Ambrogio Bongiovanni, Il dialogo interreligioso. Orientamenti per la formazione, EMI, Bologna 2008, 379 pp., € 16.
È una lacuna importante quella che il professor Ambrogio Bongiovanni, docente alla Pontificia Università Gregoriana e alla Pontificia Università Urbaniana di Roma, ha colmato con il suo ultimo volume. Impegnato da anni nel dialogo interreligioso, sia come accademico che come missionario laico fondatore del Movimento San Francesco Saverio che opera prevalentemente in India, l’autore ha dato alle stampe un volume che nasce dalla presa di coscienza di una inadeguata formazione al dialogo nella cultura teologica italiana.
Il titolo della pubblicazione, Il dialogo interreligioso. Orientamenti per la formazione, indica appunto come il progetto alla base dell’opera sia quello di fornire uno strumento capace di formare ed orientare l’azione di coloro che sono direttamente o indirettamente impegnati in questo campo. La prima intenzione del libro, tuttavia, è quella di fare chiarezza su un tema che è ancora nuovo per la teologia, reso ulteriormente complesso dagli antichi pregiudizi nei confronti delle altre religioni e da una diffusa incomprensione di quale sia il significato teologico-spirituale del dialogo stesso.
Del resto, le problematicità che si trovano ad affrontare coloro che, per vari motivi, si impegnano nel dialogo interreligioso sono molteplici e complesse. Le sensibilità che si vanno a toccare, infatti, e la delicatezza dei temi in questione, impongono, come afferma anche l’autore nell’introduzione, che il dialogo non venga lasciato all’improvvisazione. La riflessione teologica è perciò interpellata ad interrogarsi maggiormente ed in modo diverso sul tema del dialogo. Come scrive Bongiovanni:
La teologia deve accettare il fatto di trovarsi di fronte a nuovi problemi con la necessità di rivedere vecchi modelli teologici, non sempre adeguati a fornire elementi utili in risposta a questioni che scaturiscono dagli incontri interreligiosi (p. 16).
Al tempo stesso, pero, l’autore con tutta la sua esperienza di operatore sul campo, afferma ripetutamente, nel suo libro, che uno dei rischi del dialogo interreligioso è quello di ridurre i rapporti tra le religioni a discussione meramente cerebrali, privilegiando in modo esclusivo, cioè, l’aspetto teologico-dottrinario. Secondo Bongiovanni, all’opposto, un’efficace formazione al dialogo deve rivolgere grande attenzione anche all’ortoprassi. Il confronto e le relazioni interreligiose, invece, come viene detto esplicitamente nel testo, dovrebbero trovare uno spazio adeguato anche fuori dalle accademie. È questa, in fondo, una delle convinzioni e delle sensibilità che caratterizzano maggiormente il volume, il quale, pur nella sua solida impostazione concettuale, conserva uno specifico orientamento operativo mirato ad un’azione che possa essere applicata negli ambiti sociali più diversi. Già nell’introduzione, infatti, si sottolinea come la motivazione che deve animare il dialogo, sia tra i cristiani che tra coloro che credono diversamente, debba essere, in generale, quella di educare le persone a stabilire relazioni concrete e profonde in tutti gli ambiti della vita. È questo il motivo per il quale nel libro viene valorizzata la base antropologica del dialogo, nella misura in cui l’uomo, in quanto tale, viene letto come un essere strutturalmente in relazione dinamica con l’alterità. Fondata su questa base antropologica, l’autore sollecita, unitamente ad una migliore comprensione del rapporto tra dialogo e missione, la nascita di una teologia più specifica del dialogo
che tenga dunque maggiormente conto dei contesti di riferimento e che offra gli strumenti per comprendere l’incontro interreligioso (p. 13).
La struttura dell’opera, animata anche da questa intenzione di fondo, è divisa in tre parti tese a centrare in modo sempre più mirato la questione della formazione al dialogo, sul quale, nella sezione finale, vengono appunto date delle indicazioni d’orientamento concrete. Dopo una prima parte dedicata agli aspetti generali, infatti, nella seconda si passa all’analisi dettagliata della comunicazione dialogica, per poi passare, nella terza, ad illustrare dei contributi orientativi che possano aiutare a costruire una cultura del dialogo e ad illuminarne l’azione.
Già la prima parte dell’opera, comunque, dedicata all’approfondimento filosofico dello scenario socio-religioso attuale, mette in luce le questioni sensibili con i quali la problematica del pluralismo religioso è intrecciata, dando delle prime chiavi di lettura alle tematiche implicate. L’autore, cioè, dall’inizio alla fine del libro, ritorna sui problemi che tradizionalmente fanno da cornice al dialogo interreligioso vero e proprio, facendo intendere come l’approfondimento e la comprensione del contesto politico, sociale e culturale risulta funzionale e complementare ad una valutazione adeguata delle complessità che ineriscono il dialogo tra le religioni.
Secondo Bongiovanni, infatti, la secolarizzazione tipica del mondo moderno, pur avendo rimosso Dio, rivaluta il religioso. Egli ricorda, a questo riguardo, come, dal 11 settembre 2001, la religione sia tornata, in pieno postmoderno, ad assumere un ruolo centrale nel dibattito politico. Ecco perché, per citare due paragrafi del primo capitolo, al bisogno religioso si addiziona il bisogno del dialogo interreligioso, come fattore di coesione sociale e strumento di pace. Ciò, a suo avviso, impone di ripensare l’educazione alla fede, passaggio che, paradossalmente, costringe al superamento della critica razionalistica dell’illuminismo ed al recupero della dimensione mitica, suggestione, questa, che egli raccoglie attraverso Raimon Panikkar. Bongiovanni, inoltre, si augura che questa impostazione possa essere rafforzata da un nuovo incontro tra filosofia e teologia. Egli, a questo riguardo, cita l’enciclica Fides et ratio, documento che sottolinea appunto il contributo che la filosofia può dare per comunicare la verità del Vangelo a quanti ancora non lo conoscono. Non è un caso, ad ulteriore conferma dell’accortezza di questa prospettiva, che Karl Rahner, il più filosofo dei teologi del Novecento, da Bongiovanni giustamente citato nella sezione del libro dedicata all’esperienza religiosa, abbia dedicato una parte significativa della sua riflessione filosofico-teologica al pluralismo, anticipando ed ispirando così questo specifico indirizzo di ricerca che tenta di armonizzare le diverse culture religiose.
La parte centrale dell’opera è invece interamente dedicata, come si diceva, ad una, potremmo dire, filosofia e fenomenologia del dialogo, che l’autore analizza da diverse angolature prospettiche. La prima tesi presentata è che un’autentica formazione al dialogo deve porre grande attenzione alle dinamiche del linguaggio, specialmente in un’epoca come quella attuale, nella quale la comunicazione di massa, favorita dallo sviluppo tecnologico, limita, paradossalmente, i rapporti diretti e personali. La seconda parte del saggio esamina invece le molteplici questioni relative alla comunicazione interpersonale o intersoggettiva, facendosi guidare da autori come Emilio Baccarini, Martin Buber, Romano Guardini, Raimon Panikkar, ed altri ancora. La riflessione di Bongiovanni, rielaborando personalmente le riflessioni di questi autori, mira appunto a svolgere
una riproposizione del contributo del pensiero dialogico alla luce della teologia cristiana (p. 54).
Dalle pagine del libro emerge, dunque, come un’autentica formazione al dialogo interreligioso debba necessariamente raccogliere l’importanza del linguaggio, nelle sue varie forme ed espressioni, e fare, in generale, una riflessione approfondita sulla comunicazione. Un atteggiamento dialogico efficace, secondo l’autore, deve tener conto che non esiste un unico linguaggio e che, per esempio, anche la comunicazione non verbale riveste una grandissima importanza.
Il linguaggio e la comunicazione si manifestano così come momenti vitali ed essenziali della relazione, la quale rappresenta, nell’ottica di Bongiovanni, il vero fine ultimo del dialogo interreligioso. La conclusione ricavabile dalle riflessioni da lui stesa in queste pagine è appunto quella che i principi della comunicazione dialogica, una volta applicati alle relazioni tra individui che professano fedi religiose diverse, devono porsi come obiettivo primario un incontro personale, una relazione umana autentica e profonda. Questa prospettiva rientra appunto nella concezione di fondo proposta dall’autore, secondo il quale i rapporti tra le religioni devono guardare all’ortoprassi tanto quanto all’ortodossia dei contenuti dottrinali che si trasmettono negli incontri interreligiosi. Si ritorna, dunque, ad un’etica e ad una spiritualità del dialogo, e non è un caso che l’autore, citando Pietro Rossano, sottolinei come il problema di fondo sia quello di chiarire lo statuto teologico ed ontologico dell’interlocutore non cristiano.
La ricerca di Bongiovanni, a questo punto, allarga il suo sguardo prospettico al tema dell’esperienza religiosa e a quello della sua trasversalità e presenza anche fuori dal cristianesimo. Seguendo una concatenazione logica rigorosa, infatti, egli introduce la sezione del libro più specificatamente dedicata al pluralismo e alla teologia delle religioni.
L’autore, di seguito, approfondisce la dimensione interreligiosa dell’esperienza religiosa, e, attraverso Rahner, la sua base antropologica. Nel saggio vengono così brevemente richiamate le dottrine del Vaticano II ed alcuni documenti di Giovanni Paolo II che hanno affrontato il tema del pluralismo, includendo anche dei richiami ad alcuni Padri della Chiesa, come Giustino, e taluni autori asiatici che hanno scritto sulla dimensione cosmica della rivelazione. La riflessione di Bongiovanni si rivela al quanto aggiornata sul dibattito che, dopo il Concilio, ha accompagnato la teologia delle religioni ed in special modo la cristologia, che di essa ne rappresenta tradizionalmente il fulcro e la «pietra di scandalo». L’autore, su questo tema, si dimostra particolarmente attento allo scenario indiano, il quale, del resto, è quello che ha maggiormente stimolato le discussione teologiche degli ultimi anni. Più in generale, tuttavia, è significativo come Bongiovanni raccolga l’invito di vari teologi che insistono nella necessità di cercare i semi del verbo nelle altre religioni e a scoprire come la parola di Dio sia parlata anche fuori della Chiesa.
Il terza parte dell’opera è invece dedicata, come si diceva, all’individuazione degli orientamenti concreti utili ad una adeguata ed efficace formazione al dialogo. Il primo di essi consiste esattamente nella rivisitazione del termine dialogo. Bongiovanni, raccogliendo e sviluppando in forma operativa quanto sul tema aveva scritto nella parte centrale del saggio, riprende ad analizzare la categoria del dialogo, sostenendo che una sua corretta definizione, alternativa ai luoghi comuni che ne sviliscono la portata e alle letture troppo accademiche e celebrali che di esso si fanno, è una precondizione del dialogo stesso. Il dialogo, secondo l’autore, per divenire efficace, deve farsi relazionale. È questo il motivo per cui, ricostruendo etimologicamente e filosoficamente il termine, afferma come esso, citando Panikkar, dovrebbe divenire «dualogo», cioè rapporto ed incontro concreto tra due persone, aspetto appunto trascurato nell’interpretazione troppo intellettualistica che il senso comune dà alla parola.
Vanno in questa direzione, tesa a legittimare, potremmo dire, lo statuto ontologico, epistemologico, etico e teologico del dialogo, tutte le considerazioni che di esso vengono fatte nella parte conclusiva del saggio. In successione viene infatti spiegata la necessità, per il dialogo interreligioso, di superare l’epoché fenomenologica, che elimina la componente umano-psicologica da cui esso invece procede preliminarmente, ma anche il suo legame con l’ecumenismo, il cui vero senso consiste nell’impegno a creare una «casa comune», e l’accostamento con la maieutica socratica, simbolo massimo di un’azione educativa non strumentale o manipolativa.
Il libro si chiude idealmente, infatti, riflettendo sul concetto di verità e sulla sua natura relazionale, ed elencando sia gli ostacoli da evitare che i frutti del dialogo. La riflessione conclusiva sposta infine la riflessione sulla tensione tradizionale tra dialogo e missione — la cui sintesi l’ha in fondo trovata già Giovanni Paolo II, affermando che il dialogo si inserisce nella missione salvifica della chiesa — e su quale debba essere l’approccio cristiano al dialogo interreligioso. L’autore si sofferma soprattutto sulla dimensione educativa, o meglio sugli adattamenti e le trasformazioni che le istituzioni formative, ecclesiali e statali, devono applicare in una società, come quella attuale, oramai contrassegnata da multiculturalità e multireligiosità.
In conclusione, il saggio di Bongiovanni si rivela essere uno strumento prezioso per coloro che intendano formarsi in vista di un impegno concreto e consapevole nel dialogo interreligioso. Esso può rappresentare un vero e proprio manuale per tutti quelli che, studiosi od operatori sul campo, sentano la necessità di avere una maggiore consapevolezza delle complessità ma anche delle speranze che l’incontro tra le religioni porta con sé. Il saggio, inoltre, rappresenta un contributo importante affinché il dialogo non sia più una mera appendice della teologia, ma diventi anzi, in un momento storico come quello attuale che ne mette in risalto la necessità, una delle sue branche più vitali ed attive. Il libro, in altri termini, è sicuramente un’occasione per riflettere sulla situazione attuale del dialogo interreligioso che pare
a volte controversa, non chiara, non condivisa da tutti, con l’aggravio che, oltre alle questioni teologiche aperte e dibattute, il termine dialogo sia diventato un termine di moda, un termine accattivante, oggetto spesso di luoghi comuni (p. 221).
Nel perseguire gli obiettivi indicati, il saggio mostra una notevole coerenza logica, e l’impianto concettuale che sorregge l’opera dimostra, in ogni suo capitolo, una grande concretezza, sempre agganciata ai problemi effettivi e tangibili che incontra chi abbraccia questa vocazione umana e religiosa. Uno dei pregi più importanti del libro consiste appunto nell’offrire una solida e matura base concettuale, sia di ordine filosofico che teologico, mirata però ad un impegno operativo. Se questo era il proponimento della pubblicazione, essa avrebbe forse dovuto corredare l’elaborazione intellettuale delle problematiche con maggiori esempi storici concreti. Siamo certi, però, che l’autore, impegnato da anni nell’organizzazione di conferenze dedicate esattamene all’esperienze di dialogo, potrà, in un futuro non lontano, bilanciare la rilevanza teorica di questo saggio con le tante testimonianze di dialogo interreligioso che ha raccolto negli anni in Italia e nel mondo.