Étienne Gilson e Jacques Maritain: il tomismo essenziale come espressione compiuta della filosofia cristiana

L’espressione «filosofia cristiana», nata in età patristica per indicare l’apporto che la Rivelazione ha apportato alla sapienza rispetto alla tradizione ellenica, pone l’interrogativo sulla sua legittimità come «sistema filosofico». Preannunciata da alcune polemiche ottocentesche, fu soprattutto negli anni Trenta del Novecento che si è sviluppata la discussione sulla legittimità di una tale filosofia. A quanti hanno affermato che «fede e sapere non vanno d’accordo nello stesso cervello: essi vi stanno come lupo e pecora nella stessa gabbia», va detto che non tanto l’idea di filosofia cristiana quanto la discussione critica che ne è stata fatta, sembra il risultato di un malinteso, che si può superare solo definendo adeguatamente ciò di cui si tratta.

All’interno di questo vivace panorama culturale dei primi decenni del ’900, la posizione assunta da Étienne Gilson e Jacques Maritain, e la loro adesione al tomismo, ha lo scopo di mostrare come la speculazione di Tommaso sia da un lato vera e propria filosofia, e dall’altro anche veramente cristiana.

1. L’adesione al tomismo: una scelta di vita

Le significative parole del professore Antonio Livi racchiudono il senso e l’intento del presente contributo: mostrare l’accordo sostanziale di due esperienze di vita che seppur per certi aspetti diverse, hanno mantenuto un unico obiettivo comune, l’adesione personale nonché intellettuale al «tomismo essenziale». Come lo stesso Gilson afferma nell’opera che può essere considerata la sua autobiografia intellettuale, La philosophie et la theologie1 (1960), ricevette un’educazione caratterizzata dai principi della fede cristiana mentre alla Sorbona studiò filosofia2 in un contesto positivistico, orientato in senso antimetafisico e ostile ad ogni possibilità di relazione tra filosofia e cristianesimo.3 Lucien Levy-Bruhl, sapendolo cattolico e credendolo a conoscenza del pensiero filosofico-teologico elaborato in ambito cristiano, propose a Gilson nel 1905 di studiare le fonti scolastiche di Cartesio per il conseguimento del diplomê d’ètudes supèrieurs de philosophie. Ma il giovane Gilson non aveva mai letto Tommaso né conosceva alcuna delle riflessioni poste dalla filosofia scolastica. Si accinse comunque alla ricerca propostagli, il cui primo risultato fu rappresentato dai risultati teoretici delle due tesi del 1913: La Libertè chez Descartes et la thèologie, e l’Index scolastico-cartesien.4 Pervenendo allo studio di Cartesio egli si rese ben presto conto di quanto l’idea di Victor Cousin fosse errata e che tra i greci e Cartesio esisteva un mondo ricco e complesso: il medioevo. Fu così che Gilson decise di proseguire nel suo studio e di risalire all’antica filosofia dei teologi per esaminarne la natura e il contenuto, interpretando l’opera che più di tutte avrebbe determinato la sua attività intellettuale, e inevitabilmente modificato la sua stessa esistenza: lo studio del pensiero di Tommaso d’Aquino. Risultano pertinenti a questo riguardo le parole espresse dal filosofo in merito alla sinergia evidente tra filosofia e teologia:

Noi osiamo affermare che il XIII secolo, se lo si considera senza preconcetti, risulta ricco di glorie filosofiche almeno quanto lo sono i tempi di Descartes e Leibniz, di Kant e di Comte. Per non citare se non nomi difficilmente discutibili, Tommaso d’Aquino e Duns Scoto appartengono alla stirpe dei pensatori veramente degni di questo nome: sono dei grandi filosofi, cioè dei filosofi grandi per tutto i tempi, tali da imporsi anche a chi fosse risoluto a non arrendersi né alla loro autorità né alle loro argomentazioni. È ora di iniziare a riconoscere questo valore intrinseco delle filosofie medioevali.5

Sebbene al lettore moderno queste parole potrebbero sembrare banali e per certi versi scontate, non dobbiamo certo dimenticare l’ostracismo da cui la cultura cristiana fu colpita tra Ottocento-Novecento nel confronto con la riflessione filosofia, frutto quest’ultima di un razionalismo incapace di far fronte alla complessità che nasceva da una pre-comprensione della stessa Verità. La difficoltà che il filosofo francese incontrò, fu proprio quella di far fronte alla convinzione illuministica secondo cui un discorso è razionale nella misura in cui non si basa su alcuna pre-comprensione; la difficoltà era quella comune ad ogni cristiano che filosofa: cercare la Verità pur sapendo di averla già incontrata e conosciuta.6

Rispetto a Gilson, Jacques Maritain non fu cristiano di nascita né tantomeno cattolico; infatti lo spirito religioso in cui visse i primi 20 anni della sua vita fu in misto di anticlericalismo viscerale, impersonato dalla madre, Geneviev Favre, e di indifferentismo manifestato dal carattere rinunciatario e passivo del padre, l’avvocato Paul Maritain. Terminati gli studi superiori, e iscrittosi alla Sorbona tra il 1900-1901, conobbe Rissa Umanshoff,7 con cui frequentò le lezioni di embriologia generale di Felix Le Dantec, ateo e materialista, che promise ai due giovani studenti una brillante carriera. In realtà qualcosa non andò secondo i piani di Le Dantec, in quanto la conversione dei due giovani al materialismo di fatto non avvenne mai e il loro allontanamento dal maestro, fu inevitabile. All’inizio del 1908, a seguito di un profondo dissidio interiore, i due giovani incontrarono Charles Peguy, con cui assistettero per la prima volta ad una lezione di Henri Bergson, che li affascinò immediatamente. Al Collège de France, a pochi passi dalla Sorbona, la cui speculazione non era riuscita ad andare al di là della realtà del fatto bruto, Bergson descriveva il dato metafisico inscritto nella durata dell’Io ed evolventesi nella coscienza, opponendo all’intelligenza concettuale, l’intuizione come modalità di accesso alla conoscenza. Secondo quanto affermato dalla stessa Rissa: «I corsi [di Bergson] ci introducevano in regioni a cui sembrava che noi aspirassimo liberamente e dove cominciavamo a presentire che esisteva un luogo spirituale dal quale discendono i doni perfetti».8

L’intelligenza era restituita alla sua piena autonomia e la filosofia trasformata in esperienza di verità e vita: Jacques e Rissa avevano trovato in Bergson le risposte filosofiche a quell’angoscia esistenziale che aveva messo in discussione perfino il loro desiderio di vivere. Sarà l’incontro con Leon Bloy a far accadere l’imprevedibile; a seguito di una corrispondenza tra i due novelli sposi e Leon Bloy, i primi si trovarono davanti ad un problema che avrebbe di lì a poco cambiato le sorti delle loro stesse esistenze: Dio. A seguito di una serie di vicende personali, tra cui anche la prima malattia di Rissa, i due sposi il 5 aprile del 1906 confidarono a Bloy il desiderio di abbracciare il cattolicesimo e l’11 giugno vennero battezzati.

Il tomismo incontrato dopo la conversione al cristianesimo cattolico e indicato dal padre Clerissac per fornire risposte adeguate alla ragione che interpellava i Maritain circa le loro scelte di fede, integrò, superandoli, gli insegnamenti di Bergson,9 e gettando una nuova luce sui medesimi problemi. L’adesione al tomismo permette ad entrambi i filosofi con le dovute differenze, di mostrare come la speculazione di Tommaso sia da un lato vera e propria filosofia, e dall’altro anche veramente cristiana. Per Gilson la soluzione tomista si distingue prima di tutto da quella agostiniana: perché una filosofia cristiana sia possibile, sostiene Tommaso, occorre innanzitutto che sia una vera filosofia. Si determina allora l’idea di una filosofia intesa come ricerca della sapienza, ma senza la pretesa di essere la suprema sapienza che salva, e una teologia che si avvale dell’apporto specifico della filosofia, assicurandole a questo scopo la necessaria autonomia formale. In altri termini la filosofia cristiana, quale appare soprattutto in Tommaso, è opera di un cristiano che, pur ritenendo sufficiente per la salvezza la sapienza rivelata, sente il bisogno di sviluppare la ricerca sapienziale anche con le risorse della ragione naturale, e crede che tale ricerca abbia maggiori possibilità di successo se procede alla luce della fede; in questo modo il contenuto speculativo della Rivelazione è utilizzato allo stesso tempo sia al livello teologico che filosofico. Ma dopo essersi addentrato nella dottrina del tomismo, sotto l’aspetto filosofico e magisteriale, il filosofo francese dovette compiere un ulteriore passo in avanti: imparare a portare il titolo di «tomista».10 Tuttavia a fronte dell’apparente difficoltà di restare isolato, vi sono per il filosofo che aderisce al tomismo validi motivi per farlo: in primis per Gilson, il tomista aderisce alla dottrina dell’Aquinate perché il suo insegnamento non esclude quello degli altri maestri; in secondo luogo perché il corpus del tomismo esprime la Verità così come la intende la Chiesa.

Non meno problematica ma ugualmente intesa fu l’esperienza di Maritain per il quale l’adesione al tomismo giunge a completamento di una complessa maturazione personale e di coppia con la moglie Raissa. Quello che maggiormente colpisce Maritain circa il pensiero del Dottore medievale, è come egli stesso afferma, il carattere della sua dottrina «unica fra tutte le altre dottrine […] espropriata, strettamente impersonale, assolutamente universale».11 La validità e la forza del pensiero del Santo, stanno proprio nell’essere in grado di costruire una saggezza filosofica e teologica così elevata dalla mera materialità, da superare ogni particolarizzazione. Si legge a tal proposito:

Giudicare il tomismo come un vestito che si portava nel XIII secolo e non si porta più, e come se il valore d’una metafisica fosse una funzione del tempo, è un modo di pensare propriamente barbaro. […] La filosofia di san Tommaso è indipendente in se stessa dai dati della fede, e non rileva, nei suoi principi e nella sua struttura, che esperienza e ragione.12

Nel Doctor Angelicus, Jacques aveva trovato il campione di un sapere solido e vero sempre disponibile alla Verità prima perché legato a nessuna particolarità nei confronti né di tradizioni di culture o lingua, ma universale e rigorosamente attento al trascendente. Secondo Maritain c’è una filosofia tomista che non vuole un ritorno al medio evo, ma è un tomismo universale che rende la speculazione tomista, filosofia per eccellenza, sia di fronte alla fede, che al cospetto della ragione naturale acquistando in tal modo autonomia e credibilità notevoli. Per il filosofo dunque:

La filosofia di san Tommaso è la sola che possa mantenere e difendere contro ogni attacco, e anche, in verità, che intraprenda di mantenere e difendere l’integrità della ragione e di giustificare — ciò che è il dovere proprio della saggezza metafisica — i principi della conoscenza umana.13

2. Il tomismo come filosofia cristiana

Il problema della filosofia cristiana14 fu dibattuto in modo particolare in ambito francese, tra la fine dell’ Ottocento e gli inizi del Novecento, e con maggiore vivacità tra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. La scintilla che fece divampare il dibattito del Novecento fu accesa da Émile Bréhier, con la pubblicazione della sua Histoire de la philosophie15 nel 1927, dove negava l’esistenza e la possibilità stessa della filosofia cristiana. L’anno seguente, in tre conferenze all’Institut des Hantes Etudes de Belgique a Bruxelles, rincarava la dose. La sua posizione era chiara ed inconfondibile: dando uno sguardo alla storia del pensiero filosofico, egli pronunciava un giudizio sommario, completamente negativo, sulla vocazione e sul valore intellettuale del cristianesimo. Non vi sarebbe, infatti, nessuna filosofia cristiana, ad esempio in sant’Agostino, cioè nessuna concezione dell’universo fondata sul dogma, in quanto il contenuto filosofico del pensiero del santo, essendo interamente plotiniano, non sarebbe che ellenistico e pagano. Al tempo stesso, non vi sarebbe filosofia cristiana in Tommaso d’Aquino, che più dello stesso Ipponate ha riconosciuto il carattere autonomo della filosofia, perché nella misura in cui egli è filosofo, dipende da Aristotele, la cui visione dell’universo è radicalmente contraria ai dati cristiani. Inoltre, Tommaso cessa di essere un filosofo quando sottomette la ragione al controllo della fede.16 Le reazioni, così come le approvazioni nei confronti della tesi sostenuta da Bréhier, non si fecero attendere. I due momenti centrali intorno a cui si dipanò il dibattito furono la sessione della Societé française de philosophie, tenutasi alla Sorbona il 21 marzo 193117 e la Deuxieme journée d’études de la Societè Thomiste, che si svolse l’11 settembre 1933 a Juvisy.18 Contro una tale posizione di chiusura nei confronti di una possibile filosofia cristiana, si schierano le posizioni adottate tanto da É. Gilson quanto dal suo amico e collega J. Maritain che, nella loro adesione al tomismo, avevano individuato la possibilità di una soluzione alternativa al problema, salvando al contempo l’identità e lo statuto epistemologico della filosofia e il contributo notevole che il concetto di rivelazione apporta ad essa.

La discussione sulla nozione di filosofia cristiana, secondo Gilson, deve partire da un interrogativo di fondo imprescindibile: occorre chiedersi se una tale concetto abbia un significato e se corrisponda ad una realtà (quaestio iuris etquaestio facti). Senza dubbio, sembra che una tale espressione possa adeguatamente descrivere il pensiero medievale nel suo insieme, anche se il rischio è di dare l’impressione che si vogliano spacciare dei «cristiani filosofi» per dei «filosofi cristiani».19 Nel 1932 si celebrò una seconda giornata di studi a Juvisy, organizzata dalla Società tomista, a cui parteciparono, oltre allo stesso Gilson, anche Maritain, con cui nel frattempo avevano iniziato a stringere contatti, Jolivet,20 Van Steenberghen21 e Masnovo. La posizione espressa da Gilson ad entrambi i convegni poggia sua una solida base storica. Se si vuol condurre una indagine seria circa la nozione di filosofia cristiana, il filosofo ritiene che ci si debba chiedere «come hanno concepito i loro rapporti il pensiero filosofico e la fede cristiana».22 Bisogna premettere che il cristianesimo non è mai stato alieno da qualsiasi speculazione, pertanto, da un punto di vista storico, nulla vieta una possibile fecondazione della ragione da parte della fede, come niente la rende assurda a priori in una prospettiva strettamente filosofica. Dunque se non esiste una ragione cristiana, «ci può essere tuttavia un uso cristiano della ragione».23 Va precisato, inoltre, che se «l’essenza della filosofia è immutabile, in quanto ricerca della verità, i filosofi non lo sono».24 Questo comporta che se è vero che una Rivelazione, come quella cristiana, non altera in alcun modo lo status e l’essenza della filosofia, è altresì vero che determinate idee e dottrine metafisiche sono il frutto «dell’influenza esercitata dalla rivelazione giudeo-cristiana sull’orientamento del pensiero occidentale».25 Il passaggio più importante compiuto dal filosofo francese, sta nell’ammettere che data l’esistenza di alcune filosofie cristiane, che sono il frutto di suddetta influenza sul pensiero occidentale, esiste di fatto la stessa nozione di filosofia cristiana: «Se la storia mostra che ci sono state delle filosofie cristiane, significa di conseguenza che la nozione stessa di filosofia cristiana è possibile».26 Dopo che la rivelazione si è storicamente compiuta, al di sopra della teologia naturale, si è stabilita una teologia soprannaturale, che ha inevitabilmente implicato il punto di vista cristiani sulla filosofia. Dunque:

se non c’è filosofia cristiana per il filosofo, ce n’è una per il teologo, e ciò spiega il fatto che ve ne sia una anche per la storia. Lo storico della filosofia può bene, a suo rischio e pericolo, fare come se questo episodio di 18 secoli, che perdura ancora, non offra alcun interesse, ma né lui, né il metafisico, possono impedirgli di esistere.27

Gli anni che vanno dal 1922, in cui Maritain pubblicò il Dottore Angelico, al 1935, che vide la pubblicazione di Scienza e Saggezza,28 contraddistinguono un periodo che fu di intensa elaborazione riguardo, per lo più, alle questioni epistemologiche. Furono anche gli anni in cui egli prese parte al dibattito promosso dalla Sociètè Française, arricchendolo con i propri contributi. Il punto di partenza del filosofo francese si basa sulla convinzione che, per costituire un sapere che non sia schiacciato sul terreno della mera indagine epifenomenica, occorre recuperare il senso autentico della conoscenza speculativa e, dunque, aprirla alla saggezza che si trova al di fuori dell’ordine del sapere circoscritto dalla scienza sperimentale. Pertanto:

Bisogna ad ogni costo che l’attività pensante rimanga fedele a questa analogia grazie a cui noi facciamo superare l’infinito ai nostri umili concetti limitati e spezzettati e ai nostri umili processi discorsivi, per raggiungere in qualche modo l’Uno infinitamente trascendente e che non possiamo cogliere in se stesso. È una questione di vigilanza intellettuale.29

A dare man forte alla già evidente posizione gilsoniana, si aggiunge l’intervento di Maritain,30 che esordisce prendendo in considerazione i dati storici forniti dal collega, tentando una risoluzione teoretica del problema sulla base degli stessi, giungendo ad ammettere che nella patristica, così come nella scolastica, vi sono stati elementi filosofici originali e razionalmente consistenti. La soluzione teoretica proposta si fonda sulla differenza tra ordo exercitii, e ordo specificationis, ovvero tra natura considerata essenzialmente e natura considerata nella sua concretezza esistenziale:

Considerando le cose secondo le prospettive teoriche del tomismo che cosa di deve dunque pensare della nozione di filosofia cristiana? Precisiamo subito qual è per noi il principio per una soluzione: la distinzione tra l’ordine dello specifico e l’ordine della condizione in atto, o ancora, ed è a questi termini che ci atterremo, tra la natura della filosofia, o ciò che essa è in se stessa, e lo stato in cui essa si trova di fatto, storicamente, nel soggetto umano, a che si riferisce alla sue condizioni di esistenza e di esercizio nel concreto.31

Maritain ha la premura di collocare il problema della filosofia cristiana nel quadro dei rapporti tra fede e ragione, ed è proprio nello scritto Sulla filosofia cristiana, che compie una importante distinzione tra natura e stato della filosofia così come chiaramente espresso:

Dal momento in cui non si tratta più di una filosofia presa in sé, ma del modo in cui il soggetto umano pensa la filosofia, e delle diverse filosofie poste in essere nel movimento concreto della storia, la considerazione dell’essenza non basta più, si impone quella dello stato.32

Secondo il filosofo, agli occhi di san Tommaso la filosofia resta inferiore, come realtà puramente spirituale, rispetto all’organismo delle virtù teologali e dei doni dello Spirito Santo. Le virtù superiori, dunque, aiutano e confortano le inferiori nello stesso piano, e di conseguenza la virtù della fede fa sì che il filosofo, che conosce per vie puramente razionali l’esistenza di Dio, aderisca con più viva forza a questa medesima verità. Pertanto, nella luce della teologia le verità metafisiche, che appaiono con uno splendore così profondo, rendono il lavoro filosofico più facile e fecondo. Il fatto che si parli di una filosofia cristiana non deve, però, far dimenticare anzittutto la differenza che sussiste con la teologia di stampo cristiano, e il fatto che una filosofia che si dice cristiana è, sì, tale perché ispirata al cristianesimo, ma altrettanto è veramente e autenticamente filosofia, dato che dipende dalla ragione e da essa solo. Il «luogo» nel quale le due saggezze, filosofica e teologica, commerciano è quello dell’etica che, non essendo una disciplina puramente speculativa, ma riguardante tutti gli aspetti dell’agire umano, di per sé comprenderebbe anche la teologia:

E allora eccoci in presenza di una filosofia eminentemente cristiana in senso stretto, di una filosofia [l’etica] che non può essere proporzionata al suo oggetto se non usa principi ricevuti dalla fede e dalla teologia, e se non viene da esse istituita. Filosofia pratica che resta filosofia, che procede nel modo proprio della filosofia ma che non è puramente filosofia e che deve essere necessariamente una filosofia resa più alta, una filosofia fatta subalterna alla teologia.33

Ci troviamo così dinanzi a quella che Maritain chiama «filosofia morale adeguatamente presa», subalterna ma non schiava della teologia, cristiana in ragione dei caratteri del suo oggetto, ma in cui confluiscono la luce della ragione e quella della fede, la filosofia e la teologia. Da una parte, dunque, la teologia prende in esame il fine ultimo soprannaturale, in quanto comunicazione della vita intima di Dio; dall’altra, la filosofia morale adeguatamente presa, analizza il medesimo fine ultimo come compimento della natura umana:

La filosofia morale, al contrario, sebbene anch’essa riferisca le azioni umane alla beatitudine, non può evidentemente essere «più speculativa che pratica», poiché costituisce precisamente la parte pratica del sapere finito, separata e contrapposta alla sua parte speculativa: questo perché pur riferendo la azioni umane a Dio, essa tuttavia non riceve per questo la sua propria luce da una ratio sub qua divina.34

3. Conclusione

Sebbene le due posizioni espresse dai filosofi francesi si muovano su livelli differenti: l’una prettamente storico-critica, l’altra teoretico-morale, esse si completano vicendevolmente. È infatti possibile delineare a fronte delle tesi esposte da Gilson e Maritain ed in relazione al loro essere «tomisti», lo statuto epistemologico di una filosofia che si definisce cristiana.

Innanzitutto l’espressione «filosofia cristiana» non denota una semplice essenza, ma un complesso; che non è una dottrina determinata, anche se per il nostro filosofo, la dottrina tomista ne è l’espressione più completa; si tratta di filosofia stessa, in quanto viene presa in quelle condizioni di esistenza e di esercizio caratteristiche, in cui il cristianesimo ha introdotto il soggetto pensante, in modo che essa possa vedere certi oggetti e stabilire validamente certe asserzioni che in altre condizioni le sfuggirebbero. Gilson può così trarre il senso dei rapporti tra religione e filosofia: reciproca implicazione, connessione inscindibile. La filosofia si completa o perfeziona nella fede, altrimenti gli stessi scopi che essa si era prefissata si rivelano irraggiungibili;35 d’altra parte, la fede raggiunta genera una riflessione nuova, che non si aggiunge a quella preesistente.

La definizione che probabilmente più di ogni altra rende il senso di cosa Gilson intenda per filosofia cristiana, recita:

Chiamo dunque filosofia cristiana ogni filosofia che, pur distinguendo formalmente i due ordini, consideri la Rivelazione cristiana come un ausiliario indispensabile della ragione.36

Come nota Forni,37 la definizione gilsoniana ammette le condizioni che preesistono alla costituzione di una filosofia; si tratta della fede cristiana, che è attivamente presente nella costituzione, ma non nella orditura della filosofia. Tale differenza può apparire fragile, se si tiene presente che la rivelazione aiuta necessariamente la ragione non in un senso quantitativo (come se mancasse qualcosa), ma riformando interamente il suo compito, dato che essa si subordina a un oggetto particolare e pensa se stessa nell’ambito di tale sottomissione. Come lo stesso Gilson afferma,

per chi l’intenda così, questa nozione non corrisponde a una semplice essenza suscettibile di ricevere una definizione astratta; essa corrisponde assai più a una realtà storica completa, di cui richiede l’illustrazione. Essa non è che una delle specie del genere filosofia, e contiene nella sua estensione i sistemi di filosofia, che sono stati e che furono solo perché è esistita una religione cristiana ed essi ne hanno volontariamente accettato l’influsso.38

Rispetto alle considerazioni di Gilson, Maritain da sempre attento anche al problema morale e sociale ritiene giustamente che:

La verità non può lottare contro la verità, questo significherebbe spezzare il primo principio della ragione; e se è vero che la teoria della doppia ragione è stata sostenuta nel Medioevo e nel Rinascimento dagli averroisti, essa è una pura assurdità. Da una parte la filosofia, secondo la sua vera essenza è indipendente dalla rivelazione e dalla fede nella sua opera, e nei suoi principi si sviluppa in modo autonomo da essa, avendo come luce la luce naturale della ragione e come solo criterio l’evidenza.39


  1. «Étienne Gilson ha definito in sintesi il suo itinerario spirituale, -l’avventura di un giovane francese, allevato nella religione cattolica, debitore verso la Chiesa di tutta la sua educazione e verso l’Università di tutta la sua formazione filosofica; messo da Clio alla prese col problema di trovare un senso preciso alla nozione di teologia, dopo aver consumato una parte della sua vita nella discussione di questo problema, ha trovato la risposta troppo tardi perché potesse ancora servirgli-», A. Milano, Étienne Gilson, in «Studi Cattolici», 1963 (36), 41-46. ↩︎

  2. «La Sorbona aveva lasciato il giovane Gilson libero di ricercate la propria filosofia, senza levarlo dall’impicci di una gran confusione che egli peraltro aveva ritrovato in teologica. «I giovani cattolici di quel tempo conoscevano molto bene la loro religione e ciò era la cosa più importante, ma era tutto; […] il novello filosofo che sapesse il catechismo, si credeva autorizzato a decidere di tutto in materia di teologia» (Il filosofo e la teologia, 67), proprio laddove l’ignoranza della scienza sacra era totale presso i laici. Il guaio era però che la filosofia si sentiva autorizzata a far della teologia proprio perché la teologia stessa andava filosofeggiando. E non poco, come s’è visto. Dunque, si trattò di far ordine e chiarezza, da parte di Gilson, se non certo nella realtà di fatto del sapere accademico, bensì in sé personalmente, cercando di capire in quale rapporto reciproco dovessero essere intese e considerate la filosofia e la teologia, affinché da entrambe si potesse trarre frutto e non discordia», M. Grosso, Alla ricerca della verità. La filosofia cristiana di È. Gilson e J. Maritain, Città Nuova, Roma 2006, 44. ↩︎

  3. Occorre ricordare a tal proposito il luogo comune che imperversava all’epoca risalente a Victor Cousin per cui «Cartesio veniva dopo i Greci quasi come se fra questi e lui non ci fosse stato nulla, salvo i fisici. C’era stata da principio una filosofia greca, poi la filosofia moderna; fra le due, nulla se non una teologia fondata sulla fede e sull’autorità che sono la negazione stessa della filosofia» (È. Gilson, Il filosofo e la teologia, Morcelliana, Brescia, 1964, 97-98). ↩︎

  4. Entrambe le tesi di dottorato furono pubblicate presso Alcan, a Parigi, rispettivamente nel 1913 e nel 1918. ↩︎

  5. É. Gilson, Le thomisme, Vix, Strasbourg 1919, 5-6. ↩︎

  6. «Va sottolineata la possibilità di un incontro reale tra la Rivelazione e la filosofia soprattutto se si considerano alcuni fondamentali aspetti sia dell’una che dell’altra, cosa necessaria del resto, poiché una relazione non esula dalla natura dei suoi termini, ma è anzi sulla base di essa che si costituisce. Dalla parte della filosofia va dunque rilevato, tra gli elementi che qui interessano, che essa si è caratterizzata sin dagli inizi per un afflato sapienziale che la rende disponibile ad aprirsi ad altro da sé. Dalla parte della Rivelazione va invece evidenziato soprattutto il suo particolare profilo razionale, ossia quella valenza veritativa che non casualmente ha visto il cristiano-caso unico tra le religioni- interagire con la ricerca razionale la punto di dar vita ad una disciplina- la teologia- che si costruisce come scienza soltanto sulla base di un ordito concettuale razionale. Insomma il cristianesimo mostra un intrinseco carattere razionale, che d’altronde ne spiega la preferenza per l’accordo con la filosofia anziché con i culti che ha incontrato nel corso della propria opera evangelizzatrice, la ragione filosofica viene invocata dalla stessa natura della Rivelazione, del tutto nuova rispetto ai culti coevi della filosofa ellenica. Andrea Milano ha sottolineato in merito che « se gli dèi greci appartengono all’ordine naturale del mondo non v’è, ne vi può essere nessuna speciale rivelazione. La natura è la loro rivelazione. Perciò non si crede agli dèi con un atto di decisione radicale e salvifica. Si sa che ci sono» (A. Milano, Il divenire di Dio. Sulla teologia naturale dei primi pensatori greci, in «Asperenas», 20 (1973), 36). L’atto di fede in Cristo implica invece un assenso ai contenuti della Rivelazione, e quindi ancora prima ragionevolezza, scelta, libertà, responsabilità. Il buon annuncio, per avendo per oggetto un fatto particolare e determinato, è tale solo nell’elevazione di questo a valore assoluto, unico: per questo il cristianesimo si pone come religio vera, e per questo esso attiva tutte le facoltà umane in quanto la scelta è in vista della salvezza», R. Di Ceglie, Étienne Gilson: Filosofia e rivelazione, ESI, Napoli 2004, 33-34. ↩︎

  7. Si veda a tal proposito: J. Maritain (a cura di), Diario di Rissa, Morcelliana, Brescia 2000. ↩︎

  8. R. Maritain, I grandi amici, Vita e Pensiero, Milano 1991, 79. ↩︎

  9. Cf., P. Viotto, Introduzione a Maritain, Laterza, Roma-Bari 2000, 9-11. ↩︎

  10. Cf. M. Grosso, cit, relativamente al paragrafo 1.2 «Un compito: l’arte di essere tomisti», 75-79. ↩︎

  11. Ivi, 36. ↩︎

  12. Ivi, 36-38. ↩︎

  13. Ivi, 130. ↩︎

  14. Cf G. Forni, La filosofia cristiana. Una discussione, CLUEB, Bologna 1988, 5-8. ↩︎

  15. É. Bréhier, Histoire de la philosophie, Alcan, Paria 1927. ↩︎

  16. Cf M. Grosso, Alla ricerca della verità, Città nuova, Roma 2006, 33. ↩︎

  17. Ibidem↩︎

  18. Gli atti si trovano pubblicati in La philosphie chrétienne. Compte-rendu de la Deuxième journée d’études, Societé Thomiste, Juvisy, 11 settempbre 1933. ↩︎

  19. Cf M. Grosso, Alla ricerca della verità: la filosofia cristiana in È. Gilson e J. Maritain, Città Nuova, Roma 2006, 79. ↩︎

  20. «Appartenente al mondo cattolico, Mons. R. Jolivet (1891-1966), professore nelle Facoltà Cattoliche di Lione, pubblicò un solido lavoro si documentazione sui rapporti fra il pensiero greco e quello cristiano, in opposizione radicale alla tesi negazionista del Bréhier. Secondo Jolivet vi è un a metafisica immanente ai dogmi cristiani, le cui verità fondamentali: l’unicità di Dio, la libera paternità divina, la spiritualità dell’anima e l’immortalità personale, il libero arbitrio, le sanzioni d’oltre tomba, una particolare concezione dell’obbligazione e della perfezione morale e dei doveri dell’uomo, sia come individuo, sia come membro della società, costituiscono un corpo di dottrine essenziali al cristianesimo, almeno speculativo, ed è ciò che si può legittimamente chiamare «filosofia cristiana», come bene comune a tutti, semplici e sapienti, che professano la dottrina di Cristo» (L. Bolgiolo, La filosofa cristiana. Il problema, la storia, la struttura, L.E.V., Città del Vaticano 1995). ↩︎

  21. «Con l’abituale chiarezza, il Van Steenberghen espose limpidamente il suo pensiero sul problema che ci interessa. La grande preoccupazione del professore di Lovanio, è di salvare l’autonomia della filosofia, di distinguerla nettamente dalla teologia. Per questo è un deciso avversario dell’espressione «filosofia cristiana». In nome dell’esattezza del linguaggio, quale condizione indispensabile del buon lavoro scientifico, il nostro autore, respinge la locuzione «filosofia cristiana» come tipo di speculazione intermediario tra la filosofia tout-court e la teologia. Qualunque cosa che non è né filosofia né teologia e potrebbe essere insieme l’una e l’altra, è qualcosa di ibrido e di mostruoso. Filosofia e cristianesimo non potrebbero essere uniti senza confondersi e snaturarsi reciprocamente. Ciò è vero se rimaniamo su un piano puramente concettuale senza la ragione e al di fuori del concetto di essere. Egli definisce la filosofia come «lo sforzo scientifico che tende alla spiegazione generale del reale nella misura in cui forma l’oggetto della conoscenza naturale dell’ uomo, sicché principi, metodi, conclusioni della filosofia sono strettamente razionali. Dunque nell’elaborazione d’una filosofia propriamente detta il cristianesimo non interviene mai se non in maniera indiretta e accidentale mediante il pensatore cristiano. L’influenza diretta del cristianesimo è d’ordine puramente psicologico e si limita a mettere il filosofo cristiano nelle migliori condizioni per elaborare — non una filosofia cristiana che non ha senso —, ma una filosofia vera. La filosofia dunque è sempre opera della ragione» (ivi, 147). ↩︎

  22. É. Gilson, Lo spirito della filosofia medievale, Morcelliana, Brescia 1988, 20. ↩︎

  23. Ivi. ↩︎

  24. É. Gilson, Dio e la filosofa, Morcelliana, Brescia 1964, 116. ↩︎

  25. Ivi. ↩︎

  26. Ivi, 117. ↩︎

  27. Ivi, 118. ↩︎

  28. J. Maritain, Scienza e Saggezza, Borla, Roma 1980. ↩︎

  29. J. Maritain, Approches sans entraves, Paris 1973, 66, così come riportato da G. Giannini, L’approccio di un filosofo alla teologia, in Il contributo teologico di Jacques Maritain, L.E.V., Città del vaticano 1984, 17. ↩︎

  30. «Ma è dall’inizio degli anni ’30 che il problema viene affrontato da Maritain, il quale partecipa al dibattito che si svolge alla Sociètè Française de Philosophie. Nel suo intervento sviluppa la sua analisi sulla base della distinzione tra l’ordine della specificazione o natura della filosofia e l’ordine d’esercizio o stato della filosofia» (G. Galeazzi, Jacques Maritain, 168. ↩︎

  31. J. Maritain, Sulla filosofia cristiana, Vita e Pensiero, Milano 1978, 36. ↩︎

  32. Ivi, 40. ↩︎

  33. Ivi, 64-65. ↩︎

  34. Ivi, 108. ↩︎

  35. «È la parte di verità rappresentata modernamente nella posizione di Blondel, ma che potrebbe trovare espressione anche all’interno della filosofia tomista. Ricordo ad esempio che al convegno di Juvisy (11 sett 1933), una delle relazioni era rivolta a mostrare come la filosofia, - che ha come scopo lo studio dell’ essere in quanto essere-, non possa realizzare il suo stesso scopo, se non in modo incerto e incompleto, e debba appoggiarsi alla rivelazione» (ibidem). ↩︎

  36. É. Gilson, Lo spirito della filosofia medievale, Morcelliana, Brescia 1988, 43. ↩︎

  37. Cf G. Forni, La filosofia cristiana. Una discussione, CLUEB, Bologna 1969, 71. ↩︎

  38. É. Gilson, Lo spirito della filosofia medievale, 43-44. ↩︎

  39. Ivi, 142. ↩︎