Il pensiero di Edith Stein sullo sfondo del pensiero di Meister Eckhart, ovvero il neoplatonismo steiniano

1. Delimitazione del campo di indagine

Senso e scopo di questo lavoro è sostanzialmente quello di approfondire e precisare un particolare aspetto di un’ipotesi circa il pensiero steiniano. Ipotesi che abbiamo seguito e sviluppato in due estese ricerche, dedicate l’una all’esplorazione della sua dimensione platonica e l’altra all’estensione di questa tesi in direzione di un’approssimazione al neoplatonismo più mistico-apofatico ed inoltre al pensare metafisico-religioso più contemplativo.1 Il particolare aspetto del pensiero steiniano al quale qui ci riferiamo consiste nell’ipotesi che la Stein abbia fatto riferimento nella sua opera alla visione di Meister Eckhart. Tale ipotesi è emersa in particolare nella seconda delle nostre ricerche appena menzionate, e specificamente al modo dl vero e proprio ponte, costituito da Eckhart, da una metafisica religiosa molto ristretta (in quanto pienamente inscritta nella sola tradizione cristiana) verso una metafisica religiosa dagli amplissimi confini. Ed in questa ricerca crediamo di aver abbastanza chiaramente mostrato che l’approssimazione del pensiero steiniano a tale scenario non abbisogna necessariamente di concrete prove documentali, ma è invece cosa che si pone di per sé ed in un modo estremamente naturale. Ciò soprattutto sulla base dell’ipotesi secondo la quale esiste un grande ambito di pensiero strenuamente metafisico-religioso nel quale possono essere fatti rientrare (per naturale affinità) diversi pensatori. Anche se non assimilabili sulla base di concrete prove documentali (storiche o dottrinarie). E tra poco vedremo quale significato ciò può avere per la ricerca svolta nel presente articolo.

Orbene, una volta delineato tale contesto di partenza, vanno fatti due fondamentali chiarimenti.

  1. Che il pensiero di Eckhart possa avere questa specifica valenza (di fattore espansivo di prospettive metafisiche), è cosa ben giustificata in forza di un estremamente attuale filone di studi.2 Tutt’altro che certa è invece l’ipotesi che la Stein abbia davvero fatto riferimento al pensatore renano. Vi sono invero alcune voci che testimoniano il fatto che la pensatrice sia stata una lettrice di Eckhart,3 ma sta di fatto che egli non viene praticamente mai citato nelle sue opere. E nella nostra sopra menzionata ricerca abbiamo anche cercato di spiegarne il perché.4. Tale tesi di un Eckhart pienamente inscritto nello spirito della Scolastica cozza però perfino con la tesi dello stesso Gilson (vedi dopo). E tuttavia lo stesso Sturlese (p. XLVI-XLVII) è costretto a rilevare nell’impiego della «locutio emphatica» la chiara tendenza del pensatore a sfidare le «difficoltà» (ovvero le aporie) proprio con un linguaggio creativo (ricco addirittura di arditi neologismi) che possa davvero stare alla pari con le contraddizioni logiche proprie del divino. Si tratta con ciò evidentemente di un pensiero iper-razionale. Del resto poi i testi eckhartiani sono letteralmente infarciti di riferimenti a «maestri» o «professori», la cui opinione viene menzionata alludendo al disaccordo da essa proprio nel senso dell’iper-razionalità alla quale il pensatore si ispira nelle sue riflessioni.] Ebbene, in questo articolo vorremmo attenerci scrupolosamente proprio a questo fatto, mettendo pertanto rigorosamente tra parentesi tutte le possibili speculazioni sulla possibile relativizzazione del suo significato. Vorremmo cioè partire proprio dal fatto che un collegamento diretto tra i due pensatori non sussiste oggettivamente. Cosa che però non incide per nulla su due evidenze. La prima è che tra essi sussistono impressionanti affinità. La seconda è che è continuamente tangibile il fatto che il pensiero eckhartiano, fungendo da fattore di estensione ed anche chiarimento di molto elementi concettuali steiniani, ne permette anche una comprensione molto più profonda. In particolare permette di comprenderne molto più profondamente e sensibilmente lo spirito.
  2. Da tutto ciò discende poi il secondo chiarimento che è il seguente. Dato che siamo solo studiosi della Stein e non di Eckhart, non potremo basarci in questo lavoro su una sufficiente mole di letture (testi originali ed apparato critico) relative al secondo pensatore. Cosa che è però del tutto coerente con i nostri scopi, perché il nostro obiettivo è qui solo e soltanto quello di chiarire ed approfondire il pensiero della Stein. Cosa per cui il pensiero di Eckhart è destinato a servirci solo da sfondo. Pertanto ci baseremo qui, oltre che su alcuni testi eckhartiani, soprattutto sui alcuni citati testi critici (Mieth, Beccarisi, Sturlese, Beierwaltes). Con l’aggiunta inoltre del davvero fondamentale inquadramento storico-filosofico offerto da Gilson.5 In ogni caso, agli effetti pratici, ciò significa che quando parleremo di Eckhart, comunque parleremo sempre in primo luogo della Stein.

2. Introduzione

Una volta delimitato il campo di indagine,6 e prima di entrare nel merito degli specifici aspetti ed elementi concettuali, è necessario introdurre la sfera di idee nella quale ci muoveremo entro il contesto specifico dell’opera steiniana e soprattutto dello spirito che la sorresse. Si tratta insomma proprio di quella sfera di idee rispetto alle quali il fattore E (Eckhart) può essere utile nel senso esposto prima. E con ciò parliamo sostanzialmente dei due grandi elementi polari, di tipo metafisico, tra i quali si è mossa l’intera riflessione steiniana, ovvero Infinito e finito.

Il primo dei due elementi polari sta per Dio stesso (o Principio) ma nella forma specifica di un supremo Soggetto di Essere ma anche di Conoscenza (e nel cui seno si esplica poi l’intera dimensione metafisico-epistemologica che la Stein indagò a fondo come idea ed essenza nella loro dimensione onto-generativa, ovvero entro una teoria della costituzione decisamente in senso «teocentrico»7 ed inoltre entro una generale dottrina dell’individuazione incentrata sulla determinazione essenziale).8 Tale supremo Soggetto di Essere si presenta senz’altro come l’«Essere puro» stesso (Dio quale Essere infinito), ma ancor più, in forza della valenza epistemologica che ad esso spetta, quale radicalmente supremo Intelletto (Principio in forma di Intelletto, o Dio-Intelletto) e quindi anche suprema «Identità».9 E qui decisamente viene in primo piano quella dimensione sovra-essenziale del divino che è in fondo anche sovra-intellettuale (dato che l’Identità costituisce di fatto la quintessenza dell’intellettualità proprio nel proprio fondere insieme Essere e Conoscenza).

Il secondo dei due elementi polari sta sostanzialmente per quell’ente umano conoscente e cosciente (quello capace del «sapere di sé») che poi, entro la fase matura del pensiero steiniano, si presenta come l’Essente («Seiende») per eccellenza. E ciò in due forme, ovvero quella dell’irripetibile unicum personale (ente vevente-pensante) e quella di autentico centro di un’ontologia spiritualista incentrata in Cristo stesso (quale supremo paradigma metafisico di Essente). Rispetto a tutto ciò emergono poi due tendenze generali della visione steiniana: — 1) la specifica valenza umano-divina che ha l’Essente unico-personale quale autentica immagine speculare («Abbild») dell’Assoluto divino («Atto puro», «Essere eterno ed infinito»….) ; 2) la totale impregnazione spirituale del Reale (che poi trova il suo nucleo nella profondità interiore della dimensione spirito-animica), e che, in termini metafisico-epistemologici (ma anche filosofici), equivale poi alla dimensione del «senso » (intelligibilità dell’ente in quanto comprensibile all’ente-pensante così come al Principio che lo ha «voluto»).

Diremmo che è in questo complessivo quanto sintetico quadro che si può riassumere il pensiero steiniano nella sua fase matura. Ovvero dopo che è già avvenuto il suo tentativo di riconciliare Husserl (filosofia, idealismo del soggetto cosciente, pensiero moderno, epistemologia) con Tommaso (teo-metafisica, realismo, pensiero antico, ontologia). È proprio così che la visione steiniana prende la sua forma definitiva. Naturalmente però tale sintesi sacrifica la grande varietà di temi, aspetti ed elementi concettuali che si muovono entro tale contesto (e che però, almeno per i nostri scopi, sono da considerare secondari). Resta però ancora da dire che, almeno a nostro personale avviso, questa fase del pensiero steiniano non è da considerare affatto come quella davvero ultima. Ad essa sussegue infatti una fase mistico-contemplativa (incentrata intorno a Dionigi ed ai grandi mistici cristiani, Juan de la Cruz e Teresa d’Avila) e che dal nostro punto di vista non va considerata affatto ultra-filosofica (Ragione) e pertanto puramente religioso-fideistica. A noi sembra infatti che in questa fase la Stein sostenga proprio la possibilità di una conoscenza dell’Assoluto divino (CIAD) che si incentra poi intorno ad una contemplazione che è poi tutt’una con la fede amorosa.10 E naturalmente proprio intorno a questo sarà possibile ritrovare estremamente significative assonanze con quel pensiero eckhartiano che senz’altro (in generale e nel suo spirito profondo) fu una mistica.11 Per la precisione una mistica «pratica» ovvero incentrata nell’azione.12 Un’azione che però include ed integra perfettamente la contemplazione.Pertanto, senza entrare ulteriormente nel merito di specifici aspetti concettuali del pensiero steiniano, dobbiamo qui ancora accennare in maniera estremamente sintetica ad una serie di prospettive metafisiche entro le quali può essere ricondotto il suo pensiero. E proprio sulla falsariga di tali prospettive bisogna constatare il venire ad ultimo compimento della sua visione solo nell’ultimissima fase.

In primo luogo abbiamo il delinearsi di un idealismo essenzialista che decisamente oppone il pensiero steiniano (nella sua fase matura) al realismo sostanzialista di Tommaso. E, come abbiamo dimostrato nella nostra tesi di dottorato, il primo può essere senz’altro identificato con il platonismo mentre il secondo con l’aristotelismo. Non solo, ma abbiamo anche mostrato che, trattandosi in fondo di un «idealismo realista»,13 esso permette per molti versi di assimilare il pensiero steiniano a quello di Platone stesso.14

In secondo luogo abbiamo poi il delinearsi di un interiorismo (incentrato sul riconoscimento dello specifico elemento della profondità ultra-spaziale ed ultra-temporale, ovvero eterno, di un’animicità identificata fondamentalmente con lo «spirito ») che si oppone decisamente a qualunque forma di enticismo esteriorista (quello sostanzialista o anche quello esistenzialista). Qui gioca un ruolo fondamentale il deciso viraggio da Tommaso (incluso Husserl) ad Agostino che avviene senz’altro già nella fase matura del pensiero steiniano.15 E tuttavia, non solo già in questa fase bensì soprattutto in quella successiva, ci sembra che la così straordinaria strenuità dell’interiorismo steiniano esiga il riferimento molto più ad Eckhart che non ad Agostino.

In terzo luogo abbiamo inoltre il delinearsi di uno spiritualismo, del quale possono essere evidenziati diversi aspetti, tutti incentrati nella riducibilità alla dimensione dello «spirito» di diversi degli elementi concettuali finora evidenziati:16 — 1) quello concordante con l’idealismo essenzialista (idea-essenza quale spirito); 2) quello concordante con l’interiorismo (spirito quale autentico sfondo profondo dell’interiorità animica); 3) quello concordante con l’Essente unico-personale ed umano-divino (finito come specchio del divino) quale nucleo di un’ontologia che è manifestazione ubiquitaria di Dio stesso (in Cristo come Essere e Mondo nella sua totale estensione); 4) quello concordante con l’intera dottrina del «senso» quale prodotto di una relazione bi-direzionale tra lo Spirito soggettivo formante (umano e divino) e lo Spirito oggettivo rispondente alla spiritualizzazione (formazione) — per mezzo di quei «valori» che entrano nella « vita spirituale » del soggetto determinandone l’intensità.

In quarto luogo abbiamo infine il delinerarsi di un trascendentismo (fondato su alcuni assoluti valori metafisici : trascendente divino, Essere ideale divino, interiore, spirito, ideale, essenza) che si oppone decisamente a qualunque forma di immanentismo (fondato invece su valori metafisici del tutto opposti : immanente umano-mondano-naturale, Ente, esteriore, corpo-materia, cosale, sostanza, esistenza). Entro tale contesto va poi presa in considerazione la questione estremamente problematica del valore assegnato dalla Stein all’Assoluto-Infinito (nella forma specifica di Infinito e di Dio trascendente) nel suo rapporto con il relativo una volta colto nella sua forma specifica di finito (determinato) ed anche di Dio immanente (o Dio vivo).17

Vi è poi da considerare in ultimo una prospettiva estremamente generale, che può contenere in sé tutte le prospettive finora evidenziate a mo’ di specifica concezione filosofico-metafisica (e pertanto necessariamente anche specifica Weltanschauung). Si tratta di quella prospettiva platonica di cui abbiamo già parlato e che abbiamo appunto indagato a fondo nelle nostre precedenti ricerche. Senza entrare nel merito dei risultati raggiunti in questa sede, va pertanto qui solo posto in evidenza il fatto che il riferimento platonico più ragionevolmente plausibile per il pensiero steiniano è costituito dal platonismo cristiano. Ebbene, proprio rispetto a quest’ultimo sono state per noi di importanza fondamentale le ricerche di critici von Ivánka, Hessen18 e Gilson. Entro le quali (insieme ad una grande varietà di aspetti) è emersa in particolare l’identità di un platonismo cristiano particolarmente strenuo, e proprio come tale capace di una riflessione metafisico-religiosa (incentrata sull’assoluta primarietà della Fede, e quindi della stessa suprema Sapienza e Verità divino-trascendente, quale punto di inizio per un ragionare filosofico ed anche orizzonte complessivo entro il quale esso è chiamato a muoversi), che non segrega nettamente la prospettiva cristiana da quella pagana.19 Nel quale sono da includere sostanzialmente i Padri greci, e cioè Origene, Eusebio, Clemente, Basilio, Gregorio da Nazanzio, Gregorio di Nissa, Dionigi, con significativi riflessi poi nella tradizione latina (Vittorino, Calcidio, Macrobio, Agostino, Scoto Eriugena, Eckhart, Cusano…). Ebbene qui dobbiamo parlare molto più di neoplatonismo che non invece di platonismo, con la conseguenza del profilarsi di una vera e propria continuità tra neoplatonismo pagano greco-romano e neoplatonismo cristiano orientale (greco) ed occidentale (latino). E proprio a tale proposito è emersa nuovamente la necessità, allo scopo di poter comprendere nella sua pienezza il pensiero steiniano (il cui spirito trova per noi compimento solo nell’ultimissma fase mistico-contemplativa e neoplatonico-apofatica), di prendere in considerazione molto più Eckhart che non invece Agostino. Il secondo infatti20 è da considerare molto più platonico che non invece neoplatonico. Pertanto, la necessità di prendere in considerazione più Eckhart che non Agostino porta con sé la necessità di prendere in considerazione molto più il neoplatonismo che non il platonismo. Neoplatonismo cristiano che però fa tutt’altro che escludere il neoplatonismo pagano.

Ordunque, per mezzo di questo sguardo a volo d’uccello sul pensiero steiniano sono anche emersi gli elementi tematici sui quali poi ci dovremo soffermare. Ma ciò può essere possibile solo delineando dall’altro lato anche quelle che possono essere considerate le coordinate del pensiero eckhartiano, e specificamente dal punto di vista della loro specularità rispetto alle coordinate del pensiero steiniano.

Di Eckhart, come abbiamo già detto, possiamo fornire un’immagine ben meno precisa e circostanziata di quella che abbiamo delineato con la Stein. E tuttavia, sulla base dei riferimenti a nostra disposizione, è comunque possibile offrire un quadro di insieme abbastanza indicativo.

È evidente che la figura del pensatore renano si staglia come quella di una presenza filosofico-metafisica che si caratterizza per la strenuità di un pensare religioso a sua volta capace di raggiungere le vette di una speculazione, sempre insieme metafisica e mistica, le cui caratteristiche sono poi quelle (tutte straordinarie ed originalissime) della profondità abissale, dell’acutezza penetrante e dell’ardimento senza remore. Che poi proprio ciò che crea imbarazzo nei pensatori rigorosi. Cosa che non poteva non portarlo ad una tale collisione con vari generi di istituzionalità dogmatica del pensiero21 da guadagnargli il processo per eresia che per poco non gli costò la vita (con la conseguente condanna perdurata fino a non poco tempo fa).22 E, come abbiamo già visto, si di un dogmatismo non solo teologico ma anche filosofico — il cui bersaglio — poi il nucleo stesso del suo pensiero, ovvero quello appena menzionato della strenuità del pensare metafisico-religioso. Proprio da questo possiamo e dobbiamo dunque partire nel tentare di delineare un estremamente sintetico quadro di insieme del suo pensiero. Eckhart si muove infatti indubbiamente da un concetto di Dio come Intelletto che si allinea perfettamente con la primaria valenza di suprema Identità del Principio che abbiamo posto in evidenza (e di cui abbiamo riscontrato anche la valenza metafisico-integrale). È chiarissimo che in ciò egli si rifà di fatto a Plotino. Ed il Beierwaltes23 sottolinea peraltro proprio questo nel mostrarci peraltro in Eckhart uno dei maggiori culmini di un percorso che, a partire dall’«Io sono» biblico (autentico punto di partenza, per lui, di qualunque concetto di Essere), giunge poi fino all’Idealismo tedesco. Ebbene, prescindendo per ora da tutti gli elementi specifici della sua visione (che poi andremo ad esaminare), tale elemento è da considerare quello più centrale e fondamentale. Perché è proprio nello spazio generato dalla suprema Tautologia (suprema identità con sé stesso propria del Principio) che si delinea quel fondamentale contesto onto-dinamico che è poi lo stesso ciclo neoplatonico nella sua quintessenza. E ciò comporta in primo luogo che l’Essere è di fatto comprensibile solo dinamicamente. Ma entro una prospettiva nella quale esso si distende, tra il Principio colto all’inizio (Origine) e quello colto alla fine, in una maniera che obbligatoriamente include la prospettiva verticale e quella orizzontale. Tutto si muove insomma nel senso di una Manifestazione del Principio nell’Essere (estendentesi orizzontalmente) che poi è destinata sempre a piegare di nuovo verso l’alto (Ritorno), per culminare infine di nuovo nel Principio. E tutto ciò non è poi altro che l’atto del pensare sé stesso (come Essere) da parte del Principio. In questo senso l’Essere non è altro che Conoscenza. E Dio quale Essere non è dunque altro che Intelletto. L’Identità è pertanto il terzo e supremo termine apicale che assomma sempre in sé gli altri due. Ma affermando questo abbiamo detto non solo che il divenire verticale e quello orizzontale sono di fatto paralleli nel senso della continua reciprocità simultanea (tra di essi non vi è alcuna successione) ma abbiamo detto anche (e soprattutto) che, con questa complessiva fenomenologia, non è accaduto assolutamente nulla. Infatti, nonostante il divenire, tutto era è e sarà esattamente come era all’Inizio. È questo il principale senso dell’«Io sono» quale Tautologia. E dunque l’Essere stesso si rivela già qui in tutta la sua inconsistenza di pura apparenza. Ma ciò soprattutto in relazione alla primarietà assoluta della Simultaneità di tutto ciò che è solo apparentemente opposto (verticale-orizzontale, trascendente-immanente, alto-basso, prima-dopo…).24 In ogni caso ciò equivale comunque alla fondamentale affermazione metafisica in forza della quale non vi è altro che Dio, ovvero nulla è altro che Dio.

Su questo pone del resto fortemente l’accento il Mieth nel commentare quell’eckhartiano «Esse est Deus!» che si differenzia poi così tanto dalla corrispondente espressione tomista — ma l’eco testuale di tale commento è ancora più impressionante.25 L’affermazione eckhartiana si muove infatti nel senso del sostenere che fuori di Dio non vi è nulla nel senso che tutto appartiene a Lui in quanto suprema immaterialità intellettuale-spirituale (fino ad essere a Lui riducibile). È in questo senso che Egli è l’unica vera Identità nel senso di pienezza di essere, ovvero «Isticheit», ovvero «è-alità» (ed è in questo senso che si può e si deve parlare di «Atto puro»)

Ebbene, tutto ciò pone senz’altro in primo piano ancora una volta di fatto la stessa dottrina di Plotino (con tutte le inevitabili estreme conseguenze metafisico-morali e religioso-morali che essa comporta).26 Ma soprattutto rende estremamente problematica l’intera metafisica dogmatica di tipo cristiano (fino a farla vacillare in diversi suoi punti).27 In particolare fa sbiadire non poco concetti metafisici che si rivelano essere stati affermati molto più sulla spinta di esigenze religioso-morali che non invece autenticamente oggettive in termini dottrinari. E tuttavia emerge proprio qui l’altro grande e generale aspetto della dottrina eckhartiana, e cioè quello di una constante correlazione verticale e continua tra il Principio divino (Assoluto, Infinito ed Indeterminato) ed il finito-relativo-determinato. Che è di certo il luogo ontologico in cui il Principio di fatto si estingue. Ma soprattutto è, entro la visione eckhartiana, il luogo in cui il Principio trova la sua massima espressione. Ed ecco il finito e relativo umano-terreno che (come presso la Stein) è uomo-dio nel senso specifico dell’essere immagine speculare dell’Infinito ed Assoluto. Allora, mentre l’altro generale elemento metafisico è da considerare lo sfondo dell’intera visione, quest’ultimo generale elemento è da considerare il suo autentico fulcro. Il suo vero punto focale. Senza di esso infatti effettivamente la visione di Eckhart si riduce a quella di Plotino — con tutte le inevitabili conseguenze nel senso di una sostanziale indifferenza morale.

È pertanto proprio su questo secondo elemento che va fissato il nostro sguardo attento. Come su un punto di fuga in assenza del quale l’intera possibilità di approssimazione Eckhart-Stein viene meno e si dilegua. Qui emerge pertanto come criterio fondamentale quello della specifica visione metafisica cristiana. E però, grazie al solo Eckhart (e molto meno, invece alla stessa Stein), accade che questo non implica affatto la svalorizzazione in toto della visione metafisica pagana. Ecco allora il riemergere di quello specifico neoplatonismo cristiano più strenuo di cui abbiamo parlato.

Va però menzionato, anche se solo secondariamente, anche un terzo elemento molto generale della visione eckhartiana, e cioè quello dell’onto-dinamismo. La menzione del quale ci induce a parlare di asse a proposito di ciò che finora abbiamo definito come elemento. I due punti di riferimento della visione del nostro pensatore sono infatti quelli appena discussi: — il Principio come Intelletto (e suprema Identità) ed il finito-umano con il quale esso è in intima relazione. Pertanto tra di essi si genera quell’ininterrotta continuità di relazione che abbiamo visto come ciclo neoplatonico e che costituisce appunto l’asse portante (non statico ma dinamico) unente i due principali elementi. Ne riparleremo poi discutendo gli aspetti specifici del pensiero eckhartiano.

Infine, in modo estremamente sintetico, crediamo si possa e si debba dire che l’intera visione eckhartiana (specie così come si può incontrare nei suoi stessi testi) sembra avere l’intento (ed anche il senso) di offrire all’uomo comune (oltre che allo stesso pensatore tendenzialmente religioso) un guida per vivere religiosamente in primo luogo in modo spirituale. E cioè del tutto al di sopra dello spazio e del tempo (immanente e mondo), ovvero in quella dimensione spirituale-interiore che coincide con Dio stesso. Cosa che però implica un vivere pienissimo.

Più di questo dunque non bisogna dire del complessivo disegno della visione eckhartiana, e possiamo quindi passare alla discussione degli specifici elementi dell’approssimazione. A tale proposito dobbiamo però precisare che ciò che esporremo circa i possibili aspetti dell’approssimazione Stein-Eckhart deve necessariamente essere considerato appena come una selezione (e giocoforza arbitraria) di una serie davvero sconfinata di elementi di riflessione. Buona parte di essi li abbiamo esposti nella nostra già menzionata seconda ricerca sul pensiero steiniano (alla quale pertanto rimandiamo). Ma anche qui resta la limitante costituita dall’ancora molto ristretto ambito di conoscenze testuali eckhartiane che è al momento a nostra disposizione. Tuttavia la tesi della prossimità tra i due pensatori ci sembra così convincente che siamo intenzionati a colmare comunque n futuro tale lacuna. E ciò in modo tale che in ulteriori lavori ci sarà comunque possibile allargare la sfera degli elementi da esaminare.

3. Il «cogito» e l’«Io sono» quali luoghi di certezza dell’essere

L’intera visione steiniana può essere considerata come un progressivo passaggio dal primo al secondo elemento (il primo tendenzialmente solo filosofico ed il secondo invece decisamente metafisico) — come è possibile constatare sia in Endliches und ewiges Sein (EES) che in Wege der Gotteserkenntnis.28 Non per nulla la riflessione sul primo elemento occupa larghe parti della seconda parte di EES, testo che può essere considerato il culmine stesso della fase matura del suo pensiero. E proprio nella seconda parte di questo scritto, la Stein, dopo aver concluso un lungo confronto con gli aspetti fondanti dell’onto-metafisica tomistico-aristotelica — condotta da Aufbau(AB)29 fino a Potenz und Akt (PA)30 ed alla prima parte di EES —, inizia ad esporre quell’ontologia cristo-centrica e spiritualista al margine della quale tratta finalmente in modo diretto quei temi strenuamente metafisico-religiosi che poi troveranno il definitivo compimento nell’ultimissima fase. Il suo pensiero inizia insomma a piegare ormai verso una decisa dimensione mistico-contemplativa.

Qui, dopo il passaggio attraverso l’onto-metafisica tomistico-aristotelica, la riflessione sul «cogito» si sposta peraltro decisamente da registri husserliani (prevalentemente epistemologici) a registri agostiniani (quindi più che solo filosofici). In altre parole il soggetto conoscente-cosciente (Io puro nella sua dimensione direttivamente «trascendentale») prende a non stare solo in continuità con l’essere (entro una dottrina della «costituzione», o «formazione animica», che fino a poco prima era ancora husserliana anche nel contesto dell’affermazione di un’antropologia spirito-animico-corporea decisamente cristiana e metafisico-tradizionale), ma a costituire ormai il luogo stesso dell’affermazione dell’essere. Ed è esattamente qui che la dimensione interiore prende decisamente il sopravvento su quella esteriore.

All’«Io sono» la Stein ricorre qui sostanzialmente nei termini agostiniani, dato che l’Ipponate stesso aveva posto in relazione con tale elemento la sua riflessione sul «cogito».31 Ma qui fa sentire la sua mancanza proprio il binomio centrale che abbiamo posto in evidenza come tratto generale del pensiero eckhartiano. Manca insomma la chiara messa in luce di quel percorso tautologico da Principio a Principio che abbiamo visto configurare esplicitamente il ciclo neoplatonico. Resta qui naturalmente aperta la domanda circa il se si tratti di un silenzio voluto ed attivo oppure di un mancato interesse per tale elemento. Ma questo vuoto offre del resto proprio lo spazio perché il pensiero di Eckhart si presenti qui allo scopo di riempirlo. E quindi portare a compimento la riflessione steiniana su tale aspetto. Rendendo così secondario Agostino e traghettando così in modo molto più coerente la visione della nostra pensatrice verso la sua ultimissima fase mistico-contemplativa.

Il pensatore renano ha infatti qui da offrire proprio una riflessione intensamente mistica. Proprio qui possiamo infatti prendere in esame la sua complessiva dottrina del Principio divino quale Intelletto. E con ciò possiamo prendere in esame anche la collegata dottrina della continuità ininterrotta tra Principio e finito-determinato nel suo aspetto specifico di dinamica emanazionale più che creativa. Prenderemo però in esame l’aspetto correlativo ed onto-generativo di tale fenomenologia solo a proposito del dio-uomo.

Innanzitutto va detto che, entro la visione di Eckhart, Dio quale Intelletto non si pone nei termini di un Assoluto trascendente (Dio trascendente) al quale tutto vada onto-moralmente subordinato e ridotto (come accade di fatto invece con l’Intelletto plotiniano). La sua natura è infatti tanto trascendente quanto sta alla radice di una dimensione sempre «processuale»,32 e peraltro intensamente erotica. Che quindi non lo destina tanto all’essere (come nelle onto-metafisiche cosmologiche), quanto molto più (e molto più specificamente) all’intima e continua relazione con l’ente finito. La dimensione verticale unente il Dio-Intelletto al finito non assume dunque la forma della riducibilità di tutto all’Uno, ma molto più quella dell’intensa e continua relazione bi-laterale tra Trascendente ed immanente. Entro il contesto costituito dal neoplatonismo avicenniano, ciò implica pertanto il valore dell’intelletto «possibile» rispetto all’intelletto «agente». E nel contesto del concetto di «analogia entis» sussiste dunque tra i due termini un’univocità correlativa.33 Il Mieth34 ci mostra peraltro anche che la visione di Eckhart è per definizione «interreligiosa» — non costruendo essa alcuna vera barriera verso qualunque prospettiva metafisico-religiosa (Ebraismo, Islamismo, Induismo, Buddhismo). E ciò proprio perché essa permette di conciliare perfettamente un Dio in tangibilmente trascendente con il Dio incarnato.

L’altro elemento fondamentale del concetto di Dio-Intelletto è quello che viene sottolineato dal Alexandre Koyré35 nel commento della disputa tra Eckhart e Tommaso: — Dio non pensa in quanto è, ma invece è in quanto pensa. Si profila in tal modo la perfetta identità tra Essere e Conoscenza che può essere posta solo se, in Dio, l’Intelletto viene considerato primario rispetto all’Essere. Abbiamo già visto questo nel discutere la Tautologia. Ma ciò chiarisce anche meglio come si debba intendere Dio quale «intelletto agente». Egli è infatti sostanzialmente «movimento intellettuale» («intellektuelle Bewegung»),36 cioè Principio di onto-generazione, e però affatto solo entro la sola dimensione dell’essere.

In ogni caso la rarefazione intellettuale del Principio resta comunque di importanza capitale, dato che esso trova il suo pieno essere proprio nel finito-umano. Che, rispecchiandolo, poi anche lo riporta infine a Sé stesso per mezzo del Ritorno. Il che poi corrisponde ad un’assolutamente necessaria linguisticità (Logos) di Dio nel suo essere sempre dinamico (agire e sempre efficacemente, o «Wirken»).37 Ancora una volta emerge qui la relazione nella forma di onto-dinamismo. Ed a questi due elementi congiunti Mieth da la forma specifica di un «progetto di relazione» («Beziehungsprojekt»).

Tutti questi aspetti del concetto di Dio-Intelletto puntano dunque così tanto verso la relazione quale onto-dinamismo che il concetto stesso può essere considerato la base stessa della dottrina eckhartiana della «creatio continua». E che il Mieth38 ci presenta con linguaggio heideggeriano, e cioè mostrandoci come Dio sia presente sostanzialmente al modo di un evento (Egli sempre «avviene», «geschieht»). La suggestione heideggeriana cessa però subito quando tutto ciò viene riportato a quell’elemento dell’eternità dinamica che abbiamo già visto nella forma della Simultaneità — il divenire di Dio ha infatti la forma di un evento caratterizzato dall’essere «ora e sempre presente» («jetzt und immer zugleich»). La dimensione del «zugleich», che equivale poi a quella del «zwei-eine» , ci appare qui nella forma specifica si ciò che è presente simultaneamente tanto sopra e sotto che prima e dopo. Il che fa poi risaltare un ulteriore aspetto fondante del Dio-Intelletto, ovvero quello di costituire un’Origine («Herkunft») alla quale tutto deve continuamente rapportarsi. E tuttavi non al modo della riduzione all’Assoluto trascendente bensì al modo di qualcosa che è presente come tale in tutto e sempre. E così non si tratta affatto (sempre a differenza da Heidegger!) di una presenza che si imponga per la sua indifferente esteriorità di presente-immanente («Anwesenheit»), bensì si tratta di una presenza come «Gegenwärtigkeit». Ovvero una presenza che è cogente non come immanente ma solo in quanto sfidante il tempo come spazio.

Si tratta di un carattere che il Beierwaltes39 sottolinea proprio nell’«Io sono» storicamente originario (quello dell’Esodo), e cioè quello del costante Dio-con-noi. Ma con l’Origine così connotata, inevitabilmente si profila qui il tema giovanneo dell’«in principio », al quale il pensatore renano si rapporta continuamente (considerandolo peraltro il vero nucleo di una filosofia cristiana).40 E qui la connessione con la riflessione steiniana è strettissima (dato che anche lei connette intimamente l’«Io Sono» al Cristo-Uomo come paradigma onto-genetico). Ciò che qui emerge è però comunque che la spinta creativa all’essere («Schöpfungsvollzug») da parte del Principio — proprio quando esso viene colto in questo suo specifico aspetto —, mette capo non all’ente finito in sé (che come tale non ha alcun valore) ma solo a quel fenomeno della «nascita divina». Che poi sempre riallaccia la Creazione (o Manifestazione) al Ritorno. Ciò che è destinato a venire alla luce è pertanto solo e soltanto il Figlio (non l’ente!). E tale è essenzialmente l’uomo in quanto Uomo. Lo stesso discorso viene riproposto dal Mieth in relazione alla concezione eckhartiana degli universali.41

Infine, entro la visione del pensatore renano — ed in stretta relazione con l’elemento dell’Origine come «in principio»42—, è perfettamente possibile ricondurre la dimensione del Dio-Intelletto a quella dello Spirito quale assoluta primarietà. È proprio a questo che si ispira infatti l’equiparazione, da parte di Eckhart, della dimensione naturale a quella sovrannaturale.43 Qui il nucleo è nuovamente quella «bi-unità» umano-divina che è appunto dotazione sovrannaturale in forza della «nascita divina». E che il pensatore ritrova poi nel pieno dei fenomeni naturali nella forma di un conflitto sempre produttivo (come tra fuoco e legno), ed inoltre nella forma di una «forza nascosta della natura » che continuamente viene risvegliata. A tale dottrina è poi riportabile anche la concezione eckhartiana della relazione tra Natura e Grazia.44

4. Il finito-umano quale Essente-pensante e dio-uomo

Anche cercandola, non è reperibile entro la visione steiniana, una chiara affermazione dell’umano-divinità di quel finito-umano che pure la pensatrice, descrivendolo come uno specchio del divino, ci presenta effettivamente come tale. In realtà la strenuità metafisica della visione della pensatrice consiste molto più nella sua lotta contro il tendenziale materialismo e naturalismo della dottrina tomistica dell’individuazione. Molto più prevale dunque qui un paradigma riconducibile alla creatura umana come estremamente specifica (e quindi unicissima ed irripetibile) idea che da sempre era presente nella mente divina. In entrambe le nostre ricerche abbiamo indagato questo aspetto sforzandoci di mostrare come il concetto di Intelligenza divina creatrice, a ciò connesso, superi la visione tomista per riallacciarsi specificamente a quella di Platone stesso.45 A tale proposito va ricordato appena che tutto questo si raccorda con il complessivo sforzo steiniano di ricondurre il processo di individuazione alla realtà metafisico-filosofica della determinazione essenziale, con la conseguente riconducibilità poi dell’intera dottrina della costituzione ad una più generale ed alta teoria dell’onto-generazione. Ben più interessante è però per noi la riconducibilità di quest’ultima ad una ancora più generale ed alta teoria dell’onto-produzione. Che è poi ben più vastamente neoplatonica che non invece ristrettamente teologico-dogmatica (creazione). In ogni caso discuteremo di questo solo più avanti.

Il primario aspetto da trattare ora è quello della strenuità ontologica del finito-umano quale uomo-dio. E per trovare un’esplicita trattazione di questo aspetto dobbiamo appunto rivolgerci alla dottrina della correlazione verticale esposta da Eckhart. Bisogna però per inciso anche dire che non manca un rinvio anche del nostro pensatore all’irripetibilità dell’unicum personale — come ad esempio entro la sua acutissima riflessione sul vero e proprio miracolo costituito non dalla dissimilitudine degli enti (quella molteplicità e varietà cosmologica apprezzata da Tommaso) ma dalla invece proprio da quella loro similitudine (i «fili d’erba)» che non è altro se non l’unicità dell’Uno stesso.46

Proprio per tutto quello che abbiamo visto riguardo al Dio-Intelletto, la dimensione divino-intellettuale si connette all’interiore come «cuore» per la via di una dimensione decisamente sentimentale. Qui di certo continua a giocare un forte ruolo la dottrina plotiniana del rapporto tra anima ed Intelletto trascendente, che è peraltro qui chiaramente presente nell’affermazione del Mieth secondo la quale in Eckhart «il corpo è nell’anima» («der Leib ist in der Seele»).47 Affermazione che lo studioso completa poi designando così l’argomento del paragrafo: — «Corpo ed Anima» («Leib und Seele»). Espressione nella quale l’inversione dei termini è ben significativa.

In ogni caso il nucleo della questione sembra stare nell’elemento costituito dalla specularità divina da parte dell’uomo. Rispetto alla quale il Mieth48 chiarisce che essa non può essere presa alla lettera senza essere così svuotata e quindi di fatto anche negata. Nei fatti la ragione e la volontà dell’uomo non sono propriamente «immagini» divine («sind keine Bilder Gottes im Menschen»). E ciò perché la verità è che il processo di costituzione dell’immagine non va affatto inteso sensibilmente («Der Bildvorgang ist bildlos…»).

Ma la questione va direttamente al nucleo stesso della visione eckhartiana, e cioè all’elemento costituito dalla bi-unità già esaminata tra Dio-Intelletto e finito-umano. Non a caso, come sottolineato dal Mieth,49 ciò costituì proprio il punto centrale tanto della disputa di Eckhart con Tommaso quanto anche del processo che gli fu intentato (incentrato poi sulla tesi della bestemmia costituita dall’affermazione di una così stretta intimità divino-umana). Naturalmente si trattò di un grossolano fraintendimento, dato che il pensatore renano aveva in mente semmai una sofisticata e sublime «teoria della relazione» («Beziehungstheorie»). Ed il centro di quest’ultima è proprio quella teoria del «zwei-eine» che poi sempre comporta insieme, intimamente fuse, «differenza» ed «identità». Il che però richiama strettamente (invece di revocarla) l’assoluta trascendenza del Principio, che è infatti un radicale Altro circa il quale non è ammesso discorso che non sia puramente apofatico. Dio è un «alius, non aliud». Non è oggetto di un comune discorso (quello meramente dianoetico della teologia naturale-razionale) e proprio per questo la sua relazione con il finito non può che essere compresa in altro modo che come «non-differenza» («Ununterschiedenheit»). In altre parole si tratta dell’affermazione fondamentale, prima menzionata, secondo la quale non vi è altro che Dio. Laddove poi il discorso si riconnette nuovamente all’elemento del «zugleich». In forza del quale la simultaneità tra Trascendente (alto) ed immanente (basso) si estende anche alla conciliazione tra opposti logici senza la quale non è davvero possibile condurre un discorso su quel divino che trascende ogni determinazione. Discorso che poi equivale perfettamente alla prassi della CIAD.

Una volta chiarito questo non vi è davvero altro da dire sull’umano-divinità. Eckhart ha detto davvero tutto e meglio di chiunque altro! Pertanto non ci resta che prendere in esame i connessi elementi dell’interiorità animica e del cuore. Ebbene, a tale riguardo il fondamentale contributo offerto dal pensatore renano a quanto già messo in luce dalla stessa Stein ci sembra consista nell’accento ancora più radicale posto sulla dimensione intellettuale di tutto ciò che è interiorità come cuore e quindi anima. Qui si parla infatti del luogo in cui «si attua l’unione dell’anima con Dio»,50 ma il Mieth chiarisce anche che nell’antichità proprio il cuore (insieme all’anima e ad una dimensione emozionale-sentimentale però affatto incontrollata) era considerata la vera sede della ragione quale «mens».51 Non invece il cervello ed i circuiti neuronali. Per contro la sede dell’emozionalità incontrollata veniva collocata molto più in basso, e cioè nelle viscere.

Ma a ciò va aggiunto anche un ulteriore chiarimento rispetto alla specularità uomo-dio. Il Mieth52 chiarisce infatti che la prossimità dell’uomo a Dio per mezzo dell’ immagine speculare («Bild») rinvia a molto più che ad una mera somiglianza («Änlichkeit»), e cioè molto più precisamente rinvia ad una «intimità» («Innerlichkeit»). Che poi più precisamente si esplica come «causalità interiore» («innerliche Kausalität»), ovvero come presenza estremamente tangibili del divino (quale causa) nello spazio di essere interiore. Nel concepire quest’ultimo quale luogo critico per la spiritualità religiosa si tratta di ben più di un mero intimismo.53 Vedremo poi più avanti qual è l’ulteriore estensibilità del concetto di causalità interna.

5. L’ontodinamismo

Come abbiamo già detto, tale aspetto va considerato come secondario entro lo scenario che stiamo esaminando. Eppure esso è costantemente presente. Non a caso lo abbiamo già visto emergere a proposito di diversi temi ed elementi concettuali già trattati. Qui pertanto riassumeremo quanto è finora emerso, aggiungendovi però anche aspetti finora non posti in luce. Ciò che deve essere trattato è in particolare il rapporto tra onto-generazione ed onto-produzione. Orbene, per il fatto di aver riportato l’intera prospettiva filosofica fenomenologica dall’«egocentrismo » al «teocentrismo», e quindi decisamente alla teo-metafisica, la Stein si fa di fatto sostenitrice di una visione entro la quale l’onto-produzione (propria della teoria della costituzione) va sotto-ordinata alla più alta e generale fenomenologia dell’onto-generazione (vedi anche nota 25). Con la quale va intesa sia la creazione stessa, sia anche la riduzione della prospettiva epistemologica ad un davvero supremo Soggetto di Conoscenza (dunque «trascendente» e non più appena «trascendentale», come invece è l’Io puro). Che è poi, quale «Creatore», anche Soggetto di Essere. Come tale esso è pertanto anche un Assoluto nel senso di unico e solo «Auctor».54 Insomma, sebbene la prospettiva filosofica («riduzione trascendentale») sia stata con ciò riportata a quella teologica, le cose stanno comunque in modo del tutto opposto a quanto si potrebbe desiderare in forza dell’assimilazione steiniana alla visione eckhartiana. E ciò evidentemente perché la Creazione ha qui la preminenza assoluta rispetto a quell’Emanazione che invece si identifica totalmente con l’onto-produzione. Con la quale poi la prospettiva metafisica perviene alla sua vera e piena strenuità. Dato che il concetto di produzione-di-essere è di certo antecedente (in quanto più generale nel senso di trascendente) a quello di creazione-di-essere.

In ogni caso, però, deve essere riconosciuta la valenza onto-dinamica che assume l’Essere in una visione, come quella della Stein, che si oppone così decisamente allo staticismo dell’ontologia tomistico-aristotelica. Proprio per questo si ritrovano un po’ dovunque nel suo pensiero appigli per un sostanziale onto-dinamismo. Come nel caso del concetto di potenza-atto quale esplicazione del finito in direzione della pienezza e perfezione55 costituite poi da un «Atto puro», il quale è però anche Antecedenza in termini di dover essere ideale — con il ricostituirsi in tal modo di un onto-dinamismo ciclico e dunque anche verticale, invece che solo lineare-orizzontale. Va in questo senso anche la sua messa in luce del fondamentale movimento autonomo caratterizzante gli Essenti per eccellenza, ovvero consapevoli di sè (rispetto alle «morte cose»).56 Qui insomma l’essere quale Intelletto è sempre movimento. Cosa che poi ci riconduce di nuovo al rapporto tra intelletto agente ed intelletto possibile, che effettivamente la stessa Stein57 non manca di discutere sulla base di Tommaso. Laddove poi il primo, creando le condizioni ontiche per il secondo, si muove esattamente in modo onto-costitutivo. E proprio in questo convergere immanente di Essere e Conoscenza (equivalente all’agire efficace della Parola, o «Wirken») si ritrova poi il «senso» dell’ essere stesso — la Parola pronuncia il senso («spricht den Sinn aus»), in modo che le cose diventino intelligibili.58

Si tratta insomma per davvero di continui rinvii ad un modello onto-dinamico. Che tuttavia però non convergono mai in una dottrina globale ed esplicita. Sebbene comunque essi sembrino piegare in molti punti verso quest’ultima proprio nei termini della visione eckhartiana. Laddove poi si profila come nucleo esattamente il concetto di umano-divinità, dato che proprio in esso possiamo veder convergere immanentemente l’Essere e la Conoscenza. Infatti l’uomo divino è ciò che è esattamente sul piano della partecipazione di un Dio-Intelletto-Essere.

In tal modo però si stabilisce in modo chiaro quella continuità tra un trascendente Principio divino intellettuale quale assoluto Soggetto (in questo caso soprattutto supremo trascendente Soggetto di Conoscenza) ed un suo corrispettivo immanente quale assoluto Oggetto (ovvero supremo immanente Soggetto di Essere).59 Ed è proprio a quest’ultimo che si sotto-ordina (pervenendo così alla sua dignità massima) l’Essente per eccellenza (ente pensante), quale insieme primario Soggetto ed Oggetto immanente. Dunque, proprio il puntare dritto come una freccia dei rinvii steiniani verso quello che è il nucleo del pensiero eckhartiano dimostra, a nostro avviso, che quest’ultimo può costituire davvero il coronamento ed il compimento della visione della nostra pensatrice. E ciò avviene proprio nella capacità che ha il pensiero eckhartiano di pervenire alla strenuità metafisica che abbiamo visto essere propria solo del concetto di onto-produzione. Il quale però non viene così esplicitamente affermato nel pensiero steiniano. A tale proposito, insomma, urge assolutamente Eckhart. E questa volta non più come coronamento (di una tendenza) ma invece proprio come completamento (di una carenza).

E qui, ancora una volta, incontriamo immediatamente un concetto estremamente provocatorio in senso metafisico-religioso, e cioè quello di un assolutamente fondamentale onto-dinamismo (che è poi concetto metafisico quasi interamente rivendicato a sé dal pensiero moderno). Proprio nel linguaggio impiegato da Mieth,60 si potrebbe definire l’onto-dinamismo negli esatti termini in cui, a suo avviso, l’Essere viene pensato da Eckhart, ovvero come «Essere quale Divenire» («Sein als Werden»). Prima di soffermarsi su questo va però osservato che solo quando il concetto di partenza è pienamente onto-produttivo (invece che onto-creativo) si può parlare di un Principio di Essere che sia davvero Intelletto. E questo proprio in forza dell’assoluta ed inalienabile immaterialità (suprema spiritualità) che è della dimensione intellettuale. Il che comporta poi un atto onto-generante che è nella sua pienezza solo se non è vincolato alla cogenza rappresentata dal suo prodotto (l’ente). Infatti quando il Principio di Essere è davvero «intellettuale», esso resta onto-generante anche quando non crea affatto (ossia quando l’ente non si costituisce). E ciò proprio in forza dell’incondizionabile onto-produttività che lo caratterizza. È solo così che esso è davvero Causa.61 Ecco che allora l’onto-produzione precede in rango ontologico l’onto-generazione. E solo dopo viene, quale ultima, quella onto-creazione che è nei fatti solo finale. Pertanto, paradossalmente, solo il concetto pieno di onto-produzione (emanazione) può davvero rivendicare a sé nonostante le apparenze («creatio continua») quella libertà che invece il concetto di onto-creazione pretenderebbe come propria inalienabile esclusiva.

Orbene, solo la visione eckhartiana sembra davvero esauriente nel formulare tutto questo. E ciò a due livelli: — 1) quello della chiara delineazione di un onto-dinamismo nel contesto di quel paradigma di «aus sich selbst herausgehen» (procedere da sé stesso) da parte del Principio divino che costituisce poi la dinamica trinitaria (e sul quale la Stein stessa si sofferma nel corso di tutte le sue opere);62 2) quello della teoria della «nascita divina».

Il primo livello è implicito in molti aspetti di quanto abbiamo già detto circa il Dio-Intelletto. In particolare però in relazione al mettere capo all’interiorità (umana e dell’essere immanente stesso) da parte del Principio che proprio così manifesta sé stesso.63 Con il delinearsi in tal modo di quella di causalità interna («innerliche Kausalität») equivalente poi alla fondamentale «processualità» dell’intera fenomenologia — onto-dinamica esattamente nei termine di un divenire creativo che, dopo aver trovato il suo risultato nell’interiore animico-intellettuale (autentico centro dei centri dell’essere), piuttosto che nell’esteriore (ente-esistente), ritorna a sé stesso nei termini della Tautologia intellettuale.

Quanto poi al secondo livello (quello della «nascita divina»), il Mieth64 ce lo illustra mettendo in luce in primo luogo la dimensione assolutamente primaria dell’atto (creante) che caratterizza la generazione della creatura. Qui infatti si tratta di un generare in cui è primario il fatto (atto) di essere generati, e cioè il «partorire» («Gebären»). Che è poi primariamente un «venir» generato (o anche «fatto» o «partorito», « geboren-werden»). Onto-dinamismo questo nei termini primari di una vera e propria inarrestabile — ed affatto invece puntuale (cioè storica e dunque conclusiva) — «creatio continua». Qui si tratta davvero di una creazione eterna. Ed è proprio nella primarietà di tale eternità che si dilegua il solo apparente senso moderno di tale onto-dinamismo. Ma in tutto ciò si dilegua anche ogni (così poco sublime e quindi davvero metafisica) unilateralità creativa, dato che proprio la centralità dell’atto, entro la fenomenologia onto-creativa, fa sì che il generato costituisce il Generatore (nella sua natura), esattamente come (simultaneamente) il Generatore costituisce il generato — allo stesso modo in cui poi il genitore fa il figlio, ed il figlio fa il genitore.

E proprio qui si può toccare con mano la commistione tra Natura e Sovra-Natura sostenuta da Eckhart, dato che è esattamente in forza di questo che il divino si trasferisce completamente nell’immanente-interiore-umano-terreno costituendovi così il principio stesso, del tutto invisibile, di una «forza dell’anima» (più propriamente «forza nell’anima», «Kraft in der Seele») che è anche «forza della natura». Ed è proprio in questi termini che possiamo contemplare quella «bi-unità» caratterizzante l’umano-divinità. Allo stesso modo in cui possiamo contemplare di fatto anche l’impregnazione divino-spirituale del reale, ovvero di tutto ciò che è («Durchdrungensein vom Geist»).65 È evidente che solo così lo spiritualismo steiniano diviene davvero completo. Ma lo stesso si può dire anche di quella dottrina steiniana del finito come immagine speculare del divino che poi equivale al concetto di «filialità divina». Ben più chiaro esso è infatti quando formulato, come in Eckhart, nei termini di «adozione» filiale da parte di Dio. Che poi ci rinvia alla dottrina appena esposta nei termini della concessione amorevole in forza della quale Dio fa sì che l’uomo partecipi dell’«increato» («Ungeschaffene»).

6. Pensiero mistico-contemplativo (CIAD) e non-volere

Abbiamo visto che il vero culmine della visione steiniana va visto in realtà in quella sua ultimissima fase nella quale suo riferimento divengono all’unisono Dionigi l’Areopagita e la mistica cristiana (Juan de la Cruz e Teresa d’Avila). Dunque inevitabilmente anche un neoplatonismo apofatico e nello stesso tempo un pensiero decisamente mistico-contemplativo.

Del resto quando il Mieth66 vuole illustrare l’ autentico culmine della dottrina mistico-contemplativa di Eckhart si rifà proprio al parallelismo del suo pensiero con tale sfera di pensiero (cioè con Dionigi). E «parallelismo» significa che la sua visione è stata affine a tutto ciò fin dall’inizio, e non, invece, solo alla fine (come avviene per la Stein). Pertanto, se bisogna constatare che sarebbe inutile cercare tale intensità mistico-contemplativa nella fase matura del pensiero steiniano, e se, inoltre però, bisogna anche constatare che essa sussiste comunque davvero (e solo nella sua ultimissima fase), allora tutto ciò significa ancora una volta che per davvero Eckhart deve essere preso in considerazione come l’autentica chiave per il definitivo compimento del pensiero steiniano.

Posto questo ci sembra inutile parlare qui della dimensione mistico-contemplativa nei modi in cui si presenta presso la nostra pensatrice, e così ci limiteremo a riscontrare solo ciò che si può trovare in Eckhart. Ma vedremo subito che di nuovo proprio in tal modo vengono a compimento all’unisono le dottrine congiunte dell’interiorità animico-spirituale e dell’umano-divinità così come presenti presso la Stein.

In Eckhart ritroviamo infatti due elementi portanti di entrambe: — 1) la riflessione intorno al «seme»,67 o «granum sinapis»; 2) la riflessione intorno all’immersione in Dio come un immenso e soverchiante negativo che però è ultimamente ed integralmente salvifico. Proprio qui il linguaggio metaforico-immaginifico (creativo per definizione) di Eckhart raggiunge un culmine straordinario di fioritura e profondità. Al culmine della contemplazione mistica (in cui tace ormai ogni parola, concetto e pensiero, ma allo stesso tempo attingono alla loro massima potenza), Dio appare infatti come uno sterminato Oceano, un luogo-senza-luogo («ortloser Ort»), un Deserto supremamente tenebroso e silenzioso nel quale però si concentra una massa di energia tanto straordinaria quanto impercettibile. Si tratta di un silenzioso Vuoto (non-essere) e di un’assoluta Stasi che ha però i caratteri di un’Onda («wallendes Wasser») che si inarca creando sotto sé stessa e nel suo stesso ventre la stessa sospensione carica di tensione che può stare al centro di un Uragano. Sta proprio qui tutto ciò che promette l’essere nel modo più totale, compiuto ed esplosivo possibile — qui trova la sua collocazione quel paradigma dell’«aus sich herausgehen» che Eckhart designa come «ebullitio». Sta in questa suprema negatività di essere e di affermazione (silenzio) la premessa unica per qualunque positività affermante (per mezzo della Parola) — Dio parla infatti proprio dal centro dell’Uragano («Gott spricht aus der Mitte») . È l’Origine nella sua soverchiante positività. Si tratta insomma di un Vuoto di Essere che crea l’essere sostanzialmente risucchiando in sé (Tenebra che è però suprema Luce).68

Ma lo stupefacente è che tutto ciò si ricostituisce pienamente sia nella nascita in Dio che nella nascita di Dio (in entrambi i casi «nascita divina»). Sta proprio qui il luogo del «granum sinapis».

Possiamo pertanto riconoscere in ciò i due paradigmi supremi e centrali (congiunti) di una concentrazione sospensiva di energia parallela ad un Nulla che è però Tutto.

Come si può facilmente vedere si tratta con tutto ciò dell’illustrazione di una mistica che, se si presenta con i caratteri usuali di ogni mistica, comunque rinvia continuamente all’azione nella sua suprema paradigmicità. Del resto la Stein69 stessa riconoscerà nella sua fase mistica una «luce notturna» che schiude tutto un immenso luogo interiore avente la stessa identica estensione di Dio — un vero e proprio «nuovo mondo» che poi investirà il mondo esteriore illuminandolo potentemente. In ogni caso, più o meno esplicitamente (per questo dobbiamo però rimandare il lettore alla nostra seconda ricerca sul pensiero steiniano), la pensatrice prende a tale proposito pienamente atto del fatto che Dio può essere davvero conosciuto solo in quanto non oggetto appena esteriore ed univoco (determinato come la logica vuole) di conoscenza. E tale costatazione è di fatto la stessa di quell’eckhartiano complessivo «prospettivismo»70 (nella concezione globale, onto-dinamica, dell’essere) che proprio entro tale sfera di riflessione trova la sua espressione. Più specificamente ciò avviene al modo del ritrovamento proprio di quell’Assoluto dal quale tutto inizia e nel quale tutto finisce.

E con ciò è di fatto contemplata quella conoscenza intellettuale dell’Assoluto divino (CIAD) che è una realtà già nel pensiero della Stein ma lo è in modo molto più compiuto ed esplicito che in quello di Eckhart (così come ovviamente di Dionigi). E ciò peraltro in perfetta concordanza con il pensiero metafisico-integrale, ovvero con una sfera estremamente ampia di sapere metafisico.71

7. Conclusioni

In questa sede, più di questo crediamo di non poter dire circa gli elementi disponibili per un’approssimazione del pensiero steiniano a quello eckhartiano. Come abbiamo già detto, il campo di studi è da considerare a tale proposito davvero immenso, e caratterizzato peraltro da svariati ambiti di approccio (implicanti ovviamente anche quell’analisi accurata del pensiero eckhartiano che entro i limiti di questo articolo non può che mancare). In ogni caso non possono qui trovare trattazione sia l’esame dell’extrapolabilità eckhartiana di diversi aspetti del pensiero steiniano, sia anche l’esame di ulteriori elementi dell’analisi del pensiero eckhariano condotta dal Mieth.

Per cui, posto qui un punto finale alla nostra investigazione testuale (che non può che essere almeno in parte anche arbitrario), non ci resta che riassumere le linee generali deducibili dal complesso dei risultati finora raggiunti. Molto in generale abbiamo visto che il senso è lo spirito dell’approssimazione tra i due pensatori vanno colti nella possibilità offerta dal pensiero di Eckhart di portare a compimento (ed in alcuni casi addirittura completare in senso strenuamente metafisico) la pur presente dimensione mistico-contemplativa del pensiero della Stein. Rafforzando così in primo luogo la tesi per cui tale pensiero è davvero riscontrabile (e comprensibile) nella sua pienezza solo e soltanto prendendo in serio esame l’ultimissima sua fase.

Tuttavia abbiamo anche potuto constatare che entro tale complessivo senso di tale approssimazione, che è poi anche riconduzione, è comunque possibile gettare luce su non pochi aspetti specifici del pensiero steiniano nel suo complesso. Ci riferiamo in particolare alla complessiva concezione dell’Essere, del Principio divino quale Assoluto-Infinito, dei suoi rapporti (nel contesto del divenire onto-dinamico) con il finito, ed inoltre alle dottrine dell’interiorità animico-spirituale, dell’essenza, e dell’unicum personale.

Riteniamo pertanto che (senza voler con ciò affatto investigare il pensiero di Eckhart, che non è nostro compito) sia stato così offerto un tangibile contributo alla più completa interpretazione del pensiero steiniano (sottraendola così ad intendimenti fin troppo riduttivi) ed inoltre sia stato anche indicato un campo di studi finora trascurato e che ci sembra del tutto degno di essere perseguito. Entrambi questi risultati rientrano comunque nella tesi di una plausibile approssimabilità del pensiero steiniano al platonismo ed al neoplatonismo, che costituisce poi anch’essa un campo di studi finora di fatto non perseguito.


  1. Vincenzo Nuzzo, «L’idealismo realista del pensiero di Edith Stein e suoi presupposti platonici» Tesi di Dottorato in Filosofia, FLUL Lisbona; Vincenzo Nuzzo, Edith Stein, il neoplatonismo e la metafisica integrale (scritto non pubblicato). ↩︎

  2. Dietmar Mieth, Meister Eckhart, C.H. Beck, München 2014, Einleit., p. 13-24; Alessandra Beccarisi, «Mieth Dietmar. Meister Eckhart», Münschen: C.H. Beck 2014, «Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie», 2015, 61 (1) 181-184. ↩︎

  3. Angela Ales Bello, Il linguaggio della mistica nella Scientia Crucis, in: M. Baldini — S. Zucal (edd.), Il silenzio e la parola da Eckhart a Jabes, Morcelliana, Brescia 1989, p. 173-179; Jad Hatem, «Il ritratto significante la filosofia steiniana della creatività artistica», Simposio internazionale «Edith Stein. Testimone per oggi, Profeta per domani», Teresianum Roma 1998, in: www.ocd.pcn.net; Annarosa Buttarelli,« La cura delle relazioni con riferimento al pensiero di Edith Stein», LEZIONE L.U.E.S., 12.02.2010, in: www.magverona.it↩︎

  4. Tale reticenza consiste a nostro avviso nelle necessità imposte dall’obbedienza ad un canone teologico ed anche filosofico in forza del quale Eckhart costituisce di fatto un riferimento filosofico, metafisico e teologico davvero imbarazzante. Ne risulta pertanto che la tesi complessiva della non approssimabilità documentale della Stein ad Eckhart ci sembra sospettamente riduttiva se non addirittura falsificante nel senso di un tendenziale occultamento. Del resto indizi in tal senso vengono offerti dallo stesso Mieth, il quale parla di un vero e proprio «imbarazzo» dei filosofi rispetto al pensatore renano (Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, Einleit., p. 16-24). Inoltre ci sembra possa andare in tal senso anche l’accento da posto dallo studioso sulla sostanziale appartenenza di Eckhart ad una tradizione di pensiero (tipicamente neoplatonica) nella quale la Fede (Rivelazione) viene considerata punto di partenza obbligato, ed insieme contesto vincolante, di un solo successivo ragionare (logos) filosofico (ibd. I, 1 p. 28-30) Ed in tale filosofare così intimo alla fede rientra poi pienamente anche il suo stile di pensiero e discorso(addirittura poetico) incentrato su immagini metaforiche (ibd., Einleit., p. 16-24, ibd. I, I p. 25-37). In tal modo Eckhart ci viene presentato come il campione del pensiero mistico-contemplativo che si pone in via di principio in forte contraddizione con quel pensiero filosofico puro che fu al tempo rappresentato dalla teologia razionale. Non è però affatto questa l’opinione di altri studiosi. Tra questi Sturlese che vede invece in Eckhart un raffinato teologo razionale (fortemente scolastico) in tutte le fasi della sua opera, con una sua approssimazione alla mistica solo e soltanto per ufficio, ovvero allo scopo di controllarne gli eccessi e correggerla (Loris Sturlese, Le prediche tedesche di Meister Eckhart, in: Loris Sturlese (a cura di), Meister Eckhart. Le 64 prediche sul tempo liturgico, Bompiani: Milano, 2014, p. VI-LXXIII ↩︎

  5. Gilson espone ampiamente e con non poco scrupolo la dottrina di Eckhart, sebbene attenendosi nel complesso al criterio di giudizio che è proprio del neo-tomismo (Étienne Gilson, La filosofa nel Medioevo, IX, 6 p. 792-809). Egli ne definisce la visione come un «misticismo speculativo» e ne mette debitamente in luce (quale centro) la dottrina dell’Intelletto divino come supremo fondamento di essere in senso tautologico («Io sono»). Sebbene attribuisca a quest’ultimo concetto appena il significato (molto ristretto e quindi riduttivo) dell’occultamento di ciò che è supremo «nome». Lo studioso non manca comunque di sottolineare la profonda discordanza di Eckhart rispetto a Tommaso circa l’intendimento (riduttivo o meno) dell’«analogia entis». E prende comunque atto del fatto che il suo pensiero rappresentò sempre una forte provocazione per l’ortodossia dogmatica cristiana. ↩︎

  6. LMA Viola, Essere Italiani, Victrix, Forlì 2015, I p. 21-34. ↩︎

  7. Allontanandosi così dalla ristretta prospettiva «egocentrica» che era stata di Husserl (Marco Tedeschini, «La controversia Idealismo Realismo (1907-1931). Breve storia concettuale della contesa tra Husserl e gli allievi di Monaco e Göttingen», Internat J. for the History of Texts and Ideas, 2014, 2, 235-260). ↩︎

  8. Dottrina ben illustrata, nei suoi aspetti generali proprio della ricerca fenomenologica, da Jean Hering (Jean Hering, «Bemerkungen über das Wesen, die Wesenheit und die Idee», Jahrbuch für Philosophie, IV 1913, I, 4, 501-502). ↩︎

  9. Nel delineare chiaramente l’Identità, quale aspetto davvero supremo della divinità intellettuale, abbiamo trovato un notevole aiuto nella riflessione del Viola (LMA Viola, Essere, cit. alla nt. 6, I p. 21-34, ibd. III p. 50-67). ↩︎

  10. Estremamente significativo al proposito il rinvio possibile a quella neurofisiologia dell’esperienza religiosa che sottolinea la dimensione sostanzialmente emozionale dello stato mistico nella sua massima intensità, e che quindi addirittura comporta la condizione straordinaria della mobilitazione congiunta del sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico (Franco Fabbro , Neuropsicologia dell’esperienza religiosa, Astrolabio : Roma 2010, 13, 2 p. 307-309). ↩︎

  11. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, Einleit. p. 16-24, ibd. V, 20-23 p. 192-234. ↩︎

  12. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, I, 8 p. 85-88. ↩︎

  13. Nel contesto del quale la pensatrice sottrae la pienezza del concetto di «realtà» (e dunque di Essere) da un lato alle ipoteche gettate su di esso dall’ intero idealismo unilateralmente epistemologista della moderna filosofia (con culmine nell’«idealismo trascendentale» di Husserl), e dall’altro lato alle ipoteche gettate su di esse anche dal realismo esistenzialista del suo tempo specie con Heidegger (che, negando all’ unisono i concetti di «ideale» e di « sostanza», nega anche qualunque consistenza metafisica al concetto di «essere », in quanto considerato troppo statico ed astratto per poter essere davvero preso in considerazione). È davvero sconfinata la letteratura critica che si è soffermata su tali aspetti anche collateralmente al pensiero steiniano, per cui possiamo solo menzionarne alcune voci (Marco Tedeschini, «La controversia», cit. alla nt. 7, p. 235-260; Edith Stein, «Husserls Phänomenologie und die Philosophie des heiligen Thomas v Aquino. Versuch einer Gegenüberstellung», in: Husserl zum 70. Geburtstag, N. Niemeyer Verlag , Tübingen 1929, 4, 315-338 ; Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura, Mondadori, Milano 2008, Vol. II, I, I, § 1-4, 1-11 p. 439-448 ; Max Scheler, Idealismo-Realismo, Buenos Aires : Editorial Nova 1962). ↩︎

  14. Una volta ovviamente ammesso che Platone sia davvero un pensatore dell’essere e non invece un pensatore sostanzialmente riducibile al moderno idealismo unilateralmente epistemologista e gnoseologico (secondo il quale egli sarebbe appena un campione della più filosofica dialettica). Abbiamo trattato approfonditamente tale aspetto nella nostra prima ricerca sul pensiero steiniano (tesi di dottorato) e sarebbe impossibile riprenderne qui tutti gli aspetti.Ci limiteremo pertanto ad indicare solo alcuni di essi. La più consistente prova critica di un Platone come pensatore dell’essere si trova presso il Reale (Giovanni Reale, Per una nuova interpretazione di Platone alla luce della «dottrine non scritte» , Bompiani, Milano 2010, II, V, IV p. 147-153, ibd. I, VI, I-III p. 158-176, ibd. II, VII, IV p. 217-227, ibd. IV, XVI, III p. 511-526). Ed in questo senso vanno anche le ricerche dello studioso sulla relazione tra oralità e scrittura quale indicazione di un percorso che punta alla sapienza come consapevolezza della Totalità di Realtà (Reale Giovanni, Platone. Alla ricerca della sapienza segreta, Rizzoli, Milano 2008, I p. 15-32, ibd II p. 57-72, ibd. IV p. 88-91). Ma con ciò convergono anche le indagini di diversi moderni ricercatori. Lo Spanio lo evidenzia discutendo da diversi punti di vista il saldissimo ancoraggio del concetto di suprema Verità metafisica a quello di Essere nella sua stabilità (Davide Spanio, Il mondo come teogonia, Aracne, Roma 2012, Introd., 1-2 p. 13-24; Davide Spanio, La filosofia come ricerca dell’epistéme. Il paradigma del Teeteto platonico, in : Platone, Teeteto, Feltrinelli, Milano 2009, 21, p. 257-293). Lo stesso fa anche il Koyré indagando (nel prendere in esame il pensiero platonico in generale e diversi suoi dialoghi) la Verità come una sapienza previa rispetto a qualunque ricerca filosofica (Alexandre Koyrè, Discovering Plato, Columbia Papekback Edition, New York 1960). Infine il von Ivánka testimonia di un Platone come pensatore dell’essere nell’indicarlo come legittimo punto di riferimento per l’onto-metafisica cristiana (Endre von Ivánka, Plato Christianus. Übernahme und Umgestaltung des Platonismus durch die Väter, Johannes Verlag, Einsiedeln 1964). E perfino un pensatore post-analitico e decostruzionista come il moderno Rorty ci offre elementi in tal senso (Richard Rorty, La filosofia e lo specchio della natura, Bompiani, Milano 2014, II, III, 4 p. 315-333). Ma del resto gli scritti stessi di Platone sono estremamente espliciti in tal senso. Ne citiamo solo alcuni. Nel Teeteto Platone ci ammonisce circa il fatto che «non si può guardare alla scienza senza, nel contempo, guardare alla verità dell’essere» (Platone, Teeteto, p. 279). Nel Cratilo poi dice: ‒ «E quindi quello che dice le cose che sono come sono è vero, mentre quello che le dice come non sono è falso?» ; «…è chiaro che le cose sono esse da sé stesse in possesso di una stabile essenza, non relative a noi […] ma in sé stesse in relazione alla loro essenza in possesso di un proprio modo di essere già predisposte» (Platone, Cratilo, Laterza, Roma Bari 2008, 385c, p. 7, 386 d, p. 11). ↩︎

  15. Hannah-Barbara Gerl, Unerbittliches Licht, Matthias-Grünewald, Mainz : 1998, X, p. 129-133, ibd. XII p. 148-155. ↩︎

  16. Cosa che poi trova rispondenza anche in alcune significative voci critiche. Jane Duran, «Edith Stein, ontology and belief», Hey.J., 2007, XLVIII, 707–712; Donald L. Wallenfang, «Awaken, o Spirit : the vocation of becoming in the work of Edith Stein», Logos, 2012, 15 (4) 57-74 ; Donald L. Wallenfang, «The hearth of the matter : the substance of the soul», Logos, 2014, 17 (3) 118-142. ↩︎

  17. Si tratta di una problematica estremamente complessa, nella quale ci siamo addentrati nella nostra seconda ricerca ed esaminandola specialmente in relazione alla prospettiva rigorosamente metafisico-integrale (Viola) — che peraltro include anche Eckhart quale elemento intermedio e ponte tra questa sfera di sapere e la teo-metafisica cristiana. In questa sede è possibile dire solo che tra le due sfere di sapere è possibile trovare un incontro solo se esse non si irrigidiscono l’una contro l’altra in un’apologetica polemica in senso ideologico. E quando poi questo punto di incontro viene trovato, allora il concetto di un Dio trascendente e quello di un Dio vivo (immanente) non appaiono più tanto inconciliabili tra loro. In questo articolo ci approssimiamo a questo tema a proposito del concetto di Assoluto divino e trascendente inteso quale termine di completa riduzione ad esso del finito, oppure invece inteso quale Principio in intima relazione con il finito stesso. ↩︎

  18. Johannes Hessen, Platonismus und Prophetismus, Reinhardt, München Basel 1955. ↩︎

  19. Con il configurarsi di una continuità messa peraltro in luce dalla critica in particolare nell’indagine sui pensatori greci (Gregorio di Nissa, Massimo il Confessore, Dionigi) quali punti di riferimento di Scoto Eriugena (Dermot Moran, The Philosophy of John Scottus Eriugena, Cambridge University Press, Cambridge 2004, p. 241-242). ↩︎

  20. Come sottolineato anche dal Gilson (Étienne Gilson, La filosofia , cit. alla nt. 5, II, 2 p. 126-154. ↩︎

  21. Lo stesso Gilson mostra un notevole imbarazzo nel giustificare il valore del suo pensiero a fronte delle esigenze poste dal moderno realismo religioso, ovvero quello neo-tomista. ↩︎

  22. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, Einleit. p. 16-24, ibd. VI, 24-26 p. 235-253. ↩︎

  23. Werner Beierwaltes, Deus est Esse — Esse est Deus, in: Werner Beierwaltes, Platonismus und Idealismus, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 2004, I-V, p. 5-82, ibd. IV p. 37-67 ; Marco Vannini (a cura di), Meister Eckhart. Commenti all’Antico Testamento, Bompiani, Milano 2013, Commenti all’Esodo, I-XXXIV p. 728-1019. ↩︎

  24. Si tratta a nostro avviso proprio di quella presa d’atto della fondamentalità del molteplice insieme all’Uno che caratterizza un Platone non frainteso (Giovanni Reale, Per una nuova, cit. alla nt. 14, II, VII, 214-227 ; IV, XVII, p. 545-582), e che poi inevitabilmente deve essere riconosciuto come un elemento ineliminabile della visione strenuamente religiosa del mondo (Franco Fabbro, Neuropsicologia, cit. alla nt. 10, 13,2 p. 307-309). E tuttavia — contrariamente a quanto anche qui sostenuto dal Fabbro — senza con ciò essere affatto costretti a sottolineare la radicale differenza tra una religiosità tensiva in quanto immanentista, attiva ed euforica, cioè tendenzialmente dionisiaca (dunque opposta ad ogni distacco), ed una religiosità invece de-tensiva in quanto trascendentista e depressiva (incentrata sulla contemplazione). Proprio a margine di tutto ciò può essere pertanto dedotta una definizione della contemplazione. Essa è intensità dell’esperienza religiosa — come riconosciuto anche dal Fabbro «rapimento» esattamente nel senso orgasmatico del termine — proprio nel configurare un distacco dalla vitalità immanente (mondana e corporea). ↩︎

  25. Pertanto, a tale proposito, oltre i commenti offertici dal Mieth (Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, I, 3 p. 49), conviene prendere atto anche del testo eckhartiano [Meister Eckhart, Predica 4 (Q77), in: Loris Sturlese (a cura di), Meister , cit. alla nt. 4, p. 49-55]. Da esso appare chiara infatti la saldatura netta tra l’elemento del Dio-come-tutto-l’essere («Isticheit»), e gli elementi costituiti dall’Io («Io sono») e dall’Identità. Il dire che «solamente Dio è» costituisce pertanto l’affermazione centrale della dottrina dell’Identità, che poi a sua volta coincide completamente con l’affermazione dell’assoluta indicibilità di Dio proprio in quanto davvero supremo «Io». Egli è un Io talmente indicibile che deve addirittura essere omesso quando la Scrittura Gli fa annunciare l’invio del «mandato» o «messaggero» (l’Angelo). Si tratta dell’affermazione di un Essere distinto da tutte le cose proprio perché ultimamente esso è tutte le cose. E ciò corrisponde anche esattamente alla verità dell’essere (appunto supremamente affermata nell’«Io sono»), dato che corrisponde a verità solo e soltanto l’affermare che «solamente Dio è». Ma con ciò viene anche affermato che Dio è tutto l’Essere in quanto vertice assoluto, e quindi l’Io stesso colto nella sua pienezza che può essere solo radicalmente apicale. In tal modo però tutte le cose (enti), così come la loro stessa conoscenza, vengono raccolte nell’Unità apicale, e non invece affermate nella loro esistenza indipendente in relazione con un Dio lontano.«Dio», dice qui Eckhart «è inseparato da tutte le cose, perché Dio è in tutte le cose». Ecco chiaramente affermata, dunque, l’impregnazione divino-spirituale di ogni cosa. Che è pertanto intimità assoluta del Trascendente all’immanente. Il che implica inevitabilmente la nullità di ogni cosa se non in Dio. Il mondo (incluso l’uomo) è per davvero (ed è tutto) solo se contiene Dio. Il conformarsi consapevolmente a questo (ciò sapendo attivamente e non solo passivamente della propria umano-divinità, o filialità divina) implica pertanto necessariamente il distacco dal mondo [Meister Eckhart, Predica 6 (Q 38), in: Loris Sturlese (a cura di), Meister , cit. alla nt. 4, p. 83-99]. Ed è esattamente questo che fa l’uomo giusto. Inevitabilmente tutto questo doveva guadagnare ad Eckhart l’accusa di panteismo [Meister Eckhart, Predica 5 (Q 22), in: Loris Sturlese (a cura di), Meister , cit. alla nt. 4, p. 65]. Dalla quale egli si difese poi proprio mediante un ragionamento iper-razionale circa la generazione filiale dell’uomo. Infatti il panteismo si pone proprio in forza di quella dimensione dell’«in principio» che è implicata in tutto quanto detto finora (e sulla quale il pensatore riflette a proposito dell’Annuncio di Gabriele a Maria). Si tratta della natura «increata» dell’anima (poi di nuovo fortemente coincidente con la non-discesa plotiniana), la quale comporta poi una generazione che contraddice necessariamente sé stessa (sono «figlio» e «non-figlio») a causa dell’intima identità apicale uomo-Dio. Di nuovo siamo all’«solamente Dio è» quale totalità apicale dell’essere, nella quale Dio ed uomo solo la stessa identica cosa. Entro questi limiti sussiste dunque solo una «generazione eterna» (o anche «nascita eterna» o anche ancora «creatio continua» ), mentre la creazione (esteriore e cosmologica) sussiste solo in forza della volontà di distacco dell’uomo (non amore per Dio). La stessa volontà a causa della quale l’uomo sente Dio lontano da sé, mentre Egli è invece vicinissimo. Il «regno di Dio è in noi» [Meister Eckhart, Predica 3(Q 68), in: Loris Sturlese (a cura di), Meister , cit. alla nt. 4, p. 33]. Ecco che emerge qui chiarissimamente il fatto che la creazione deve essere sotto-ordinata alla generazione. Concetto che poi riemerge di nuovo in modo chiarissimo laddove Eckhart ci mostra il totale parallelismo, proprio entro la dimensione assolutamente primaria della generazione, tra il binomio uomo-dio ed il binomio dio-uomo [Meister Eckhart, Predica 6 (Q 38), in: Loris Sturlese (a cura di), Meister , cit. alla nt. 4, p. 85]. Perché è in proprio in forza del primario e generale paradigma della generazione che si costituisce la relazione Dio-uomo (incarnazione come generazione di Dio nell’anima umana) così come anche la relazione uomo-Dio (anima umana generata in Dio). Il binomio è solo reciproca dinamica generativa. A tale proposito Eckhart afferma che Dio ha creato il mondo solo «perché Dio venga generato nell’anima e l’anima venga generata in Dio». Insomma si crea, esteriormente, solo perché si venga generati interiormente. E ci sembra estremamente significativa la notazione polemica del pensatore (contro i «cristiani ignoranti» ed i preti «che ne sanno tanto poco quanto un sasso») che qui cade proprio a proposito della relazione tra creazione e generazione. ↩︎

  26. Elena Gritti, Proclo. Dialettica anima esegesi, LED, Milano 2008, p. 67-87. ↩︎

  27. Nella nostra seconda ricerca, dedicata alla dimensione neoplatonica del pensiero steiniano, abbiamo constatato che ciò rischia fortemente di avvenire a proposito della continuità tra Principio divino e finito umano-terreno, laddove essa venga concepita dal punto di vista della creazione e non dell’emanazione. Qui infatti la visione metafisico-integrale si contrappone vittoriosamente a quella cristiana proprio nel sostenere una continuità davvero piena. In quanto non inficiata dalla sostanziale discontinuità esistente tra un Principio divino irrecuperabilmente trascendente che sia connesso al mondo solo per mezzo di un del tutto arbitrario atto di creazione amorevole. ↩︎

  28. Edith Stein, Endliches und ewiges Sein, Herder, Freiburg Basel Wien 2006, Vol. 11/12, VI, 4, p. 288-302 ; Edith Stein, Vie della conoscenza di Dio, EDB, Bologna 2003, III, p. 115-120. ↩︎

  29. Edith Stein, Aufbau der menschlichen Person, Herder , Freiburg Basel Wien 2001, Vol. 14. ↩︎

  30. Edith Stein, Potenza ed atto, Città Nuova, Roma 2003. ↩︎

  31. Agostino affronta spesso il tema dell’«Io sono». Riportiamo qui solo alcuni momenti testuali di tale trattazione (Giovanni Catapano, Agostino. La Trinità, Bompiani, Milano 2013, I, i, 1-3, p. 11-17, ibd. II, xii, 23 p. 147-151, ibd. V, ii, 3 p. 333). ↩︎

  32. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt.2, I, 7 p. 82. ↩︎

  33. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt.2, II, 10 p. 99. ↩︎

  34. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt.2 , III, 13-15 p. 123-152. ↩︎

  35. Edith Stein, Alexandre Koyré, Descartes und die Scholastik. Übersetzungen V. Herder , Freiburg Basel Wien 2005, Vol. 25, I p. 21- 26. ↩︎

  36. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, Einleit., I, 7 p. 81-82. ↩︎

  37. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, I, 3 p.  44-46. ↩︎

  38. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, Einleit., p. 16, ibd. I, 2 p. 42, ibd. I, 7 p. 83. ↩︎

  39. Werner Beierwaltes, Deus est Esse — Esse est Deus, in: Werner Beierwaltes, Platonismus , I, p. 9-12. ↩︎

  40. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, IV, 16 p. 153-163. ↩︎

  41. Il Mieth affronta il tema a proposito del riferimento di Eckhart all’«in principio» di Giovanni (Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, IV, 15-16 p. 140-163). E sottolinea la chiara e netta presa di posizione del pensatore tedesco a favore della piena onticità degli universali (caratterizzati dalla pienezza di essere ed affatto identificabili con meri concetti astratti, ovvero i «trascendentali» di Tommaso). La loro realtà viene pertanto caratterizzata come un vero e proprio dover essere ideale al quale tutto deve essere ridotto (quale Origine) e che è poi teologicamente equiparabile a Cristo stesso come paradigma di Uomo. ↩︎

  42. Laddove va comunque ammesso il riferimento dello stesso Eckhart ad Agostino tanto quanto anche al neoplatonismo (Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt.2, I, 1 p. 28, ibd p. 33). ↩︎

  43. Dietmar Mieth, Meister , cit. alla nt.2, IV, 16 p. 161. ↩︎

  44. Il Mieth chiarisce che Eckhart intende la Natura sostanzialmente come perfezione in forza del suo stare in diretta relazione con la Sovra-Natura divina (Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt.2, I, 1 p. 30-37). ↩︎

  45. Edith Stein, Der Aufbau, cit. alla nt. 29, IV, 8 p. 55-56, ibd. V, II, 1 p. 59-61, ibd. V, II, 7-8 p. 68-71, VII, I-IV p. 93-133 Edith Stein, Endliches, cit. alla nt.28, VII, 7, p. 356-358, Edith Stein, Vie della conoscenza di Dio, cit. alla nt.28, III p. 115-120 ; Edith Stein, Übersetzungen III. Thomas von Aquin, Über die Wahrheit I, Herder, Freiburg Basel Wien 2008, Vol. 23, III, p. 99-107 ; Edith Stein, Übersetzungen III. Thomas von Aquin, Über die Wahrheit I, Vol. 23, IV, p. 121-125 ; Giovanni Reale, Per una nuova, cit. alla nt. 14, IV, XVI, II, p. 501-511. ↩︎

  46. Eckhart parla di questo a proposito dell’Annuncio dell’Angelo, Meister Eckhart, Predica 5 (Q 22), in: Loris Sturlese (a cura di), Meister , cit. alla nt. 4, p. 73, ma tocca il tema più volte anche a proposito dell’atto stesso di invio dell’Angelo, e quindi a proposito della «Isticheit». In particolare laddove trova ulteriore chiarimento quanto abbiamo visto dal Mieth circa il senso che ha per lui l’ unicum personale come immagine speculare del divino, e cioè a proposito della creazione ad immagine , Meister Eckhart, Predica 4 (Q 77), in: Loris Sturlese (a cura di), Meister, cit. alla nt. 4, p. 59. Lo stato di unicità irripetibile appare infatti essere quello in cui la similitudine raggiunge la sua piena strenuità, distanziandosi in tal modo dalla sua debolezza, che è appunto similitudine nella distanza (tra Trascendente ed immanente). È evidente che il paradigma della similitudine deve essere ridotto a quello dell’Identità. E senz’altro questo non è stato mai affermato con tanta forza e chiarezza da parte della Stein. ↩︎

  47. La concordanza sussiste qui pienamente tra quanto sottolineato dal Mieth e quanto sostenuto da Plotino stesso (Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt.2, I, 8 p. 85-88 ; Giovanni Reale, Plotino. Enneadi, Bompiani, Milano 2002, VI, 4,1, p. 1623). ↩︎

  48. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, I, 3 p. 50. ↩︎

  49. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, I, 3 p. 44-48. ↩︎

  50. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, I, 8 p. 86. ↩︎

  51. E qui bisogna ricordare che la Stein si adoperò non poco (a margine delle Quaestiones Disputatae di Tommaso) per chiarire il concetto di «mens» in modo che esso non fosse assimilabile alla Ragione in senso rigorosamente filosofico (Edith Stein, Übersetzungen III, cit. alla nt. 45, III, X, p. 259-306). ↩︎

  52. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, I, 7 p. 83. ↩︎

  53. Nella nostra investigazione abbiamo discusso a fondo la relazione tra intimismo e dottrina dell’interiorità, mostrando come l’adozione dell’ultima non comporta affatto un atteggiamento intimista inteso nel senso di una contemplazione sentimentalista e lontana dall’azione. Di certo è proprio quest’ultima l’accusa rivolta dalla metafisica integrale alla metafisica cristiana (e la dottrina agostiniana ne è il bersaglio centrale). In ogni caso, comunque, con Eckhart ci sembra proprio che la dottrina dell’interiorità venga affermata senza alcun pericolo di costituire un intimismo deteriore. Non a caso con essa si tratta della via indicata all’uomo entro un processo di riappropriazione della propria identità per mezzo del quale va ritrovato proprio quel Dio che sta immanentemente ed ubiquitariamente (ma al modo di un eterno trascendente) al centro di noi stessi così come al centro di tutte le cose — un Dio che è lì da sempre [Meister Eckhart, Predica 2 (Q 22), in: Loris Sturlese (a cura di), Meister , cit. alla nt. 4, p. 23]. Riconoscimento dal quale poi scaturisce l’azione dell’«uomo giusto». Ed è esattamente il senso nel quale la metafisica integrale espone (e rivendica) la dottrina dell’interiorità. Tutto ciò trova poi un precisa eco testuale laddove il pensatore parla dell’assoluta coincidenza sostanziale tra Dio ed anima, e quindi il fatto che, se Dio e l’uomo coincidono, è possibile solo sul piano dell’interiorità — dato che sul piano dell’esteriorità ciò non sarebbe mai possibile [Meister Eckhart, Predica 2 (Q 24), in : Loris Sturlese, Meister, cit. alla nt. 4, 5-9, p. 23]. Dunque l’interiorità è Dio stesso , dato che è Dio la quintessenza stessa dell’interiorità. Stare in Dio significa stare nell’interiorità e solo nell’interiorità. Si veda per tutto questo, comunque, anche la nota 46. ↩︎

  54. A proposito del concetto di «auctor» sussiste una rilevante prossimità tra Eckhart e la metafisico-integrale (Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, I, 1 p. 39 ; LMA Viola, Essere, cit. alla nt. 14, Introd. p. 12-15) Lo studioso ci fa notare infatti che per il pensatore renano, Dio, proprio in quanto «auctor», spiega il mondo anche con il Suo solo Nome, e pertanto in un senso che rovescia completamente (ed anche revoca) qualunque discorso circa le prove. ↩︎

  55. Edith Stein, Potenza, cit. alla nt. 2, I, 1-3 p. 55-71, ibd. V, 1-8 p. 147-236, ibd. VI, 1-23 p. 237-386 ; Edith Stein, Thomas von Aquin, Über die Wahrheit 2. Übersetzung IV, Herder, Freiburg Basel Wien 2008, Vol. 24, XVIII, 1 p. 476-482. ↩︎

  56. Edih Stein, Endliches, cit. alla nt. 28, VII, 7, p. 356-358. ↩︎

  57. La Stein tratta questo tema sulla base di Tommaso e collateralmente al concetto di «mens» (Edith Stein, Übersetzungen III, cit. alla nt. 45, III, X, p. 259-306). Effettivamente però, come spesso ci ricorda anche il Mieth, la dottrina (avicenniana) del rapporto tra intelletto agente ed intelletto passivo trovò uno dei suoi maggiori interpreti europei nell’amico di Eckhart Dietrich von Freiberg (Dietrich von Freiberg, Abhandlung über den Intellekt und den Erkenntnisinhalt, Meiner, Hamburg 1980, I-II p. 16-112). ↩︎

  58. La Stein tratta del senso in questi termini entro l’esposizione di una dottrina che sostiene il riflettersi della vita trinitaria perfino al livello delle morte cose (Edith Stein, Endliches, cit. alla nt. 28, VII, 7, p.356-358). E dunque la sua visione è qui molto simile a quella eckhartiana a proposito dell’equivalenza di Natura e Sovra-Natura. ↩︎

  59. Frithjof Schuon, Sulle tracce della religione perenne, 9, p. 103-106. ↩︎

  60. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, I, 5 p. 66. ↩︎

  61. Ed ogni presupposizione di un Principio intellettuale di Essere (Dio-Intelletto) formula esplicitamente il concetto di un Dio come «Causa». ↩︎

  62. Edith Stein, Aufbau, , cit. alla nt. 29, VII, III, 2 p. 112-113 ; Edith Stein, Endliches , cit. alla nt. 29, VII, 2, p. 307-310; VII, 6, p. 352-356; VII, 9,6, p. 377-385. ↩︎

  63. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, I, 7 p. 82. ↩︎

  64. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, IV, 16 p. 161-162. ↩︎

  65. Concetto che poi ci riporta a quel concetto di «concentrazione essenziale» così come è riscontrabile entro il pensiero steiniano solo per extrapolazione (della sua dottrina della «determinazione essenziale» dell’ente) ma che invece in Eckhart si presenta a noi in modo ben più diretto. Specie a proposito dell’immagine del «punto sulla montagna» che è poi anche «grano di senape» (Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, III, 13 p. 126). A tale proposito il pensatore parla di un’assoluta concentrazione originaria (equivalente poi alla Trinità) come supremo luogo di essere ma anche supremo luogo di ascesa intellettuale (paradiso delle «anime intelligenti»). E proprio a proposito dell’ascesi intellettuale così descritto egli impiega l’immagine metaforica del «gorgo» («Sog»). ↩︎

  66. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, I, 2 p. 58-59, ib. IV, 18 p. 170-173. ↩︎

  67. Tema che è poi oggetto costante della riflessione metafisico-integrale sulla base di diverse Tradizioni, specie quella ebraico ed induista (René Guénon, Simboli della Scienza Sacra, Adelphi, Milano 1990, 69-75, p. 355-395). ↩︎

  68. È dunque in relazione a questo l’immagine del «gorgo» («Sog») che Mieth impiega continuamente proprio a proposito dell’onto-dinamismo. L’abbiamo già visto a proposito dell’ascesi intellettuale, ma l’immagine ricorre anche a proposito del Sovrannaturale («gorgo del soprannaturale», «Sog des übernatürliches») quale forza attirante a sé l’intero divenire innescato dalla manifestazione del Principio e poi distendentesi nell’immanenza (Dietmar Mieth, Meister Eckhart, , cit. alla nt. 2, I, 5 p. 66). È proprio in tale complessiva fenomenologia che Natura e Grazia si coniugano rendendo così solo provvisoria la direttività del finito. ↩︎

  69. Edith Stein, Scientia Crucis, Roma: OCD 2011, II, 2 p. 43. ↩︎

  70. Dietmar Mieth, Meister, cit. alla nt. 2, I, 3 p. 53-54. ↩︎

  71. Frithjof Schuon, Logica e trascendenza, 2 p. 26-28, ibd. 4 p. 53-67, ibd. 5 p. 71-72. ↩︎