attuali, l’io, per così dire, si fa avanti in essi, viene in luce, esercita una funzione attuale evidente, si dirige attraverso un raggio attuale verso qualche cosa di oggettuale; se invece è, per così dire, un io nascosto, non rivolge lo sguardo attuale su qualche cosa, non esperisce, non agisce, non patisce attualmente».55 L’io non viene mai meno perché nel fungere della vita intenzionale permane quella «struttura che appunto permette e impone di dire che l’io, nello stadio della specifica ‘incoscienza’, dell’occultamento, non è un nulla, non è la vuota potenzialità della trasformazione dei fenomeni in fenomeni attuali dell’io, bensì un momento della loro struttura».56

In una sorta di sdoppiamento operato dalla riflessione fenomenologica, l’io può dunque differire da sé e assumersi come proprio oggetto tematico:

l’essenza dell’io puro implica dunque la possibilità di un auto-afferramento originario, di un’autopercezione”, e quindi anche la possibilità delle corrispondenti modificazioni dell’afferramento di sé, della memoria di sé stesso della fantasia su stesso, ecc. L’essenza stessa della memoria di sé implica evidentemente che l’io puro che ricorda sé stesso è presente alla propria coscienza come un io passato, e che d’altra parte è possibile una conversione dello sguardo, in virtù del quale l’io puro si coglie come un io puro della rimemorazione […] un io che dura nel tempo, a partire da un adesso passato fino all’adesso presente che fluisce attualmente.57

L’auto-riflessione fenomenologica esplicita dunque oltre alla struttura fungente intenzionale dell’io, anche quella della sua costitutiva temporalità: la differenza dell’io da sé stesso, che non elimina la sua identità, non è altro che la permanenza dell’io come sintesi temporale, e perciò la riflessione, come intima possibilità attiva dell’io, è l’esplicitazione del suo essere originario come essere temporale. L’io si rivela qui, dunque, come polo d’identità temporale del flusso dei propri vissuti. Sotto questo aspetto, ciò che Husserl denomina coscienza altro non è che «unità nel tempo immanente» nella quale essa stessa si costituisce: «il cogito identico in quanto unità di una durata e le unità che nella durata si trasformano […], sono a loro volta unità già costituite coscienzialmente, unità che si costituiscono in una “coscienza” più profonda […] che corrisponde all’ unità del tempo immanente nella quale la coscienza stessa si costituisce».58 Ogni contenuto psicologico, qualsiasi vissuto immanente al cogito «si genera o trapassa nel flusso dei vissuti. Ma il soggetto puro non si genera e non trapassa, per quanto, a modo suo, “compaia” e poi “scompaia”».59 L’io puro è, dunque, identità temporale-trascendentale, condizione di unità dello scorrere dei vissuti, loro polo intenzionale. «L’io puro è trasformabile nelle sue pratiche, nelle sue attività e nelle sue passività, nel suo essere-attratto e nel suo essere respinto, ecc. Ma queste trasformazioni non trasformano l’io stesso. In sé, l’io è invece immutabile».60

Questo ‘io puro, struttura del puro fungere della vita intenzionale è anche, sotto un altro rispetto, il senso costitutivo del mio essere personale individuale e del suo mondo circostante:

io in quanto uomo sono una parte costitutiva del mondo circostante reale dell’io puro, il quale, in quanto centro di ogni intenzionalità, attua anche quell’intenzionalità attraverso la quale si costituisce appunto l’io, l’uomo e la personalità.61

Alla pluralità degli uomini corrisponde allora, secondo Husserl, anche quella degli io puri che vanno tra loro distinti con i propri individuali flussi di coscienza. «Esistono tanti io puri quanti sono gli io reali».62 Vi è dunque un aspetto del tutto nuovo in cui la compattezza trascendentale dell’io puro si stempera nelle differenze individuali degli io reali, in quanto anch’essi io puri, cioè centri effettivi di vita intenzionale, persone.

Tale realtà va nuovamente inserita nel quadro concettuale dell’empatia. Lo scambio continuo interpersonale tra l’autopercezione e la percezione-appresentazione dell’altro che si costituisce nella condivisione di un mondo oggettivo, costringe Husserl a rivoluzionare l’assetto trascendentale dell’io puro. Nell’appresentazione dell’altro non è solamente contenuta quella del suo io puro, centro vitale intenzionale, ma anche il riconoscimento di un’alterità irriducibile che lo caratterizza individualmente. Il riconoscimento per cui siamo allo stesso tempo soggetti ed oggetto dell’esperienza empatica, fa si che si esca dalla dimensione assolutistica dell’io puro, dalla sua gabbia solipsistica, per raggiungere il territorio in cui il fungere intenzionale si rivela come sfera intersoggettiva. L’io reale e le altre realtà «sono unità costituite non soltanto in relazione con un io puro e con un flusso di coscienza che ha le sue molteplicità fenomeniche, ma anche in relazione con la coscienza intersoggettiva, cioè con un’aperta molteplicità di io puri monadicamente differenziati, cioè con i loro flussi di coscienza, i quali sono unificati, attraverso la reciproca empatia, in una connessione che costituisce oggettualità intersoggettive».63

Uno dei guadagni essenziali delle analisi husserliane di Ideen II, sta nell’aver accentuato il fatto che si possano tematizzare i vissuti dell’io come contenuto di una riflessione in cui viene descritto il suo essenziale legame carnale con il mondo. In queste analisi, come si è visto, la struttura trascendentale dell’io come «struttura degli atti che irradiano dal centro egologico», si arricchisce del ruolo centrale che vi gioca il Leib, il corpo vivo. La polarità dell’io puro viene esplicitamente messa in relazione da Husserl a quella del Leib, della dimensione proprio-corporea, l’io stesso si rivela come «centralizzazione di tutti i fenomeni sensibili in relazione col corpo vivo».64 Quando Husserl afferma che «l’io specificamente spirituale, il soggetto degli atti spirituali, la personalità, è dipendente da una base oscura di inclinazioni caratterologiche, di disposizioni originarie e nascoste e, dall’altra parte, dalla natura»,65 tutto ciò suona come un implicito riconoscimento del peso che la dimensione della corporeità e dell’inconscio vanno acquisendo nella ridefinizione della propria riflessione attorno all’io trascendentale.

Il senso intenzionale dell’io puro è dunque annodato a quello del Leib, dell’io in quanto corpo vivo. Tale senso è anche essenzialmente distintivo del nostro essere monadico, ma saranno esplicitamente le riflessioni husserliane che ruotano attorno alle Meditazioni cartesiane a far pienamente emergere il tema del legame tra polarità dell’io puro e del corpo proprio nel suo senso individuale personale, quel senso che impegna l’indagine fenomenologica husserliana lungo tutto il corso degli anni ’2066 e che — come si è visto — appare in nuce nelle analisi contenute in Ideen II.

6. La persona e la comunità intenzionale

Le Meditazioni cartesiane sono la punta emersa dell’iceberg sotto cui si estende l’enorme massa di questioni della fenomenologia matura di Husserl. Si tratta, com’è noto, di un testo controverso ed incompleto del quale lo stesso Husserl si era dichiarato del tutto insoddisfatto.67 Anche per tali ragioni l’interpretazione di questo testo deve essere necessariamente integrata con il materiale postumo dei primi anni ’30 contenuto nei cosiddetti Forschungsmanuskripte dove, assieme alla prima stesura della Quinta meditazione, compaiono le numerose annotazioni critiche che danno realmente il segno del controverso e frastagliato percorso della ricerca husserliana e dove emerge un Husserl del tutto inedito nel suo affaticamento problematico.68

Nella Quinta Meditazione e nelle considerazioni che vi ruotano attorno, viene soprattutto approfondito un tema decisivo: quello della riduzione primordinale. Non è affatto secondario che nel titolo e nella suddivisione del testo vi sia l’esplicita citazione cartesiana.69 Nel cercare metodicamente il territorio di ciò che per noi è più proprio, risiede per Husserl la vera lezione cartesiana. L’io spogliato tramite l’epochè della sua naturale trascendenza, del suo esser sempre sospinto oltre verso il mondo, è il residuo trascendentale: «avendo eliminato dal mio campo di giudizio il mondo come quel che riceve da me e in me il suo senso d’essere, io come io trascendentale che precede il mondo sono ora l’unica cosa che si può porre».70 Già da queste parole si preannuncia l’importanza del senso fenomenologico che verrà ad acquisire la riduzione primordinale: quello di un campo puro, scevro da ogni trascendenza, che permane come assolutamente e indistintamente mio. In questo esser mio, che mi appartiene e mi qualifica essenzialmente, ma che non è mio come se si trattasse di una sostanza, di un possesso materiale, si situa invece la profonda distanza storica con Descartes che «rimane lungi dal vedere l’ego racchiuso nella piena concretezza del suo essere e vivere trascendentale e dal riguardarlo come campo da studiare sistematicamente nelle sue determinazioni infinite».71

Tutto questo significa anche che al proprio fondo l’ego è concretamente vita trascendentale. E se dunque non si fa riferimento all’intreccio di relazioni che gli competono in quanto vita trascendentale, il senso dell’ego cogito rimane ancora del tutto vago: il cogito richiede necessariamente il suo correlato, il suo cogitatum. La scoperta trascendentale che la riduzione mette in luce non è la coscienza come cosa, come realtà psicologica, ma sono invece le modalità fondamentali della vita di coscienza, della vita dell’io, la cui proprietà essenziale è l’intenzionalità: l’aver coscienza di, in stretta correlazione con ciò a cui il cogito si rivolge incessantemente, i suoi cogitata. Attribuire a tale territorio trascendentale una qualità essenzialmente primordinale, vale a dire descriverlo come assolutamente e primariamente mio, coniuga fenomenologicamente il tema dell’io puro con quello del suo essere vincolato ad un io individuale personale. Quello che Husserl cercherà di chiarire, soprattutto ruotando attorno alle questioni poste dalla Quinta meditazione, è il disvelarsi tramite la riduzione fenomenologica come riduzione al primordinale, sia della sfera dell’assolutamente personale-individuale, sia del legame di tale sfera con quella comunitaria del mondo intersoggettivo.

Per Husserl, la mia esperienza degli altri è de facto un’esperienza reale: noi avvertiamo gli altri nel nostro esser inseriti in un mondo naturale e sociale, terreno comune della mia esperienza e dell’esperienza altrui. «Io esperisco in me stesso, nell’ambito del mio vivere coscienziale, ogni e ciascuna cosa ed esperisco il mondo non come meramente mio, privato, ma come intersoggettivo, dato per ciascuno e accessibile nei suoi oggetti e in esso esperisco gli altri esistenti come altri e in pari tempo nel loro essere ciascuno l’uno per l’altro».72

Ma per cogliere adeguatamente il senso del mondo intersoggettivo e del mio essenziale farne parte, devo prima capire ciò che è inalienabilmente mio. Solo a partire dal significato della mia concreta individualità posso passare alla relazione con gli altri ed al mondo circostante che con essi condivido. Per capire l’altro devo prima raggiungere quel che mi è più proprio, che mi appartiene essenzialmente. Per far ciò devo prima di tutto potermi distinguere e distanziare da tutto ciò che non sono. Il raggiungimento e l’attraversamento della sfera solipsistica è per Husserl una sorta di passaggio metodico necessario per passare poi a quella della relazione con l’altro, la sfera dell’empatia.

Per trovare quel che mi è più proprio devo dunque astrarre e isolarmi del tutto dal mondo intersoggettivo. Devo quindi mettere tra parentesi l’esistenza degli altri e «tutti gli strati di senso del mio ambiente che sorgono in me dal valore d’esperienza degli altri».73 Decostruendo quel mondo che mi appare sempre come un orizzonte aperto verso gli altri, sono allora in grado di trovare la mia irriducibile facoltà primordiale:

nel compimento di questa universale riduzione — afferma Husserl — ci troviamo di fronte a nient’altro che alla tanto discussa riduzione fenomenologica e a quel nuovo territorio dell’essere, quella soggettività trascendentale da me così denominata. In realtà, quando perveniamo fondamentalmente alla fine di quel che autenticamente è l’accadere necessario per giungere alla primordialità, perveniamo con estrema precisione alla riduzione fenomenologico trascendentale.74

Nella più preciso esercizio della riduzione possiamo dunque pervenire alla sfera primordinale, sfera inalienabile, ottenuta escludendo ogni forma di presenza dell’estraneo: l’assolutamente mio si definisce nell’astrazione totale dall’altro.

Tramite tale esercizio di riflessione trascendentale viene rovesciata la dimensione quotidiana, usuale, della consuetudine agli altri. Come Husserl sottolinea già nella prima stesura della Quinta meditazione, «la riduzione alla mia sfera di appartenenza (Eigenheitssphäre) trascendentale o al mio stesso io trascendentale attraverso l’astrazione da tutto ciò che la mia costituzione trascendentale mi da come estraneo, ha qui un senso inusuale. Diversamente, nell’atteggiamento mondano naturale mi trovo nella forma dell’esser di fronte: io e gli altri. Astraggo dagli altri nel senso consueto e rimango in tal modo io solo».75 Ma non è ancora un’astrazione radicale. Deve essere tematicamente esclusa l’intera intenzionalità rivolta all’estraneo, l’effettività per me della sua esistenza: «tale problematica guadagna comprensibilità — aggiunge Husserl — quando caratterizziamo a fondo la sfera del proprio (Eigenheitssphäre) dell’ego. L’esclusione tematica delle operazioni costitutive dell’esperienza dell’estraneo e con esse di tutte le modalità di coscienza relative all’estraneo non riguarda ora la pura epoché fenomenologica all’interno della validità d’essere di tutte queste modalità di coscienza che è già dischiusa nell’universalità della riduzione trascendentale. Noi poggiamo già sul terreno trascendentale. Ma ora […] noi prescindiamo nel fenomeno del mondo dagli altri e da tutto ciò che è conforme alla loro esistenza, e ci chiediamo cosa rimanga».76

Vi è dunque all’opera nella riduzione primordinale, una duplice spoliazione: quella eseguita dall’epochè della totalità della realtà mondana ma assieme anche un ulteriore riduzione del fenomeno così guadagnato con l’esclusione assoluta di ogni dimensione di alterità. Quel che rimane in questo processo di astrazione è per Husserl una sorta di substrato naturale, che mi appartiene essenzialmente, che mi costituisce non come mera corporeità, ma in quel che io sono in quanto Leib: vale a dire l’assoluta vicinanza, l’assoluta prossimità con me stesso in quanto essere vivente, l’auto-percezione della mia stessa vitalità intenzionale-temporale.77 Questa prossimità è la mia sfera personale, del tutto originale, essa è la mia intimità inaccessibile all’altro. Non appena abbiamo messo fuori circuito, tramite la riduzione primordinale, le operazioni intenzionali dell’empatia, otteniamo dunque una natura ed una corporeità vivente, che è la mia stessa vita con le sue potenzialità di esperienza avvertite come assolutamente inseparabili da me.78

Solo dopo aver guadagnato un essere egologico che esclude da sé qualsiasi relazione di estraneità, l’altro si può costiture realmente come tale. La riduzione primordinale è, in questo senso, il punto di appoggio indispensabile per intendere l’esperienza dell’alterità, e diviene la base fondamentale per capire l’empatia. Il guadagno paradossale di tale riduzione, è quello secondo cui l’altro può relazionarsi a me proprio perché viene escluso dall’accesso diretto alla mia sfera primordinale e viceversa. Sarà dunque questo il punto essenziale conclusivo da prendere ora in esame nella nostra analisi husserliana.

Assieme al guadagno di quel che mi è più proprio, ottenuto escludendo ogni forma di presenza dell’estraneo, prende corpo, nelle analisi husserliane, anche la questione di come la mia esclusiva proprietà, la mia primordinalità assoluta, per esser riconosciuta come tale, debba poter avere il suo analogo nell’altro. Proprio a partire dalla mia inalienabilità anche la figura dell’altro è direttamente e nuovamente chiamata in causa. Mi devo cioè interrogare attorno al fatto che anche l’io dell’altro, al pari del mio io, debba essere intimamente e immediatamente connesso alla sua sfera primordinale così come io sono vincolato alla mia. Devo chiedermi appunto se esista una via che conduce all’altro come «altro trascendentale» con le mie stesse caratteristiche costitutivo primordiali.

Poiché la primordinalità dell’altro non mi è data nel modo diretto in cui sono consapevole della mia, il costitituirsi dell’altro in me tramite l’empatia (la necessità del suo venir appresentato) avviene come una sorta di modificazione del mio io primordinale in cui io esperisco fattualmente l’altro come un altro io con la sua costituzione mondano-temporale sebbene, come si è già messo in luce, non possa esperire direttamente tale costituirsi così come invece avviene per il mio io. Esiste allora tra me e l’altro un singolare rispecchiamento. Nell’esperire l’altro nella sua propria vita intenzionale non faccio esperienza diretta del suo sé, dei suoi vissuti, dei suoi oggetti intenzionali, delle sue prospettive di percezione ecc., poiché «quel che è proprio all’ego estraneo […] non è a priori direttamente esperibile in sé stesso».79 Ma nel cogliere l’estraneo come tale, vale a dire come colui la cui intimità più profonda, il suo io primordinale, mi è necessariamente inaccessibilile, ne riconosco la validità di alterità: riconosco l’altro come un altro io individuale in carne ed ossa e non come una mera riproduzione di me stesso. Si tratta di un passaggio di fondamentale importanza poiché indica che il senso più profondo dell’individualità personale si mostra tramite il senso essenziale dell’esperienza dell’altro: nella necessità di appresentarmi l’altro come un io estraneo risiede la garanzia stessa della mia individualità e dell’impossibilità che essa venga annullata in quella altrui.

Iniziando allora da quest’ordine di questioni può anche essere chiarito quel che si va profilando per Husserl come il senso di «una teoria dell’empatia», come modalità di un’«intenzionalità di più alto grado»: si tratta di un’ intenzionalità in cui nei propri vissuti confluiscono anche quelli dell’altro io, allargando in questo modo concretamente all’altro la sfera del proprio ego primordinale .80 Seguendo la modalità dell’empatia abbiamo dunque a che fare con un alter ego, il cui senso «io» scaturisce originariamente da me stesso: «nel primo grado, quello più primitivo dell’esperienza dell’estraneo, sarebbe dunque il puro primordinale io-stesso quel che in essa viene empatizzato nella forma di senso dell’altro».81

Questa relazione necessaria tra il proprio e l’estraneo va allora ricondotta al ruolo cardine giocato dalla motivazione nella modalità dell’esperienza dell’altro: esiste cioè un nesso necessario tra il motivante che è il proprio, la mia sfera primordinale, e il motivato che è l’estraneo, la sfera primordinale dell’altro. Questo nesso si manifesta in una sorta di struttura reciproca, una dimensione cooriginaria con l’altro, una Paarung, in cui la vitalità primordiale-intenzionale dell’altro, ciò che gli è assolutamente proprio, motiva la mia appercezione dell’altro come quella di un alter ego, di un altro io, un analogon alla mia primordialità.

Anche se sottintende e presuppone l’abitualità e i meccanismi associativi ad essa connessi, alla base dell’immediato riconoscimento dell’altro vi è dunque un processo motivazionale e non una trasposizione logico-deduttiva secondo cui in analogia alla mia realtà vivente individuerei quella altrui. «L’appercezione afferma Husserl non è alcuna deduzione, alcun atto di pensiero. In un certo qual modo ogni appercezione è appercezione del nuovo in base al trasferimento analogico di una precedente appercezione originariamente fondante, ma non è affatto una deduzione analogica».82

Io mi ritrovo dunque insieme all’altro in virtù di quel fondamento che è la comune intangibilità della nostra sfera primordinale ancor prima del dispiegarsi di un qualsiasi meccanismo associativo. La mia intangibilità assieme a quella dell’altro, è il fondamento intersoggettivo del legame tra le nostre esistenze, garanzia reciproca della nostra individualità. È ciò di cui io faccio continuamente esperienza nel mio incontro con l’altro. «In virtù dell’esperienza dell’estraneo si stabilisce immediatamente tra me, io psicofisico primordinale […] e l’altro che viene esperito nell’appresentazione, […] tra il mio ego monadico e il suo», una comunità fondamentale. Comunità che è sua volta «fondamento di tutte le altre formazioni intersoggettive di comunità».83

La comunità intersoggettiva, a partire dalla relazione immediata tra me e l’altro, è dunque quell’intero a cui l’individuo è strutturalmente legato e da cui essenzialmente dipende senza però dover esser confuso con essa oppure in essa venir annullato: la sfera primordinale nella sua inaccessibilità è il vero significato dell’intero, significato paradossale poiché proprio la reciproca intangibilità fa sì che l’io e l’altro possano essere costitutivamente insieme e riconoscersi nella forma mediata di una comunità.84 Nell’analisi dell’empatia in relazione alla riduzione primordinale viene allora descritto da Husserl anche il senso profondo del nostro comune fondamento personale ed intersoggettivo: quello della radicale intangibilità dell’individuo come suo carattere essenziale, primordiale e quello della comune possibilità della pluralità dell’esistenze individuali.


  1. Cfr. E. Husserl, Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, Husserliana (d’ora in poi HUA e numeraz. romana susseguente), Bd. I, Hrsg. S. Strasser, Nijhoff, Den Haag 1950; tr. it. di F. Costa in Meditazioni cartesiane con l’aggiunta dei Discorsi parigini, Bompiani, Milano 1989 e Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Dritter Teil: 1929-1935, HUA XV, Hrsg. I. Kern, Nijhoff, Den Haag 1973. ↩︎

  2. Il termine primordinale (Primordinal) viene sostituito da Husserl, successivamente alle Meditazioni Cartesiane, con quello di primordiale (Primordial). I due termini possiedono sostanzialmente lo stesso significato: quello dell’assoluta priorità dell’originariamente proprio nella nostra sfera egologica. Cfr. I. Kern, Einleitung des Herausgebers, in Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Dritter Teil: 1929-1935, HUA XV, Hrsg. I. Kern, Nijhoff, Den Haag 1973, p. XVIII, nota 1. ↩︎

  3. Per un approfondimento di tali questioni ci sia consentito rinviare al nostro L’esistenza in ostaggio. Husserl e la fenomenologia personale, FrancoAngeli, Milano 2011. ↩︎

  4. HUA I, p. 139. ↩︎

  5. E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologische Philosophie. Zweites buch: Phänomenologische Untersuchungen zur Konstitution, Hrsg. M. Biemel, HUA IV, Nijhoff, Den Haag, 1952, p.200; cfr. Id., Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Erster Teil: 1905-1920, HUA XIII, Hrsg. I. Kern, Nijhoff, Den Haag 1973,, pp. 442-443. ↩︎

  6. Cfr. HUA IV, p. 169. ↩︎

  7. HUA IV, p. 159. ↩︎

  8. Cfr. Ibidem, p. 158. ↩︎

  9. HUA IV, tr. it. cit. a cura di V. Costa in Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica. Volume II: Ricerche fenomenologiche sopra la costituzione, Einaudi, Torino, 2002, p. 161. ↩︎

  10. Cfr. Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologische Philosophie. Erstes Buch. Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, HUA III, Hrsg. K. Schumann, Nijhoff, Den Haag 1976, § 42. ↩︎

  11. Si veda ad es. Ding und Raum. Vorlesungen 1907, in HUA XVI, Hrsg. U. Claesges, Nijhoff, Den Haag, 1973, § 16. ↩︎

  12. Cfr. Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, XUA VI, Hrsg. W. Biemel, Nijhoff, Der Haag 1976, p. 161. ↩︎

  13. Cfr. Ibidem e Phänomenologische Psychologie. Vorlesung Sommersemester 1925, HUA IX, Hrsg. W. Biemel, Nijhoff, Den Haag 1968, p. 183. ↩︎

  14. HUA I, tr. it. cit., p. 17. ↩︎

  15. Cfr. J. P. Sartre, L’essere e il nulla, tr. it. di G. Del Bo, il Saggiatore, Milano 1975, p. 299: «altri è sempre là, come un sostrato di significazioni costitutive che appartengono all’oggetto che io considero; insomma come il vero garante della sua oggettività». ↩︎

  16. Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Zweiter Teil: 1921-1928, HUA XIV, Hrsg. I. Kern, Nijhoff, Den Haag, 1973, p. 289. ↩︎

  17. HUA IV, p. 163. ↩︎

  18. HUA IV, tr. it. cit. pp. 165-166. ↩︎

  19. Ibidem, p. 168. ↩︎

  20. Ibid., p. 169. ↩︎

  21. HUA IV, p. 169. ↩︎

  22. Cfr. HUA IV, tr. it. cit., p. 161. ↩︎

  23. Ibidem, p. 154. ↩︎

  24. Ibidem, p. 249. ↩︎

  25. Ibidem, p. 163. ↩︎

  26. Ibidem, p. 162. ↩︎

  27. Ibid., p. 68. ↩︎

  28. Ibidem, p. 154. ↩︎

  29. HUA IV, p. 58. ↩︎

  30. HUA IV, tr. it. cit., pp. 67-68. ↩︎

  31. Ibid., p. 154. ↩︎

  32. Ibid., pp. 154-155. ↩︎

  33. Cfr. HUA IV, § 36. ↩︎

  34. HUA IV, tr. it. cit., p. 268. Sul significato spirituale della motivazione personale si veda anche E. Husserl, Einleitung in die Ethik. Vorlesungen Sommersemester 1920/1924, HUA XXXVII, Hrsg. H. Peucker, Kluwer, Dordrecht 2004, §§ 22-26. ↩︎

  35. Per quanto segue cfr. HUA IV, §§ 56-57 e la ripresa di questi motivi husserliani in E. Stein, Introduzione alla filosofia, tr. it. di A. M. Pezzella, Città Nuova, Roma 1998, pp. 208-213. ↩︎

  36. HUA IV, tr. it. cit., p. 237. ↩︎

  37. Ibidem, p. 247. ↩︎

  38. Ibid., p. 238. ↩︎

  39. Ibid., p. 244. ↩︎

  40. Ibid., p.197. ↩︎

  41. Ibid., p. 196. ↩︎

  42. Ibid., pp. 197-198. ↩︎

  43. Ibid., p. 202. ↩︎

  44. Cfr. HUA XV, pp. 334 ss. ↩︎

  45. HUA XIV, p. 260. ↩︎

  46. Nella Krisis Husserl sosteneva che l’intersoggettività può essere trattata come un problema trascendentale solamente attraverso un radicale mettersi in questione, attraverso un instancabile «mich selbst fragen». La riduzione è inoltre per Husserl incessante «metodologia in azione vivente». Cfr. HUA VI, p. 206 e la lettera dell’11 giugno 1932 ad Ingarden, in Briefwechsel, Band III, Teil 3, Kluwer, Dordrecht/Boston/London 1994, p. 285. ↩︎

  47. Discorsi parigini, in HUA I, tr. it. cit., p. 15 (C.vo nostro). ↩︎

  48. Ibid., p. 16. ↩︎

  49. Ibid., p. 18. ↩︎

  50. HUA XIV, p. 34. ↩︎

  51. Cfr. Discorsi parigini, in HUA I, tr. it. cit., p. 23. ↩︎

  52. Cfr. HUA I, §§ 17-18. ↩︎

  53. Ibidem, tr. it. cit., p. 72. ↩︎

  54. Ibid., pp. 102-103. ↩︎

  55. Ibid., pp. 104-105. ↩︎

  56. Ibidem↩︎

  57. Ibid., p. 106. ↩︎

  58. HUA IV, tr. it. cit., p. 107 (C.vo nostro). L’unità del decorso temporale dei vissuti «è una continuità di movimenti incessanti la quale forma un’unità indivisibile, non divisibile in tratti che possano stare a sé, e non separabile in fasi che possano stare a sé, in punti della continuità». Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstsein (1893-1917), Hrsg. R. Boehm, HUA X, Nijhoff, Den Haag 1966, tr. it. di A. Marini in Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, FrancoAngeli, Milano 1992, p. 63. ↩︎

  59. HUA IV, tr. it. cit., p. 108. ↩︎

  60. Ibidem, pp. 108-109. ↩︎

  61. Ibid., p. 114. ↩︎

  62. Ibid., p. 115. ↩︎

  63. Ibid., p. 115 (C.vo nostro). ↩︎

  64. Cfr. HUA IV, tr. it. cit., p. 110. ↩︎

  65. Ibidem, p. 275. ↩︎

  66. La prova più esplicita di tutto ciò sono, naturalmente, i materiali raccolti in HUA XIV. ↩︎

  67. Cfr. ad es., E. Husserl, Briefwechsel, Bd. III, Teil 2, Kluwer, Dordrecht/Boston/London 1994, p. 262. ↩︎

  68. Cfr. HUA XV. ↩︎

  69. Nella Krisis Husserl parlerà di abbandono della «via cartesiana» della riduzione contenuta in Ideen I e del conseguente rivolgersi all’approfondimento del senso trascendentale intersoggettivo della soggettività fungente. Ma, come vedremo, questa validità fungente-trascendentale viene attribuita da Husserl anche alla riduzione primordinale come dimensione temporale. Cfr. HUA VI, §§ 42-43. ↩︎

  70. HUA I, p. 10. ↩︎

  71. Ibid., p. 11. ↩︎

  72. Ibid., p. 29 (C.vo nostro). ↩︎

  73. Ibid., p. 30. ↩︎

  74. Cfr. XUA XV, p. 535. ↩︎

  75. HUA XV, p. 6. ↩︎

  76. Ibidem, p. 7. ↩︎

  77. Cfr. Ibid., p. 9. ↩︎

  78. Cfr. Ibid., p. 11. ↩︎

  79. HUA XV, p. 12. ↩︎

  80. Cfr. Ibidem, pp. 12-14. ↩︎

  81. Ibid., p. 13. ↩︎

  82. Ibidem, p. 14. ↩︎

  83. Cfr. HUA I, tr. it. cit., pp.139-140 e HUA XV, pp. 99-110. ↩︎

  84. Come è emerso dall’analisi dell’empatia, il significato paradossale qui sottinteso è quello dell’individualità personale nella sua inoggettivabilità vale a dire nell’impossibilità stessa di poter esser ridotto a cosa percepita. Si tratta quindi di un’interdipendenza del tutto sui generis tra le parti e l’intero. Per il significato di fondazione (Fundierung) come interconnessione tra la parte e l’intero, cfr. la Terza ricerca husserliana in Logische Untersuchungen. Zweiter Band. Untersuchungen zur Phänomenologie und Theorie der Erkenntnis, HUA XIX, Hrsg. U. Panzer, Nijhoff, Den Haag 1984, § 21. ↩︎