Recensione a Luca Spegne, Ascoltare il futuro. Il pensiero apocalittico di Jacob Taubes

Luca Spegne, Ascoltare il futuro. Il pensiero apocalittico di Jacob Taubes, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2016, 15 euro.

Questo libro di Luca Spegne ha il pregio di essere agile, e al contempo, di offrire un’ampia ed approfondita disamina del suggestivo pensiero di una singolare figura del rabbinismo contemporaneo che, partendo dal punto di vista dell’ebraismo, apre un dialogo con la tradizione filosofica del Novecento, esplorando suggestivi spazi ermeneutici. Si tratta di Jacob Taubes, esegeta insigne ma anche pensatore importante specie per lo sviluppo di una filosofia della storia caratterizzata dall’istanza del messianismo.

Autore di opere imprescindibili come ad esempio Escatologia occidentale, o anche La teologia politica di San Paolo, Taubes ricostruisce il concetto di eschaton recuperando l’idea ebraica di un futuro che trae il passato e lo illumina retrospettivamente fino a identificare nell’oggi (Heute) la possibile interruzione del kronos a favore di un kairós che sancisce il compimento messianico. Da questo punto di vista Taubes intesse un dialogo con Walter Benjamin, così che, afferma l’autore, «dentro l’idea messianica taubesiana la redenzione escatologica può però iniziare a realizzarsi nel presente» (p. 15). La categoria messianica è l’orizzonte attraverso il quale sviluppare una filosofia della storia, di conseguenza Taubes ne delinea la prospettiva attraverso una profonda auscultazione dei testi paolini, da cui, poi, sviluppa la sua riflessione.

Il compimento messianico ed escatologico è la cifra inequivocabile di una storia pneumatizzata, tipica delle Scritture ebraico-cristiane di cui Paolo costituisce un mediatore importante; ecco perché Taubes riflette sull’idea di Pneuma, Spirito così come emerge dagli scritti paolini per poterlo mettere a confronto con una delle categorie fondamentali della filosofia moderna, quella di Spirito elaborata dalla filosofia hegeliana. In effetti, se l’identità apparente può essere colta in una tensione escatologica della dialettica di Hegel che vede nel concreto dello Spirito assoluto la conciliazione con il mondo in quanto esplicazione della ragione divina, tuttavia la distinzione di Paolo tra Spirito del mondo e Spirito di Dio (pneuma tou kosmou- pneuma tou theou) permette di cogliere una contraddizione, secondo cui il compimento escatologico non scaturisce mai da una necessità dialettica che, in Hegel acquisisce una vena di gnosticismo, ma da quella piccola porta da cui il Messia può sempre entrare per parafrasare Benjamin. Proprio a motivo di ciò, asserisce Luca Spegne, Taubes intravede la possibilità di concettualizzare lo pneuma come esperienza vitale, offerta dall’esperienza allegorico-testuale. Paolo stesso indica, infatti, nell’evento pneumatologico, la forza che trasforma un popolo e che trasforma un testo. (pp. 66-69). La lettura ebraica di Paolo, come vedremo, è importantissima tanto per fondare una teologia politica, quanto perché permette di elaborare un confronto fondamentale fra le due modalità di fede: pistis ed emunah.

In tal senso, Taubes entra in dialogo con Martin Buber. La seconda sarebbe caratteristica dell’ebraismo, ove la prima ri riferirebbe al Cristianesimo, secondo l’autore de Il Principio dialogico. La prospettiva di Taubes, tuttavia, vuol evidenziare che la pistis, ovvero la fede in rientra in una logica messianica che non è più di matrice solo greca. All’avviso di Taubes la fede paradossale di Paolo è fede in, dato che egli riconosce in un maledetto che pende dal legno come il Messia, considerando superate le opere della legge e inserendosi in una logica messianica.

Questi due momenti fondamentali della logica messianica convergono in una prospettiva universalistica, che Taubes ravvisa in Paolo e nelle sue lettere, specie nella considerazione dei non ebrei, chiamati ad essere popolo messianico per fede. Il cosmopolitismo di Paolo che gli permette un dialogo fra culture ebraica, ellenistica e romana, sembra anticipare una sorta di pluralismo interculturale e interreligioso.

Conciliare tale logica messianica con l’universalismo è possibile in virtù di un’esperienza che tocca la comunità messianica, di un rivolgimento interiore che fa della redenzione un evento spirituale capace di riflettersi nell’anima umana.

Questa dicotomia interiore/esteriore costituisce all’avviso di Taubes una trasvalutazione dei valori operata da Paolo, che — all’avviso di Taubes — suscita il risentimento di Nietzsche verso Paolo, dato che egli stesso l’avrebbe voluta. Un passaggio interessante che evidenzia come Taubes si misuri, poi, con le tesi di filosofia della storia di Benjamin, in cui l’accordo fra le generazioni si proietta verso il futuro della redenzione, in virtù di una memoria narrativa che sottende un paradigma acroamatico, ma anche grazie ad una possibile connessione fra materialismo storico e teologia. Quest’ultima rappresenta certo una delle più interessanti elaborazioni di Taubes, che individua nella seconda la forza messianica in grado di far emergere dalla storia elementi inattesi, per cui ascoltare il futuro.

Per queste molteplici ed interessanti suggestioni ermeneutiche, vale la pena godere di questo bel libro.