Recensione a Lubomir Zak, Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P.A. Florenskij

Lubomir Zak, Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P.A. Florenskij, prefazione di B. Petrà, «Collana di Teologia», Città Nuova, Roma 1998.

Già più di ottant’anni fa, Sergej Bulgakov, il maggiore, forse, tra i teologi ortodossi del nostro secolo, così si esprimeva a proposito di colui che fu suo grande amico e sotto alcuni aspetti anche maestro, nonostante la sua più giovane età, Pavel Florenskij: «è un uomo assolutamente unico nel suo genere, così che non so persino quale sentimento nutro per lui: amore, o piuttosto una stima che sconfina nell’incredulità. Egli va senz’altro annoverato tra gli uomini di cui si occuperà la storia» (p. 35).1 Bulgakov vedeva giusto. Mano mano che il tempo passa, la figura e il pensiero di Florenskij assumono il rilievo che loro spetta, un rilievo a tutto tondo, e per tanti versi profetico. La poliedricità del suo genio — fu matematico e fisico, filologo e storico delle religioni, poeta ed esperto d’arte, in particolare d’iconografia, filosofo e teologo — l’hanno fatto paragonare a Leonardo da Vinci e a Pascal. Ma egli offre qualcosa in più, rispetto ad entrambi: un progetto, pensato e vissuto, di cultura integrale e innovativa, capace d’intercettare i segni dei tempi perchè illuminato dal mistero antico e sempre nuovo dell’Agape trinitaria.

La ricerca filosofica e teologica in lingua italiana è stata tra le prime a intuire la decisività della lezione di Florenskij e a riservarle un crescente spazio d’approfondimento. Ne è testimonianza di primo livello la recente monografia di un giovane teologo slovacco, Lubomir Zak, dal titolo Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P.A. Florenskij, che si concentra sul «primo Florenskij» (1900-1917). Su di essa vorrei in questa sede soffermarmi, non tanto per illustrarne e discuterne in dettaglio i molteplici e stimolanti contenuti, quanto piuttosto per evidenziarne l’intuizione di fondo e il contributo nella direzione di una nuova esperienza del pensare a partire dall’originalità dell’evento di Gesù Cristo. Ma a tal fine val forse la pena iniziare tratteggiando il contesto entro il quale l’opera di Zak prende rilievo e significato.

Essa, intanto, tien dietro, a distanza di circa un anno, a quella, di taglio più squisitamente filosofico, di Natalino Valentini: La Sapienza dell’amore. Teologia della bellezza e linguaggio della verità,2 che affronta il pensiero del grande genio russo sotto l’angolatura della religioznaja filosofija, creazione tipica e originale della cosiddetta «età d’argento» del pensiero russo. Un’opera, quella di Valentini, anch’essa di gran pregio. Il lavoro di Zak, inoltre, è stato seguito a ruota dal saggio di un altro giovane filosofo, Graziano Lingua: Oltre l’illusione dell’Occidente. P.A. Florenskij e i fondamenti della filosofia russa,3 che privilegia l’approccio epistemologico e s’addentra, in particolare, con pertinenza e originalità, nel «secondo Florenskij». A ciò si aggiunga il buon numero di testi florenskijani pubblicati o in via di pubblicazione in lingua italiana,4 di cui danno conto le accurate bibliografie di e sul nostro Autore contenute in ciascuna di queste opere. Tanto che viene da chiedersi quali possano essere i motivi di questo cospicuo contributo che la teologia e la filosofia in Italia sta offrendo alla Florenskij-Renaissance: di recente, il teologo rumeno Ioan I. Ica, discepolo di uno dei più eminenti teologi ortodossi del secondo dopoguerra, D. Staniloae, mi faceva notare che i tre saggi prima citati debbono considerarsi senz’altro all’avanguardia, in Europa, negli studi su Florenskij. Una renaissance, in ogni caso, che mostra di avere tutte le caratteristiche di un evento culturale e spirituale di rilievo, alle soglie del terzo millennio. Non è di poco conto, ad esempio, che Giovanni Paolo II, nella Fides et ratio (n. 74), indichi esplicitamente anche Pavel Florenskij tra quei pensatori che hanno condotto una «ricerca coraggiosa» indirizzata a un fecondo incontro tra filosofia e Parola di Dio, addittandolo a modello ed esempio di un pensare che attinge con fiducia e coerenza alle sorgenti della fede cristiana.

Tra i motivi di cui sopra, c’è senza dubbio da segnalare il fatto che la prima lingua in cui è stata tradotta l’opera maggiore del geniale pensatore russo, La colonna e il fondamento della verità, è stata l’italiano, nell’edizione che vide la luce nel 1974 (e che recentemente è stata ristampata) curata da E. Zolla;5 il quale, nel 1977, curò in aggiunta l’edizione di un altro significativo saggio di Florenskij, vera pietra miliare nello studio teologico dell’icona: Le porte regali.6 Così che già nel 1988 si poteva svolgere a Bergamo il primo Convegno Internazionale di studi florenskijani ideato e organizzato da Nina Kauschtschiscwili,7 che con appassionata determinazione in tutti questi anni ha diffuso e interpretato, soprattutto sotto il profilo estetico, l’opera di Florenskji in Italia. Ma bisogna anche ricordare l’impegno pionieristico profuso da T. Spidlik al Pontificio Istituto Orientale di Roma, un impegno che ha ricevuto un significativo riconoscimento, nel dicembre scorso, in occasione degli ottant’anni dell’illustre studioso,8 e la cui preziosa eredità è raccolta, ormai da un decennio, dal Centro Aletti e dall’Editrice Lipa, animati da M. Rupnik; così come gli studi sulla filosofia religiosa russa promossi, tra i primi, nella Facoltà di Filosofia dell’Università di Torino, già a partire dagli anni ’70, da N. Bosco: è in questo contesto, ad esempio, che s’inserisce il ricordato saggio di G. Lingua; e, presso l’Istituto di scienze religiose dell’Università di Urbino, da I. Mancini, alla cui memoria non a caso è dedicato il volume di N. Valentini. Anche le pubblicazioni di autori russi presso le editrici Jaca Book e La Casa di Matriona, per impulso dell’instancabile R. Scalfi di Russia cristiana, hanno validamente tenuto vivo e alimentato questo interesse. Né bisogna infine dimenticare l’interesse mostrato per Florenskij da M. Cacciari a partire dal suo Icone della legge.9

L’opera di Zak, che senza dubbio beneficia di tale vivace humus culturale e filosofico, ha la peculiarità di muoversi entro un orizzonte teologico, anche se finemente attento alle implicazioni metafisiche dell’esperienza di fede. Ha visto la luce, infatti, come tesi di dottorato sotto la guida di B. Petrà (il maggiore esperto, in Italia, di etica ortodossa),10 presentata all’Istituto Superiore di Teologia morale Accademia Alfonsiana di Roma, incorporata nell’Università Lateranense, testimoniando ancora una volta della qualità di una scuola teologica che, secondo la lezione di S. Alfonso Maria de’ Liguori, è caratterizzata da un’integrale immersione nell’originalità dell’evento cristiano e, proprio per questo, da una ricca apertura all’orizzonte intero dell’uomo e alla novità dei segni dei tempi. E ha trovato la sua collocazione nella collana di Teologia dell’Editrice Città Nuova, che da circa un ventennio privilegia la pubblicazione di opere di singoli autori e collettanee che, in dialogo col pensiero moderno e contemporaneo e con un convinto respiro ecumenico, s’impegnano a focalizzare, a partire dalla centralità dell’evento pasquale di Gesù Cristo, quella Luce trinitaria che, dischiudendo il mistero di Dio, s’irradia sulla persona umana, sulla vita sociale, sul destino del cosmo. La ricerca di Zak, infatti, è nata e si è sviluppata precisamente in questo ambiente spirituale e culturale, ad esso offrendo al tempo spesso un prezioso stimolo e un ulteriore orizzonte di incontro e di verifica. Vorrei in proposito ricordare come fu proprio nel cenacolo che, a partire dalla fine degli anni ’70, si venne a costituire attorno alla rivista Nuova Umanità, che, grazie in particolare alle intuizioni e alla curiosità intellettuale di G.M. Zanghì, si evidenziarono le suggestioni preziose del pensiero di Florenskij in ordine a un rinnovamento dell’ontologia in prospettiva trinitaria:11 le note tesi programmatiche di K. Hemmerle — non bisogna dimenticarlo — erano apparse in Germania nel 197612 ed erano state tradotte in Italia dieci anni dopo, nel 1986, inaugurando così la nuova collana «Contributi di teologia».13 Tanto che per un po’, spinto in ciò sia da G.M. Zanghì sia da K. Skalicky della Lateranense, accarezzai il progetto di un saggio di confronto teoretico tra la dialettica hegeliana e il pensare trinitario di Florenskij, che invece si concretizzò nella sola analisi dell’ermeneutica hegeliana della Trinità per poi concentrarsi sulla teologia trinitaria e sulla sofiologia di S. Bulgakov.

È con la più viva soddisfazione, dunque, che viene spontaneo salutare il volume di Zak, anche perchè testimonia della presenza sempre più viva e qualificata, nei centri accademici romani, di una giovane e assai promettente leva di studenti e studiosi che, provenendo numerosi dalle Chiese dell’Europa centro-orientale, dopo il crollo dei muri dell’89, stanno offrendo — e, ne sono convinto, sempre più offriranno — un insostituibile contributo al rinnovamento della teologia e della vita ecclesiale nella direzione di quel respirare coi e dai «due polmoni», di cui tante volte, sin dagl’inizi del suo pontificato, s’è fatto interprete e propugnatore Giovanni Paolo II.

Ma veniamo alla nostra opera. Anche da un primo esame risulta evidente che si tratta di un contributo scientifico di primissimo ordine, non solo per ciò che concerne la ricerca florenskiana, ma anche per il dialogo tra teologia orientale e teologia occidentale, tra teologia e filosofia e, più in generale ancora, come già accennato, per la delineazione di quel «nuovo pensare» o, meglio ancora, di quella «nuova Weltanschaung integrale», cui Florenskij ha consacrato tutte le sue energie, sigillando la sua intensa avventura umana col dono della vita. Egli, infatti, come noto, è morto martire della verità cristiana nel 1937, nei pressi di San Pietroburgo, dopo dieci anni di reclusione in vari lager. In questa stessa direzione d’interesse e approfondimento, vanno visti e letti anche due precedenti saggi del nostro giovane teologo: P.A. Florenskij: progetto e testimonianza di una gnoseologia trinitaria14 e Verso un’ontologia trinitaria.15

Dal punto di vista metodologico, sottolineerei in quest’ultima ampia ricerca, in primo luogo, l’accurata e pressoché esaustiva documentazione di prima mano, attraverso cui Zak contestualizza e ricostruisce la genesi, le tappe e la configurazione del percorso di Florenskij, mettendo a frutto le consultazioni da lui effettuate presso l’Archivio Florenskij e i contatti i dialoghi, a Mosca e a Sergiev Posad (dove si trova la casa di Florenskij), con A. Trubacev, nipote di Florenskij, con la prof.ssa E.V. Ivanova, storica della letteratura russa ed esperta conoscitrice del pensiero florenskijano, e il matematico e filosofo S.M. Polovinkin. Ne dà prova, in special modo, la prima parte del lavoro, Introduzione allo studio di P.A. Florenskij, che dopo aver premesso alcune note di metodo, insieme a un’accurata storia della contrastata recezione del pensiero florenskijano e al resoconto delle riflessione offerte dallo stesso Florenskij a proposito della sua opera (pp. 29-65), procede a delineare, nei primi due capitoli (rispettivamente, pp. 67-131 e 132-202), le grandi tappe del suo itinerario esistenziale e intellettuale (peraltro inestricabilmente intrecciati): la Weltanschauung dell’infanzia, la crisi nell’incontro con la visione scientifica del reale e soprattutto con la sua interpretazione ideologica nella prospettiva del positivismo di fine ’800 inizio ’900, il ritorno alla «mistica» dell’infanzia con la ricerca di «nuove categorie del pensiero e della vita», che matura progressivamente nell’incontro coi maestri della matematica moderna (Bugaev e Cantor), con quelli — tra loro contrapposti — della filosofia occidentale (Platone e Kant), e infine con A. Belyj e l’avanguardia artistica dei simbolisti, per approdare infine alla gioiosa «scoperta della Chiesa» quale «spazio vitale di una Weltanschaung trinitaria». In ciò, Zak non fa che seguire con perizia le indicazioni offerte da Florenskij stesso che, negli anni della crescente aggressione nei confronti della sua opera e della sua persona da parte del regime sovietico, decise di stendere il ricordo dei suoi anni d’infanzia e giovinezza, per consegnare ai propri figli e a chi avesse voluto proseguire la sua ricerca, intuendo ormai vicino il tragico epilogo della sua vicenda, le chiavi che aprono la comprensione della sua vita e del suo pensiero. Già solo questa aderente e godibilissima ricostruzione, colloca il nostro lavoro tra le cose più importanti, e d’ora innannzi addirittura indispensabili, per l’accesso e il prosieguo della ricerca florenskiana.

Non si può poi non rilevare, in secondo luogo, la finezza ermeneutica con cui l’affascinante e straordinariamente ricca vicenda di Florenskij ci è presentata — direi — quasi dal vivo. Obiettivo prioritario di Zak, infatti, è quello di offrire «gli elementi necessari per una comprensione dell’opera di Florenskij coerente con le intenzioni che ne alimentarono il fuoco creativo». Un obiettivo che, perseguito con tenacia e intuito, è senz’altro coronato di successo. In particolare, l’intenzione espressa nel prologo — «far nostra la logica che anima il pensiero di Florenskij» per «ascoltare il brusio di quella fonte originale da cui è stata plasmata, gestita e penetrata ogni idea e l’intera struttura del suo pensiero» (p. 25) — è pienamente realizzata. Florenskij ha trovato un interprete secondo il suo cuore e secondo la sua mente. «Comprendere l’anima altrui — egli diceva — significa incarnarsi in lui» (p. 26).

Si giunge così alla seconda parte, teoreticamente più impegnativa e originale, dell’indagine, la quale, pur corposa e densa, si presenta anch’essa cristallina nel dettato e avvincente nel pensiero: Verità dell’ethos. Il profilo etico della teodicea. È qui che si delinea l’opus florenskijano nel suo inimitabile slancio costruttivo. Dopo aver richiamato l’ispirazione sorgiva del progetto di Weltanschaung integrale che Florenskij ha faticosamente cercato e felicemente intuito nella giovinezza e che ora, nella maturità spirituale e intellettuale, si dà a realizzare, Zak rinviene e mostra acutamente l’articolazione che, secondo l’espressa volontà del nostro Autore, deve strutturare e interiormente ritmare il suo nuovo pensare: la «teodicea» o salita dell’uomo a Dio o metafisica dell’amore trinitario; e l’«antropodicea» o discesa di Dio all’uomo o metafisica concreta dell’agire (cf pp. 195-202). Si tratta, come facilmente si può arguire, di un’articolazione epistemologica tra teologia e filosofia, ortodossia e ortoprassi di grande interesse e perdurante attualità e che, proprio per questo, resta ancora in gran parte da sondare nelle sue riposte virtualità. Anche perché essa è volta programmaticamente a superare in positivo, a partire dal centro della rivelazione cristologica, la “scissione” tutta moderna tra trascendente e immanente, intelligibile ed empirico: in una parola, tra scienza e filosofia moderna, da un lato, e fede cristiana, dall’altro.

Di qui, si snoda il contenuto dei capitoli terzo e quarto della ricerca di Zak: La Verità come Trinità (pp. 224-297) e L’ethos della Verità (pp. 298-466). Leggendo queste pagine, per la genialità propria del nostro Autore ma allo stesso tempo per l’intelligenza d’amore di chi gli dà parola, si fa un’esperienza autentica di Luce e di Vita, di Verità e di Amore, che lascia un’impronta duratura. Il vigore speculativo e la fedeltà analitica ai testi e alle questioni via via esaminati si coniugano, con naturalezza, con una sincera vena di contemplazione spirituale, secondo la più genuina tradizione della teologia orientale. «La vita — costatava nel 1906 Florenskij — scorre fuori della nostra dottrina di fede e i nostri dogmi sono fuori della vita… Nella nostra dogmatica non vi è Dio» (p. 474). In queste pagine, si ascolta invece — proprio come agognava Florenskij — la vita che scorre nell’intelligenza della fede e il pensare che accade, sempre nuovo, vera dimora dell’Essere, come rivelazione di Dio Trinità.

Di tutto ciò è conseguenza e testimonianza, a un tempo, in un retrospettivo sguardo d’insieme, la lineare e convincente struttura del lavoro, che si modella sull’articolazione profonda — anche se talvolta implicita o appena abbozzata — del progetto di pensiero di Florenskij: col passaggio dalla necessaria e geniale premessa epistemologica costituita dalla «gnoseologia trinitaria», allo schizzo antropologico ed etico, illuminati dal fuoco incrociato di contemplazione (theologhía) trinitaria e di incarnazione e verifica ecclesiologica. Emerge chiaramente, dall’insieme di queste pagine, che il contributo di Florenskij a un «nuovo pensare» che attualizzi oggi, dopo aver attraversato i drammi e le chances della modernità, l’originalità dell’evento cristiano è, per molti versi, decisivo. Le incomprensioni e le letture parziali o fuorvianti cui è andata soggetta la sua eredità intellettuale e spirituale vengono drasticamente ridimensionate dalla completezza e perspicacia dell’interpretazione. La quale non solo coglie il genio ispirativo, il cuore pulsante di questo pensiero, ma ne disegna con maestria e ne ritesse con paziente aderenza il filo d’oro d’esecuzione, ricostruendolo anche là dov’è stato interrotto, e sa allo stesso tempo delineare i singoli apporti originali, e non di rado imprevisti, offerti da Florenskij a non pochi e non piccoli temi della filosofia e della teologia. Molte sezioni della ricerca, che affrontano con attenta precisione e con lucida passione talune di queste importanti tematiche, costituiscono in effetti delle vere e proprie piccole monografie, che già da sé sole meritano tutta la nostra attenzione e il nostro plauso. Penso — per non fare che qualche esempio — alle pagine d’interesse epistemologico dedicate, in dialogo con la matematica, alla «teoria dell’infinito» e alle sue ripercussioni sulla logica del pensare umano qua talis, chiamato a com-prendere l’infinito nelle condizioni della finitezza (pp. 150-161), o al tema tipicamente ortodosso, ma anche originalmente florenskijano, dell’antinomia come struttura onto-logica del reale e del pensare nella loro intima e dinamica connessione trinitaria (pp. 224-250); o a quelle dedicate, nella specifica prospettiva dell’ontologia trinitaria, a uno dei vertici più innovativi e fecondi del pensiero di Florenskij, quand’egli affronta il tema decisivo — dal punto di vista della fedeltà/fecondità alla e della rivelazione cristiana — della «Verità come Unità tri-ipostatica» (pp. 251-297), o alla non facile, ma in ogni caso affascinante e promettente, visione della «Sofia», dove Florenskij riprende l’ispirazione visionaria e speculativa di V. Solov’ëv e prepara il terreno alla teologia più sistematica di S. Bulgakov (pp. 299-310); o ancora a quelle, antropologicamente dense di significato, consacrate in ambito più teologico alla «Chiesa come luogo della divinizzazione» (pp. 391-417), e al rapporto intenso e ricco di misticismo tra «agápe e philía» (pp. 417-437).

Senz’entrare qui nel merito delle implicazioni del pensiero di Florenskij per quanto concerne la riflessione teologico-morale — un campo sul quale si sofferma con cura l’attenzione di Zak in questa seconda parte —, mi limito a osservare che da questo lavoro s’intuiscono con fondatezza, e s’intravedono già decisamente abbozzate, alcune linee che mostrano come l’uscita da molte impasses in cui versa la teologia morale oggi — si pensi a quanto espresso in proposito dalla Veritatis splendor di Giovanni Paolo II —, non possa che venire da una rinnovata immersione del pensiero e dell’esistenza nel ritmo dell’ontologia trinitaria, che Florenskij profeticamente dischiude.16 D’altra parte, come abbiamo anticipato, la ricerca di Zak concerne soltanto il primo movimento previsto da Florenskij nel tracciare lo sviluppo del suo progetto: la teodicea. Questo lavoro, pertanto, ne promette e direi quasi ne esige — ce l’auguriamo vivamente — un altro che, tematizzando il secondo movimento dell’opus florenskijano, l’antropodicea, completi il dittico e affronti expressis verbis i temi antropologico-etici in chiave simbolica, abbozzati nella seconda parte del presente saggio.

In definitiva, come Zak giustamente nota in sede di conclusione generale, «Florenskij è uno dei primi ad aver intuito l’importanza di concepire la teologia in corrispondenza con il contenuto centrale della rivelazione — il mistero della SS.ma Trinità […] —, ma anche con la dinamica del dispiegarsi della Verità nella storia. Una dinamica che, come tale, richiama il contenuto della rivelazione, lo svela, lo illumina e lo testimonia, e che trova la sua concretizzazione escatologica in Gesù crocifisso, nella cui persona il contenuto della Verità e il modo del Suo rivelarsi (l’evento della Sua autocomunicazione) — che consiste nel rinnegamento di sé, nel dare la vita per gli altri — sono tutt’uno» (p. 475). È da quest’originale approccio che scaturisce l’apporto specifico che — a parere di Zak — il primo Florenskij offre all’elaborazione di un’ontologia trinitaria: partire dalla domanda sull’Essere trinitario del Soggetto della Verità per fondare, in chiave ontologica, una nuova formulazione della legge d’identità. Con le parole di Florenskij: «invece di un A="A" vuoto, morto e formalmente auto-identico, per cui A dovrebbe essere se stesso, in quanto si afferma, egoisticamente, escludendo ogni non-A, abbiamo un A pieno di contenuto e di vita, un’auto-identità reale che eternamente rigetta se stessa e in questo auto-rigettarsi eternamente trova se stessa» (pp. 247s). In termini trinitari (son sempre parole di Florenskij): «la Verità è la contemplazione di Sé attraverso l’Altro nel Terzo: Padre, Figlio, Spirito. […] Il Soggetto della Verità è la Relazione di Tre, ma relazione che è sostanza […] l’ousìa della Verità è l’Atto infinito di Tre nell’Unità» (p. 249). Un’intuizione, commenta Zak, che se è poco sviluppata da Florenskij in riferimento a Dio Trinità, diventa invece intensamente luminosa in prospettiva antropologica, non solo dove egli illustra come costitutivo del rapporto tra le persone create il dinamismo della donazione-kenosi reciproca, con una ripresa «in forma rispettosa della rivelazione trinitaria del concetto hegeliano di negativo (il non-essere compreso come condizione di possibilità dell’immanente struttura trinitaria dell’essere), mettendo in evidenza che si tratta non di un termine allegorico o di importanza periferica, ma di una categoria sulla quale si fonda l’ontologia trinitaria» (p. 478); ma anche e soprattutto là dove tale dinamismo viene descritto come partecipazione all’Evento stesso dell’Amore trinitario. Come avviene in questo magistrale testo de La colonna: «L’amore dell’amante trasporta il proprio Io nell’amato, nel Tu, e dà all’amato Tu la forza di conoscere in Dio l’Io amante e di amarlo in Dio. L’amato diventa amante, si eleva al di sopra della legge dell’identità e in Dio identifica se stesso con l’oggetto del proprio amore, trasferisce il proprio Io nell’Io del primo mediante il terzo, e così via . […] In realtà, quando si eleva al di sopra della sua natura, l’Io esce dalla limitatezza spazio-temporale ed entra nell’Eternità, dove tutto il processo dei reciproci rapporti degli amanti è un atto unico nel quale si sintetizza la serie indefinita dei singoli momenti dell’amore. Quest’atto uno, eterno e infinito è l’uni-sostanzialità di quelli che si amano in Dio, dove l’Io è la stessa cosa con l’altro Io e allo stesso tempo ne è distinto» (p. 273). Difficile esprimere in maniera più intensa e limpida la legge ontologica della «trinitizzazione» partecipata da Dio alla creazione!

La ricca e stimolante ricerca di Zak, per il suo stesso robusto impegno teoretico e per l’innovativo sguardo che sa trarre dalla memoria dell’evento Cristo la promessa del nuovo che ci attende, invita, in conclusione, a una valutazione globale del progetto florenskijano. Lungi dal voler qui tentare una simile, e forse quasi impossibile, impresa: mi limito piuttosto a ipotizzare semplicemente un’ulteriore pista di ricerca suggerita dall’appassionante lettura di queste pagine. Una pista — mi sembra — che può mostrarsi utile per proseguire il cammino nella fedeltà all’intenzione più profonda di Florenskij stesso, perchè in qualche modo tocca un punto cruciale dell’intero percorso e dell’intera struttura del suo pensiero, permettendo una sorta di rilettura trasversale delle articolazioni più vitali della sua riflessione. Si tratta del tema cristologico. Non mi riferisco tanto alle critiche piuttosto banali, cui certi interpreti di Florenskij — antichi e recenti — hanno fatto ricorso, accusando il nostro Autore di un certo oblio o disinteresse per la centralità dell’evento di Gesù Cristo. Di tali critiche Zak dà conto con la consueta competenza e perspicacia e vi sa rispondere in modo convincente, dicendo in proposito una parola che si può considerare conclusiva (si veda, in tal senso, la seconda sezione del quarto capitolo, a ragion veduta intitolata: La centralità di Cristo nell’antropologia e nell’etica di Florenskij, pp. 341-363). È indubitabile, infatti, che Gesù Cristo è centrale nell’esperienza e nel pensiero di Florenskij. E come potrebbe essere altrimenti? Direi anzi che i luoghi trinitario ed ecclesiale nei quali e, per così dire, attraverso i quali Florenskij incontra nel qui e nell’ora dell’esistere e del pensare la figura di Gesù Cristo, non sminuiscono la sua centralità, ma permettono piuttosto di collocarla in quell’unico orizzonte ermeneutico, entro il quale essa diventa esistenzialmente e ontologicamente significativa e feconda.

E tuttavia c’è un punto — nodale — che mi pare poco presente in Florenskij. Si tratta, ripeto, di un’impressione che traggo dall’oggettiva ricostruzione e interpretazione che Zak ci propone. Com’egli con sicura competenza viene a dimostrare, Florenskij, al fine di superare in modo definitivo la «scissione» tra Dio e il mondo, l’intelleggibile e l’empirico di cui sono prigionieri tanto lo scientismo positivistico quanto il razionalismo metafisico del suo tempo, s’immerge nell’esperienza-tradizione ecclesiale e insieme, alla ricerca di nuove categorie del vivere e del pensare, nella grande tradizione del pensiero platonico, che peraltro da sempre rivive, originalmente transustanziata, nella teologia dell’Oriente cristiano. La questione diventa allora quella della congruenza e della virtualità del pensiero platonico in rapporto all’espressione della novità e originalità della rivelazione cristiana. Bene fa Zak a tematizzare, in proposito, i tratti distintivi del «platonismo» di Florenskij, di cui A.F. Losev ha giustamente sottolineato la pregnante originalità (cf pp. 170-177). Il fatto è che l’evento cristologico (secondo l’icastica e folgorante descrizione giovannea: «kaì ho Logos sarx eghéneto», cf. Gv 1, 14) e il suo impatto ontologico nella comprensione dell’essere creato — sia nella sua costitutiva relazione a Dio, sia nel suo intrinseco «ritmo» trinitario a immagine e somiglianza e per partecipazione di grazia al Dio Uno e Trino — sono formidabili. Il «peso» e la «luce» (kabód, in ebraico, dóxa, in greco, claritas, in latino) di Dio, nel Verbo incarnato e per il dono dello Spirito Santo, vengono comunicati dal Cielo alla terra. Certo, i «due mondi» — per dirla con le parole di Florenskij — rimangono: ma sono anche ipostaticamente uniti, restando distinti, nel Verbo incarnato e, per mezzo di Lui, lo sono anche, per lo Spirito Santo, in coloro che diventano «heis en Christo» (uno in Cristo, cf. Gal 3, 28).

Di tutto ciò, ovviamente, Florenskij è consapevole. E — come mostra il lavoro di Zak — suo intento precipuo è proprio quello di superare nella prospettiva della omousía cristologica il dualismo «kantiano» che dilacera la coscienza moderna della realtà. Ma — mi chiedo — l’impianto platonico che egli sposa con entusiasmo e senza riserve sin dalla giovinezza, è sufficiente a esprimere, e addirittura è del tutto conciliabile — come Florenskij sembra pensare — con il novum rappresentato dall’evento dell’incarnazione? Si può ancora parlare in quel modo, in modo platonico appunto, di «due mondi»? E c’è ancora necessità di trovare un «confine» tra di essi?

Non è un caso, ad esempio, che Florenskij individui proprio nella nozione di «Sofia», ereditata da Solov’ëv e originalmente ripensata, precisamente il «confine» dei «due mondi», collegando quest’asserto alla tradizionale dottrina delle «idee divine» di chiara ascendenza platonica. Una concezione non a caso obliata dalla modernità, anche in teologia, ma che assolveva un indispensabile ruolo nel pensiero dei Padri e degli Scolastici e che, dunque, può e forse anche deve essere ripresa in forma nuova — come tentano di fare, ad esempio, A. Rosmini e S. Bulgakov: ma non semplicemente in chiave platonica, bensì più radicalmente cristologica e trinitaria. Pertanto, non in dialettica con la prospettiva che ci è indicata da Florenskij, ma come contributo a un approfondimento e a un prolungamento della stessa, non occorrerebbe forse rimettere al centro della riflessione teologica l’evento dell’incarnazione, inteso a partire dalla sua originalità cristologica, e cioè inquadrato in una sicura e profonda visione unitaria e trinitaria insieme del mystérion creativo-salvifico?

Il collegamento — tipico della visione teologica cristiana — tra l’evento Gesù Cristo e la preesistenza del Lógos, così come la libera intenzionalità ontologica del Lógos all’incarnazione, possono e debbono far recuperare la realtà della «preesistenza» così com’è intesa ed evoluta dalla testimonianza neotestamentaria nella sua originale novità. Ciò significa, per usare un linguaggio ben conosciuto dalla mistica cristiana e perfettamente in sintonia con la semantica più profonda dell’evento dell’incarnazione, anche se troppo poco ascoltato dalla teologia, che Dio Padre ha — allo stesso tempo e, per dirla con Calcedonia, «senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione» — un’espressione di Sé «dentro» di Sé (che è il Lógos) e una «fuori» di Sé che è la creazione o, meglio, Gesù Cristo nel suo «pléroma» panumano e pancosmico. Perché, in Lui, nel Verbo fatto carne, crocifisso e risorto, il creato attinge, gratuitamente e liberamente, la sua vocazione a diventare ciò che è da sempre nel progetto di Dio — un «secondo» Dio, un Dio creato, veramente Dio e veramente creato, come il dogma di Calcedonia afferma di Gesù Cristo. Penso che la serietà e intensità del pensiero di Florenskij e di questo bellissimo lavoro di Zak ci spingono a proporre questioni come questa, che qui è appena balbettata ma che la rivelazione e il kairòs dei tempi che viviamo ci spingono, con umiltà e coraggio, a pensare. Con ciò, forse, si può offrire un contributo all’avvento di quell’epoca nuova della civiltà umana, in quest’alba del terzo millennio, che nel pensiero e nell’esistenza di Florenskij ha trovato un grembo fecondo da cui poter germogliare.

Debbo dire, concludendo, che ho imparato molte cose dalla lettura di questo saggio e dalla lezione di Florenskij ch’esso ci ripropone in forma così trasparente. Ma me n’è rimasta soprattutto una: il progetto di quella «terza via» della conoscenza, al di là dell’oggettivismo e del soggettivismo, della classicità e della modernità, della disintegrazione conflittuale dei saperi e della totalizzazione ideologica, che, conservando i semi e le istanze di verità presenti nei precedenti approcci, si propone come via della trasfigurazione del conoscere e del vivere delle persone fuse in uno nell’interiorità di Dio Trinità. Qui — mi pare —, a livello epistemologico e come intuizione, Florenskij probabilmente s’è spinto più avanti di tutti nel nostro secolo, nell’Oriente e nell’Occidente cristiani: più avanti di Bulgakov, di Rahner e di Balthasar, di Jüngel. Egli ha intuito — lo esprimo quasi con uno slogan — che la svolta del pensiero (e del vivere) attuale è quella dal pensare la Trinità al vivere/pensare trinitaramente nella Trinità. Il che — come scrive Zak, mostrandolo limpidamente in atto nella forma di pensiero che la sua stessa ricerca testimonia — rende «l’altro» insostituibile al mio pensare e al mio vivere in Dio Trinità.


  1. Salvo diversa indicazione, il numero delle pagine segnalate tra parentesi si riferisce all’opera di L. Zak. ↩︎

  2. Edizione Dehoniane, Bologna 1997: «Nuovi Saggi Teologici», 41; prefazione di N. Kauchtschischwili. Su tematica affine, sempre di Valentini, si veda anche il saggio Memoria e Risurrezione in P. Florenskij e S. Bulgakov, Pazzini ed., Verucchio 1996. ↩︎

  3. S. Zamorani ed., Torino 1999: «Quaderni del Centro Studi Marcovaldo», 2; prefazione di N. Bosco. Lingua ha anche curato la raccolta Icona e avanguardie. Percorsi dell’immagine in Russia, S. Zamorani ed., Torino 1999. ↩︎

  4. Mi limito a segnalare la raccolta curata e introdotta da N. Valentini e L. Zak: Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici, tr. di R. Zugan, Piemme, Casale Monferrato 1999, «L’Anima del mondo», 25. Curata da Zak è in corso di pubblicazione un’altra scelta di testi florenskijani nella Collana «Scrittori di Dio» della San Paolo. ↩︎

  5. Tr. it. di P. Modesto, Rusconi, Milano 1974, 2ª ed. 1998. ↩︎

  6. Adelphi, Milano 1977. ↩︎

  7. AA.VV., P.A. Florenskij i kult’ura ego vremeni (P.A. Florenskij e la cultura del suo tempo), a cura di M. Hagemeister e N. Kauchtschiswili, Blaue Hörner Verlag, Marburg 1995. Da ricordare anche l’introduzione di M.G. Valenziano, Florenskij. La luce della verità, Studium, Roma 1986. ↩︎

  8. Cf. il volume che onora l’anniversario: T. Spidlik ed altri, A due polmoni. Dalla memoria spirituale d’Europa, Lipa, Roma 1999. ↩︎

  9. Adelphi, Milano 1985, 173ss. ↩︎

  10. Richiamandosi, tra l’altro, ad alcuni suggerimenti proposti da I. Mancini, B. Petrà è stato probabilmente il primo, in Italia, ad attirare l’attenzione sulla ricchezza e novità del pensiero di Florenskij in riferimento alla questione etica; cf. ad esempio il suo Etica e vita spirituale nell’ortodossia. In dialogo con I. Mancini e T. Goffi, in «Rivista di Teologia morale» 1989/83, 61-75. ↩︎

  11. In un articolo a carattere programmatico apparso già nel primo anno di vita della rivista, Identità e dialogo (n. 4-5 del 1979, 7-22), Zanghì sottolineava «l’estremo interesse» delle riflessioni di Florenskij «per il superamento di una logica duale in una logica “trinitaria”» (p. 21, nota 5). ↩︎

  12. K. Hemmerle, Thesen zu einer trinitarischen Ontologie, Johannes Verlag, Einsiedeln 1976. ↩︎

  13. K. Hemmerle, Tesi di ontologia trinitaria. Per un rinnovamento della filosofia cristiana, Città Nuova, Roma 1986; la 2ª ed. del 1996 ha opportunamente modificato il sottotitolo in Per un rinnovamento del pensiero cristiano e contempla, oltre a un’introduzione, anche la traduzione del saggio Das unterscheidend Eine. Bemerkungen zum christlichen Verständnis der Einheit (1994). ↩︎

  14. Il bel saggio è contenuto in La Trinità e il pensare, P. Coda — A. Tapken edd., Città Nuova, Roma 1997, 193-228. ↩︎

  15. Si tratta della preziosa introduzione ai saggi contenuti nel volume Abitando la Trinità. Per un rinnovamento dell’ontologia, P. Coda — L. Zak edd., Città Nuova 1998, 5-25. Da segnalare tre altri contributi di Zak che approfondiscono altrettanti temi centrali del pensiero di Florenskij (quello pneumatologico, quello kenotico e quello concernente la realtà del tempo): Spirito Santo e nuova creazione nella moderna teologia ortodossa. La testimonianza di P.A. Florenskij, in “Filosofia e Teologia”, 12 (1998), n. 3, 510-526; L’interpretazione di Fil 2, 6-8 e la concezione della kenosis nell’opera di P.A. Florenskij, in Dummodo Christus annuntietur. Studi in onore del prof. J. Heriban, A. Strus — R. Blatnicky edd., LAS, Roma 1998, 349-371; Il mistero del tempo come «quarta dimensione» in P.A. Florenskij, in «Filosofia e Teologia», 1/2000, 47-62. ↩︎

  16. Si veda, in proposito, il saggio recentemente dedicato da Zak a questo tema: La fede come «atto trinitario». Alcune riflessioni in prospettiva teologico-morale, in La fede. Evento e promessa, P. Coda — C. Hennecke edd., Città Nuova, Roma 2000. ↩︎