Metafisica e antropologia creazionistica nel De Genesi ad Litteram di Agostino di Ippona

1. Tra ermeneutica letterale e creazionismo metafisico

È esistita in maniera quasi ininterrotta, fino all’epoca moderna, una serie di scritti cristiani concernenti la creazione e l’opera dei sei giorni, spesso costituiti da un commento continuo del racconto biblico. Con questa letteratura, detta esameronale, i dottori cristiani, Agostino in particolare, non intendevano che difendere ed illustrare l’autenticità del rapporto religioso basato sul binomio Io-Dio1 dal quale poi poter ricavare una vasta letteratura concernente il tema della natura e della sua origine. Per farlo però, la teologia veniva a trovarsi coinvolta con la metafisica e doveva, anche, fare i conti con le cognizioni scientifiche del tempo. I padri cristiani per fondare una teo-logia che fosse conforme alla parola che Dio ha detto su se stesso, dovevano fare anche una cosmologia e un’antropologia. Infatti, da una parte, la teologia suppone una cosmologia ed un’antropologia, dall’altra, una «sana» antropologia ed una «sana» cosmologia, o piuttosto, una «sana» metafisica, sono a loro modo condizione di una sana teologia. I dottori cristiani, hanno affrontato fin dall’inizio la discussione sul piano filosofico, scontrandosi con le affermazioni e convinzioni filosofiche provenienti da Platone, da Aristotele, dallo stoicismo e con le grandi eresie legate all’interpretazione della Scrittura, che mettevano gravemente in causa la verità su Dio, il mondo e l’uomo. È in questo contesto culturale di diffuse concezioni filosofiche, da una parte, e di eresie creazionali dall’altra, che Agostino, con il suo Commento Letterale al Genesi, si propone positivamente di cogliere la verità letterale dell’esposizione biblica della creazione. Del racconto della fondazione divina dell’universo e dell’uomo, fatto dal Genesi, egli cerca l’intellezione letterale, arrischiandosi nell’esporre letteralmente i grandi segreti delle cose naturali, cioè in che modo si potessero intendere in senso propriamente storico le cose ivi narrate. Infatti come dice il titolo stesso di questi dodici libri, si tratta di un De Genesi ad Litteram, «id est non secundum allegoricas significatioenes, sed secundum rerum gestarum proprietatem».2 È necessario pertanto non pretendere di trovare nel De Genesi ad Litteram, una filosofia agostiniana completa sulla creazione. La sua esegesi, comandata dal principio fondamentale di tutta la sua dottrina, ossia dalla ricerca dell’intellectus fidei, non è un’esegesi filosofica, né un’esegesi spirituale, ma piuttosto un’ermeneutica che include sempre una metafisica.3 Tale metodo esegetico è condizionato in Agostino dalla sua valutazione della fisica, egli è dell’opinione che un cristiano non debba preoccuparsi di conoscere la natura. Il suo dovere dovrebbe essere infatti di passare il più in fretta possibile dalla natura alla lode della bontà del Creatore. Per il cristiano è sufficiente credere nella bontà divina, che è la causa di tutte le cose celesti e di quelle terrestri, di quelle visibili e di quelle invisibili. È evidente che la sua dottrina sulla creazione sia di stampo neoplatonico. La novità che Agostino apporta rispetto a Plotino e a Platone consiste nel conferire alle idee platoniche un valore divino, facendole corrispondere ai pensieri di Dio. Appoggiandosi alla concezione giovannea del verbo divino, l’aspetto mitico che aveva in Platone il «mondo delle idee», in quanto sussistenti in sé, viene abbandonato, con la interiorizzazione delle stesse idee nella mente di Dio, pur conservando in esse la caratteristica dell’eternità e la funzione di paradigmi rispetto alla creazione. Quindi, l’Ipponate conferisce alla materia un valore nuovo rispetto ai neoplatonici, ritenendola creatura di Dio e quindi necessariamente buona per sua natura. Il mondo è retto secondo un ordine che, rispetto all’ordine della fisica peripatetica è un ordine matematico: «Tutto tu hai ordinato secondo misura, numero e peso, che il cuore e la lingua umana non potevano esprimere in altro modo, non significa forse: tutto tu hai ordinato in te stesso?»[^4] L’intento di Agostino, dunque, non è quello di fornire un quadro completo del suo pensiero filosofico circa la creazione, bensì quello ermeneutico «letterale». Tuttavia è proprio la ricerca di una più piena intellezione letterale della realtà narrata dalla Scrittura, «secundum rerum gestarum proprietatem», ad offrirci due novità rispetto al suo pensiero precedente circa la creazione stessa: un’angelologia del tutto originale e la teoria delle ragioni causali.

Della creazione, realtà di fede e di ragione insieme, Agostino cerca con la sua ragione l’intellezione non del che, ma del come, essa sia. Egli cioè non cerca di mostrarci che Dio sia, e sia il creatore della creazione, ma come lo sia. Il fatto che il mondo sia creato gli è subito evidente dalla sua mutabilità. Altrettanto immediato è il co-intuire l’esistenza di Colui che lo fa essere. Infatti, è facile risalire a Dio dal creato, dal momento che noi «in Lui viviamo, ci muoviamo e siamo».4 Il fatto della creazione è quindi evidente, ciò su cui si sofferma Agostino è il quomodo Dio abbia creato l’universo e le sue creature.5

Egli sostiene che Dio creò tutte le cose non dalla sua sostanza, né da qualcosa che Egli non avesse fatto, ma dal nulla e le creò secondo tutte le componenti della loro natura, in modo che in esse nulla fosse indipendente dalla sua azione.6 Una cosa infatti può procedere da un’altra per generazione, per fabbricazione o per creazione, solo nel terzo caso l’azione raggiunge le radici dell’essere e fa che sia ciò che assolutamente non era. Ciò che uno fa, o lo fa dalla sua sostanza o da un qualcosa fuori di sé o dal nulla. L’uomo che non è onnipotente, dalla sua sostanza genera il figlio, poiché nessun uomo può fare qualcosa dal nulla; Dio invece, poiché onnipotente, ha creato il mondo dal nulla e ha fatto si che ricevesse l’essere e fosse posto tra le cose che sono ciò che assolutamente non era. Dio dunque ha concreato la materia e la forma, tra le quali non c’è relazione di tempo, ma solo di origine e di causalità.

Agostino sostiene inoltre che la creazione è avvenuta cum tempore, perché nulla può essere coeterno a Dio. Non c’è un prima della creazione, perché Dio non precede il tempo con il tempo, ma con l’eternità,7 né la creazione nel tempo importa mutabilità in Dio, perché Dio sa operare riposandosi e riposare operando e può applicare ad un’opera nuova un piano non nuovo, ma eterno; il prima e il poi della creazione, dunque, non stanno in Lui, bensì nelle cose che prima non erano e poi cominciarono ad essere: «Dio crea dal nulla secondo le ragioni eterne, che altro non sono se non le idee esemplari, esistenti nella mente divina, per la cui partecipazione sono tutte le cose che sono».8 Inoltre Dio ha creato tutte le cose simultaneamente, ma non tutte allo stesso modo: alcune le ha create in se stesse, come la materia e l’anima umana, altre virtualmente, in germi invisibili, quasi «semi dei semi» dai quali dipende il progressivo sviluppo dell’universo.9

Dalla dottrina creazionista deriva quella della bontà delle cose, da questa quella del male. Dio ha creato le cose non per indigenza o necessità, ma perché ha voluto; e ha voluto perché è buono e le cose che ha creato sono buone: «Non c’è ragione più giusta di questa, che un Dio buono crei cose buone».10 Il male quindi non può essere una sostanza, ma il difetto, la privazione o della misura o della bellezza dell’ordine naturale, di conseguenza non può non esistere se non nel bene. Non nel Bene sommo, perché incorruttibile, ma nel bene mutabile perché creato dal nulla. Il male perciò dipende dalla defettibilità delle creature, ha dunque una causa non efficiente, ma deficiente. «Nessuno cerchi la causa efficiente della cattiva volontà; questa causa non è efficiente, ma deficiente; poiché la volontà cattiva non è un’efficienza, ma una deficienza».11

Poiché il De Genesi ad Litteram rappresenta il quarto commentario letterale al Genesi, Agostino si immerge immediatamente e con molta sicurezza in profondità metafisiche, appoggiandosi a ciò che aveva già trovato nelle sue precedenti riflessioni sulla creazione.

La dottrina agostiniana della creazione distingue due momenti intemporali dell’azione creatrice di Dio: la creatio o prima conditio (a cui segue il riposo sabbatico) e la administratio o gubernatio (il continuo operare dal suo riposo).

2. Prima conditio e administratio

Unico creatore è Dio, dalla cui intima azione creatrice-sostentatrice sussiste ogni natura, minima o grande, singola o universa. L’intima consistenza di ogni natura è dall’azione creatrice con cui il creatore ne sostenta la natura: «illo scilicet opere Dei, quo naturas substituit».12 Il subsistere di ogni natura e creatura è cioè dovuto, per Agostino, all’azione creatrice con cui Dio la dona di tutta la sua «sostanza». È da questo continuo, intimo, presenziale atto con cui Dio fa sussistere ogni cosa, che ogni essere si riceve in tutta la sua sostanza e natura, intimamente costituito e sostenuto nella sua sostanza e consistenza.13 È perciò evidente la distinzione che Agostino fa tra il nostro operare umano e quello divino. Noi presupponiamo sempre la natura delle cose su cui interveniamo con il nostro operare; dio invece non la presuppone, la pone.

L’atto della creazione, è descritto sia come istantaneo e dante origine simultaneamente a tutte le cose, sia come continuo e operante fino ad ora; Agostino in esso distingue concettualmente due momenti, che egli chiama prima conditio e administratio. L’azione creatrice di Dio, in lui eterna come il suo essere, è unica ed intemporale. In essa però, si possono distinguere i due momenti suddetti, dai differenti effetti che essa produce, tunc, allora e cioè agli inizi simultanei della creazione; e nunc, ora e quindi nel decorso temporale stesso dell’universo creato. «Allora, tutte le cose simultaneamente, senza alcun intervallo di tempo; ora, invece, attraverso i decorsi di tempo».14 Con questa distinzione Agostino può affermare, cioè, che:

Dio creò dapprima tutti gli esseri simultaneamente, alcuni direttamente nella propria natura, altrinelle loro cause preesistenti. In tal modo l’Onnipotente creò non solo gli esseri presenti ma anche quelli futuri e si riposò dopo averli creati, affinché in seguito, avendone cura e governandoli, creasse anche l’ordine dei tempi e degli esseri temporali, poiché da una parte li aveva portati a compimento nel senso che aveva determinato i limiti di tutte le specie di creature a dall’altra li aveva cominciati in relazione alla loro propagazione attraverso i secoli e così, per il fatto di averli portati a termine, si riposò, e per il fatto di averli cominciati, agisce ancora al presente.15

Poiché l’atto creatore ha sempre effetto reale, la prima conditio è effettivamente fondativa: pone cioè in essere, fin dall’inizio del tempo, sia talune specie con la loro natura, sia le condizioni di possibilità di esistere di tutte le altre. Così quelle prime sono nature poste in se stesse e presenti, già all’inizio; queste seconde all’inizio del tempo esistono, non ancora create in se stesse, ma precreate nelle loro cause.

Ecco perché che «Dio si riposò da tutte le sue opere che aveva fatte» noi l’intendiamo nel senso che ulteriormente non ha più fatto alcuna nuova natura, ma non che ha cessato di mantenere e governare ciò che aveva creato. Perciò è ugualmente vero sia che Dio si riposò il settimo giorno, sia che opera sino al presente. Ciò significa che, al di fuori dell’universo materiale, non c’è nulla di materiale a sostenerlo od aiutarlo, esternamente, ad esser se stesso; internamente ad esso, invece, c’è Dio con la sua azione creatrice-sostentatrice, che alla natura dell’intero universo da il suo esser natura. La continua azione creatrice dell’Onnipotente è così causa subsistendi dell’intera creazione.16

Anche Boezio parlerà di una subsistentia del primo bene, dal quale tutto deriva, nell’essere che necessariamente tenderà a tornare al bene supremo. Lo stesso Boezio sottolineerà il subsistere dell’essere nell’ente dicendo che: «l’essere non è ancora, ma ciò che ha ricevuto la forma dell’essere, quello è e sussiste». Distingue tre diversi significati del termine «natura», natura come «predicato di tutte le cose esistenti», natura come «predicato di tutte le sostanze corporee e incorporee» e natura come «differenza specifica che dà forma a qualsiasi realtà»; definisce poi con persona una «sostanza individua di natura razionale» riferibile agli uomini, agli angeli e a Dio. Sostiene infatti che, la persona non si può mai applicare agli universali, ma soltanto ai particolari e agli individui: non esiste infatti la persona dell’uomo in genere o dell’uomo in quanto animale.

Pertanto se la persona appartiene soltanto alle sostanze e soltanto a quelle razionali, se ogni natura è una sostanza, e se la persona sussiste non negli universali ma soltanto negli individui, essa si può così definire: «la sostanza individua di natura razionale».17 Poiché per Boezio l’essere corrisponde al sommo bene, chi non raggiunge il bene è necessariamente privo dell’essere e dell’uomo ha solo la parvenza: «Io non contesto infatti che i cattivi siano, appunto, cattivi; ma nego nettamente e semplicemente che essi siano».18

Tornando alla continua azione creatrice del Signore, Agostino spiega che Dio è, insieme, sempre Azione e sempre Riposo, supremamente attivo e supremamente quieto nell’universo da lui di continuo creato e tenuto in essere.

Il secondo «momento» dell’atto creativo, quello della divina administratio, va visto, per Agostino, come un muovere «con occulta potenza» la sua creazione. L’universo via via «dispiega i secoli che in esso Dio aveva posto come impliciti al momento della creazione; e che tuttavia non si dispiegherebbero nel loro corso se colui che li ha creati cessasse di amministrarli con il suo provvido movimento».19 È anzi proprio da questa continua creazione che man mano tutto riceve misura, numero e peso: misura in riferimento all’ordine ontologico; numero all’ordine noetico; peso all’ordine assiologico.

Sempre in questo secondo «momento» creativo, con il quale Dio regge, governa, amministra e provvede le sue creature, Agostino suddistingue poi un operare creativo-conservativo circa le nature, da un operare circa le volontà che le ordina: «e così Dio, che è sopra tutte le cose, che tutto ha creato e tutto regge, buono crea tutte le nature, giusto ordina tutte le volontà».20 In quanto appartenenti a creature (quelle umane o angeliche), anche le volontà sono create secondo tutta la loro entità. Ma questa loro dipendenza creaturale non impedisce il loro volere, bensì ne fonda la libera volitività sul piano psicologico.21 Dopo la loro libera autodeterminazione psicologico-morale, esse però sono sottoposte alla provvida azione ordinatrice di Dio, che le premia o le punisce, da dentro, a seconda del loro operato. Infatti Dio, con la duplice azione della sua provvidenza, presiede all’universo della sua creazione: alle nature perché divengano; alle volontà, perché non facciano nulla senza il suo ordine o permissione. «Perciò la provvidenza di Dio regge e amministra ogni creatura, sia le nature che le volontà: le nature, affinché siano; le volontà, affinché non restino infruttuose se buone, impunite se cattive…»22

Ciò che permette ad Agostino di dare una precisazione all’intellezione della prima conditio, è la dottrina delle «ragioni causali» o «seminali» o «germinali». La creazione iniziale da parte di Dio, vista nei suoi effetti creati, non è solo simultanea, circa gli elementi del creato, ma anche virtuale, circa ciò che verrà da essi. All’inizio senza tempo quindi, Dio crea simultaneamente tutto l’universo formandone cielo, terra e mare; ma in queste prime cose, già formate elementarmente, Dio fin dall’inizio inserisce le «ragioni causali» di tutti gli enti che compariranno successivamente, al loro tempo e luogo. È evidente, perciò, come Agostino ponga la «ragioni causali» come elemento mediatore tra i due momenti della creazione: il momento della creazione simultanea e il momento della creazione sviluppata. Dio crea sia «unde inciperent tempora», sia l’ordine delle cose dovuto alla «connexione causarum».23 Dio quindi crea l’inizio dei tempi, in quanto essi s’identificano con il mutare successivo delle cose mutevoli, ossia temporali; e la connessione e l’ordine causale con le «ragioni seminali», procreate con e negli elementi primordiali formati con la prima conditio.

Poiché il tempo è ciò che permette la mutazione delle creature da uno stato all’altro nel susseguirsi delle cose secondo l’ordinazione di Dio, allora tutte le cose formate elementarmente nella prima conditio sono state formate atemporalmente e sono, a loro volta, «la prima condizione» stessa di possibilità per il succedersi temporale delle cose successive e temporali, ossia per il tempo.24

Grazie a queste sue interpretazioni ontologiche Agostino può risolvere senza difficoltà le apparenti antinomie del testo genesiaco, non solo circa i sei giorni creativi, ma circa il loro esser detti giorni, benché tali non possono essere in senso solare i primi tre, se il sole è stato creato solo al quarto «giorno creativo» e, soprattutto circa l’istantaneità ed atemporalità della «creazione-condizione» iniziale, per cui, come non vi possono essere tempi prima dei tempi, così non vi possono essere, all’inizio, né giorno né primo giorno. Va dunque distinta la creazione simultanea iniziale (formazione degli elementi primordiali e delle ragioni causali delle cose successive), dalla creazione delle realtà, a partire da tale simultaneità atemporale.

Agostino, concepito il temine giorno in senso atemporale, interpreta cielo e terra del primo giorno come potenzialità ancora formabili: cielo e terra «concreati» e precedenti solo in ordine causale e non temporale. Spiega anche l’enumerazione biblica della creazione nei giorni successivi solo come virtuale tramite le ragioni causali.

Quindi nella prima conditio Dio crea le forme elementari del mondo (cielo terra e mare) e ne concrea la materia formabile ed il tempo e precrea le ragioni causali (principio creato di sviluppo di tutto ciò che verrà svolgendosi via via dagli elementi creati inizialmente).

La prima conditio è dunque questa fondazione originaria che stabilisce simultaneamente un insieme di creature e l’ordine per cui quest’insieme forma una totalità e porta in se stesso il principio del suo sviluppo.25 È da sottolineare però che l’effetto della prima conditio non è solamente d’ordine intelligibile e ideale, bensì anche reale, poiché le ragioni sono presenti negli elementi. Così la prima conditio pone tutti i principi, tutte le condizioni del dispiegamento temporale che fa l’oggetto dell’administratio, azione con la quale Dio presiede alla storia dell’universo, lo muove e lo governa. Poiché l’administratio non è altro che la messa in opera delle ragioni causali, sotto la costante dipendenza dall’azione divina, nel secondo momento della creazione essa non esige nuovi atti creatori. Non esige neanche nuove creature: non viene prodotto un nuovo genere, non compreso nell’opera dei sei giorni. Le creature pertanto, secondo Agostino hanno tre modi d’esistenza: nel Verbo creatore, dove però non sono ancora creature ma sue rationes incommutabiles; nella prima conditio, simultanea ed atemporale; nella administratio con cui Dio opera fino ad ora, sviluppando le ragioni causali procreate nella prima conditio. Noi sperimentiamo solo le cose dell’ultimo modo: l’administratio temporale. Possiamo però, a partire da questo, giungere anche ai due modi precedenti.

È evidente come la dottrina delle «ragioni causali», connessa a quella del lógos e dei lógoi in Plotino, ne differisce però profondamente. Mentre la «creazione» plotiniana avviene per intermediari, per Agostino essa è immediata; né in Agostino c’è un mondo intelligibile esistente in se stesso, ma esso è nel Verbo: le «ragioni eterne» delle creature. Le «ragioni causali» primordiali, poi, sono inserite negli elementi del mondo, e non come cause dell’essere, ma come sue condizioni di esistenza. Dunque, nonostante Agostino utilizzi le categorie plotiniane come strumenti tecnici che gli permettono di costruire e formulare la propria metafisica, la sua risulta essere, sia come sintesi che come sistema, una metafisica differente da quella di Plotino, vicina piuttosto a quella stoica. Infatti il mondo per gli stoici è composto di materia che riceve la sua vitalità dal lógos, ragione divina o spirito vivificante (pnêuma, «ragione seminale»). L’universo stoico è perciò un immenso essere vivente penetrato dall’anima divina («anima del mondo»); esso ha una sua vita che si compie quando tutti gli astri tornano nella stessa posizione dell’inizio del mondo: di qui le nozioni stoiche di destino, e di «provvidenza» divina che governa le cose del mondo in base al fine destinato.

Per Agostino le «ragioni causali» rappresentano l’elemento mediatore tra i due momenti della creazione. Esse sono forze naturali, insite nella natura creata stessa e come tutte le forze naturali create, senza dubbio esse sono sostenute, costituite, mosse da Dio.

3. L’angelo è il giorno creativo

Nell’interpretazione agostiniana della creazione, gli angeli non solo sono la prima creatura della creazione, ma svolgono un ruolo essenziale apportando un complemento di grande importanza all’intellectus fidei della creazione stessa. Nella sua angeologia, infatti, Agostino giunge a fare della natura angelica lo specchio e il testimone privilegiato della creazione; così il mondo degli angeli è perfettamente integrato all’universo delle creature, nel quale gioca un ruolo primordiale che, noeticamente, ne fa il riflesso dell’azione creatrice e delle opere create ed, eticamente, il primo agente del ritorno a Dio mediante la lode e l’amore da parte del creato, per il quale la natura angelica diviene così l’archetipo della coscienza e l’ideale della condizione di creatura.

L’angelo, creatura spirituale d’ordine intellettivo, è interpretato da Agostino come il primo «giorno» della creazione, non solare, né materiale. «Giorno» è l’angelo per la luce spirituale della sua natura intellettiva. Sera e mattino genesiaci non sono altro che il succedersi dei momenti conoscitivi nella natura angelica. Il giorno significa dunque il momento in cui la creatura spirituale è informata come tale dalla sua conversione verso il Creatore;26 la sera è il momento in cui questa creatura si converte verso se stessa per conoscere la propria natura; il mattino corrisponde infine al nuovo ritorno della creatura verso il Creatore per riferire a Lui ciò ch’ella è in un momento di lode.

Giorno, sera e mattino genesiaci, vanno perciò intesi come le tre fasi noetiche della conoscenza angelica del creato: in Dio l’angelo vede l’opera da farsi nella ragione eterna della creatura da creare (conoscenza diurna), poi vede l’opera fatta, ma nelle ragioni causali-seminali (conoscenza vespertina), infine si eleva dalla conoscenza della creatura alla lode del Creatore (conoscenza mattinale). Queste fasi comportano, quindi, una triplice conversione: una conversione trascendente e formatrice, una conversione discendente e contemplatrice ed una conversione ascendente e laudatrice. Percorrendo questi tre momenti la conoscenza angelica compie il ciclo perfetto del movimento metafisico: da Dio alle creature e dalle creature a Dio. Va notato che è caratteristico della conoscenza angelica, a differenza di quella umana, il conoscere la creatura mediante il Creatore, e non viceversa come nell’uomo.

Dunque l’angelo conosce le creature della prima conditio anzitutto dalle loro ragioni causali, mentre l’uomo risale alle ragioni seminali e alle ragioni eterne nel Verbo attraverso la via opposta, dagli effetti alla causa e dalle sostanze sviluppatesi successivamente alle loro ragioni causali, principio e legge del loro sviluppo. Inoltre, benché la conoscenza angelica goda di una comprensione simultanea di tutto ciò ch’ella vede, tuttavia tale facilità di simultanea visione, non sopprime la precedenza del conosciuto rispetto al conoscente stesso. Tutto ciò spiega perché, nonostante la creazione sia simultanea da parte di Dio e la conoscenza altrettanto simultanea da parte dell’angelo, ad Agostino resti possibile rispettare l’ordine noetico dei sei giorni genesiaci.

L’angelo, questo «giorno intellettivo», è messo in presenza dell’intera creazione secondo l’ordine di connessione interna al creato stesso, con il compito di presenziare noeticamente alle opere divine la quale corrisponde alla perfezione del numero sei nel racconto dello scrittore sacro, il quale via via descrive la creazione secondo la connessione di prima e di poi negli elementi creati.27

L’esplicazione della conoscenza angelica implica una dialettica che pone allo steso tempo e la totalità simultanea della percezione e la de totalizzazione dei suoi momenti, infatti Agostino, consapevole di aver dato una spiegazione certamente ben metafisica, ma coerente in se stessa, non la impone come l’unica vera, circa il senso letterale delle cose narrate nel Genesi. Si limita a difenderla come una spiegazione in senso letterale non precludendo a nessuno di cercarne un’altra sempre letterale e migliore.

4. L’uomo imago Dei

L’antropologia del De Genesi ad Litteram non è particolarmente ricca, né originale rispetto alle altre opere agostiniane. Agostino vi ribadisce che l’anima non è di natura divina, né di natura corporea, ma spirituale; creata dal nulla ed immortale.

Ciò che conferma anche quest’opera, però, è la tesi fondamentale che illumina il mistero dell’uomo e ne rivela la grandezza, la sua creazione ad immagine di Dio. Anzi questa tesi può dirsi la sintesi del pensiero agostiniano. Agostino studia la nozione dell’immagine, dimostrando che essa è propria dell’uomo interiore, cioè della mente e non del corpo,28 che è impressa immortalmente nella natura immortale dell’anima e che consiste nella capacità di essere elevato fino all’immediato possesso di Dio. All’uomo immagine di Dio, nel De Genesi ad Litteram, Agostino dedica un capitolo relativamente breve, ma estremamente ricco, che costituisce un momento importante nell’elaborazione della dottrina agostiniana dell’immagine, specialmente perché egli applica alla formatio dell’anima quanto da lui già affermato circa quella dell’angelo. «L’uomo è fatto ad immagine di Dio in ciò per cui supera gli altri animali, cioè la ragione stessa o mente o intelligenza, o con qualsiasi altro vocabolo si chiami in modo più adatto».29 Immagine di Dio insomma «non nei suoi lineamenti corporei, ma per la forma intelligibile della sua mente illuminata».30

Allo stesso modo che, nell’angelo, si distingue una formazione incoativa da una formazione perfetta, lo stesso deve dirsi per lo spirito umano. «Poiché anche questa natura intellettuale è come quella della luce, perciò per essa l’esser fatta è il riconoscere il Verbo di Dio da cui è stata fatta».31 Nelle creature spirituali, oltre alla prima formatio ne è possibile infatti una seconda, così nell’angelo come nell’uomo. In essi si hanno cioè come due livelli di realtà: un livello naturale-necessario (il livello dell’essere) e un altro livello personale-libero (il livello dell’esser tale). Mentre la prima formazione è ontologica, necessaria, costitutiva, la seconda è frutto di libera decisione personale che, sostenuta e resa possibile dalla grazia, permette all’essere spirituale in quanto tale di giungere ad essere perfettamente ciò che è. In caso contrario lo spirito, pur non diventando informe, resta però moralmente deforme32 perdendo cioè qualcosa della sua forma e tendendo verso quel’informità che è legata all’assenza di conversione a Dio. Insomma o la creatura si rivolge liberamente verso Dio e, a partire dall’immagine che la definisce originariamente, si eleva progressivamente alla rassomiglianza divina; oppure si sprofonda nel proprio nulla e nel peccato, ed oscura in se stessa i tratti dell’immagine divina.

Quindi mentre in Dio vivere, essere, è lo stesso che esser perfetto o viver felice, non è così per la creatura spirituale. Solo il suo convertirsi a Dio le darà piena attuazione e felicità piena. «La creatura poi, benché spirituale ed intellettuale o razionale, che appare la più vicina al Verbo, può avere una vita informe, perché se per essa essere è lo stesso che vivere, tuttavia vivere non è lo stesso che vivere sapiente e felice. Lontana dalla sapienza immutabile, infatti, vive stolta e misera, nel che è l’informità.

Viene invece formata convertendosi alla luce immutabile della sapienza, il Verbo di Dio. Da colui da cui è, per essere e vivere comunque, a lui si converte, per vivere sapiente e beata. Principio della creatura intellettuale è l’eterna sapienza, principio che, restando immutabile in se stesso, mai smette di parlare con la segreta ispirazione della sua chiamata alla creatura, di cui è principio, perché si converta a colui da cui è, poiché altrimenti non potrà essere formata e perfetta».33

Gli elementi di un’antropologia biblica sono dati nei diversi articoli: anima, carne, spirito e corpo. Agostino utilizza appieno questa terminologia per descrivere l’uomo e la sua somiglianza con Dio, infatti l’uomo si esprime tutto nei suoi diversi aspetti: è anima in quanto animato dallo spirito di vita; la carne fa vedere in lui una creatura caduca; lo spirito significa la sua apertura a Dio; il corpo infine lo esprime all’esterno.34

La teologia biblica e quella agostiniana, non considera l’uomo che dinanzi a Dio di cui è l’immagine. Adamo, stando ad Agostino, non è un dio decaduto, né una particella di spirito caduta dal cielo in un corpo; appare creatura libera in relazione costante ed essenziale con Dio. È quel che indica la sua origine: nato dalla terra, egli non è limitato ad essa; la sua esistenza è sospesa allo spirito di vita che Dio gli inspira. Diventa allora un anima vivente, cioè ad un tempo un essere personale ed un essere dipendente dal suo Creatore.35 Agostino sottolinea come parlare dell’uomo senza parlare di Dio sia un non senso; questo perché: al soffio per mezzo del quale l’uomo è costituito nel suo essere, Dio aggiunge la sua Parola, e questa prima parola assume la forma di un divieto; «Non mangerai dall’albero della conoscenza del bene e del male, perché il giorno in cui ne mangerai, certamente morrai».36 Nel corso della sua esistenza l’uomo continua così ad essere collegato al suo creatore dall’obbedienza alla sua volontà. L’uomo, spiega Agostino, è unito al creatore da una relazione di dipendenza vitale e primaria che la sua libertà deve esprimere sotto forma di obbedienza. «L’uomo creato ad immagine di Dio, può entrare in dialogo con lui; egli non è Dio, vive in dipendenza di Dio, in una relazione analoga a quella di un figlio nei confronti del padre; tuttavia con questa differenza, che l’immagine non può sussistere indipendentemente da colui che deve esprimere».37 L’uomo perciò esercita la sua funzione di immagine con due principali attività: immagine della paternità divina poiché deve moltiplicarsi per popolare la terra; immagine della sovranità divina poiché deve assoggettare la terra al suo dominio. L’uomo dunque è il Signore della terra, è presenza di Dio in terra. Tale è il progetto di Dio, ma questo si realizza perfettamente soltanto con Cristo, Figlio di Dio. Cristo eredita gli attributi della sapienza, rappresenta lo specchio senza macchia dell’attività di Dio, l’immagine della sua eccellenza. Quindi se Adamo era creato ad immagine di Dio, Cristo è l’immagine di Dio. Agostino spiega che: all’ideale fissato dalla creazione, al quale bisogna continuamente riferirsi, non si può più giungere, e neppure mirare direttamente. Ormai l’uomo deve passare dall’immagine sfigurata offerta dal peccatore, all’immagine ideale del servo di Dio.

Adamo, peccatore, non può tornare ad essere pienamente ciò che era, ad immagine di Dio, se non è nuovamente modellato ad immagine di Cristo; non semplicemente ad immagine del Verbo, ma ad immagine del crocifisso, vincitore della morte. Adamo quindi non trova il senso del suo essere e della sua esistenza che in Gesù Cristo, il Figlio di Dio.

5. Libero arbitrio e unde malum

Dall’insieme dell’opera agostiniana emerge come dominante il tema della libertà, espresso con i termini di libero arbitrio, libertà, volontà, grazia. Anche per integrare l’esposizione della visione che Agostino ci offre nel De Genesi ad Litteram della divina administratio, con cui il Creatore provvede, distintamente, alle creature non libere e a quelle libere, occorre raccogliere insieme quanto egli dice sul male morale, sulla libertà umana e sulla gemina operatio providentiae. Connesso con quello che può essere chiamato, in Agostino, il «primato della libertà» nell’uomo è il fatto che il male morale è unicamente dovuto all’abuso della libertà. Un abuso che non crea nulla di positivo, ma che consiste solo in privazione di perfezione dovuta. Relativamente ad esso il Creatore, a cui, come infinitamente buono, si devono tutti i beni, si mostra giusto. Nella duplice opera della sua divina provvidenza Dio ci si presenta quindi come buono nella creatio e come giusto nella ordinatio: non creatore, ma solamente ordinatore, del male morale compiuto dalle sue creature libere.

Da Dio dipende tutta la creazione; il tutto di essa è tutto da lui, nel suo esser e in tutto il suo essere positivo; mentre ciò che in essa c’è di non positivo è da lui ordinato. «Da Dio è la natura dell’uomo, non la sua iniquità, nella quale egli s’involge usando male del suo libero arbitrio. Tuttavia se non l’avesse, meno eccellerebbe nella natura […]. Perciò chiunque non voglia una tale creatura nella realtà, contraddice alla bontà di Dio; chiunque poi no vuole che essa espii i suoi peccati, è nemico dell’equità».38 La peculiarità della riflessone agostiniana sulla libertà non sta tanto nel sottolineare le difficoltà dell’uomo nel muoversi libero dai tanti condizionamenti della vita che lo rendono bisognoso dell’aiuto della grazia, quanto nell’aver rilevato che anche allo stato innocente la libertà di Adamo era correlata alla grazia di Dio. Ridare all’uomo tale correlazione equivarrebbe pertanto a ridargli la possibilità della libertà che, nel caso di Agostino, coincide con la grazia della sua conversione. «Così Dio che, al di sopra di tutto, tutto crea e tutto regge, buono crea tutte le nature, giusto ordina tutte le volontà».39

Se tutto ciò che è, è bene, allora non c’è alcuna parte della natura che sia male; il male infatti è in realtà morale. Esso consiste, da parte della creatura libera, nel non riconoscersi per quello che essenzialmente essa è: relativa a Dio. Insomma chi pecca non appetisce altro che il non essere sotto il dominio di Dio.

L’uomo per la sua condizione di creatura, è essenzialmente relativo a Dio, non solamente nella sua origine, ma anche nella perfezione del suo sviluppo e del suo agire. Agostino spiega infatti come Dio non ha creato l’uomo per poi ritirarsi da lui, come se l’uomo fosse costituito in una piena indipendenza. L’uomo non è stato fatto una volta per tutte, ma è fatto senza posa; la sua condizione di creatura lo rende radicalmente relativo alla presenza creatrice, giustificante, illuminante e beatificante.

Il bene morale dell’uomo, da cui consiste la sua perfezione e il suo compimento, richiede nello stesso tempo continua conversione a Dio e continua custodia da parte di Dio stesso.

L’uomo non è infatti una tale cosa che, una volta fatta, possa — abbandonando colui che lo ha fatto — far qualcosa di bene come da se stessa; ma tutta la sua azione buona è di convertirsi a colui da cui è stato fatto, e da lui sempre esser fatto giusto, pio, sapiente e beato, non esser fatto e allontanarsi […]. Perciò deve convertirsi a Dio non in modo che, una volta che da lui sia stato reso giusto se ne allontani, ma in modo da essere sempre da lui reso tale.40

È insieme, il supremo lavoro-cultura dell’uomo e la suprema opera-cultura del Creatore dell’uomo, che di continuo lo illumina e perfeziona. A proposito di Gen. 2, 15:

Il signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino dell’Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse», Agostino scrive che… come l’uomo lavora la terra, non per farla essere terra, ma coltivata e fruttuosa, così e molto di più Dio, che ha creato l’uomo, lo lavora lui stesso affinché sia reso giusto, se l’uomo da lui non si allontana per superbia […]. Poiché dunque Dio è bene immutabile, e l’uomo invece cosa mutevole secondo l’anima e secondo il corpo, non può essere formato per essere giusto e beato, se non restandosene convertito al bene immutabile, che è Dio. A ciò Dio stesso, che crea l’uomo perché sia uomo, lavora l’uomo e lo custodisce, affinché sia anche buono e beato.41

Comunque Dio non punisce mai la volontà cattiva distruggendone la dignità, bensì, dice Agostino: «le cattive volontà hanno, in se stesse, loro pena interiore la loro stessa iniquità».42 Il volere di Dio è il bene; la sua mera permissione è il male morale. Dio che non vuole in nessun modo il male morale, lo permette perché altrimenti ne andrebbe di quella che è la peculiarità stessa della creatura libera, la sua libertà. Ai buoni ed ai cattivi corrisponde la bontà e l’equità di Dio; Agostino spiega infatti nel libro XI del De Genesi ad Litteram come Dio abbia voluto che gli uomini fossero ciò che desiderino essere, ma che comunque non resterà senza frutto colui che sarà buono, né senza pena colui che sarà cattivo. A questo proposito, Agostino, nell’epistola 194 a Sisto, sostiene che: la libertà lasciata sola dalla grazia, gira a vuoto, cadendo di abisso in abisso nella volontà negativa di potenza.43 Agostino accetta l’obiezione secondo cui è migliore una natura che non pecchi affatto, come quella angelica, chiede però che si conceda che non è cattiva una natura, quella umana, che è così fatta da non peccare qualora non lo voglia. Ciò posto, la retta ragione come vede essere migliore una natura che si diletta affatto all’illecito (quella angelica), così vede essere buona quella (natura umana) che pur provando tali illecite dilettazioni, ha però il potere di dominarle liberamente.

6. L’uomo creato dapprima nelle sue cause

«Dio allora plasmò l’uomo con la polvere della terra e soffiò sul suo volto un alito vitale. E l’uomo divenne un essere vivente».44 Agostino nell’interpretare questo passo del Genesi, formula due ipotesi: la prima è che l’uomo sia creato tale e quale fin dal sesto giorno; la seconda è che anche l’uomo come tutte le altre creature abbia subito una duplice creazione.

Partendo dalla prima ipotesi, Agostino, si chiede se l’uomo possa essere paragonato agli astri o all’erba dei campi; sostenendo che i primi non potessero essere stati creati originariamente negli elementi del mondo e poi successivamente apparsi in cielo, ma furono creati simultaneamente secondo la perfezione del numero sei quando fu creato il mondo.45 L’erba invece, al contrario, fu creata simultaneamente al mondo nelle sue cause primordiali prima che germogliasse sulla terra. «Anche l’uomo dunque fu creato forse già nella sua forma specifica, per cui vive nella sua natura e compie il bene o il male? O fu creato forse anche lui in uno stato latente come l’erba dei campi prima che fosse germogliata, in modo che la sua comparsa dopo un lasso di tempo sarebbe avvenuta quando sarebbe stato fatto con la polvere?»46

L’ipotesi che l’uomo sia stato fatto il sesto giorno con il fango nella forma attuale distinta e visibile, viene immediatamente vagliata alla luce della Sacra Scrittura. Infatti Agostino riprendendo il passo del Genesi relativo alle opere del sesto giorno, giunge all’affermazione che: «L’uomo dunque era già stato formato con il fango e mentre egli era immerso in un sonno profondo, era stata formata con una sua costola la donna […]. L’uomo cioè non fu creato maschio al sesto giorno né la donna fu creata solo in seguito, nel corso del tempo […]».^[48] Questo perché la Bibbia recita: «Egli lo creò; maschio e femmina li creò e li benedisse47 L’interpretazione di questo passo infatti, conduce Agostino a spiegare che, anche il paradiso fu creato al sesto giorno e in esso vi fu collocato l’uomo, dal quale, dopo che cadde in un sonno profondo, fu formata la donna alla quale egli pose il nome di Eva. Tutti questi eventi però, sarebbero potuti accadere solo nel corso del tempo; poiché anche se Dio ha la facoltà di operare, creare e parlare tramite il suo Verbo simultaneamente prima di tutti i tempi, l’uomo non può muoversi, ascoltare e parlare se non in brevi intervalli di tempo. A questo punto, il fatto che l’uomo fu creato dal fango della terra e la donna formata con una sua costola non fa parte della prima conditio, bensì dell’administratio della creazione.

Quindi non fa parte della creazione in virtù della quale tutto venne creato simultaneamente, ma fa parte dell’azione che Dio compie nel volgere dei tempi e che continua fino al presente. «Dio poi piantò il paradiso nell’Eden a Oriente e vi mise l’uomo da lui creato. Dio fece spuntare dal suolo ogni sorta di alberi belli a vedersi e buoni a mangiare».48 Secondo Agostino questi particolari non sono da ascrivere all’attività creatrice di Dio, dalla quale si riposò il settimo giorno, bensì a quella con cui seguita ad operare attraverso il corso dei tempi. La scrittura nel passo sopra citato, dichiara apertamente che in questo caso Dio fece germogliare gli alberi dal suolo in maniera diversa da quella con cui agì al terzo giorno, poiché in quel caso Dio creò le cose in «potenza» e nelle loro cause primordiali; in questo caso invece, la creazione avvenne in modo visibile e soprattutto nel dispiegarsi del tempo.

Agostino poi, espone la creazione potenziale e causale dell’uomo e la sua creazione nel tempo. «E il Signore Dio disse: Non è bene che l’uomo sia solo, facciamogli un aiuto simile a lui. E Dio formò ancora dal suolo ogni specie di bestie del campo e di uccelli del cielo e li condusse ad Adamo per vedere come li avrebbe chiamati; e il nome di ogni essere vivente è quello che pose Adamo. Così Adamo diede il nome a ogni specie del bestiame e degli uccelli del cielo e delle bestie dei campi. Per Adamo, al contrario, non fu trovato alcun aiuto simile a lui. Dio allora infuse ad Adamo un torpore che gli fece perdere i sensi, cosicché Adamo si addormentò e Dio gli tolse una delle costole e al suo posto vi pose la carne. E il Signore Dio trasformò in donna la costola che aveva tolto all’uomo»..49

La formazione della donna dalla costola dell’uomo, avvenne dunque dopo che Dio ebbe formato ancora tutte le altre creature dal suolo; poi non avendo trovato un aiuto che si addicesse ad Adamo, creò la donna dal suo fianco. La creazione di Eva, dunque «fu fatta dal fianco di suo marito durante i giorni di luce fisica e che risultano dal corso circolare del sole».50

Nella Scrittura si trova che l’uomo fu fatto ad immagine di Dio il sesto giorno e fu fatto maschio e femmina;51 mentre la donna fu fatta all’infuori della creazione dei sei giorni. Questo serve ad Agostino per spiegare che «Dio creò tutte le cose in un solo istante, e altre ai giorni che noi conosciamo e nei quali egli produce ogni giorno tutte le cose che si sviluppano nel tempo e derivano da quelle, che si potrebbero chiamare involucri primordiali».52 Agostino sostiene, però, che non può essere affermato che il maschio fu creato al sesto giorno e la femmina, al contrario, nel corso dei giorni posteriori; proprio perché nella Bibbia si legge che: «maschio e femmina li creò e li benedisse».53 È proprio a partire da questo passo che Agostino può formulare la sua seconda ipotesi circa la creazione dell’uomo, cioè la sua duplice creazione.

Nella creazione primordiale l’uomo fu fatto maschio e femmina per mezzo del Verbo di Dio in potenza; dunque sia tunc che nunc ,54 quindi sia l’uomo che la donna erano gli stessi identici, in un modo però allora e in un altro modo poi. La duplice creazione dell’uomo sta proprio nell’essere creato inizialmente nelle proprie cause, «invisibilmente, potenzialmente, come sono fatti gli esseri destinati a esser fatti ma non ancora fatti»;55 e poi come essere vero e proprio.

Secondo Agostino la creazione primordiale, non produce cose in atto, ma semplicemente in potenza, l’uomo infatti, secondo l’Ipponate, non era già qualcosa di simile quando fu creato nella prima conditio, se non per i principi racchiusi nelle sue cause destinati a svilupparsi. Le cause costitutive dell’uomo, però, sono anteriori a tutti i germi visibili, come è Scritto: «Chi vive per sempre ha creato ogni cosa simultaneamente»56 ma l’uomo, è stato creato anche con il fango quando Dio creò le cose ciascuna al proprio tempo. Quindi, Agostino sostiene che l’uomo fu fatto da Dio invisibilmente secondo il genere e visibilmente secondo la specie. Questo perché, quando all’origine Dio creò tutte le cose, le costituì per formarsi e svilupparsi attraverso differenti spazi di tempo a seconda delle loro diverse specie, ma anche per formarsi in un istante secondo la volontà del Creatore.

L’uomo, tuttavia, fu creato come richiedevano la cause primordiali, cioè non generato dai genitori, poiché non era esistito nessun altro prima di lui; bensì formato dal fango della terra conforme alla ragione causale originaria. «Dio infatti aveva compiuto simultaneamente secondo la perfezione delle ragioni causali le opere che aveva cominciate e aveva cominciato le opere che avrebbero dovuto essere compiute nel corso del tempo».57

Pertanto, se le cause di tutte le cose, furono inserite nell’universo quando fu creato il giorno, in cui Dio creò tutte le cose simultaneamente, Adamo già formato nella perfetta virilità con il fango, non poté essere creato diversamente da come era nelle cause primordiali; poiché la volontà di Dio non può contraddire se stessa.

Infatti, se le opere primordiali non fossero state completate in modo conforme alla loro natura specifica, senz’altro sarebbero state aggiunte loro le perfezioni al loro completo essere; proprio perché le opere del sesto giorno furono, secondo la Scrittura, simultaneamente abbozzate e terminate: «E il sesto giorno Dio portò a termine tutte le opere che aveva fatte. Dio inoltre benedisse il settimo giorno e lo dichiarò sacro, in quel giorno Dio si riposò da tutte le opere che aveva cominciato a fare».58 In questo modo possiamo capire, spiega Agostino, che Dio completò le sue opere nel crearle simultaneamente in uno stato di perfezione da non dover più creare nulla nell’ordine temporale, che non avesse già creato allora nell’ordine causale; infatti quando l’uomo fu creato dalla polvere e poi «Dio soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente»,59 non fu lì che l’uomo fu predestinato ad esistere, ciò infatti avvenne prima dei secoli, nella prescienza del Creatore. È per questo che l’uomo «fu creato a suo tempo, visibilmente quanto al suo corpo, invisibilmente quanto all’anima, essendo composto d’anima e di corpo».60 Infatti, Adamo era spirituale per la mente, ma naturale per il corpo; il termine «naturale» è ripreso da Agostino dall’apostolo Paolo per indicare quel corpo animale cioè «naturale-fisico» bisognoso di nutrirsi, soggetto alle malattie, contrariamente a quello spirituale che è immortale.61 La grandezza dell’uomo sta proprio nel poter passare dalla naturalità alla spiritualità poiché la scrittura spiega che: «Se c’è un corpo naturale, c’è anche un corpo spirituale», quest’affermazione biblica sta ad indicare che può avvenire una trasformazione dell’uomo «animale» in uomo «spirituale» seguendo una vita in santità e obbedienza.

L’unica caratteristica personale che distingue Adamo da noi, è quella di non essere nato da genitori, ma di essere stato fatto con la terra. Ciò nonostante Dio ha comunque stabilito delle leggi che regolano gli stadi dello sviluppo umano richiesto dai ritmi di tempo che vediamo assegnati alla natura del genere umano. «Fu infatti la sua potenza ad assegnare i ritmi alle creature, senza tuttavia vincolare la sua potenza a quei ritmi».62 Infatti, Dio per compiere le sue opere non ha bisogno del tempo, né dei ritmi della natura, ma può operare oltre il tempo e senza di esso, ne sono di esempio i miracoli che quando avvengono, «non avvengono contro natura se non per noi che conosciamo un corso diverso della natura, ma non per Dio, per il quale la natura è ciò che ha fatto lui».63 Quando si pensa a Dio che plasmò Adamo è da rigettarsi ogni tipo di antropomorfismo, poiché l’idea che Dio abbia formato l’uomo dalla terra con le mani è un’idea «puerile».

Quando si legge nella Scrittura: «La tua mano ha disperso le genti […]; Hai fatto uscire il tuo popolo con mano potente e braccio teso»,64 bisogna cogliere i termini «mano» e «braccio» in modo simbolico, cioè come a rappresentare la potenza e la forza di Dio. Infatti, Dio creò sia l’uomo che gli animali mediante il suo Verbo, e poiché il Verbo, la Sapienza e la Potenza di Dio sono un’unica e identica realtà, è chiamata anche «mano» di Dio, che non è un membro visibile, ma la potenza del suo agire efficiente, attraverso il quale ha stabilito la formazione del mondo e il suo evolversi nei tempi. È dunque percepibile un aristotelismo nell’azione creatrice di Dio, che pur creando, le cose nelle loro cause in modo potenziale, continua, fino al presente a rappresentarne la causa finale e quindi il loro atto ultimo.

7. L’uomo, opera principale di Dio

E Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra.

Ciò che rende l’uomo l’opera principale di Dio, secondo Agostino, non sta nel fatto che, l’uomo sia stato creato direttamente da Dio tramite la sua parola, poiché tutte le cose furono fatte per mezzo della suo Verbo. Infatti l’Ipponate elenca le tre forme di esistenza di tutte le creature viventi: esse sono esistenti eternamente nel Verbo di Dio; esistenti potenzialmente nella natura; esistenti nelle loro forme pienamente sviluppate. Agostino sottolinea come, prima di ogni creazione, affinché quella avvenisse, «Dio parlò per mezzo del suo Verbo che al principio era Dio in Dio. Senza dubbio Dio ha fatto il cielo per mezzo del suo Verbo, poiché egli disse e il cielo fu fatto».65 Perciò, non dobbiamo attribuire una suprema dignità all’uomo per l’esser stato fatto direttamente da Dio; come se tutte le altre cose non fossero ugualmente fatte dalle Sapienza del Creatore.La superiorità dell’uomo sta, invece, nel fatto che Dio creò l’uomo a propria immagine, poiché gli diede un’anima spirituale e un’intelligenza, per cui è superiore agli animali bruti.66 L’anima, che rende l’uomo superiore a tutti gli altri esseri viventi, non deriva né dall’essere di Dio, né dagli elementi del mondo. Infatti Agostino sostiene che essa non possa derivare dall’aria, poiché quest’ultima, essendo parte del corpo, la renderebbe soggetta ad esso; ciononostante, il soffio di Dio va inteso come un’emanazione dell’aria soggetta a lui come parte del suo corpo.Agostino affronta questo discorso anche nel De civitate Dei ricordando quanto sostenuto da Plotino, e cioè che spesso l’anima che, Plotino, crede essere l’anima del mondo, è diversa dalla nostra; mentre per gli stoici era la stessa, principio spirituale e materiale allo stesso tempo. Infatti nella Grecia antica per indicare l’anima si utilizzava il termine psychè che indica lo spirito vitale. Lo studio dei predecessori, occorre ad Agostino per definire l’anima incorporea come i quattro elementi e, agendo su di essi da forma al corpo cui appartiene.

È perciò evidente come Agostino sottolinei la distinzione dell’anima dal corpo, concependo l’uomo come risultante da due principi: l’uno materiale e l’altro spirituale. L’elemento spirituale, che rende l’uomo superiore alle altre creature, è dunque l’anima che lo rende simile al suo Creatore. La superiorità dell’uomo è rintracciabile per Agostino nelle sue facoltà, poiché esse sono segnate dall’impronta della triade divina. Le tre persone sussistono nell’unica natura e si distinguono fra loro per le diverse relazioni che si esprimono nella vita intima di Dio: Dio Padre, nel pensare, genera interiormente la propria sapienza o Verbo; una relazione d’amore lega la mente pensante al suo logos. Analogamente, nell’uomo il pensiero (mens), la conoscenza (notitia) e l’amore (amor) sono i passaggi ineludibili di una piena attività spirituale. Tutte le opere di Dio procedono dall’unità della sostanza divina e sono pertanto comuni alle tre persone della Trinità. La creazione tuttavia non riguarda la creazione di singoli enti: Dio crea direttamente la materia prima, la quale contiene in sé la rationes primordiales, ossia le essenze di tutte le cose allo stato germinale, che si svilupperanno nel corso delle generazioni. «Il primo uomo, Adamo, fu fatto creatura vivente, ma l’ultimo Adamo (Cristo) fu fatto spirito che da vita. Non fu fatto prima ciò che è spirituale, ma ciò che è naturale; ciò che è spirituale fu fatto dopo. Il primo uomo fu tratto dalla terra, terrestre; il secondo uomo viene dal cielo, celeste […]. E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo terrestre, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste».67 Il principio materiale di cui è composto l’uomo, è quello che lo rende uguale alle altre creature, cioè bisognoso di nutrirsi, attaccato alla materia e soprattutto mortale. La possibilità che però noi abbiamo, è quella di mutare il nostro corpo da terrestre a celeste vivendo una vita di conversione continua verso il Creatore. Ciò che provoca la morte dell’uomo è il peccato e questo è possibile a causa della materialità del corpo, che per sua natura, tende alla materia per soddisfare i suoi bisogni ed è per questo, che la morte del corpo deriva dal peccato. «Se dunque Adamo non avesse peccato, non sarebbe stato soggetto neppure alla morte del corpo e perciò avrebbe avuto anche un corpo immortale».68

Secondo Agostino, il corpo di Adamo prima che peccasse, poteva essere mortale per un verso ed immortale per un altro: mortale perché naturale, immortale non per la sua costituzione, bensì per l’albero della vita che corrisponde alle tre vie che ogni essere umano ha davanti: l’Amore (destra), la Forza (sinistra), e la Compassione (centro). Solo la via mediana, chiamata anche “via regale”, ha in sé la capacità di unificare gli opposti. Senza il pilastro centrale, l’Albero della Vita diventa quello della conoscenza del bene e del male (quello biblico). I pilastri a destra e a sinistra rappresentano inoltre le due polarità basilari di tutta la realtà: il maschile a destra e il femminile a sinistra, dai quali sgorgano tutte le altre coppie d’opposti presenti nella creazione. Dunque Adamo era mortale per il suo corpo ed immortale per un dono offertogli dal creatore. Infatti il corpo del primo uomo era certamente mortale perché naturale, sebbene fosse nello stesso tempo immortale per la sua conformità, nell’uomo interire, all’immagine del suo Creatore. questa qualità, Adamo la perse a causa del peccato, per cui meritò anche la morte del corpo, mentre se non avesse eccato, avrebbe meritato la trasformazione del suo corpo in spirituale. «Il corpo sarà spirituale, nel senso che ubbidirà allo spirito con estrema e straordinaria facilità fino al punto di trarre la gloria definitiva d’una indissolubile immortalità poiché non proverà più né dolore né corruzione né la minima noia».69

Agostino sottolinea anche la differenza tra il nostro corpo e quello di Adamo partendo dall’affermazione dell’Apostolo Paolo: «il corpo è morto a causa del peccato». È evidente che la morte del corpo, di noi che siamo viventi, è in relazione al peccato dei progenitori; infatti poiché Adamo ed Eva avrebbero potuto evitare la morte, scegliendo l’albero della vita, il loro corpo risulta essere superiore al nostro che invece non possiamo scegliere la vita piuttosto che la morte. Noi però possiamo rinnovarci nello spirito che rappresenta l’immagine che abbiamo del Creatore, quella immagine che Agostino sostiene sia stata talmente deformata in Adamo, a causa del peccato da richiedere d’essere rimodellata:

L’Apostolo dice ancora: «spogliatevi dell’uomo vecchio con le sue azioni rivestitevi di quello nuovo, che si rinnova nella cono scienza di Dio secondo l’immagine del suo Creatore». Questa immagine, impressa nello spirito dell’anima nostra e perduta in quella di Adamo a causa del suo peccato, noi la riceviamo per la grazia della giustificazione […], come sarà per tutti i fedeli servi di Dio quando risorgeranno dai morti.70

8. La natura della donna

Quando nel racconto della creazione si dice: «Così Dio creò l’uomo secondo la sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò»,71 il testo presuppone dunque che l’uomo sia copia della figura divina, come uomo e donna. Tale concezione è verosimile solo se si suppone che nella divinità vi sia un’immagine originaria maschile e femminile. Poiché invece questo pensiero è inaccettabile ed è inoltre certo che nell’Antico Testamento il Dio di Israele non è mai stato inteso come essere sessuato, simile agli dèi e alle dee dei popoli pagani, l’esegesi e la teologia cristiana ne dedussero che l’eguaglianza di immagine con Dio si riferiva solo allo spirito dell’uomo, per il quale non è supponibile alcuna differenza di sesso, così come lo è invece per il corpo.72 Agostino, che pur condivide il pensiero del suo tempo in proposito, risulta essere meno antifemminista di molti altri, secondo i quali la donna è il simbolo della concupiscenza. Egli afferma con vigore che anche la donna è stata creata ad immagine di Dio in relazione alla sua spiritualità.

Il vescovo di Ippona, sottolinea come la donna a differenza degli animali, tratta dal più intimo di Adamo, ne ha la stessa natura e benché nel loro sesso fisico ci sia un diverso simbolismo nel senso che la Scrittura dice essere immagine e gloria di Dio soltanto l’uomo — così anche nella stessa prima creazione dell’uomo, in quanto la donna era anch’essa una persona umana, aveva di certo la sua anima parimenti razionale, rispetto alla quale è stata anch’essa creata a immagine di Dio. Adamo riconoscendosi nella donna e riconoscendone il nome, dà un nome a se stesso: infatti la derivazione di «donna» da «uomo», è evidente in ebraico (iššah da ); mentre per noi è come se si dicesse «virago».73

Sul piano della creazione la donna completa l’uomo, facendolo diventare suo sposo. Questa relazione avrebbe dovuto rimanere perfettamente uguale nella differenza, ma il peccato l’ha snaturata assoggettando la sposa al proprio marito.

È dunque evidente come in Agostino convergono e si compongono le due linee della parità e della subordinazione del femminile rispetto al maschile: la prima infatti risulta dall’ammissione della sostanziale eguaglianza del maschio e della femmina in virtù della comune struttura intellettuale di esseri razionali, creati ad immagine di Dio. La seconda invece si afferma in rapporto alla struttura fisica differenziata. Il maschio, infatti, detiene una serie di privilegi, il primo dei quali chiama in causa il tema stesso dell’immagine di Dio che gli riflette anche nella dimensione maschile mentre la femmina, in quanto tale, è a lui subordinata. In tal modo il Vescovo d’Ippona intende conciliare il postulato biblico della creazione «ad immagine», fondamento di parità fra le creature razionali, e le affermazioni dell’epistolario paolino configuranti una subordinazione gerarchica della donna all’uomo. «Non nel senso che la donna non possa ricevere la medesima immagine, poiché in questa grazia l’apostolo ci dice che non c’è né maschio né femmina; ma forse la donna non aveva ancora ricevuto questo privilegio che non è dato se non con la conoscenza di Dio e forse essa lo doveva ricevere a poco a poco sotto la guida dell’uomo».74 Si può notare che, in questo commento all’epistola ai Galati, nonostante il tentativo di mitigare la radicalità di un assunto che neghi alla donna la prerogativa dell’immagine di Dio, il discorso agostiniano continua a mirare il fondamento ontologico di tale prerogativa, in quanto attinente alla donna, quando la pone dall’atto creativo e l’attribuisce ad un processo di graduale di paideia di questa creatura da parte del suo compagno, emerso dall’atto creativo perfetto eticamente e ontologicamente compiuto. Per risolvere il problema di «teodicea» posto dalla trasgressione dell’uomo, creatura buona e perfetta di un Creatore sommamente buono, Agostino avanza un’ipotesi che, sia pure in forma dubitativa, configura un’ontologia debole della componente femminile della coppia, per la quale si radicalizza quello squilibrio di valori che in gran parte definisce il quadro antropologico nella sua duplice faccia maschile e femminile: «… O bisognerebbe forse dire che precisamente Adamo non avrebbe prestato fede al serpente e perciò gli fu avvicinata dal serpente la donna ch’era meno intelligente e forse viveva ancora secondo il senso della carne e non secondo l’inclinazione dello spirito […]?»75 Eva dunque si configura come l’elemento debole della coppia, unica via di accesso del male nei confronti di Adamo il quale a sua volta vi consente, non per convinzione ma in quanto sopraffatto da un sentimento di «amicizia benevolente» nei confronti della compagna già peccatrice. Quindi la subordinazione gerarchica della donna rispetto all’uomo, sarebbe attinente all’ordine stesso della natura piuttosto che del peccato che vi ha solo aggiunto una dimensione, per così dire, «servile», causa di sofferenza e di umiliazione per la donna, laddove nel progetto originario di Dio si sarebbe avuto un armonico rapporto. Agostino però, pur ritenendo la donna inferiore all’uomo o comunque subordinata ad esso, non nega che ambedue, l’uomo e la donna, siano stati creati ad immagine di Dio, un’immagine che caratterizza l’uomo interiore.76 Il tema della somiglianza dell’uomo con Dio trova ampio spazio nel «De Trinitade», in cui Agostino dopo aver parlato a lungo della Trinità confutando altre dottrine tra cui quella ariana, si sofferma sull’illustrazione psicologica del dogma trinitario: l’uomo creato ad immagine di Dio, è anche creato ad immagine della Trinità. Per sostenere tele tesi, il Vescovo d’Ippona, parla di un uomo esteriore e di un uomo interiore. Dell’uomo esteriore studia la cognizione dei sensi esterni ed interni ed è proprio da tale studio che ricava due triadi presenti nell’uomo: la prima riguarda i sensi esterni ed è composta da realtà, visione ed intenzione; la seconda riguarda i sensi interni ed è composta da memoria, visione interna e volontà.

Per quanto riguarda l’uomo interiore, che possiede la sapienza, l’intelligenza e l’amore e quindi la concezione di Dio; Agostino intravede in lui la somiglianza alla Trinità.77 È però da sottolineare che l’Ipponate parla di una «somiglianza dissimile» dell’immagine dell’uomo con Dio: somiglianza perché nella parte esterna, memoria, conoscenza e amore sono tre realtà distinte ma inseparabili come le tre persone delle Trinità; dissimile perché nella parte interna, memoria, intelligenza e volontà sono nell’uomo, sono dell’uomo, ma non sono l’uomo; come invece le tre persone della Trinità sono in Dio, sono di Dio e sono Dio. È dunque evidente la somiglianza spirituale dell’uomo-donna con Dio; se questa somiglianza fosse stata fisica, seguirebbe che anche in Dio dovremmo ammettere qualche differenza nel sesso, cosa a cui né Agostino, né alcuno scrittore biblico avrebbe mai potuto pensare. Ciò che quindi è perfettamente somigliante a Dio è l’anima, incorporea e perfetta poiché possiede in sé le idee che sono, spiega Agostino, verità necessarie, eterne ed immutabili. Infatti, l’anima ricevendo l’illuminazione da Dio, che è intelligenza e Verità per eccellenza, risulta essere perfetta e in armonia con il Creatore. La perfezione dell’anima però, viene compromessa nel momento dell’incarnazione in cui è «costretta a consumarsi» a beneficio del corpo, il quale senza l’anima è pura passione e concupiscenza in relazione alla sua origine.78 La donna per la sua debolezza, e per la sua superbia è più vicina al suo corpo e quindi alla materialità; ed è proprio questo a condurla al peccato.

9. Conclusione

Il pensiero agostiniano esercita un durevole influsso sulla formazione della dottrina cristiana della creazione e quindi anche sull’esegesi biblica. Agostino è consapevole delle difficoltà che sorgono dalla prospettiva biblica e dal tentativo di risolverle secondo la visione neoplatonica del mondo. Se questa infatti gli fornisce gli strumenti per pensare una possibile gradualità dell’essere, che ha maggior pienezza quanto minor materialità, e si identifica con la graduale presenza di unità; dall’altra parte non gli permette di pensare senza contraddizioni a un essere immutabile che crea ex nihilo gli esseri mutevoli, senza mutare, ma senza che tale atto possa dirsi compiuto ab eterno. È proprio a questo punto che si rivela il genio del Vescovo di Ippona, ossia nella lunga trattazione tra Creatio o Prima conditio e L’administratio di Dio, ossia sulla creazione simultanea e il progressivo comparire delle cose nel tempo. Sotto l’influenza della filosofia neoplatonica, quindi, Agostino riesce a superare la secolare questione circa l’interpretazione della Bibbia: esegesi letterale o esegesi spirituale? Ponendo alla base dei suoi commenti sulla Genesi la teoria secondo cui in tutti i testi sacri è da considerare al tempo stesso, il contenuto eterno in essi nascosto, e gli avvenimenti che essi raccontano; offre un’esegesi che coglie il rapporto intrinseco tra i due livelli.79 Secondo tale metodo, il testo biblico, a partire dal significato storico-letterale, intrinsecamente allude ad un senso spirituale, e questo a sua volta si distingue nei tre sensi: allegorico, antropologico e metafisico. Dei sensi da attribuire alla Scrittura, se ne è discusso a lungo e nelle varie interpretazioni esegetiche, si ha una diversa utilizzazione degli stessi. È però da tener presente, a questo proposito, l’opera di Henri de Lubac, che invece, hai proposto i «quattro sensi della Scrittura» riprendendoli da Agostino di Dacia, morto nel 1287.80 Il metodo esegetico è condizionato, in Agostino, dalla sua valutazione negativa della fisica: «Se dunque ci si chiede che cosa si debba pensare che rientri nella religione, allora non è certamente il caso di studiare la natura delle cose così come fanno coloro che i Greci chiamano fisici».81 Il mondo è retto secondo un ordine che, rispetto all’ordine della fisica peripatetica è un ordine matematico. «Ma tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso».82 La fisica ha così a che fare con la bonitas divina solo in quanto quest’ultima è l’origine di tutto ciò che esiste; essa diventa perciò in realtà una metafisica, anche se Agostino non la intende ancora in questo senso. È anche evidente che Agostino accompagna questo atteggiamento di fronte allo studio della natura con una dottrina sulla creazione di stampo neoplatonico apportandovi però qualcosa di nuovo: egli identifica i pensieri divini con le idee platoniche.

È però da tener presente che già Filone di Alessandria, adottando un metodo esegetico fortemente allegorico che gli permise di interpretare la Bibbia alla luce di convinzioni filosofiche accolte dal platonismo e dal pitagorismo, vide la creazione come opera del Logós. Questi è considerato da Filone sia come l’espressione dell’attività intellettiva dell’Uno, pienamente coincidente con esso; sia come la prima ipostasi divina. È proprio a partire da questa concezione, che Agostino sostiene che, la creazione rappresenti un’attuazione dei pensieri divini e che l’uomo nella stessa creazione veda soltanto ciò che Dio ha scorto in se stesso divinamente. A differenza di Platone e Plotino, il Vescovo di Ippona, elimina l’abisso esistente tra ciò che è realmente e ciò che è apparentemente, conferendo alla materia una nuova importanza, infatti, la lettura della Genesi gli impedisce di identificare il nulla e il male con la materia, poiché questa è creatura di Dio, e quindi pensiero divino divenuto realtà. Agostino infatti introduce delle figure limite, come la materia informe e il tempo precedente agli angeli ed è proprio oltrepassando la terminologia neoplatonica che si configura un principio immutabile ed eterno che sa agire rimanendo fermo e rimanere fermo agendo.83 Quindi Dio dalla sua bontà immutabile ed eterna, crea degli esseri mutevoli che possono divenire eterni, pur rimanendo in uno stato di relativa mutevolezza (come gli angeli), se sapranno vivere nella volontà del Creatore. Per l’uomo, è molto difficile rimanere fedele al suo creatore, perché creato dal nulla e dal nulla continuamente attratto. Secondo Agostino, infatti, il problema del male va colto a partire dalla libertà umana e dall’azione del demonio; ad essi è imputabile, non a Dio. «Dopo l’atto di superbia degli angeli ribelli e di Adamo, le conseguenze della colpa del primo uomo si trasmettono come “pena del peccato”».84

Nonostante il primo uomo non abbia evitato la caduta nel peccato, anche gli altri uomini mantengono il libero arbitrio, che però da solo è in grado solo di compiere il male. La libera volontà è dunque importante affinché ci sia giustizia nel mondo, ma di grande necessità è la grazia divina affinché ci sia la salvezza del mondo.85 Il De Genesi ad litteram è dunque ammirabile per il suo tono teologico-pastorale, nonostante l’astrusità e la sottigliezza di taluni ragionamenti, per la sua polemica pacata e per il suo intento di rivolgersi a credenti e non, con un linguaggio mai offensivo. Agostino con la sua umiltà nell’approcciare tali studi, non conoscendo bene il greco e tanto meno l’ebraico, ha lasciato un’opera che, almeno tra i padri latini, non ha trovato rivali.

  1. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 4, 3, 7: «… qui terminat omnia et format omnia et ordinat omnia; nihilque aliud dictum intelligitur, quomodo per cor et linguam Humanam potuit: Omnia in mensura et numero et pondere disposuit, nisi: Omnia in te disposuisti?»

  1. A. Trapè, «Patrologia dell’Istitutum Patristicum Augustinianum» di Roma, vol. III. I Padri latini, Torino 1978, p. 388: «La filosofia agostiniana si svolge intorno a due temi essenziali, che sono Dio e l’uomo […]. I due temi sono distinti, ma inseparabilmente uniti nella dottrina dell’uomo immagine di Dio». ↩︎

  2. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. Retractationes 2, 24, 1 ↩︎

  3. Il metodo dell’intellectus fidei (prima ascoltare e poi comprendere: audiam et intellegam) circa la creazione, tende ad una intellezione che non si fermi ad essa solo in quanto realtà rivelata, ma che la penetri anche in quanto realtà razionale. Cf. con A. Trapè, La Genesi, Città Nuova, Roma, 1988. ↩︎

  4. Agostino di Ippona, De Trin. 4, 1, 3. ↩︎

  5. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt.» 4, 3, 7; «Neque enim ante creaturam erat aliquid nisi Creator. In ipso ergo erant. Sed quomodo?» ↩︎

  6. ibidem, 4, 12, 22; «…ita mundus vel ictu oculi stare poterit, si ei Deus regimen sui subtraxerit». ↩︎

  7. Agostino di Ippona, Conf. 12,29,40; «Per l’eternità, ad esempio, Dio precede le cose». ↩︎

  8. Agostino di Ippona, De divv. qq. 83, q. 46, 2. ↩︎

  9. Cf. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 5, 23, 44; De Trin. 3, 8, 13. ↩︎

  10. Agostino di Ippona, De civ. Dei, 11, 21. ↩︎

  11. Ibidem, 12, 7. ↩︎

  12. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 9, 15, 26. ↩︎

  13. Ibidem, 4, 12, 22: «Creatoris namque potential et omnipotentis atque omnitenentis virtus causa subsistendi est omni creaturae…». ↩︎

  14. Ibidem, 5, 11, 27: «Tunc omnia simul sine ullis temporalium mora rum intervallis, nunc autem per temporum moras». ↩︎

  15. Ibidem, 7, 28, 42: «Deum ab exordio saeculi primum simul omnia creavisse, quaedam conditis iam ipsis naturis, quaedam praeconditis causis; […], quia et consummaverat ea propter omnium generum terminationem et inchoaverat propter saeculorum propagationem, ut propter con/summata requisceret, propter inchoate usque nunc operaretur». ↩︎

  16. Cf. De Gen. ad Litt. 9, 15, 27; il subsistere in Agostino ha un senso molto forte di «creare una sostanza» ovvero di «costituire come sostanza». Il subsistere da parte del Creatore, significa sostentare, dar sostanza e consistenza al creato. Senza tale azione il creato verrebbe meno, si ridurrebbe a nulla. ↩︎

  17. Cf. Contra Eutychen 2, 3. ↩︎

  18. S. Boezio, De consol. Philos. 4, 2: « Nam qui mali sunt, eos molos esse non abnuo; sed eosdem esse pure atque simpliciter nego.» ↩︎

  19. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 5, 20, 41: «dum iniqui iustos exercere permittuntur, explicat secula, quae illi, cum primum condita est, tamquam plicita indiderat, quae tamen in suos cursus non explicarentur, si ea ille qui condidit, provido motu administrare cessaret.» ↩︎

  20. Ibidem, 8, 9, 18: «Deus itaque super omnia, qui condidit omnia et regit omnia, omnes natura bonus creat, omnes voluntates iustus ordinat.» ↩︎

  21. Cf. Ibidem, 8, 23, 44: «non omnibus naturis dedit voluntatis arbitrium»; in questo senso la volontà non può agire se non per l’effetto di quel dono singolare che costituisce la natura intera. Tuttavia questa dipendenza non elimina l’autodeterminazione del libero volere, ma al contrario, lo fonda. ↩︎

  22. Ibidem, 8, 23, 44: «Ergo Dei providentia regens, atque administrans universam creaturam et naturas et voluntates, naturas, ut sint, voluntates autem, ut nec infructuosae bonae nec impunitae malae sint.» ↩︎

  23. Ibidem, 5, 5, 12. ↩︎

  24. La creazione avviene simultaneamente ed istantaneamente, appunto perché atemporalmente; non prima del tempo, ma all’inizio, istantaneo, del tempo. Cf. «De Gen. ad Litt.» 5, 17, 13. ↩︎

  25. In De Gen. ad Litt. 4, 32, 49, quest’ordine è definito come una «connexio praecedentium sequentiumque causarum. È la stessa formula di Filone, De opif. Mundi 28. ↩︎

  26. Cf. De Gen. ad Litt. 4, 22, 39. Agostino dice che la creazione della luce in Gen. 1, 3 si riferisce all’illuminazione degli angeli; Dio li illumina e li forma. ↩︎

  27. Cf. De Gen. ad Litt. 4, 33, 51- 4, 35, 56. ↩︎

  28. Cf. Agostino di Ippona, De Trin. 12, 7, 12. ↩︎

  29. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 5, 20, 30: «[..] eo factum hominem ad imaginem Dei, in quo irrationalibus animantibus antecellit. Id autem est ipsa ratio vel mens vel intellegentia vel si quo alio vocabulo commodius appellatur.» ↩︎

  30. Agostino di Ippona, De Gen ad Litt. 3, 20, 30: «ubi sit homo creates ad imaginem Dei, quia non corporis liniamentis, sed forma quadam intelligibili mentis illuminatae.» ↩︎

  31. bidem, 3, 20, 31: «quia et ipsa natura scilicet intellectualis est sicut illa lux, et proptera hoc est ei fieri, quod est agnoscere Verbum Dei, per quod fit. ↩︎

  32. Cf. De Trin. 14, 4,6; Retract 2, 24, 2 (dove Agostino rimproverandosi di aver scritto nel «De Gen. ad Litt:» 6, 27, 38 che Adamo con il peccato aveva perso l’immagine di Dio, afferma che in lui l’immagine rimase non annientata ma «Tam deformis, ut reformatione oopus Haberet». ↩︎

  33. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 1, 5, 10: «Creatura vero quamquam spiritalis et intellectuali vel rationalis, que videtur esse illi Verbo propinquior, potest habere informem vitam, […], ut converteretur ad id, ex quo esset, quod aliter formata ac perfecta esse non posset.» ↩︎

  34. Cf. Lectio Augustini, Settimana agostiniana Pavese: De Gen contra Manichaeos, De Gen ad Litteram liber Imperfectus di Agostino di Ippona, Augustinus, Palermo 1992. ↩︎

  35. Cf. La Bonnardière, Biblia Augustiniana, Brepols Publishers, Paris, 1960-1975. ↩︎

  36. Gn. 2, 16. ↩︎

  37. Dizionario di spiritualità biblico-patristica, vol. 30, «Grazia divina e divinizzazione dell’uomo nella Bibbia», Borla, Roma, 2002. pp. 134. ↩︎

  38. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 7, 26, 37: «Natura quippe homini ex Deo est, non iniquitas, qua se ipse involvit male utendo libero arbitrio; quod tamen si non haberet, in natura rerum minus excelleret […]. Huiusmodi ergo creaturam quisquis esse nollet in rebus, contradicit Dei bonitati; quisquis autem poenas eam non vult luere pro peccatis, inimicus est aequitati.» ↩︎

  39. Cf. Ibidem, 8, 9, 18: «Deus itaque super omnia, qui condidit omnia et regit omnia, omnes naturas bonus creat, omnes voluntates iustus ordinat. ↩︎

  40. Ibidem, 8, 14, 31: «Hoc expertus est homo contemnens praeceptum Dei et hoc experiment didicit, quid interesset inter bonum et malum, bonum scilicet oboedentiae, malum autem inoboedientiae […]. Malum enim nisi experiment non sentiremus, quia nullum esset, si non fecissemus. […]. Mutabile autem bonum, quod est post incommutabile bonum, melius bonum fit, cum bono incommutabili adhaeserit amando atque serviendo rationalis et propria voluntate.» ↩︎

  41. Ibidem, 8, 12, 25: «Neque enim tale aliquid est homo, ut factus deserente eo, qui fecit, posit aliquid agree bene tamquam ex se ipso; sed tota eius action bona est ad eum converti, a quo factus est, et ab eo iustus, pius, sapiens bestusque simper fiery, non fiery et recedere […]. Non ergo ita se debet homo ad Deum convertere, ut, cum a beo factus fuerit iu/stus, abscedat, sed ita, u tab illo simper fiat.» ↩︎

  42. Ibidem, 8, 10, 23: «Sicut enim operator Homo terram, non u team faciat esse terram, sed ut cultam atque fructuosam […], eum ipse operator, ut iustus sit, si homo ab illo per superbiam non abscedat […]. Quia ergo Deus est incommutabile bonum […]. Ac per hoc Deus idem, qui creat hominem, ut homo sit, ipse operator hominem atque custodit, ut etiam bonus beatusque sit.» ↩︎

  43. Ibidem, 8, 23, 44: «Nam in se ipsis malae voluntates Habent interiorem poenam suam eamdem ipsa iniquitatem suam.» ↩︎

  44. Cf. Epistola 194 a Sisto prete, 2, 3. ↩︎

  45. Gn, 2, 7. ↩︎

  46. Cf. De Gen. ad Litt. 6, 1,2. Ma della perfezione del numero sei Agostino parla anche in Ibidem, 4, 2, 2 - 4, 7, 14 - 4, 16, 28 - 4, 35, 56. ↩︎

  47. Ibidem, 6, 2, 3: «Iam ergo de limo formatus erat et illi iam soporato mulier ex latere facta arat […]. Neque enim sexto die factus est masculus et accessu temporis postea facta femina.» ↩︎

  48. Gn, 1,27-28. ↩︎

  49. Ibidem, 2,8-9. ↩︎

  50. Ibidem, 2,18-22. ↩︎

  51. Agostino di Ippona, De Gen ad Litt. 6, 5, 7: «Ac per hoc iam per istos notissimos lucis corporalis dies, qui circuitu solis fiunt, Eva facta est de latere viri sui.» ↩︎

  52. Cf. Gn. 1, 27. ↩︎

  53. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 6, 6, 9: «[…] in quibus operator quotidie quidqiud ex illis tamquam involucris primordiali bus in tempore avolvitur.» ↩︎

  54. Tunc indica la creazione simultanea primordiale della ragioni seminali; Nunc indica il corso del tempo e quindi anche il sesto giorno. Cf. De Trin.3, 8-13. ↩︎

  55. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 6, 6, 10: «Invisibiliter, potentialiter, causaliter, quomodo fiunt futura non facta.» ↩︎

  56. Sir. Eccli. 18, 1. ↩︎

  57. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 6, 15, 26: «Deus, […] faciendus, qui simul et consummaverat inchoate propter perfectionem causalium rationum et inchoaverat consummanda propter ordinem temporum». ↩︎

  58. Gn. 2, 1- 4. ↩︎

  59. Ibidem, 2, 7. ↩︎

  60. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 6, 11, 19: «Creatus in tempore suo visibiliter in corpora, invisibiliter in anima, constans ex anima et corpore». ↩︎

  61. S. Paolo, 1 Cor. 15, 44 «Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale». Cf. De civ. Dei, 13, 17, 2. ↩︎

  62. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 6, 13, 23: «Potentia quippe sua numeros creaturae dedit, non ipsam potentiam eisdem numaris alligavit.» ↩︎

  63. Ibidem, 6, 13, 24: «Nec ista cum fiunt, contra naturam fiunt, nisi nobis, quibus aliter naturae cursus innotuit, non autem Deo, cui hoc est natura, quod fecerit.» ↩︎

  64. Sal. 135, 11-12. ↩︎

  65. Ibidem, 6, 12, 21: «eo Verbo dicunt est, quod in principio erat Deus apud Deum. Certe enim caelum verbo fecit, quia dixit et factum est». ↩︎

  66. Cfr.ibidem ↩︎

  67. Ibidem, 6, 19, 30: «Factus est primum homo Adam in animam viventem novissimus Adam in spiritum vivificantem […]. Et quomodo induimus imaginem terreni, induamus et immagine eius qui de caelo est». ↩︎

  68. Ibidem, 6, 22, 33: «Si ergo non peccasset Adam, nec corpore moreretur ideoque immortale haberet et corpus». ↩︎

  69. Agostino di Ippona, De civ. Dei 13, 20: «surget corpus spiritale, sed quia spiritui summa et mirabili obtemperandi facilitate subdetur usque ad implendam immortalitatis indissolubilis securissimam voluntatem, omni molestiae sensu, omni corruptibilitate et tarditate detracta». ↩︎

  70. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 6, 27, 38: «Dicit item Apostolus: […]. Hanc imaginem in spiritu mentis impressam perdidit Adam per peccatum, quam recipimus per gratiam iustitiae, non spiritale atque immortale corpus, in quo ille non dum fuit, et in quo erunt omnes sancti resurgentes a mortuis». ↩︎

  71. Gn. 1, 27. ↩︎

  72. Cf. O. Lorenz, Creazione e mito, Paideia, 1974 pp. 102-104. ↩︎

  73. Cf. Agostino di Ippona, De Gen. c. Man. 2, 12, 17. ↩︎

  74. Gal. 3,27-28. ↩︎

  75. Agostino di Ippona, De Gen. ad Litt. 11, 42, 58: «An quia hoc credere ipse non posset, propterea mulier adita est, quae parvi intellectus esset et adhuc fortasse secundum sensum carnis, non secundum spiritum mentis viveret […]?» ↩︎

  76. Cf. A. Trapè, Introduzione a Sant’Agostino, pt. 6, cap. 5. ↩︎

  77. Cf. Agostino di Ippona, De Trin. 8 ↩︎

  78. Cf. Epist. XI. ↩︎

  79. Cf. O. Lorenz, Creazione e mito, Paideia, 1974, pp. 21-22. ↩︎

  80. Henri de Lubac, Esegesi medievale. Scrittura ed Eucarestia. I quattro sensi della scrittura, Jaca Book, 2006, pp. 117-136. ↩︎

  81. Ench. 3,9: «Cum ergo quaeritur quid credendum sit quod ad religionem pertineat, non rerum natura ita rimanda est quemadmodum ab eis quos physicos Graeci vocant». ↩︎

  82. Sap. 11, 20. ↩︎

  83. Cf. Agostino di Ippona, De civ. Dei, 12, 17. ↩︎

  84. Maria Bettetini, Introduzione a Agostino, Laterza, Bari, 2008, p. 131. ↩︎

  85. Cf. Ep. 214, 2. ↩︎