Il mondo ci tocca da vicino. Una riflessione sul concetto di affezione a partire da Husserl

Interrogarsi sui persistenti motivi di attualità e fecondità della fenomenologia, in particolar modo husserliana, significa certo prendere atto di una non indifferente rinascita degli studi ad essa relativi, che caratterizza oggi una parte significativa del panorama filosofico. Ma rivela anche un ritorno all’ultima grande tradizione di pensiero che abbia teorizzato in modo esplicito la necessità di un futuro per la filosofia. Di contro a molti esiti della riflessione continentale novecentesca,1 che finiscono, più o meno apertamente, con il relegare la filosofia in un passato ormai definitivamente andato, quello di un illusorio sapere rigoroso, Husserl ribadisce la necessità di un futuro per questo tipo di approccio al pensiero, il quale non può mai essere un qualcosa a portata di mano, ma sempre un compito e una sfida. La fenomenologia è concepita anche per poter essere esercitata dopo, oltre e addirittura a prescindere da Husserl stesso, come testimonia la storia di questo movimento filosofico.

Le questioni di fondo della fenomenologia sembrano quindi mantenere, strutturalmente, un orizzonte problematico aperto, il quale permette sempre di tornare a riaffrontare ciò che sembrava essere ormai definitivamente acquisito o semplicemente irrigidito in formulazioni abituali. Anche questo sta a significare, in fondo, l’accentuazione husserliana dell’immer wieder. Cioè che la fenomenologia si riserva sempre la possibilità di tornare su ciò che sembrava consegnato agli archivi del passato, o anche di non dare per esaurito ciò che si presenta ora con le sembianze di una questione già chiarita nelle sue linee fondamentali — in una parola, di mantenere sempre viva la possibilità di un’indagine futura, la quale mira inevitabilmente a riformulare ed arricchire la precedente in relazione al mutamento degli interessi complessivi della ricerca. La scientificità che Husserl riconosce alla fenomenologia, in questo senso, non è dell’ordine dell’esattezza matematica, ma del rigore del lavoro paziente e metodico, il quale, se non sempre trova verifiche e consensi, è però condotto nella responsabilità di un compito inesauribile. Ogni punto di vista può essere, di principio, in qualche modo fruttuoso, ogni percorso può condurre all’individuazione di problemi fondamentali. Come sostiene esplicitamente Husserl: «una “via regia” che porti alla fenomenologia e quindi alla filosofia non c’è».2

Una questione che può offrire ancora molti spunti interessanti è, in quest’ottica, quella concernente il ruolo e il significato dell’affezione all’interno della riflessione fenomenologica. Si tratta di un tema per un verso specifico e circoscritto, per l’altro, invece, più strutturale e sistemico, almeno nell’economia complessiva della cosiddetta fenomenologia genetica. Come problema parziale, l’affezione rappresenta una questione ormai ben delineata e variamente approfondita negli studi dedicati a Husserl. A fronte di ciò, si stenta però a mettere a fuoco tutte le implicazioni che essa può avere nel complesso della riflessione husserliana. La convinzione da cui muove il presente contributo è invece che l’affezione rappresenti uno di quei casi peculiari in cui l’analisi di un problema particolare non solo contribuisce al completamento dell’impianto generale entro il quale prende forma, ma finisce anche con il reimpostare tale impianto nella sua interezza. Si tratta quindi di riprendere la questione dell’affezione in quanto problema specifico, per poi cercare di capire, seguendo alcune indicazioni dello stesso Husserl, dove essa ci porti, a quale prospettiva fenomenologica approdi.

All’interno della problematica dell’intenzionalità, cioè del rapporto tra soggetto e mondo, con “affezione” si può intendere, in generale, la questione del tocco o contatto che congiunge concretamente un polo all’altro. È Husserl stesso, come noto, a suggerirci questa metafora, cioè l’idea che il rapporto che abbiamo con le cose del mondo sia caratterizzato nei termini di un incontro diretto, tangibile, palpabile — verrebbe da dire a pelle. Non è quindi un caso che egli utilizzi frequentemente una semantica derivata dall’ambito del campo tattile3 [Berührung, berühren] per indicare il pieno rapporto intenzionale, di contro invece alle modalità vuote della semplice significazione. La questione del tocco del mondo, da quel che se ne può capire, viene declinata fondamentalmente in due modi, tra di loro distinti e però profondamente connessi: 1) il primo concerne l’affezione come stimolo sull’io, cioè come presupposto dell’entrata in scena del cogito; 2) il secondo l’affezione come vivacità [Lebendigkeit], la quale è connessa alla dimensione sorgiva del tempo, vale a dire al presente vivente [lebendige Gegenwart].

1. L’affezione come stimolo o impulso

L’affezione diviene un problema significativo soprattutto all’interno dell’analisi genetica, tramite la quale Husserl si prefigge, come noto, il compito di andare al di là di un’indagine semplicemente descrittiva delle principali forme intenzionali, per risalire al processo da cui queste emergono — per riattingere, in altri termini, le fonti originarie da cui queste vengono continuamente generate. La fenomenologia — a differenza che nel primo libro delle Idee — non guarda più agli atti intenzionali solo come a semplici cogitationes, tramite le quali l’io esprime una determinata presa di posizione sul mondo, ma rinviene in essi una complessa stratificazione che precede strutturalmente l’attività intenzionale del cogito. Si tratta di riportare alla luce gli strati [Schichte] che concorrono alla formazione di tale attività, non nel modo di un semplice assemblaggio o composizione, ma nel senso temporale di una storia [Geschichte]. Non è un caso che il tardo Husserl parli a questo riguardo, a più riprese, di archeologia fenomenologica.

Di contro a un’attività di coscienza si delinea quindi una dimensione intenzionale in senso lato “passiva”, che funge ininterrottamente come sfondo e presupposto di qualsiasi esperienza superiore.4 Nelle lezioni sulla logica trascendentale, oggi conosciute meglio, non a caso, come lezioni sulla sintesi passiva, Husserl tematizza in modo esplicito la questione dell’affezione, vista in primo luogo proprio come il momento di implementazione dell’ego nel processo sintetico-costitutivo. È infatti solo a partire da uno stimolo affettivo che questi può volgersi a quanto già predato, prestando ad esso quell’attenzione privilegiante che ne farà l’oggetto di una presa di posizione spontanea. La dinamica affezione-volgimento (Affektion-Zuwendung) rappresenta dunque un passaggio centrale nel processo che va dalla sintesi passiva a quella attiva, ovvero anche dalla semplice apprensione (Auffassung) alla piena comprensione o coglimento (Erfassung).

Fondamentale è chiedersi in che modo si eserciti il tocco affettivo, dal momento che Husserl usa per esso termini che potrebbero essere facilmente fraintesi (Reiz, Impuls, Kraft). Il discorso sullo “stimolo affettivo”, in modo particolare, non deve essere letto — cosa che Husserl stesso tende a sottolineare a più riprese — in termini naturalistici, cioè come una sorta di meccanismo di azione e reazione, poiché le dinamiche intenzionali seguono altre leggi rispetto a quelle degli enti naturali, dunque necessitano di concetti differenti. Lo stimolo è qui piuttosto un tipo peculiare di motivazione, che si appella al soggetto facendo leva sulle sue esigenze di senso, sottraendosi in tal modo alla strategia del cieco automatismo. Affettive sono quelle unità sensibili che emergono nel flusso della mia esperienza, sollecitando in me un’attenzione, una messa a fuoco tematica che le pone in rilievo rispetto al mio contesto percettivo attuale. Camminando in una strada in centro, sono immerso in un contesto percettivo di cose e avvenimenti tutti contemporaneamente presenti, pre-dati, senza che magari io volga a nessuno di essi la mia attenzione, poiché sto pensando, ad esempio, a quando incontrerò i miei amici. La mia attenzione può però essere richiamata da un qualche evento particolare: una sirena in avvicinamento, uno strillo improvviso, un colore particolare e così via. Husserl dice, a questo riguardo, che l’affezione viene esercitata da elementi che emergono dallo sfondo percettivo contrastando in modo più o meno apprezzabile con ciò che è altrettanto compresente. Il soggetto viene attirato da qualcosa che, a vario titolo, si distingue, si staglia, si impone sul resto, destando in tal modo un interesse più o meno esplicito. Dire interesse significa però riconoscere che la forza affettiva non è solo funzione del contrasto di ciò che emerge, ovvero che il contrasto è a sua volta anche funzione di qualcos’altro.5 Esso non è una grandezza semplicemente quantitativa, ma anche qualitativa. L’interesse chiama infatti in causa direttamente il sentire, vale a dire il comportamento emotivo.6

Si tratta di un aspetto non sempre riconosciuto nella sua centralità. La predatità degli oggetti sensibili ha la sua origine, come noto, in quella sintesi peculiare che Husserl chiama passiva, la quale avviene fondamentalmente in conformità a due tipi di legalità: da un lato quella della coscienza interna di tempo, che presiede all’ordine estensionale di successione, dall’altra quella associativa, che regola invece i nessi hyletici. Se ciò che emerge in virtù di questa primaria donazione di senso deve esercitare un’affezione che non si connoti come un’azione meccanica, bensì come un tocco che fa leva su un’esigenza di senso, allora tale tocco deve fornire una motivazione che risvegli l’interesse in senso lato emotivo dell’io. In un certo modo, il dato deve attrarre l’ego, deve sedurlo, deve coinvolgerlo nel processo di donazione di senso in cui consiste l’esperienza. Ciò è possibile in quanto il sentire è pensato sempre nella complessità delle sue dimensioni, non solo quindi come un avere sensazioni spazio-temporali [empfinden], ma anche come un provare sensazioni di sentimento [fühlen]. Questo non vuol dire poi che ogni atto intenzionale sia per forza tematicamente diretto al coglimento di determinate qualità assiologiche, bensì solo che ogni tocco affettivo si esercita in un contesto emotivo e comporta una certa coloritura del sentimento. Il contrasto dei dati hyletici prende forma anche grazie a questa dimensione:

da una parte l’affezione che si realizza è funzionalmente dipendente dalla grandezza relativa del contrasto, dall’altra dai sentimenti sensibili privilegianti, per esempio da un piacere che sia fondato nella sua unità da ciò che emerge. Potremmo anche ammettere predilezioni originarie e istintive, pulsionali.7

L’esempio precedente mostra come l’elemento di sentimento (e addirittura pulsionale) sia centrale. Sto pensando a quando incontrerò i miei amici perché è da tempo che non li vedo e sono eccitato all’idea di rincontrarli, per cui non presto attenzione a ciò che è presente nel mio contesto percettivo. Ma possono darsi avvenimenti che richiamino il mio interesse: il suono della sirena può imporsi perché suscita in me paura, preoccupazione ecc., una bandiera mi attira a sé perché ha i colori della mia squadra del cuore e così via. In questo modo si vede come il rapporto intenzionale non consista in un insieme di atti distinti e reciprocamente indipendenti, non quindi in un congegno a compartimenti stagni, bensì in un intreccio [Verflechtung] originario, in cui si trovano indistricabilmente contessute componenti differenti. Il sentimento, più in particolare, non è solo una modalità intenzionale specifica, ma è anche qualcosa che attraversa in lungo e in largo la vita di coscienza.

Di più. Esso rappresenta la dimensione in cui avviene il transito continuo dalla passività all’attività, proprio perché è solo attraverso la dinamica del sentimento che l’io può essere chiamato a partecipare attivamente alla costituzione dell’esperienza. Si tratta di un tema che Husserl andrà accentuando in maniera costante nell’ultimo periodo della sua riflessione, soprattutto per sottolineare che l’io non è un semplice polo logico, non un mero io penso, ma è da considerarsi — mi sembra — primariamente come un che di senziente in senso lato, che patisce stimoli e risponde ad essi.8 L’affezione tocca l’animo poiché investe un ego esposto, nell’apertura della sensibilità, al contatto con il mondo, nelle diverse modalità dell’attrazione:

Sentimento è il modo in cui la hyle, in quanto semplicemente sensibile e temporalizzata sensibilmente, esercita stimoli sull’io, ed esso possiede, come stimoli, le differenze fondamentali dell’attrazione e della repulsione, mediate secondo gradi differenti per mezzo dell’adiaphoron.9

L’affezione dunque, come dinamica di contatto, mostra una dimensione più originaria nel rapporto di io e mondo. Questo, infatti, non viene istituito primariamente dal gesto oggettivante con il quale un subiectum si pone di fronte a un obiectum, prendendo posizione su di esso. La strategia di scissione e contrapposizione frontale, che presiede alla divaricazione tra soggetto e oggetto, è solo uno sviluppo successivo del rapporto intenzionale, qualcosa che prende corpo a partire da una relazione più originaria — viene quasi da dire più intima. La presa in considerazione della costituzione passiva e dell’affezione mostra come a questo livello originario il soggetto sia immerso tra le cose del suo mondo circostante, a stretto contatto con esse e da esse continuamente sollecitato: la dinamica qui non è quella della separazione e della frontalità, bensì quella dell’interconnessione, dell’adiacenza, della contiguità, nella quale la contrapposizione di soggetto e oggetto ancora non ha preso forma.10 Il rapporto, in altri termini, non si è ancora divaricato nella specularità di un reciproco porsi l’uno “dirimpetto” all’altro, bensì si mantiene ancora nell’intreccio di un essere l’uno preso nella trama dell’altro. L’affezione consente allora di scorgere un rapporto con le cose più originario, caratterizzato come commistione e contiguità, a partire dal quale si rende possibile per esplicitazione e delimitazione la frontalità della relazione oggettivante.

2. L’affezione come vivacità

Fin qui il discorso si indirizzava principalmente al caso dell’affezione intesa come stimolo esplicito sull’ego. Husserl si rende però conto che questo è solo un aspetto della questione, poiché con affezione si deve intendere anche, più in generale, la vivacità di qualsiasi vissuto di coscienza, a prescindere quindi dal fatto che essa comporti un volgimento egologico o meno. Si tratta di un problema che viene affrontato esplicitamente già nelle lezioni sulla logica trascendentale, sul quale però non ci si sofferma sempre con la dovuta premura. Se infatti il discorso sull’affezione rimane legato solo alla dimensione appena vista, quella di stimolo sull’io, ne risulta allora che la dinamica affettiva riveste un ruolo assai circoscritto e, in fin dei conti, secondario nel quadro complessivo della donazione di senso. Essa infatti non prenderebbe direttamente parte al processo costitutivo, poiché subentrerebbe “a cose fatte”, quando cioè i dati hyletici, già appresi passivamente, si trovano ad esercitare uno stimolo sull’io.11 La predatità del mondo, detto in termini più generali, avrebbe un carattere non-affettivo. Il mondo sarebbe già dato prima ancora di toccarci. Salta agli occhi come una prospettiva del genere finirebbe con il ridimensionare drasticamente il progetto originario della fenomenologia. Non si tratterebbe più di una donazione, ovvero di una relazione in cui si istituisce il senso, bensì forse di qualcosa come una constatazione, in cui si prende atto di qualcosa che c’è già.

Per Husserl il concetto di una datità che indichi una sussistenza antecedente al rapporto intenzionale è, come noto, un ferro ligneo. D’altra parte, il rapporto intenzionale — e questo è il punto che viene affermato con forza dall’indagine genetica — non può istituirsi senza affezione. Una datità che non tocchi in qualche modo il soggetto di coscienza non è una datità, come troviamo affermato esplicitamente a più riprese: «non può darsi nulla che non tocchi l’animo (Es kann nichts geben, was nicht das Gemüt berührt) ».12 Di qui il discorso sull’affezione come Lebendigkeit. Anche quando non presto attenzione al mio contesto percettivo attuale, perché magari sono intento a ricordare un evento passato, anche in questo caso i vissuti attraverso i quali ho il mondo nella sua presenza reale non sono affettivamente nulli, anzi esercitano comunque un tocco sul mio animo, cioè sono caratterizzati in ogni caso da una certa vivacità coscienziale, in assenza della quale io non avrei alcun contatto con la realtà. Ciò vuol dire che l’affezione non si esplica solo come stimolo esplicito sull’io, che essa funge quindi strutturalmente in ogni vissuto di coscienza. Se questo è vero, allora la cosiddetta sintesi passiva sarà già una sintesi affettiva.

Nelle lezioni sulla sintesi passiva questo elemento si delinea già con una certa nettezza. Inizialmente, infatti, Husserl sembra assumere l’ipotesi secondo cui l’affezione seguirebbe l’emersione di unità oggettuali già dotate di senso, quindi già in qualche modo date.13 Si prospetterebbe quindi un piano costitutivo originario non affettivo, quello dei flussi hyletici elementari risultanti dalle cosiddette fusioni nella vicinanza (Nahverschmelzungen), sul quale si edificherebbe, tramite sintesi a distanza (Fernsynthesen), quello superiore delle unità oggettuali vere e proprie, queste sì affettive. Si tratta però, come Husserl stesso precisa, di una ricostruzione inadeguata, poiché individua una cesura incomprensibile tra i due piani.14 Anche in relazione a ciò che si costituisce sul piano elementare ci si può porre infatti la domanda: in che modo è dato? Come può presentarsi se non nel modo di un’affezione? L’idea di una presenza antecedente al rapporto intenzionale è, ancora una volta, un controsenso. Anche ciò che è elementare, pertanto, può essere dato solo attraverso l’affezione.15 Bisogna ripensare pertanto il rapporto tra emersione e affezione, che non può più essere compreso nei termini semplicistici di una mera successione, quanto piuttosto in quelli di una coappartenenza strutturale. L’affezione, in altri termini, non giunge posteriormente all’emersione, ma funge originariamente e costantemente nel processo di costituzione. Questo vuol dire che, a livello temporale, la dinamica affettiva non è propria solamente del flusso della coscienza interna, ma già anche della dimensione originaria del presente vivente:

Per quanto sia esatto dire che il corso dell’affezione e il cambiamento del rilievo affettivo complessivo del presente vivente dipendano dai tipi di connessione e di decorso delle oggettualità che si sono di volta in volta costituite in esso, non è con ciò detto che queste oggettualità da parte loro ci siano già prima di ogni affezione. Non è affatto escluso, e anzi sembra molto più verosimile, che l’affezione giochi un suo proprio ed essenziale ruolo già nella costituzione di tutte le oggettualità, cosicché senza di essa non vi sarebbe in generale alcun oggetto, né alcun presente oggettualmente articolato.16

Il fraintendimento circa il ruolo originariamente costitutivo dell’affezione nasce, mi sembra, dall’accentuazione di un solo aspetto del discorso di Husserl, vale a dire quello concernente la legalità temporale e associativa. Si tratta evidentemente di due pilastri del processo costitutivo, che tuttavia non debbono essere considerati isolatamente, ma sempre nel quadro complessivo di un’indagine che tematizza il senso come evento di una relazione intenzionale. Il discorso sulla temporalizzazione, in particolare, non deve essere visto nell’ottica di un processo pre-soggettivo o, peggio, a-soggettivo, poiché altrimenti verrebbe meno il tratto specifico della fenomenologia stessa. Temporale è la natura stessa dell’intenzionalità in quanto flusso della vita di coscienza. Questo significa che la dimensione temporale è costitutivamente connessa con quella affettiva, che anzi senza affezione non avrebbe alcun senso parlare di tempo e viceversa.

Ciò vale in relazione ad entrambi i piani temporali principali individuati da Husserl, i quali costituiscono certo due lati della stessa medaglia, ma non debbono però in nessun modo essere confusi. Il flusso della coscienza interna rappresenta infatti la temporalità estensionale del complesso dei vissuti, attraverso la quale si forma l’esperienza di una durata, di uno scorrimento connaturato alla nostra vita di coscienza, in cui si delineano gli ambiti del passato e del futuro. Dal flusso immanente si distingue invece il fluire del presente vivente (lebendige Gegenwart) — o presente originariamente fenomenale (urphänomenale Gegenwart) — , che costituisce la fonte da cui scaturisce costantemente ogni venire a presenza. Il presente vivente non indica dunque un lasso attuale di tempo, bensì la temporalizzazione della presenza originaria, solo a partire dalla quale si rende possibile il processo temporale inteso come durata o successione,17 quindi ogni esperienza del mondo.18

L’intelaiatura di questa struttura primitiva del presente fa perno sulla centralità dell’impressione originaria (Urimpression), la quale non indica però l’ambito solido e inalterabile di uno stare immoto perfettamente consistente in sé, bensì una dinamica di presentazione costitutivamente sottoposta a due tipi di modificazione: quello ritenzionale nell’appena-stato e quello protenzionale nel prossimo-incipiente.19 La presentazione si esplica dunque in un “ora” compreso tra il non-più e il non-ancora, si impone in esso esercitando una pressione, calcando il passo, incidendosi. Si tratta del movimento stesso in cui prende originariamente corpo il rapporto intenzionale, se è vero, come sostiene Husserl, che «il prodigio della coscienza riconduce al prodigio della temporalizzazione».20 Ora, la dinamica dell’imprimersi, in quanto caratterizzata proprio dall’esercizio di una pressione, non è nient’altro che il tocco in cui si radica ogni possibile intenzionalità. L’impressione, dunque, è la dimensione temporale dell’affezione, o meglio la struttura del poter ricevere il tocco — l’affettività — è originariamente impressionale: «La fonte originaria di qualsiasi affezione si trova e può trovarsi soltanto nell’impressione originaria e nella sua maggiore o minore affettività».21 Questo vuol dire che non può esserci una temporalizzazione, dunque una costituzione, pre-affettiva. Ovvero anche — ma è la stessa cosa: il presente vivente è come tale un’unità affettiva, e non potrebbe essere altrimenti.22 Ciò non toglie che poi Husserl distingua, per dovere di chiarezza analitica, due livelli di affezione, corrispondenti fondamentalmente ai due piani temporali individuati: da un lato l’affezione semplice, legata alla coscienza interna, dall’altro l’affezione originaria, connessa invece al presente vivente.23 A questi due tipi di affezione corrispondono poi due piani contenutistici: quello della hyle e quello della Urhyle.24

3. Affezione, sentimento, vita

La tematizzazione dell’affezione, vista come radicalmente connessa alla dimensione primitiva del tempo, mette in luce un paio di aspetti di grande interesse, che gettano una luce ancora feconda sulla fenomenologia.

I. In primo luogo, emerge con grande nettezza un legame strutturale che tiene assieme tempo, affezione e sentimento. Se all’affezione viene riconosciuto un ruolo strutturale nella dinamica originaria del venire a presenza, allora il sentimento svolge una funzione fondamentale già sul piano sorgivo della vita di coscienza. Il tocco affettivo si manifesta fin da subito come un’attrazione dell’io (inteso ovviamente non come ego cogito, bensì come io anonimo, fungente, originario):

Il contenuto è l’altro-dall’-io, il sentimento è già egoico. Il “rivolgersi-a” proprio del contenuto non deve essere considerato come una chiamata a qualcosa, bensì un emotivo esser-presso attraverso l’arrivare ed il giungere. L’io non è qualcosa per sé e l’altro-dall’-io un che di separato da esso, quasi che tra i due non ci sia spazio per un volgersi-a: l’io e il suo altro sono invece indivisibili; in ogni contenuto e in ogni nesso contenutistico, così come nel complesso dei nessi, l’io è un io che-sente-emotivamente. Il sentire-emotivamente è la condizionatezza dell’io prima di ogni attività e, se esso è attivo, nell’attività stessa.25

Il cuore del rapporto di io e mondo si declina fin dall’origine nei termini di una condizione emotiva. Il sentire originario non è semplice empfiden, ma anche fühlen. Il mondo non può essere dato se non in un’affezione, cioè in una costitutiva apertura emotiva che connota l’intenzionalità in modo strutturale. In tal modo Husserl precorre, o comunque sviluppa in proprio, un discorso analogo a quello heideggeriano relativo alla situazione emotiva (Befindlichkeit) dell’esserci.

II. L’interpretazione stretta del fenomeno dell’affezione concepisce il tocco affettivo come uno stimolo esplicito, cioè cosciente, sull’io, di modo che quest’ultimo viene portato a rivolgere il proprio interesse verso alcune connessioni oggettuali e a trascurarne altre. Questa lettura può però portare, se non opportunamente bilanciata, a concepire l’assenza di volgimento come segno di un’assenza dell’affezione. Si tratterebbe però, in base a quanto visto finora, di un fraintendimento assai grave. L’affezione è continuamente fungente, sebbene non sempre avvertibile per l’io desto (funge sempre in relazione all’io originario, ma si tratta appunto di un piano differente). È per questa ragione che si rende quindi indispensabile un secondo concetto di affezione, più ampio e comprensivo del primo: quello di vivacità. Ogni possibile vissuto intenzionale ha un certo grado di affettività, senza la quale non ci sarebbe alcuna coscienza e, dunque, alcun rapporto con il mondo.

In tal modo sembra aprirsi concretamente lo spazio per un nuovo concetto, strettamente fenomenologico, di vita. Husserl parla di vita di coscienza — e anzi ne parla sempre di più nell’ultima fase della sua riflessione — proprio nei termini di un nesso intenzionale complessivo di tipo affettivo-impressionale.26 La vita è quel fenomeno originario per il quale il mondo tocca una soggettività esposta in un sentire, imprimendosi in essa, seducendola o respingendola, lasciando un’orma. Come si può constatare, la prospettiva entro la quale prende corpo una simile lettura non è quella mondana propria delle scienze che si cimentano con la questione della vita (siano esse biologiche, psicologiche ecc.).

Il discorso qui non verte sulla vita intesa come quell’ente peculiare che si contraddistingue — ad esempio — sul piano biologico come un organismo cellulare e su quello psichico come una mente dotata di specifiche facoltà. In generale, la vita non può caratterizzarsi qui come qualcosa all’interno della struttura di senso del mondo, sia essa intesa come un fenomeno fisico o mentale, naturale o culturale, frutto solo dell’evoluzione o d’origine divina. Ciascuna di queste letture ha ovviamente una sua legittimità fondata, come direbbe Husserl, nelle cose stesse, ragion per cui il compito della fenomenologia non è primariamente quello di decidere quale di esse sia più “giusta” o più “corretta”, bensì quello di chiarire in che modo esse siano possibili. Se tutte si radicano nelle profondità della nostra esperienza, cioè nella grammatica del nostro stare al mondo, allora tutte fanno riferimento in modo analogo a uno stesso orizzonte di senso, che rappresenta il presupposto della loro stessa possibilità. È questo presupposto il tema proprio della fenomenologia, che recupera certo l’approccio trascendentale del pensiero moderno (a partire evidentemente dal criticismo kantiano), salvo però svilupparlo in modo assai originale sottoponendolo a una torsione concettuale che ne modifica la portata. Come messo in evidenza da alcuni interpreti, in Husserl si assiste ad una sorta di disseminazione delle condizioni di possibilità dell’esperienza: non si tratta di indagare solo il piano ideale delle forme pure, ma di scavare più in profondità, arrivando a considerare il radicamento di tali forme nella storia concreta del soggetto e nel suo corpo proprio. Si è di fronte, in altre parole, a un a priori in cui la validità ideale non è scindibile (o forse addirittura distinguibile) dalla fatticità di un certo esser così.

La riflessione sull’affezione suggerisce che quel qualcosa che viene prima, istituendo l’orizzonte di senso entro il quale prende forma l’esperienza, è proprio caratterizzabile come vita in senso originario. Il concetto fenomenologico di vita che si prospetta ha perciò a che fare con il fatto essenziale che il nostro rapporto con il mondo e gli altri è qualcosa che viviamo in prima persona, dunque qualcosa di originariamente vivente. Sembra più appropriato dire vivente che non vissuto proprio perché, daccapo, non ci si vuole riferire primariamente alle attività “interne” della mente o della coscienza in senso empirico, quanto piuttosto alle dinamiche intenzionali in generale. Non è un caso, da questo punto di vista, che l’ultimo Husserl parli con sempre maggiore frequenza della coscienza nei termini di una vita intenzionale (intentionales Leben). Così come non è un caso che, nelle lezioni del 1927 su Natur und Geist, la fenomenologia sia definita esplicitamente come una peculiare filosofia della vita.27 In questa formulazione non ne va, per Husserl, di un ridimensionamento o, peggio, di una rinuncia al vecchio progetto fenomenologico, ma solo di una suo determinato sviluppo, che viene definito genetico non solo perché mira a valorizzare l’elemento temporale — decostruendo le forme intenzionali in termini di storia della coscienza — , ma anche e soprattutto perché questo fluire è vita in senso pieno. L’indagine sulla genesi delle forme intenzionali è una ricerca sull’origine della vita, una vita ibrida caratterizzata dall’intreccio indissolubile di tempo, affezione, pulsione, percezione.28 È precisamente da questa intuizione husserliana che partirà lo stesso Merleau-Ponty per sviluppare il suo progetto fenomenologico.29

La delineazione di un simile concetto — rigorosamente fenomenologico — di vita può tornare di grande utilità in alcuni dei principali dibattiti della comunità filosofica e scientifica. In primo luogo, esso può inserirsi nella questione ormai secolare del rapporto tra corpo e mente, ultimamente tornata al centro dell’interesse a causa delle continue scoperte in campo biologico e neuroscientifico. La fenomenologia ricusa ovviamente ogni monismo che si presenti nelle vesti di un riduzione dell’intenzionalità ai meccanismi neuronali. Ma critica anche tutti quegli approcci che rischiano di finire in un comodo dualismo parlando di funzionalismo, interazionismo, epifenomenismo e così via. La prospettiva fenomenologica potrebbe essere invece quella di leggere la coappartenenza di mente e corpo sulla base del concetto di vita intenzionale.

In seconda battuta, a partire da questo impianto concettuale ci si può interrogare se è possibile sviluppare una bioetica fenomenologica. Si tratta di pensare l’opportunità di articolare le questioni bioetiche sulla base di un concetto di vita che superi l’unilateralità degli approcci tradizionali. Qui sarebbe necessario un lavoro notevole per rendere le nozioni fenomenologiche, così raffinate sul piano teorico, altrettanto feconde ed efficaci sul piano pratico.30


  1. Dico “continentale” proprio perché qui le cose stanno in modo differente rispetto alla tradizione anglosassone della cosiddetta “filosofia analitica”. Quest’ultima, infatti, ha vissuto sinora sostanzialmente in un presente ininterrotto, privo tanto di passato quanto di futuro, caratterizzato da problemi filosofici che appaiono come eterni, i quali pertanto non hanno sostanzialmente bisogno né di un prima né di un poi. ↩︎

  2. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (2 Voll.), Einaudi, Torino 2002, Vol. I, p. 246. Pressoché la stessa formulazione anche in Id., Natur und Geist. Vorlesungen Sommersemester 1927 (Hua XXXII), Kluwer, Dordrecht 2001, p. 74. ↩︎

  3. Nel suo articolo Husserls Genuss. Über den Zusammenhang von Leib, Affektion, Fühlen und Werthaftigkeit (in «Husserl Studies», 18/1 (2002), pp. 19-39, pp. 19-20), Ch. Lotz mette in evidenza come il concetto husserliano di Affektion nasca nell’ambito di una concezione del fare esperienza inteso come qualcosa che si sviluppa innanzi tutto attraverso la corporeità, nella quale il campo tattile (Tastfeld) svolge un ruolo primario: di qui la funzione paradigmatica del tocco (Berührung) per ogni essere-affetto in generale. In tal modo la fenomenologia riscopre e approfondisce ciò che già Aristotele mette in evidenza, vale a dire la priorità della haphé: «Delle sensazioni, quella che principalmente appartiene a tutti gli animali è il tatto» (De anima, B 2 413 b 4-5). ↩︎

  4. La nozione di passività assume in Husserl connotazioni spesso differenti. Steinbock ne distingue almeno quattro: 1) legalità originaria, genesi originaria del senso; 2) non-attività dell’io; 3) ambito percettivo, antepredicativo, estetico; 4) fondamento di ogni attività logico-categoriale (v. A. J. Steinbock, Affektion und Aufmerksamkeit, in H. Hüni, P. Trawny (a cura di), Die erscheinende Welt, Duncker & Humblot, Berlin 2002, pp. 241-273). In realtà se ne potrebbero distinguere ancora altri tipi. Sulla complessità di questa nozione si veda, più in generale, A. Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, PUF, Paris 1999. ↩︎

  5. «L’emergenza era quindi per noi un’emergenza dovuta ad una fusione contenutistica fondata sul contrasto. Ora anche l’affezione è, in un certo senso, una funzione del contrasto, anche se non solo del contrasto» (E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, Guerini e Associati, Milano 1993, p. 206). ↩︎

  6. «Io sono interessato all’oggetto. E l’interesse, si potrebbe dire, è un interesse all’oggetto, dunque <un> sentimento che vale per l’oggetto e si soddisfa nell’ampliarsi della datità di tale oggetto» («Ich bin am Gegenstand interessiert. Und das Interesse ist, könnte man sagen, ein Interesse am Gegenstand, also <ein> Gefühl, das dem Gegenstand gilt und in der fortschreitenden Gegebenheit des Gegenstands sich sättigt», E. Husserl, Ms. A VI 12 I, Bl. 212a). In un certo senso, l’intenzionalità nel suo complesso può essere letta come un interesse: «In ogni atto, dunque, l’io è, in modo conforme alla coscienza, continuamente presso il suo fine in quanto telos e presso tutto ciò che eventualmente gli appartenga nel relativo processo di determinazione. Inter est — in effetti, se si parla in un senso molto lato di esser-interessato, di interesse, allora con ciò si esprime, mediante un certo ampliamento del senso normale del termine, l’essenza fondamentale di ogni atto; “l’io è interessato a qualche cosa” — “vi è diretto in modo intenzionale” dicono la stessa cosa» («In jedem actus ist also das Ich kontinuierlich-bewusstseinsmäßig bei seinem Ziel als Telos und all dem, was dazu ev. im Gang der Bestimmung gehört. Inter est — in der Tat, wenn im weitesten Sinn von Interessiertsein, von Interesse gesprochen wird, so drückt sich damit unter einiger Erweiterung des normalen Wortsinns das Grundwesen aller Akte aus; “das Ich ist für irgendetwas interessiert” — “es ist intentional darauf gerichtet” besagt dasselbe», E. Husserl, Phänomenologische Psychologie. Vorlesungen Sommersemester 1925 (Hua IX), Martinus Nijhoff, Den Haag 1968, p. 412). ↩︎

  7. E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, cit., p. 207 (corsivi miei). ↩︎

  8. È soprattutto Waldenfels ad aver sviluppato in modo conseguente questa linea di pensiero, sostenendo il darsi di un pathos originario esperibile tuttavia solo nel momento della risposta che emerge a partire da esso: in tal modo si delinea la possibilità di una fenomenologia responsiva a partire da un evento patico costitutivamente indisponibile. Si veda B. Waldenfels, Bruchlinien der Erfahrung. Phänomenologie Psychoanalyse Phänomenotechnik, Suhrkamp, Frankfurt 2002, pp. 99-164; Id., Fenomenologia dell’estraneo, Raffaello Cortina, Milano 2008, pp. 39-64. ↩︎

  9. «Gefühl ist die Weise, wie die Hyle als bloß sinnlich und sinnlich gezeitigte auf das Ich Reize übt, und als diese Reize hat es die Grundunterschiede der Anziehung und Abstoßung in Gradualitäten vermittelt durch das Adiaphoron» (Id., Ms. B III 9, Bl. 70a). ↩︎

  10. È quanto sottolinea anche la Montavont: «L’essere-affetto-da rivela al soggetto che, prima di opporsi al mondo in una rappresentazione oggettivante generatrice della scissione soggetto/oggetto, esso partecipa al mondo, è già sempre in esso» (A. Montavont, Le phénomène de l’affection dans les Analysen zur passiven Synthesis, in «Alter», 2 (1994), pp. 119-139, p. 139). ↩︎

  11. Posizione sostenuta da vari interpreti. Si veda ad es.: T. Piazza, Esperienza e sintesi passiva. La costituzione percettiva nella filosofia di Edmund Husserl, Guerini e Associati, Milano 2001, pp. 213-216; P. Spinicci, Presentazione, in E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, cit., pp. 13-27. ↩︎

  12. Ms. A VI 26, Bl. 42a. ↩︎

  13. V. Lezioni sulla sintesi passiva, cit., pp. 216-218. ↩︎

  14. «La cesura che qui viene posta fra la costituzione degli oggetti di livello superiore e gli oggetti che si costituiscono in un’originaria singolarità è ingiustificata» (ivi, p. 219). ↩︎

  15. «Ne segue che anche in ciò che è elementare si ripropone il problema dell’affezione; in modo particolare ci si chiede se l’affezione non sia già una condizione essenziale della realizzazione di ogni sintesi costitutiva e se non vi debba essere una relazione tra questi due momenti: da un lato la peculiarità preaffettiva degli elementi, insieme ai presupposti essenziali, ad essa relativi, della formazione di unità, dall’altro l’affezione» (ivi, p. 223). ↩︎

  16. ivi, p. 222 (traduzione lievemente modificata). ↩︎

  17. «Questo presente vivente in modo fluente non è ciò che noi già definimmo in modo fenomenologico-trascendentale anche flusso di coscienza o flusso di vissuti. Esso non è in generale un “flusso” in modo conforme all’immagine, dunque un autentico intero temporale (o addirittura spazio-temporale), che ha, nell’unità di un’estensione temporale, una continua esistenza successiva e individuale (individuata nei suoi tratti e nelle sue fasi distinguibili mediante queste forme temporali). Il presente vivente in modo fluente è “continuamente” essere fluente, non però essere in un essere-l’uno-fuori-dall’altro, nell’estensione spazio-temporale (spaziale in senso mondano), né in quella “immanente temporale” (dunque in nessun l’uno-fuori-dall’altro che significhi l’uno-dopo-l’altro, cioè l’uno-dopo-l’altro nel senso di una reciproca-separazione-delle-posizioni in un tempo che deve davvero chiamarsi tale)» («Diese strömend lebendige Gegenwart ist nicht das, was wir sonst auch schon transzendental-phänomenologisch als Bewusstseinsstrom oder Erlebnisstrom bezeichneten. Es ist überhaupt kein “Strom” gemäß dem Bild, also ein eigentliches zeitliches (oder gar zeiträumliches) Ganzes, das in der Einheit einer zeitlichen Extsension ein kontinuierlich sukzessives individuelles Dasein hat (in seinen unterscheidbaren Strecken und Phasen durch diese Zeitformen individuiert). Die strömend lebendige Gegenwart ist “kontinuierlich” strömendes Sein und doch nicht in einem Außereinandersein, nicht in raumzeitlicher (welträumlicher), nicht in “immanent zeitlicher” Extension Sein (also in keinem Außereinander, das Nacheinander heißt, Nacheinander in dem Sinne eines Stellenauseinander in einer eigentlich so zu nennenden Zeit)» E. Husserl, Zur phänomenologischen Reduktion. Texte aus dem Nachlass (1926-1935) (Hua XXXIV), Kluwer, Dordrecht 2002, p. 187). ↩︎

  18. «Il flusso originario del presente vivente è la temporalizzazione originaria, nella quale si radica l’origine ultima del mondo spazio-temporale» («Der Urstrom der lebendigen Gegenwart ist Urzeitigung, in welcher der letzte Ursprung der raumzeitlichen Welt […] liegt» E. Husserl, Späte Texte über Zeitkonstitution (1929-1934). Die C-Manuskripte, Springer, Dordrecht 2006, p. 4). ↩︎

  19. Si tratta di una modificazione che non sta “nel” tempo, ma fa tempo: «La modificazione originaria, parlando in termini assoluti, non è nel tempo, il quale emerge solo in essa» («Die Urwandlung ist, absolut gesprochen, in keiner Zeit, die allererst in ihr entspringt» ivi, p. 12). ↩︎

  20. «Das Wunder des Bewusstseins führt zurück auf das Wunder der Zeitigung» (E. Husserl, Zur phänomenologischen Reduktion, cit., p. 213). ↩︎

  21. Id., Lezioni sulla sintesi passiva, cit., p. 226. ↩︎

  22. «vogliamo caratterizzare la peculiarità complessiva del presente vivente: considerato nella sua interezza, esso è un’unità affettiva; ha di conseguenza una vivacità unitaria nella quale confluiscono in quanto suoi momenti tutte le affezioni particolari che gli appartengono e che in esso sono sinteticamente unificate» (ivi, p. 225). ↩︎

  23. «Come per gli atti […], così anche per le affezioni bisogna distinguere: affezione ultima, originaria (dunque sentimento originario) e affezione posteriore, cioè: affezione originaria dei non-oggetti — bensì unità intenzionali — e affezione posteriore di unità appercepite ed infine oggettuali» («Es ist wie bei den Akten […] so auch bei den Affektionen zu unterscheiden: letzte, Uraffektion (also Urgefühl) und spätere Affektion, die Uraffektion von Nicht-Objekten, aber intentionalen Einheiten, und die spätere Affektion von app<erzip>ierten und schließlich von Objekteinheiten», E. Husserl, Spaete Texte über Zeitkonstitution, cit., p. 335). ↩︎

  24. «La hyle originaria è, come le altre forme di hyle, un’unità affettiva. Ma […] essa non rappresenta più, come quelle, l’unità dell’affezione nel senso di uno stimolo cosciente […]. In questo senso possiamo connotarla come un’unità noematica preconscia o inconscia» (N.-I. Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, Kluwer, Dordrecht 1993, pp. 116-117). ↩︎

  25. «Das Inhaltliche ist das Ichfremde, das Gefühl ist schon ichlich. Das “Ansprechen” des Inhalts sei nicht Anruf zu etwas, sondern ein fühlendes Dabei-Sein durch Hinkommen und Anlangen. Das Ich ist nicht etwas für sich und das Ichfremde ein vom Ich Getrenntes, und zwischen beiden ist kein Raum für ein Hinwenden, sondern untrennbar ist Ich und sein Ichfremdes, bei jedem Inhalt im Inhaltszusammenhang und bei dem ganzen Zusammenhang ist das Ich fühlendes. Fühlen ist die Zuständlichkeit des Ich vor aller Aktivität und, wenn es aktiv ist, in der Aktivität» (E. Husserl, Späte Texte über Zeitkonstitution, cit., pp. 351-352, corsivi miei). ↩︎

  26. «la forza affettiva positiva è infatti la condizione fondamentale di ogni vita all’interno di un collegamento e di una distinzione fluente; se la forza affettiva si riduce a zero, allora la vita cessa necessariamente proprio nella sua vivacità» (E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, cit., p. 229). ↩︎

  27. «Il carattere fondamentale della fenomenologia è quello di una filosofia scientifica della vita, è quello di una scienza non sul presupposto e sul fondamento delle scienze predate, bensì è una scienza radicale, che ha come originario tema scientifico la vita concreta universale e il suo mondo-della-vita, il mondo circostante reale concreto» (E. Husserl, Natur und Geist. Vorlseungen Sommersemester 1927 (Hua XXXII), Kluwer, Dordrecht 2001, p. 241). ↩︎

  28. Su questo e altri aspetti connessi mi permetto di rinviare a M. Deodati, La dynamis dell’intenzionalità. La struttura della vita di coscienza in Husserl, Mimesis, Milano 2010. ↩︎

  29. Questi sostiene esplicitamente che «l’autentico trascendentale […] non è l’insieme delle operazioni costitutive con le quali un mondo trasparente, senza ombre e senza opacità, si dispiegherebbe di fronte a uno spettatore imparziale, ma la vita ambigua in cui si effettua l’Ursprung delle trascendenze» (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2003, p. 472). ↩︎

  30. Un tentativo in tal senso è quello di A. Brenner, Bioethik und Biophänomen. Den Leib zur Sprache bringen, Königshausen & Neumann, Würzburg 2006. ↩︎