Recensione a Yolanda Rodríguez Jiménez, La identidad diacrónica de la persona. De una visión constitutiva a una visión relacional

Yolanda Rodríguez Jiménez, La identidad diacrónica de la persona, Gregorian & Biblical Press, Roma 2019, pp.  416.

Il saggio di Yolanda Rodríguez Jiménez si presenta come un pregevole lavoro, ben articolato nelle sue diverse componenti, strutturato in modo equilibrato e opportunamente argomentato nei suoi snodi principali. L’obiettivo dell’autrice è chiaro: fornire una teoria circa l’identità diacronica della persona umana, nella consapevolezza che l’antropologia filosofica si è soffermata prevalentemente sullo statuto dell’essere umano dal punto di vista delle sue componenti ontologiche, riservando una più scarsa attenzione all’aspetto temporale, fin quasi ad eludere l’interrogativo circa la possibilità per un essere umano di mantenere la sua identità attraverso il tempo. Questo studio è invece proprio centrato sul quesito: chi è l’essere umano e come è costituito affinché possa riconoscere la sua permanenza identitaria, nonostante i radicali cambiamenti dovuti al suo aspetto fisico e alle sue relazioni? Tentare di rispondere a questa domanda significa pertanto offrire un notevole contributo al dibattito antropologico, considerando anche che la questione dell’identità diacronica è fondamentale oggi per far fronte alle sfide imposte dal transumanesimo e dalla bioetica (con particolare attenzione all’inizio della vita personale, al suo termine e ai «casi marginali»), oltre a quelle, più tradizionali, circa la possibilità della sopravvivenza dopo la morte e la compatibilità con la credenza religiosa della resurrezione della carne. Tali aspetti sono ben noti a Rodríguez Jiménez, che li affronta, senza però perdere di vista il fine speculativo e teoretico del suo lavoro, che non riguarda, in prima battuta, le ricadute morali o religiose.

Il testo risulta tripartito. Nella prima parte, intitolata La visión constitutiva de Lynne Rudder Baker, con una notevole capacità di sintesi, viene esposta la tesi della teologa e filosofa Rudder Baker, autrice statunitense recentemente scomparsa. La seconda parte, La ontología relacional de Maurice Merleau-Ponty, affronta il pensiero di Maurice Merleau-Ponty, facendosi carico di offrire una originale interpretazione di alcuni discussi passi dell’autore francese. L’accostamento tra questi due pensatori così diversi risulta convincente, in quanto l’autrice si limita a rintracciare in entrambi gli elementi utili ad affrontare la questione circa l’identità diacronica, offrendo una contestualizzazione sufficiente e mai eccessiva. La consapevolezza dei pregi e dei limiti delle due impostazioni considerate ha permesso a Rodríguez Jiménez di distinguere la posizione della Baker (costitutiva), da quella di Merleau-Ponty (ontologico-relazionale) e dunque di formularne una propria, denominata costitutivo-relazionale e discussa nella terza parte (Hacia una visión constitutivo-relacional de la persona). Quest’ultima ambisce, con un certo successo e con alcuni limiti dichiarati, da un lato, a superare le criticità emerse dalle impostazioni della Baker e di Merleau-Ponty e, dall’altro, a offrire una originale soluzione, secondo la quale l’identità diacronica personale dipende in modo essenziale dagli aspetti relazionali, in quanto necessari a determinare la soggettività e l’individualità che emergono nella capacità di usare un linguaggio in prima persona. L’autrice sintetizza i risultati del percorso compiuto in dieci tesi (pp. 363-368) sotto forma di dieci proposizioni analitiche circa l’antropologia filosofica, meglio «metafisica», grazie alle quali sarebbe possibile determinare lo statuto ontologico di un essere umano personale. Gli elementi che lo contraddistinguono sono la corporeità, la relazionalità con il mondo, l’intersoggettività, la capacità di riferirsi a se stesso in prima persona, la complessa attività percettiva che gli è propria, la possibilità di avere stati mentali, l’uso del linguaggio e l’essere temporale. Tali elementi non sono presentati come una lista di condizioni necessarie e sufficienti, ma vengono analizzati nel loro intreccio, così da fornire un resoconto adeguato, esaustivo, ma pur sempre problematico, della continuità della persona umana nel tempo. Nella conclusione generale, l’autrice pare suggerire due criteri per valutare i risultati raggiunti. Il primo consiste nell’attinenza della sua proposta con la reale e concreta esperienza umana. Il secondo concerne la capacità di superare le aporie presenti nelle antropologie filosofiche contemporanee di matrice riduzionista (o naturalista) e idealista (o intellettualista). Il primo di tali criteri risulta essere più persuasivo del secondo, che si richiama a etichette non sempre storiograficamente ineccepibili, anche se comunemente accettate in letteratura. Chiudono il testo una bibliografia esauriente, un indice dei nomi e un indice generale molto dettagliato, quasi un sommario.

La tesi sostenuta nel libro risulta non solo interessante e coerente, ma anche convincente. È opportuno sottolineare anche la non comune capacità con cui Rodríguez Jiménez riesce a far dialogare la tradizione analitica, propria della Baker, con quella fenomenologica, a cui viene ricondotto Merleau-Ponty. Ciò l’ha costretta a forzare la terminologia filosofica, proponendo alcune dizioni solo apparentemente astratte o provocatorie, quali «materialismo non riduttivo», «relazione di costituzione» e «corpo non biologico». A livello metodologico, l’autrice parla spesso di metodo comparativo, anche se i due principali autori trattati non vengono comparati tra loro in senso stretto, perché manca una base comune che lo consenta. Il riferimento autobiografico al suo incontro con la Baker e i successivi contatti intrattenuti (p. 15) è un elemento chiarificatore, ma non determinante. Di fatto, più che una comparazione, si tratta di una giustapposizione, dove gli elementi analizzati sono funzionali alla formulazione della visione costitutivo-relazionale. Questa finalità determina la scelta di considerare aspetti comuni ai due autori, quali l’interesse per la Gestalt, la sensibilità nei confronti delle scoperte scientifiche (soprattutto rispetto a biologia e psicologia) e macro-aree tematiche (linguaggio, relazione, intenzionalità, potenzialità). La comparazione perciò risulta a tratti forzata e, comunque, limitata ad aspetti circoscritti e consiste in una integrazione che innesta elementi tratti da Merleau Ponty sulla struttura speculativa della Baker. Quest’ultima si rivela così essere la vera autrice di riferimento di Rodríguez Jiménez. L’autrice evita comunque letture faziose e si attiene a criteri ermeneutici plausibili, supportati da ampie e pertinenti citazioni che rivelano una buona conoscenza degli autori trattati e un controllo della vasta letteratura secondaria. L’unico elemento, solo in parte sfruttato, che potrebbe consentire un reale parallelo tra i due autori è il rifiuto, da parte di entrambi, dell’antropologia dualista cartesiana e dei suoi epigoni. Il riferimento a Cartesio assume però un significato retorico, raramente supportato da puntuali riferimenti testuali: se qualcosa accomuna la Baker a Merleau-Ponty, ciò è ravvisabile nella scarsa sensibilità storica di entrambi, che l’autrice finisce per assumere acriticamente, come quando si limita a giustapporre la linea platonico-agostiniana-cartesiana a quella aristotelico-tomista-lockeana o ad usare con una eccessiva disinvoltura le dizioni «aristotelico-tomista», «analitici e continentali» ed «essenzialismo aristotelico». Questo rilievo non intacca il valore teoretico del testo, ma vuole segnalare come la rilevanza del tema considerato pone questioni oltre a quelle dichiaratamente espresse, segno di una inequivocabile fecondità che merita di essere approfondita. Il tema dell’identità diacronica della persona umana non è solo un’urgenza della filosofia contemporanea o una moda accademica, bensì, come suggerisce Rodríguez Jiménez, una domanda antropologica ineludibile che la tradizione filosofica occidentale ci consegna, un po’ in sordina, anche attraverso una pensatrice analitica sui generis e un fenomenologo eterodosso. All’autrice il merito di avere acceso i riflettori su questo tema, sui suoi presupposti da approfondire e sulle sue conseguenze da analizzare.