La critica di Hans Blumenberg al teorema della secolarizzazione di Karl Löwith

1. Osservazioni preliminari: la presa di distanza dallo spaesante

Polemizzando con Löwith, in riferimento alla genesi dell’età moderna, Blumenberg ne rivendica «legittimità» e «autenticità» di contenuti di pensiero, di contro alla derivazione degli stessi da entità di pensiero teologiche tipicamente medioevali. Löwith, al contrario, nell’interpretazione di Blumenberg, sposta la nascita dell’età moderna alla fine dell’antichità, cogliendo nella sostituzione della temporalità ciclica dei Greci con l’idea unilineare di un progresso senza fine — quest’ultimo è la secolarizzazione dell’idea cristiana della storia della salvezza — una fondamentale frattura epocale che decide tanto della genesi del Medioevo che dell’età moderna che si ritrova, a questo punto, come una deriva temporale dell’epoca medioevale. Ciò nasconderebbe, a parere di Blumenberg, una visione sostanzialistica della storia, che impedirebbe di cogliere il fenomeno della modernità in antitesi reattiva alla visione del mondo medioevale. La continuità del processo storico, per Blumenberg, oltre le soglie epocali non è svolta dalla sopravvivenza di sostanze ideali, come il «teorema della secolarizzazione» di Löwith farebbe presupporre, ma dall’ipoteca di problemi che un’epoca in tramonto impone all’altra. L’età moderna si è generata assumendo come compito la soluzione di problemi che nel mondo della vita medioevale erano colti in modo pressante sotto forma di bisogni e aspettative di senso sul mondo, queste ultime come domande inevase sono le fondamentali questioni cui l’epoca moderna ha saputo rispondere e in questo modo generarsi. È il caso delle filosofie della storia moderne che, in quanto risposte all’interrogativo sull’insieme della storia, sono la possibilità di sedare una domanda medievale con mezzi e visioni del mondo disponibili dopo il Medioevo. Questo grazie ad una «logica ermeneutica della domanda e risposta» che non guida e caratterizza per Blumenberg solo il passaggio alla modernità ma è insita in ogni transito epocale dal vecchio al nuovo:

La sopravvivenza del sistema delle questioni al di là di un mutamento epocale e il suo influsso sulle risposte possibili partendo da nuove premesse non è fenomeno che caratterizzi unicamente l’origine dell’età moderna. Il Cristianesimo stesso, ai suoi inizi, si trovò soggetto a una simile pressione problematica di questioni che gli erano genuinamente estranee. L’imbarazzo di Filone Alessandrino, poi degli altri autori patristici, nell’opporre alle grandi speculazioni cosmologiche dell’Antichità greca qualcosa di paragonabile sulla base della storia biblica della creazione e il dispendio allegorico successivo a questa costrizione permettono di riconoscere quella pressione problematica dell’eccedenza delle questioni per le quali si ritenne possibile una risposta.1

Il fenomeno della modernità con la sua conseguente secolarizzazione, che viene interpretata da Blumenberg come rioccupazione, non è dunque legato alla specificità della struttura spirituale di quest’epoca:

Come il Cristianesimo patristico si presenta nel ruolo della filosofia antica, così la filosofia moderna sostituisce ampiamente la funzione della teologia.2

Ogni epoca che si presenta come nuova deve necessariamente occupare il «ruolo» che fino ad allora aveva assunto l’epoca precedente. Qualcosa deve dunque essere generalmente occupato con un’interpretazione del mondo che i «mutevoli sistemi delle mitologie, teologie e filosofie» — così li definisce Blumenberg — creano nelle svolte epocali: ogni epoca deve venire a capo con risposte proprie all’estraneità del mondo, tramontato con il suo senso nell’autocatalisi dell’epoca che precede. L’estraneità del mondo è definita secondo «la concezione direttrice della scomparsa di telos […]. La fine dell’Antichità sembra potersi cogliere con questa categoria [la scomparsa di telos] proprio come la crisi del Medioevo».3 Il sistema di spiegazione del mondo della «scolastica [tardo-medioevale] è in preda al dubbio che, già all’origine, il mondo possa non essere stato creato a favore dell’uomo».4

L’elemento comune che caratterizza la crisi del senso dell’Antichità e del Medioevo è la «perdita di ordine, come ragione per dubitare di una struttura della realtà riferibile all’uomo».5 La crisi del Medioevo e della corrispondente struttura di senso che Blumenberg definisce come «assolutismo teologico» si delinea in corrispondenza della concezione di Dio della teologia nominalistica tardo medioevale: Dio è potentia absoluta, volontà che coimplica l’infinità del possibile. La volontà del Dio della teologia nominalistica è «assoluta», «infondata e fonda tutto». Essa è legata ad un puro atto di grazia coincidente al massimo della causalità che è del tutto arbitraria:

[Il Dio dei nominalisti] non è come il demiurgo platonico, l’esecutore di un piano del mondo consistente in se stesso, che comunica l’evidenza della propria unicità e la cui idealità significa precisamente che in esso ogni ragione deve riconoscere e ripercorrere i caratteri vincolanti di un mondo, cosicché conoscenza produttiva e teoretica convergono su questo modello.6

Si afferma dunque con il nominalismo tardo medioevale una concezione di Dio legata più alla potenza della volontà che alla razionalità: nella struttura del senso che si era affermata durante il corso del Medioevo, l’intelletto divino era pensato sulla forma delle idee platoniche; le cose del mondo da lui create portavano in se stesse le idee o essentiae che erano il telos dell’essente. Questo garantisce la conoscibilità poiché le cose, essendo in se stesse razionali, intelligibili, risultano penetrabili per un essere razionale qual è l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio. L’intelletto umano si conforma alla forma essenziale delle cose: la conoscenza è ontologicamente e metafisicamente fondata in Dio. Il Dio dei nominalisti che «non è più il demiurgo platonico» produce delle conseguenze nel modo in cui l’uomo pensa la Creazione e le cose in essa date:

La Concezione della Creazione non è una tesi incidentale della scuola nominalista, ma è in relazione col suo centro filosofico, con la negazione degli universali e con l’affermazione della posteriorità del concetto rispetto alla realtà. Ciò è facilmente comprensibile: il realismo di concetti che fanno riferimento a una cogenza esemplare sussistente prima delle cose si dimostra inconciliabile con il concetto di creatio ex nihilo. L’universale ante rem, in quanto ripetibile ripetuto a piacere nel concreto, ha un senso solo nella misura in cui l’universo rappresenta una somma finita di possibilità.7

La potentia absoluta di Dio che i nominalisti pensano in difesa del dogma dell’onnipotenza però coimplica l’infinità del possibile, ciò significa che ogni essere, si tratti di persone o cose, sorge dal nulla in modo tale che esso non esisteva preliminarmente in nessun esemplare, modello o idea (platonicamente intesa), neanche nella sua determinatezza concettuale:

Solo così, secondo l’argomentazione di Guglielmo da Occam, viene escluso che attraverso la Creazione di un essere determinato Dio limiti la propria potenza, nel senso che quanto vi è di specificatamente identico in altre creature concrete permetterebbe solo imitazione e ripetizione, ma non creazione.8

La Creazione si fonda su un atto continuo e gratuito di Dio, appeso alla propria assoluta libertà, e quest’ultima fa in modo che sia impossibile pretendere una conformità del principio divino con le necessità conoscitive della ragione, poiché l’ordine del mondo è continuamente revocabile dalla volontà libera di Dio. L’universale stesso come struttura classificatoria per dare un senso vero al mondo è negato, non può conoscere la realtà del mondo, Dio produce solo unicità essenziale, la sua potenza assoluta è originaria in tutte le sue creature.

Si capisce, spiega Blumenberg, come «la ricchezza dell’abbondanza creatrice [di Dio] mette la ragione umana nell’imbarazzo di dover opporre alla realtà autentica [continuamente creata da Dio] la propria economia dei concetti classificatori come costruzione ausiliaria tanto necessaria quanto inadeguata».9 Gli universali non sono più l’essenza intellegibile all’interno delle cose (in re), posta da Dio mediante la creazione (ante rem), e l’intelletto umano — somigliante a quella divino — non può estrarre i concetti universali (post rem) astraendoli dalle cose. Il nominalismo scolastico nega il fondamento ontologico degli universali rendendo problematica la conoscenza di un ordine cosmico in cui l’uomo possa inserirsi. La struttura del senso — che nell’alto medioevo risultava un tutto ordinato gerarchicamente al cui apice vi era l’uomo, il favorito di Dio, creato a sua immagine e somiglianza (ciò che significava la garanzia di un fondamento per la conoscenza del mondo) — risulta compromessa con l’affermarsi della teologia scolastica nominalista:

La volontà assoluta del principio metafisico [dei nominalisti] è l’equivalente dell’affermazione secondo la quale l’affidabilità del mondo non può essere fondata ed è, quindi, un fatto soggetto alla riserva della revoca.10

L’origine e la conoscenza del mondo è un avvenimento sottratto alla razionalità umana, «per ogni interrogativo sul motivo e sullo scopo della creazione il nominalismo disponeva solo del Quia voluit agostiniano».11 La Creazione dunque è priva di fondamento poiché non è legata ad un modello preesistente per una fattura demiurgica: essa vuole dimostrare la radicalità della volontà di un Dio nascosto e della sua assoluta onnipotenza12 e quest’ultima risulta «un sistema di estrema inquietudine per l’uomo di fronte al mondo».13 Blumenberg coglie la dimensione affettiva dell’esistenza, retta dall’assolutismo teologico, l’estrema inquietudine dell’uomo di fronte ad una realtà non più ordinata al e dal fine divino ma sottoposta al dubbio che l’arbitrio assoluto possa sempre revocarla.

L’autolimitazione di Dio alla potentia ordinata non garantisce il cammino della conoscenza del mondo, poiché se essa implica il mantenimento di un certo ordine voluto da Dio, quest’ultimo non fornisce alcuna indicazione circa il suo contenuto. La potentia ordinata è appellabile solo per il cammino della salvezza, non per la conoscenza. La volontà assoluta del Dio dei nominalisti è accessibile solo attraverso un atto di fede, la fiducia nella salvezza non deve essere traducibile in fiducia razionale nel mondo. Tuttavia, la fiducia nella salvezza tramite la fede, è messa in pericolo, per Blumenberg, dalla concezione teologica nominalista (ma di origine agostiniana) della predestinazione che rende l’atto di fede dell’uomo dominato dalla dimensione affettiva dell’inquietudine di fronte a Dio e all’arbitrio dei suoi piani di salvezza. La formula, secondo la quale «il Creatore non avrebbe compiuto la sua opera ad altro fine se non a quello di dimostrare la propria potenza escludeva totalmente l’uomo dalla determinazione del senso del mondo».14 Blumenberg afferma che attraverso una categoria di spiegazione di fenomeni storici quali il teorema di secolarizzazione andrebbe perduta proprio la caratteristica radicale dell’età moderna, il suo bisogno di contrapporsi — attraverso una risposta storica — all’epoca precedente, il medioevo: la sua legittima «autoaffermazione umana» nei confronti di quello che il filosofo definisce come «l’assolutismo teologico» della tarda scolastica medioevale, caratterizzato dalla concezione nominalistica di un Dio incomprensibile e arbitrario nei confronti dell’uomo

2. L’ermeneutica del «teorema della secolarizzazione»: evento storico e modello, il movimento della storia

Blumenberg considera il «teorema della secolarizzazione» come un modello d’interpretazione dei processi epocali:

La secolarizzazione poté apparire una così plausibile forma di spiegazione di processi storici solo in quanto è largamente possibile ricondurre delle supposte concezioni mondanizzate a un’identità nel processo storico. Naturalmente, secondo la tesi qui sostenuta, quest’identità non è un’identità dei contenuti ma delle funzioni. In determinati luoghi [rioccupazione] del sistema di interpretazione del mondo e di sé da parte dell’uomo, contenuti del tutto eterogenei possono assumere funzioni identiche.15

La «forma di spiegazione»,16 cioè la secolarizzazione come modello ermeneutico di interpretazione dei «processi storici», viene colta da Blumenberg in relazione alla dinamica della rioccupazione, evidenziata dalle risposte dell’epoca del nuovo che hanno l’importante funzione di occupare i luoghi del senso caduti nella crisi epocale precedente:

Ciò che è accaduto prevalentemente, o comunque finora con poche eccezioni specifiche e riconoscibili, nel processo [il processo storico] interpretato come secolarizzazione può essere descritto non come trasposizione [Umsetzung] di contenuti autenticamente teologici nella loro autoalienazione secolare ma come nuova occupazione [Umbesetzung] di posizioni divenute vacanti da parte di risposte le cui relative domande non poterono essere eliminate […] Karl Löwith legittima la secolarizzazione, nella misura in cui per lui essa è pur sempre un fenomeno post pagano.17

Qui Blumenberg evidenzia come il «processo» che consiste nel movimento-evento della storia dell’età moderna (con relative filosofie della storia moderne) venga «interpretato come secolarizzazione». Se il processo storico viene interpretato come secolarizzazione vuol dire che c’è per Blumemberg un modello ermeneutico ben preciso che viene utilizzato a tal fine, e cioè il «teorema della secolarizzazione».18 Quest’ultimo (nell’interpretazione di Blumenberg) è un modello che interpreta, che cerca di comprendere e di dare un senso, un ordine possibile al processo dinamico della storia e cioè nel caso specifico di creare un’«identità dei contenuti», un’«identità del processo storico». La possibilità di creare questa «identità dei contenuti» del processo storico dipende per Blumenberg dalla struttura concettuale del procedimento ermeneutico della secolarizzazione che tende a spiegare e comprendere il fenomeno considerato (es. le moderne filosofie della storia) fondandolo su quello che lo precede.

Nel regresso ermeneutico attraverso la secolarizzazione la comprensione deve imbattersi nelle condizioni di possibilità di ciò che esso pretende in tal modo di rendere comprensibile. […] Il successivo diventa di volta in volta possibile e comprensibile solo presupponendo ciò che l’ha preceduto.19

Il «teorema della secolarizzazione» deve dunque compiere un «regresso ermeneutico» per comprendere i fenomeni del presente storico (per esempio le moderne filosofie della storia). Questo ci indica quale sia la concezione del movimento temporale del processo storico — nell’interpretazione di Blumenberg — sottesa al «teorema della secolarizzazione» e cioè un movimento che procede dal passato verso il presente; infatti Blumenberg ci indica come il «teorema della secolarizzazione» si uniformi sul modello di comprensione del tipo «B è A secolarizzato». Ma è lo stesso Löwith che ci indica come procedere ad un’adeguata analisi della storia che deve «necessariamente procedere a ritroso, proprio perché la storia continuatamene avanza lasciando dietro di sé i presupposti storici delle elaborazioni più recenti».20 In questo caso il movimento temporale del processo storico (la storia che continuamente avanza) procede dal passato verso il presente.

Attraverso la citazione di alcuni passi di La legittimità dell’età moderna, si è voluto evidenziare come Blumenberg interpreti la secolarizazione sia come un modello ermeneutico, il «teorema della secolarizzazione», sia come un movimento-evento della storia, il processo storico che viene interpretato come secolarizzazione. Il modello ermeneutico della secolarizzazione (il «teorema»), nell’interpretazione di Blumenberg, ha messo in evidenza il movimento della storia dal passato al presente sotteso ad esso. Blumenberg oppone a questo modello un movimento della storia che va dal presente verso il passato: questo movimento consiste nella dinamica delle rioccupazioni del senso della storia ad opera delle risposte del presente, dell’epoca in vigore che attraverso contenuti del tutto eterogenei rispetto alla tradizione si oppone nei confronti di tutto il passato.

3. La secolarizzazione per Löwith: l’evento

Löwith considera la «secolarizzazione» come un evento preciso che origina e definisce l’età in cui si trovano le filosofie della storia moderne che sono la «secolarizzazione» stessa (con la loro idea di progresso e futuro rivolto al senso ultimo mondano della storia) dell’escatologismo primitivo, dell’attesa della fine dei tempi intesa come liberazione dai mali del mondo, della provvidenza e della teologia medievale della storia. La coscienza storica moderna delle filosofie della storia, infatti, ha la sua origine nel pensiero biblico, in quanto questa presuppone la prospettiva escatologica verso un compimento futuro:

Se noi dunque affermiamo che la coscienza storica moderna deriva dal cristianesimo, intendiamo soltanto dire che l’escatologia del Nuovo testamento ha aperto una prospettiva verso un compimento futuro, originariamente trascendente e più tardi immanente all’esistenza storica. In conseguenza dell’intuizione cristiana primitiva abbiamo una coscienza storica tanto cristiana nella sua origine quanto anti-cristiana nelle sue conseguenze, poiché ad essa manca la fede che Cristo è il principio di una fine.21

Löwith individua come le filosofie moderne della storia secolarizzino l’attesa del regno di Dio, sostituendola con un’attesa mondana proiettata verso un compimento che avviene in un futuro indeterminato:

L’uomo moderno postcristiano ha concepito una filosofia della storia che secolarizza il principio teologico della storia sacra in un compimento terreno del suo senso.22

Per Löwith, la secolarizzazione è dunque un evento all’interno del processo storico, che egli mette in relazione alla comparsa delle moderne filosofie della storia, infatti nelle premesse al metodo, (esposto nell’introduzione a Significato e fine della storia) che egli si propone di utilizzare per esporre i presupposti teologici delle filosofie della storia, viene proposta la «riduzione analitica di quel composto moderno che è la «filosofia della storia» ai suoi elementi originari». Questi ultimi (gli elementi secolarizzati) sono intrinseci alle filosofie della storia ed è per questo che Löwith pensa come metodo ad una riduzione analitica degli stessi. Egli ci indica come la secolarizzazione sia coincidente con l’inizio del processo storico dell’età moderna: «Il desiderio rivoluzionario di realizzare il regno di Dio è il punto decisivo di ogni formazione progressiva e l’inizio della storia moderna».23

4. Il sistema di rioccupazione della dogmatica patristica

Blumenberg delinea il movimento dei processi della storia attraverso il sistema della rioccupazione nelle svolte epocali: in questa interpretazione dei passaggi storici dal «vecchio» al «nuovo», la fonte o l’influsso sul presente, (rappresentato dalla risposta del nuovo storico) di una idea proveniente dal passato viene storicizzata risalendo allo strato dei problemi latenti che nel sistema di interpretazione del mondo precedente venivano avvertiti in modo pressante:

In questa prospettiva il nuovo epocale non può diventare da sé e direttamente un evento gravido di conseguenze […] Piuttosto, esso può affermarsi e accrescere gradualmente il proprio significato solo a misura che sa o promette di risolvere un problema che nel sistema sincronico delle domande e risposte canonizzate di un mondo della vita veniva avvertito come un’esigenza pressante.24

Questa riflessione dell’ermeneuta Jauss si riferisce alla blumenberghiana logica ermeneutica di domanda e risposta. Jauss, poi, continuando la propria argomentazione, compie una riflessione sulla svolta epocale che introduce l’era cristiana:

La nuova dottrina [il cristianesimo] deve farsi carico dell’eredità dell’antica non solo alla condizione di occupare tutte le posizioni del modello cosmico finora vigente, comprese quelle vuote, ma anche di formulare nuove domande là dove la risposta appare tanto evidente e irrefutabile da aver fatto sparire la domanda a cui rispondeva. La domanda riproposta in una forma nuova consente allora di mantenere la risposta, interpretandola però in maniera diversa o «migliore». Con ciò il concetto di epoca e in particolare la «svolta epocale» («ecco, tutte le cose sono fatte nuove»).25

Jauss, citando una riflessione di Blumenberg tratta dal saggio «Kritik und Rezeption antiker Philosophie in der Patristik», evidenzia come «tutto ciò che è nuovo deve presentarsi come risposta», «così il cristianesimo [patristico] trasformò in domanda tutti i punti della vecchia tradizione dei quali pensava di poter essere la risposta». Il «nuovo» epocale e cioè la svolta epocale, in questo caso attuata dal cristianesimo patristico, deve necessariamente farsi carico dei problemi ereditati dal sistema del senso della spiegazione del mondo precedente, l’ellenismo greco entrato in crisi a causa del sistema mitico della gnosi tardo antica. Blumenberg, seguendo il pensiero di Adolf von Harnack, sostiene che la dogmatica patristica (Sant’Agostino) si è originata dallo scontro con un altro sistema d’interpretazione del mondo, la gnosi dogmatica paleocristiana di Marcione. Quest’ultimo, per risolvere le contraddizioni della prima teologia che si stava dogmatizzando, aveva rilevato come quella presentasse il proprio Dio come il creatore onnipotente fondandovi la fiducia dell’uomo nel mondo, ma nello stesso tempo facesse della distruzione del mondo e della salvezza dell’uomo l’azione centrale di questo unico Dio. Questa appunto era la difficoltà che Marcione rilevava nel Cristianesimo che andava costituendosi dogmaticamente anche nell’ambiente greco. Lo schema gnostico dualistico del dio buono straniero, portatore di redenzione e del cattivo demiurgo creatore del mondo, fornì a Marcione la base per risolvere le contraddizioni teoriche della teologia. Il prezzo di ciò, spiega Blumenberg, fu la negativizzazione della metafisica del cosmo dei greci e la distruzione della fiducia nel mondo che si sarebbe potuta sanzionare tramite il concetto di Creazione. Tutto ciò grazie proprio all’intervento creatore del cattivo demiurgo gnostico:

Formulato in termini più ampi, ciò corrisponde alla tesi per cui la formazione del medioevo può essere compresa solo come tentativo di garantirsi definitivamente dalla sindrome gnostica. Recuperare il mondo come Creazione dalla negativizzazione della sua origine demiurgica e salvare la sua antica dignità di cosmo [stoico] trasferendola nel sistema cristiano, ecco lo sforzo centrale che a partire da Sant’Agostino giunge fino all’alta scolastica.26

Lo gnosticismo provoca una crisi del senso del mondo dovuta alla forte negativizzazione del cosmo della metafisica greca che dovrà essere poi risolta dalla dogmatica patristica. Il recupero di elementi ellenistici all’interno della dogmatica patristica e cioè «la formula stoica secondo la quale il mondo sarebbe stato creato a favore dell’uomo è ampiamente accolta dalla patristica».27 Questo, spiega Blumenberg, fece dimenticare alla teologia che ci si era aspettati la salvezza proprio dalla distruzione del mondo e del cosmo. Infatti, il non verificarsi della parusia, abilitava di fatto la vita in quel mondo di cui ci si aspettava la necessaria fine. Per recuperare la fiducia nel mondo da parte dell’uomo, la patristica si orienterà verso la metafisica dell’ordine cosmico stoica concepita come provvidenza divina. Ma il problema che si trovò ad affrontare la patristica, in questo recupero della provvidenza stoica, fu proprio la crisi del senso e dell’ordine del cosmo e del mondo stoici e della metafisica greca provocata dalla gnosi mitica di Marcione. A differenza degli antichi greci gli gnostici vedono il mondo come qualcosa di buio, demoniaco e malvagio. Un atteggiamento di fondo segnato dall’angoscia e dalla negazione. Come insegna Hans Jonas nel saggio «Gnosticismo, esistenzialismo e nichilismo» che Blumenberg dimostra di conoscere bene: «Il logos cosmico degli Stoici, che era identificato con la provvidenza, è sostituito dall’heimarméne (gnostico), il fato cosmico oppressivo».28 Difatti per Jonas lo gnosticismo è un sistema di pensiero nichilistico, egli lo caratterizza in tal senso grazie alla retrodatazione dell’analitica esistenziale di Heidegger su strutture di pensiero gnostiche. In questo senso si può cogliere l’analogia della dimensione affettiva del nichilismo gnostico di Jonas con la «perdita di fiducia nel mondo» e con la negativizzazione del cosmo greco operata dallo gnosticismo di Marcione tematizzate da Blumenberg. Il problema dello gnosticismo risulta di fondamentale importanza nella riflessione di Blumenberg in quanto rappresenta una sorta di sottosistema latente che percorre tutto il medioevo da Sant’Agostino al nominalismo di Occam; infatti la gnosi non superata dalla dogmatica patristica all’inizio dell’epoca medievale viene trasposta nella figura del Dio nascosto dei nominalisti caratterizzato da una incomprensibile volontà assoluta nei confronti dei credenti. Ed è con quest’ultima che la legittima autoaffermazione umana si dovrà contrapporre. Blumenberg, infatti, caratterizza l’epoca moderna come il secondo superamento riuscito della gnosi dopo il fallimento del primo superamento operato dalla dogmatica patristica.29

A questo punto «Il mito fondamentale [gnostico] […] non si limita a sparire con l’epoca alla quale appartiene, ma sfida l’epoca successiva a soddisfare i bisogni che esso aveva destato» a causa della sua negativizzazione del cosmo.30 Per fa ciò la dogmatica patristica è costretta ad orientare complessivamente il senso del mondo a propria immagine, trasformando e manipolando le domande ereditate inevase sovrapponendo ad esse delle risposte corrispondenti ad un canone di domande che la patristica formulava per la prima volta grazie all’orientamento dell’unica verità assoluta della rivelazione di Cristo:

Il secondo strumento con cui la dogmatizzazione [patristica] interpreta se stessa sta nel concepire enunciati esclusivamente come risposte a domande, il cui repertorio essa considera, per così dire, come un cosmo ideale. Ma allora già le proposizioni della filosofia antica dovevano contenere delle risposte che, benchè inadeguate, erano tuttavia unicamente riferite a questo insieme di domande . Inevitabilmente il linguaggio delle nuove risposte dovette essere riferito alla esplicazione - già attuata preventivamente - delle domande. […] [questo] dette certezza alla supposizione che nella dottrina della Chiesa era stata data risposta a fondamentali e immutabili interrogativi sull’uomo, e che l’ipertrofia gnostica rappresentava semplicemente un tentativo confuso e fallito nella stessa direzione - lo gnosticismo, si può dire, non ha capito le domande, così da poter dare le risposte.31

Circa l’origine dei problemi inerenti alla legittimità dell’età moderna (alla quale, secondo Blumenberg, verrebbe contestata, attraverso il «teorema della secolarizzazione», la possibilità di essere un’epoca con contenuti di pensiero autenticamente legittimi) è istruttivo «osservare che la concezione della proprietà originaria delle idee e le relative accuse di ingiustizia vengono già utilizzate nella polemica e nell’apologetica [del cristianesimo della dogmatica patristica] che accompagnano il processo del recupero di elementi antichi [dell’antica dignità del cosmo stoico] da parte del cristianesimo».32 Motivare la legittimità del possesso dei contenuti delle idee, continua Blumenberg, è «lo sforzo elementare nella storia del nuovo o di ciò che si dà per nuovo». La dogmatica del cristianesimo patristico, per risolvere la crisi del senso (e cioè il fatto che si sia perduta l’antica fiducia nel mondo stoica che dovrà essere in seguito recuperata dalla patristica stessa) causata dalla negativizzazione del cosmo greco ad opera dello gnosticismo, a partire dall’impulso principale di questa crisi (cioè la mancata parusia33) ha rivendicato nei confronti di tutta la filosofia antica e dello gnosticismo mitico il possesso legittimo della assoluta verità (tramite la rivelazione di Cristo), contestando ad essi anche l’appartenenza di quelle verità (la provvidenza stoica) che la patristica aveva re-cuperato nella propria «struttura di senso» per contrastare la gnosi di Marcione. La mancata parusia costrinse la patristica dogmatica a ri-orientare il senso del mondo che continuava ad esistere; per fare questo dovette ri-creare la fiducia nel mondo di cui ci si aspettava la fine, recuperando gli elementi pagani stoici, (secondo i quali il mondo sarebbe stato creato a favore dell’uomo) che erano stati messi in crisi dalla gnosi tardo antica di Marcione, e rielaborandoli con elementi patristici:

La formula stoica secondo la quale il mondo sarebbe stato creato per l’uomo è ampiamente accolta dalla Patristica e fa dimenticare che ci si era aspettati la salvezza dell’uomo precisamente dalla distruzione del cosmo. Il concetto della provvidenza, per quanto estraneo al mondo delle concezioni bibliche, viene assimilato come patrimonio teologico e trasformato in un elemento antignostico essenziale.34

La ri-occupazione patristica della struttura del senso attraverso la sua nuova risposta («tutto ciò che è nuovo deve presentarsi come risposta» e deve risolvere una crisi del senso precedente ri-creandone quindi uno nuovo, re-interpretando, in questo caso, elementi stoici dell’epoca precedente) consiste nel far apparire gli elementi della metafisica pagana come illegittimi rispetto agli autentici possessori, gli stoici:

Il trucco di presentare i filosofi come segreti discepoli della Bibbia ricorre continuamente nella letteratura patristica e nega anche le dipendenze più manifeste in quanto le rovescia presentandole come restituzione di una proprietà alienata in tempi molto anteriori. Riguardo alla dottrina stoica, assimilata fino a diventare banalità, secondo la quale il cosmo esisterebbe per gli uomini, Ambrogio da Milano formula la domanda retorica: «Unde hoc, nisi de nostri scripturis dicendum adsumpserunt?»35

Il motivo della legittimità del possesso dell’unica verità assoluta, in questo caso una verità religiosa, implica una competenza esclusiva. Difatti, un Dio che rivela agli uomini qualcosa che essi già conoscono, (gli elementi della metafisica greca re-interpretati poi dalla dogmatica patristica) mette in una luce equivoca la necessità della Sua rivelazione, e quindi il valore di esclusività per i Suoi fedeli:

Perciò [spiega di seguito Blumenberg] deve esserci secolarizzazione, quella anticipatrice del furto sacrilego commesso dalla filosofia nei confronti della Bibbia, quella postuma dell’Idealismo tedesco.36

La ri-occupazione del senso messa in atto dalla patristica nei confronti dell’ambiente ellenistico, consiste — nell’interpretazione di Blumenberg — in un trucco; una manipolazione-occupazione forzata dalla crisi del senso dell’ellenismo a causa della sua negativizzazione operata dallo gnosticismo. A questo punto si fa chiaro come il fenomeno storico della ri-occupazione patristica riduca tutto il senso del mondo precedente a propria immagine e somiglianza, riducendolo ad un’unità sostanziale di verità che si ri-orienta e si legittima grazie al possesso da parte della patristica dell’unica verità, la rivelazione.37

5. Il fenomeno della secolarizzazione nasconde una rioccupazione del senso della storia

Non a caso Blumenberg accosta la proposizione: «perciò deve esserci secolarizzazione» con il sistema dogmatico della patristica e il sistema dogmatico dell’idealismo tedesco, infatti per entrambi i sistemi di pensiero l’unica verità della storia è la rivelazione di Cristo che nell’idealismo hegeliano rappresenta l’unica verità dello spirito assoluto che poi la filosofia di Hegel dovrà mondanizzare, far sua. L’importante è comunque evidenziare come anche l’idealismo sia una forma di sostanzialismo, in quanto i fenomeni storici del mondo vengono orientati dalla struttura trascendentale e immanente dello spirito assoluto, che li conduce necessariamente al sapere assoluto della religione cristiana e poi attraverso gradi di sintesi verso la mondanizzazione della filosofia di Hegel. Il fatto che Blumenberg accosti, nella citazione sopra, l’idealismo tedesco e la religione cristiana con la «secolarizzazione» ci fa capire essenzialmente due cose:

La prima è che Blumenberg considera la «secolarizzazione» come un caso speciale di sostanzialismo in quanto crea continuità e identità di contenuti nel processo storico. L’identità e la continuità dei contenuti storici sarebbero provocate e meglio identificate dal fenomeno della ri-occupazione nelle svolte epocali (per esempio il sistema dogmatico della patristica) che ri-orienta i significati complessivi delle epoche precedenti ri-duncendoli ad una sorta d’unità sostanziale attraverso il presente, (la risposta del nuovo storico è radicata nel presente), che proietta la propria immagine epocale su tutto il passato; e dunque si creerebbe, grazie a questo, una continuità sostanziale di contenuti storici che il «teorema della secolarizzazione» interpreta utilizzando una concezione temporale a partire dal passato38 in direzione del presente. Ma qui sta il problema, evidenziato implicitamente da Blumenberg, in quanto in questo modo i contenuti delle entità teologiche che il «teorema della secolarizzazione» di Löwith individua finirebbero per influire eccessivamente, con le loro strutture di senso, sui contenuti di pensiero dell’epoca moderna. A fronte di questo problema, Blumenberg oppone una concezione del movimento della storia e dei suoi contenuti decisamente opposto, come dire rovesciato: il sistema della rioccupazione che si funzionalizza a partire dalla risposta ri-occupazionale del presente epocale in vigore verso il passato. Quest’ultimo modello è utilizzato da Blumenberg a salvaguardia delle differenze epocali, difatti in questo modo il processo storico può essere considerato come un susseguirsi di nuove risposte di successivi e sempre diversi presenti storici che decidono le svolte epocali a causa della crisi del senso precedente.39

La seconda è da mettere in relazione alla critica di Blumenberg nei confronti di Löwith. Infatti Blumenberg mette in evidenza come il «teorema della secolarizzazione» utilizzato per interpretare l’origine dell’età moderna sia «un caso speciale di sostanzialismo storico, in quanto il successo teoretico si fa dipendere dalla dimostrazione di costanti nella storia»:40

Löwith riprende l’autoconcezione dell’Idealismo tedesco relativamente alla sua posizione storica e alla sua prestazione come tesi oggettiva sull’origine del concetto moderno della storia. Per Löwith, con la teoria hegeliana dell’abolizione della fase storica cristiano-protestante nella costituzione fondamentale del mondo spirituale e politico moderno e soprattutto nella sua coscienza costitutiva della libertà soggettiva, «il divenire della salvezza viene proiettato sul piano della storia del mondo e quest’ultima viene innalzata al piano del primo». Se il processo storico fosse l’autorealizzazione della ragione, allora ciò che si presenta esteriormente come discontinuità della mondanizzazione dovrebbe possedere, secondo la sua logica immanente, una continuità. La secolarizzazione avrebbe allora condotto la preistoria teologica alla sua configurazione definitiva. La ragione omogenea della storia può essere oggettivata solo da un punto di vista parziale come fattore o risultato della secolarizzazione.41

Qui il fenomeno moderno della «secolarizzazione», interpretato dal modello ermeneutico del «teorema della secolarizzazione» di Löwith, viene metaforizzato e paragonato da Blumenberg ad una specie di unità sostanziale che, interiormente al processo storico (quest’ultimo è «ciò che si presenta esteriormente come discontinuità della mondanizzazione») crea «continuità nella storia» e che in un certo senso la guida utilizzando quelle entità teologiche (come — ma in diversi ambiti storici — nella teologia patristica e successivamente nell’idealismo hegeliano) grazie all’unica verità della rivelazione; tali entità teologiche poi si sarebbero in seguito secolarizzate (nell’interpretazione di Löwith), negli elementi costituenti dell’epoca moderna.

Il modello ermeneutico del «teorema della secolarizzazione» di Löwith viene accostato da Blumenberg — come abbiamo visto — alla filosofia della storia di Hegel che concepisce il processo storico in modo evolutivo progrediente dal passato in direzione del futuro. Questo ci indica quale sia nell’interpretazione di Blumenberg il movimento dei «contenuti storici» sotteso all’ermeneutica della secolarizzazione: una dinamica degli stessi che, partendo dal passato attraverso il dogma dell’unica verità della rivelazione, si direziona verso il presente, proprio come accade nel movimento della storia, concepito nei sistemi di pensiero patristico e dell’idealismo tedesco, che nasconderebbero in realtà per Blumenberg una ri-occupazione e ri-distribuzione dei contenuti del senso della storia a partire dal loro presente in vigore e che si proietterebbero in questo modo su tutto il passato riducendolo a propria immagine.42

6. L’ermeneutica del «teorema della secolarizzazione» si configura sul modello dell’autoconcezione storica della filosofia di Hegel

Il modello ermeneutico del «teorema della secolarizzazione» che legge e interpreta le moderne filosofie della storia orientandone la comprensione attraverso entità teologiche e utilizzando in questo processo un modello formale d’interpretazione «B è A secolarizzato» (che evidenzia come la storia interpretata dal «teorema della secolarizzazione» si trovi ridimensionata secondo Blumenberg a movimento univoco tra due poli, nel quale ogni mutamento è un cambiamento all’interno dell’unità di sostanza) sembrerebbe configurarsi come lo strumentario dell’«autoconcezione» storica dell’idealismo hegeliano. Quest’ultimo si presenta come programma di una secolarizzazione-mondanizzazione della conoscenza, che poté essere formulato in origine grazie all’evidenza della rivelazione. La secolarizzazione-mondanizzazione designa in questo modo tutto ciò che, in virtù di un processo evolutivo progrediente a partire dalla rivelazione (la verità dello spirito assoluto), ha potuto muoversi dalla sua origine e che ora la ragione umana (la filosofia di Hegel) può fare oggetto di comprensione:

La secolarizzazione riguarda processi spirituali che originariamente furono resi possibili tramite la fede, ma che poi vengono compiuti dall’uomo per mezzo delle capacità di cui può disporre.43

È in questo che si trova configurato, secondo Blumenberg, il modello ermeneutico del teorema di secolarizzazione di Löwith che sposta la sua attenzione dalla nascita della modernità alla fine dell’antichità, e vede nella sostituzione della temporalità ciclica dei greci con l’idea unilineare di un progresso senza fine — quest’ultimo secolarizzazione dell’idea cristiana della storia della salvezza guidata dalla provvidenza — una frattura epocale che decide tanto per il medioevo quanto per l’età moderna:

La mondanizzazione del Cristianesimo, e il suo passaggio alla modernità, divenne per Löwith una differenziazione relativamente insignificante, non appena egli ebbe colto l’unica frattura epocale che avesse prodotto in un solo atto la decisione per il Medioevo e l’età moderna: l’allontanamento dal cosmos pagano dell’antichità e dalla sua struttura ciclica protettiva e l’adesione all’azione temporale unica di tipo biblico cristiano.44

Ciò nasconderebbe per Blumenberg una visione sostanzialistica della storia in quanto la coscienza moderna delle filosofie della storia (e la loro idea di progresso) viene orientata e compresa come mondanizzazione di quelle entità teologiche concepite grazie alla verità assoluta e dogmatica dell’unica verità della storia, la rivelazione; quest’ultima finirebbe per dare una struttura del senso unica a tutta la storia compresa dall’inizio del medioevo sino all’epoca moderna; proprio come nell’esempio evidenziato da Blumenberg della sua utilizzazione manipolante ad opera del sistema ri-occupazionale della dogmatica patristica, messa in relazione in questo all’idealismo tedesco. Tutto questo farebbe perdere l’autentica e legittima struttura del senso, che l’epoca moderna crea attraverso la propria risposta d’autoaffermazione razionale nei confronti della crisi provocata dall’assolutismo teologico del nominalismo tardo medioevale.

7. Blumemberg cerca di «dimostrare il motivo dell’apparenza di secolarizzazione nella struttura della rioccupazione»

Blumenberg per salvaguardare ad ogni costo la legittimità dell’età moderna — che la renderebbe un’epoca originale per quanto riguarda i contenuti del pensiero a partire proprio dalla sua risposta alla crisi del senso provocata dall’assolutismo teologico del nominalismo tardo medievale, — contesta il «teorema della secolarizzazione» di Löwith. Questi teorizza la comprensione dei fenomeni all’interno del processo storico proprio orientandoli e illuminandoli attraverso entità teologiche derivanti dal concetto dogmatico della verità della rivelazione (come in diversi ambiti storici nella teologica patristica e nell’idealismo hegeliano) che le filosofie della storia secolarizzano, secondo Löwith, nei loro elementi contenutistici. Blumenberg cerca di «dimostrare il motivo dell’apparenza di secolarizzazione nella struttura della rioccupazione».45

Naturalmente, secondo la tesi qui sostenuta, quest’identità non è un’identità dei contenuti [come nel teorema della secolarizzazione] ma delle funzioni. In determinati luoghi del sistema di interpretazione del mondo e di sé da parte dell’uomo contenuti del tutto del tutto eterogenei possono assumere funzioni identiche.46

L’imbarazzo dell’apparenza dell’identità dei contenuti storici che sembrerebbero esserci nel «teorema della secolarizzazione» e nel suo tematizzato fenomeno della secolarizzazione dipende per Blumenberg proprio dalla logica di domanda e risposta della rioccupazione nelle svolte epocali.

Abbiamo visto precedentemente come Blumenberg interpreti la svolta epocale patristica come una rioccupazione nei confronti di tutto il mondo del senso della filosofia antica creando retrospettivamente un’unità sostanziale a propria immagine utilizzando la verità della rivelazione; a questo punto l’imbarazzo dell’identità dei contenuti storici rilevato, e che il «teorema della secolarizzazione» tematizza, sembrerebbe essere causato per Blumenberg dal fenomeno della rioccupazione che proietta a posteriori in direzione del passato la nuova risposta radicata nel presente che deve risolvere — anche manipolando — una crisi del senso precedente, coprendo con la nuova struttura del senso tutto il passato storico che viene in questo modo ridotto ad un’unità sostanziale di significati nuovi e re-interpretati alla luce della nuova svolta epocale.

Il lavoro fin qui svolto ha voluto evidenziare come la disputa sulla secolarizzazione tra Blumenberg e Löwith sia originata da un conflitto d’interpretazioni sul movimento dei «contenuti» storici, sostanzialmente diverse. Un conflitto che pare radicarsi all’interno dell’interpretazione stessa che Blumenberg dà del «fenomeno» di secolarizzazione e del «teorema della secolarizzazione» di Löwith che vengono appunto spiegati secondo un’ermeneutica dei processi storici e dei loro contenuti di pensiero che li orienterebbe grazie ad una concezione dinamica degli stessi che partendo dal passato si troverebbero ricompresi nell’orizzonte di senso del presente. A questo Blumenberg oppone come abbiamo argomentato un’ermeneutica dei processi storici opposta: sono i diversi presenti ri-occupazionali del senso della storia che la ri-orientano a propria immagine, a partire dal presente verso il passato; questo per risolvere una crisi del senso dell’epoca precedente.

8. Una congettura: «B è A secolarizzato»

Polemizzando con Löwith, Blumenberg sostiene che il «teorema della secolarizzazione» è un procedimento che fa dipendere il successo teoretico dalla dimostrazione di costanti nella storia. La relazione che il teorema ermeneutico stabilisce è quella univoca tra un punto di partenza e un punto di arrivo, formalizzabile con il modello esplicativo del tipo «B è A secolarizzato»: «il successivo diventa di volta in volta possibile e comprensibile solo presupponendo ciò che la preceduto».47 Nell’introduzione a Significato e fine della storia, Löwith evidenzia il metodo che propone di utilizzare per argomentare i presupposti teologici delle moderne filosofie della storia. Egli sostiene che «un’adeguata analisi della storia […] deve necessariamente procedere a ritroso[…] La coscienza storica non può cominciare altro che da se stessa, benché il suo intento sia quello di rendere attuale il pensiero di altre epoche».48 Successivamente, Löwith mette in luce come la lettura del passato sia sottoposta ai pregiudizi del presente e come la storia venga reinterpretata dalle generazioni viventi; perciò, egli sostiene, si rende necessario «il metodo di risalire dalle moderne interpretazioni profane della storia al loro antico modello religioso», poiché ci troviamo alla fine del pensiero storico moderno e i nostri concetti sono ormai consunti per sperare da essi un saldo appoggio:

Per «risalire alla fonte originale dei complessi risultati del nostro pensiero» […] Ciò non si può ottenere con un salto fantastico nel cristianesimo primitivo […], ma soltanto attraverso una riduzione analitica di quel composto che è la «filosofia della storia» ai suoi elementi originari.49

Il metodo di Löwith evidenzia come l’esposizione storica debba seguire un procedimento regressivo: risalire dal presente (le moderne filosofie della storia) al passato (il modello del cristianesimo primitivo e quello teologico) perché necessariamente il presente si trova nell’orizzonte storico del proprio pregiudizio che orienta una comprensione storica dei fenomeni e dunque non si può effettuare un «salto fantastico» nel cristianesimo primitivo; questo significherebbe non riconoscere i propri pre-giudizi di orientamento ermeneutico. L’analisi di Löwith, infatti, si propone di partire dal presente e cioè «attraverso una riduzione analitica di quel composto moderno che è la filosofia della storia ai suoi elementi originari». La «riduzione analitica» è un procedimento invertito che cerca di decostruire la pre-comprensione della coscienza storica moderna riducendola ai suoi modelli originari. Nella pagina seguente a questa premessa metodologica, Löwith mette in luce come la teologia e la filosofia pongono problemi che non sono suscettibili di una soluzione empirica. Questi problemi, come la ricerca dell’essere primo e ultimo delle cose, rimangono irrisolvibili:

D’altro lato la storia, anche soltanto riguardo ad un significato ultimo, può però apparire priva di senso. Si possono avere delusioni solo ove ci si aspetti qualcosa. Ma la stessa impostazione della ricerca del senso o del non senso della storia [delle filosofie della storia moderne] è già condizionata storicamente: il pensiero ebraico e cristiano hanno sollevato questa smisurata questione.50

Qui Löwith sembrerebbe orientare — compiendo il «salto fantastico» — la propria comprensione delle filosofie della storia moderne illuminandole direttamente con la concezione del pensiero ebraico e cristiano, tematizzata nella ricerca del senso ultimo delle cose. Il successivo (le filosofie della storia) diventa comprensibile, si potrebbe auspicare, proprio orientandolo grazie ad un fenomeno precedente sul modello «B è A secolarizzato»

9. Le attese e i bisogni totalizzanti: la «funzione della coscienza»

La teologia cristiana medievale pre-nominalista aveva concepito, all’interno della propria struttura del senso, delle fondamentali attese sul mondo e sull’uomo garantite dall’ordine metafisico di Dio. Per la teologia non c’era alcun bisogno che vi fossero questioni insolubili sulla totalità del mondo e della storia, sull’origine dell’uomo e sul destino della sua esistenza. Essa aveva introdotto nuovi luoghi del senso del mondo, luoghi difficilmente occupabili se non si faceva riferimento a fonti trascendenti. La crisi del senso e dell’ordine provocata dal nominalismo di Occam — nell’interpretazione di Blumenberg — metterà in dubbio proprio la struttura dell’ordine e del senso totalizzanti della teologia pre-nominalista e del primo medioevo. Il senso totalizzante della teologia del primo medioevo con le proprie aspettative e bisogni inevasi a causa della crisi provocata dal nominalismo, costituisce l’eredità e il luogo del senso da riempire-occupare a partire dall’età moderna, quest’ultima descritta da Blumenberg attraverso il modello della rioccupazione e della logica di domanda e risposta:

La continuità della storia al di là della soglia epocale non consiste nella sopravvivenza di sostanze ideali, ma nell’ipoteca di problemi che essa impone: sapere anche, e nuovamente, ciò che un tempo è già stato saputo. […] Così, manifestatamene, non è stato possibile per l’età moderna rifiutare la risposta all’interrogativo [di provenienza teologica] sull’insieme della storia. In questo senso la filosofia della storia è il tentativo di rispondere a un interrogativo medievale con mezzi disponibili dopo il Medioevo.51

La risposta delle filosofie della storia all’interrogativo sull’insieme della storia si compie per Blumenberg attraverso l’idea di progresso che non proviene da entità teologiche di cui l’idea di progresso sarebbe la secolarizzazione, ma da origini completamente diverse:

Il sorgere dell’idea di progresso e il suo subentrare al posto della storia totale delimitata da creazione e giudizio universale sono dunque due processi distinti. La concezione della nuova occupazione non spiega da dove derivi l’elemento nuovamente insediato, ma solo quale consacrazione esso riceva.52

L’idea di progresso delle filosofie della storia occupa la «funzione della coscienza» religiosa che era stata svolta dal quadro della storia della salvezza tra creazione e giudizio universale. Questa funzione svolta dall’idea di progresso si compie all’interno della svolta epocale moderna definita come epoca dell’«autoaffermazione umana». Blumenberg mette in discussione che i moderni concetti utilizzati all’interno delle filosofie della storia, sospettati dal «teorema della secolarizzazione» di Löwith di essere delle entità secolarizzate, provengano da una distorsione deformante di una sostanza teologica: questi concetti sono qualcosa di completamente diverso da un contenuto teologico, ma non nella loro funzione. Il fatto che essi assumano la stessa funzione delle entità teologiche significa, per Blumenberg, che nel sistema delle possibili asserzioni sul mondo e sull’uomo, essi prendono quei luoghi della risposta agli interrogativi dell’aspettativa e del bisogno di senso che precedentemente erano occupati dai contenuti teologici. La funzione svolta dai concetti moderni, sta nel rispondere con nuovi contenuti alle aspettative totalizzanti di significati ereditate dalla crisi teologica nominalista dell’epoca tardo medievale.

10. Bibliografia

Testi principali

  • Hans Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, Marietti, Genova, 1992.
  • Hans Blumenberg, Elaborazione del mito, il Mulino, Bologna, 1991.
  • Hans Blumenberg, «Kritik und Rezeption antiker Philosophie in der Patristik» in Ästhetische und metaphorologische Schriften, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 2001
  • Karl Löwith, Significato e fine della storia, il Saggiatore, Milano, 1998.
  • Karl Löwith, Storia e fede, Laterza, Roma-Bari, 2000.

Testi di riferimento e letteratura secondaria

  • aut aut, 222, 1987, dedicato a Karl Löwith. Scetticismo e storia.
  • Andrea Borsari (a cura di), Hans Blumenberg Mito, metafora, modernità, il Mulino, Bologna, 1999.
  • Rudolf Bultmann, Storia ed escatologia, Queriniana, Brescia, 1989.
  • Rudolf Bultmann, Teologia del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 1985.
  • Oscar Cullmann, Cristo e il tempo, il Mulino, Bologna, 1965.
  • Orlando Franceschelli, Karl Löwith Le sfide della modernità tra Dio e nulla, Donzelli Editore, Roma, 1997.
  • Carlo Gentili, A partire da Nietzsche, Marietti, Genova, 1998.
  • Carlo Gentili, Ermeneutica e metodica, Marietti, Genova, 1996.
  • Hans Robert Jauss, Esperienza estetica ed ermeneutica letteraria, il Mulino, Bologna, 1988.
  • Giacomo Marramao, Potere e secolarizzazione, Editori Riuniti, Roma, 1983.
  • Giacomo Marramao, Cielo e terra, Laterza, Roma-Bari, 1994.

  1. Hans Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, p. 71. ↩︎

  2. Ibidem, pp. 74-75. ↩︎

  3. Ibidem, p. 153. ↩︎

  4. Ibidem, p. 143. ↩︎

  5. Ibidem, p. 143. ↩︎

  6. Ibidem, p. 159. ↩︎

  7. Ibidem, p. 159. ↩︎

  8. Ibidem, p. 160. ↩︎

  9. Ibidem, p. 160. ↩︎

  10. Ibidem, p. 156. ↩︎

  11. Ibidem, p. 157. ↩︎

  12. Ibidem, p. 159. ↩︎

  13. Ibidem, p. 158. ↩︎

  14. Ibidem, p. 181. ↩︎

  15. Hans Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, p. 70. ↩︎

  16. Blumenberg definisce la secolarizzazione anche come «strumento ermeneutico», La legittimità dell’età moderna, p. 35. ↩︎

  17. Hans Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, pp. 71 e 36. ↩︎

  18. L’espressione «teorema della secolarizzazione» compare anche nel titolo di un capitolo all’interno della prima parte di La legittimità dell’età moderna, «L’anacronismo moderno del teorema della secolarizzazione». ↩︎

  19. Hans Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, p. 24. ↩︎

  20. Karl Löwith, Significato e fine della storia, p. 22. ↩︎

  21. Karl Löwith, Significato e fine della storia, p. 225. ↩︎

  22. Karl Löwith, Storia e fede, p. 130. ↩︎

  23. Questa citazione si riferisce ad una frase pronunciata da Schlegel che Löwith inserisce più volte nei saggi raccolti in Storia e fede, p. 131. ↩︎

  24. Hans Robert Jauss, Esperienza estetica ed ermeneutica letteraria, vol, II p. 82. ↩︎

  25. Ibidem, p. 83 ↩︎

  26. Hans Blumenberg La legittimità dell’età moderna, p. 136. ↩︎

  27. Ibidem, p. 138. ↩︎

  28. Hans Jonas, Lo gnosticismo, Torino, SEI, 1991, p. 343. ↩︎

  29. Sulla dinamica della svolta epocale patristica nei confronti dello gnosticismo di Marcione argomentata da Blumenberg con il concetto di rioccupazione e la logica di domanda e risposta è fondamentale la lettura del sesto capitolo della seconda parte della Elaborazione del mito, «Mito fondamentale e mito d’arte». ↩︎

  30. Hans Blumenberg, Elaborazione del mito, p. 235. Blumenberg evidenzia in questa pagina come il cristianesimo patristico abbia dovuto soddisfare i «bisogni» che esso aveva raccolto attraverso la sfida allo gnosticismo. I «bisogni» inerenti ad una spiegazione del mondo che la patristica doveva risolvere per la crisi del senso dovuta alla negativizzazione del cosmo degli antichi operata dalla gnosi e per la perdita di fiducia dell’uomo in esso: «(la gnosi) sfida l’epoca successiva a soddisfare i bisogni che essa aveva destato», aprendo «il quadro di posizioni per le possibili e necessarie «rioccupazioni» «della patristica. ↩︎

  31. Hans Blumenberg, Elaborazione del mito, p. 230. ↩︎

  32. Hans Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, p. 76. ↩︎

  33. La forza di persuasione della gnosi nei confronti dell’antico cristianesimo risiedeva nel fatto che nel sistema di pensiero gnostico la fine del mondo, secondo la promessa escatologica di Cristo doveva essere imminente; il mondo era degno di essere distrutto in quanto cellula demoniaca creata dal cattivo demiurgo. Dunque se il mondo doveva essere imminentemente distrutto dal dio straniero buono, era irrilevante occuparsi della questione della Creazione del mondo e del Signore, della sua storia se tutto doveva finire. Il non verificarsi della parusia attesa ed il mondo che si rilevò più duraturo di quanto ci si aspettasse, attirò nuovamente su di sé le antiche questioni della sua origine e della sua affidabilità . La decisione della dogmatica patristica contro la gnosi, spiega Blumenberg, risiedette nell’insopportabilità della coscienza che il mondo continuava ad esistere ed era allo stesso tempo la prigione del male creata dal cattivo demiurgo gnostico: «L’originario pathos escatologico contro la stabilità del mondo si trasformò in un nuovo interesse (metafisico) per lo stato del mondo» e la sua Creazione. ↩︎

  34. Hans Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, p. 138. ↩︎

  35. Ibidem, p. 76. ↩︎

  36. Ibidem, p. 77. ↩︎

  37. Sullo sfondo dell’esigenza della patristica di una dimostrazione della partecipazione alla verità da parte della filosofia antica, secondo Blumenberg c’è una forma di platonismo in quanto «ciò che è vero lo è in virtù di un rapporto di discendenza come copia rispetto a un archetipo di verità che viene identificato con Dio». Gli autori cristiani rivendicavano il vero che trovavano già nei filosofi dell’Antichità è che ora è confermato grazie all’unica verità della rivelazione. Quest’ultima avvia una nuova formazione della storia definitiva e che restituisce a posteriori attraverso una relazione genetica di appartenenza, l’autentica verità al mondo greco e alle sue inconsapevoli e pagane (la metafisica stoica) anticipazioni. Un tale residuo platonico, per Blumenberg, si trova nel contenuto della secolarizzazione, in quanto il lavoro del filosofo della storia attraverso la sua individuazione svelerebbe la derivazione della «copia» (ciò che è secolarizzato) dal suo archetipo principale (la verità di rivelazione). In questo modo, spiega Blumenberg, con l’uso del «teorema della secolarizzazione» la comprensione storica entra nell’autocomprensione della religione in quanto privilegio di verità che orienterebbe e illuminerebbe attraverso i suoi contenuti tutto il mutevole decorso storico, riducendolo nella propria unità sostanziale. ↩︎

  38. È Löwith che ci indica come procedere ad una adeguata analisi della storia che deve «necessariamente procedere a ritroso, proprio perché la storia continuamente avanza lasciando dietro di sé i presupposti storici delle elaborazioni più recenti», Karl Löwith, Significato e fine della storia, p. 22. ↩︎

  39. La filosofia della storia di Blumenberg che egli sviluppa nella Legittimità dell’età moderna e in Elaborazione del mito tematizza nel processo storico un susseguirsi di svolte epocali corrispondenti ognuna all’entrata nel processo storico di una nuova epoca. Infatti in «Elaborazione del mito» viene individuata la prima e decisiva svolta epocale, quella del mito che umanizzando il mondo darà il via con la propria occupazione-creazione di significati alla prima struttura di senso che l’uomo oppone alla mancanza di senso della realtà. Quest’ultima definita da Blumenberg con il concetto di «assolutismo della realtà». La successiva svolta epocale sarà quella della filosofia greca che dovrà rioccupare con propri significati la crisi del senso mitica, soddisfando le aspettative di senso ereditate dalla struttura del senso precedente. Le svolte epocali seguenti saranno quella della dogmatica patristica nei confronti della crisi del senso greca e quella dell’età moderna che dovrà contrastare la crisi del senso del tardo nominalismo medioevale provocata dalla concezione dogmatica del Dio arbitrario definito da Blumenberg come «assolutismo teologico». Che esista una corrispondenza tra «l’assolutismo della realtà» e «l’assolutismo teologico» del Dio arbitrario di Occam verrà tematizzato nel capitolo dedicato alla filosofia del mito di Blumenberg. Per ora bisogna rilevare come Blumenberg delinei diverse svolte epocali all’interno del processo storico, al contrario di Löwith che sembrerebbe per Blumenberg evidenziare un’unica svolta epocale, quella della religione cristiana e della sua teologia che si oppone con la sua concezione del movimento storico lineare alla ciclicità del tempo greco. Quest’unica svolta deciderebbe per Blumenberg anche per l’età moderna, facendogli con ciò perdere l’autenticità della propria svolta epocale, definita come legittima, in quanto creerebbe una nuova struttura del senso non derivabile contenutisticamente dall’epoca medioevale, ma derivabile solo in relazione al soddisfacimento delle attese di senso totalizzanti del primo medioevo, che dovrà soddisfare proprio a causa della loro messa in crisi dall’«assolutismo teologico» di Occam. ↩︎

  40. Hans Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, p. 35. ↩︎

  41. Ibidem, pp. 33-34. ↩︎

  42. Il movimento apparente, per Blumenberg, dei contenuti storici dal passato al presente è provocato proprio dalla risposta ri-occupazionale del presente, ad esempio la teologia patristica che fa apparire gli elementi stoici pagani che essa utilizza nella propria dogmatica come illegittimi possessori di quella verità che poi si sarebbe rivelata in Cristo successivamente. In questo modo si creerebbe un’analogia con la dinamica della storia della filosofia dell’idealismo di Hegel in quanto la verità dello spirito assoluto è segretamente e necessariamente in cammino verso il sapere assoluto della religione cristiana che poi si mondanizzerà nel «presente» della filosofia di Hegel. ↩︎

  43. Hans Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, p. 30. ↩︎

  44. Ibidem, p. 34. ↩︎

  45. Ibidem, p. 83. ↩︎

  46. Ibidem, p. 70. ↩︎

  47. Ibidem, p. 10. ↩︎

  48. Karl Löwith, Significato e fine della storia, p. 22. ↩︎

  49. Ibidem, p. 23 ↩︎

  50. Ibidem, p. 24 ↩︎

  51. Hans Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, p. 55. ↩︎

  52. Ibidem, p. 55. ↩︎