Emerson e Swedenborg. Una rilettura di Nature a partire dalla «dottrina delle corrispondenze»

L’opera d’esordio di Emerson, dal celeberrimo titolo: Nature, rivela fin da subito numerosi ostacoli interpretativi, il primo dei quali è certamente quello di riuscire ad estrapolare da un ricco tessuto letterario, a cavallo tra poesia e prosa, quelle riflessioni filosofiche in grado di svelare le fonti da cui il «Savio di Concord» aveva tratto ispirazione. Emerson, da avido lettore quale egli era, mostra negli anni che precedono l’uscita dell’opera nel 1836, un vivo interesse per la filosofia, per lo più appresa tramite fonti indirette, spesso imprecise e incomplete. Le uniche allusioni di carattere filosofico rinvenibili nel testo, in particolare a Plotino, Berkeley e Fichte, risultano così passeggere da sembrare a tutta prima di scarso interesse filosofico. Eppure Emerson, mantenendo una rigorosa suddivisione in paragrafi, ognuno dei quali dedicati ad un singolo tema, dichiara la propria volontà di svelare il frutto delle proprie riflessioni come qualunque filosofo farebbe, in modo cioè sistematico, ricorrendo tuttavia ad un registro diverso, quello poetico e letterario, tramite il quale stimolare la riflessione e la curiosità intellettuale del fruitore. Si ipotizza che Emerson dedicò almeno tre anni alla stesura dell’opera, la quale venne pubblicata presso l’editore James Munroe & Co. con una tiratura di sole cinquecento copie.1 La seconda ristampa americana si ebbe soltanto nel 1849, quando l’autore aveva già alle sue spalle la pubblicazione di entrambe le serie dei Saggi.2 Grazie all’interesse dell’amico Thomas Carlyle l’opera ebbe una considerevole diffusione in area britannica, penetrando perfino all’interno dell’ambiente delle chiese swedenborghiane, le quali inizialmente accolsero in modo positivo l’opera.3 In una recensione comparsa in The Intellectual Repository and New Jerusalem Magazine (Marzo 1840) è possibile cogliere l’entusiasmo dello swedenborghiano Jonathan Bailey di fronte a un testo, quello di Emerson, permeato dall’influenza del grande veggente svedese, e la cui dottrina delle corrispondenze risulta essere a suo parere all’origine delle riflessioni espresse dal filosofo:

In the little work before us, it is plainly to be observed that the beautiful and heartcheering doctrine of correspondences is the basis on which the writer’s peculiar views have been founded. The mode in which the subject generally is treated, is highly calculated to fill the heart with pure and lasting images. It is assuredly wise for all who can, to cherish a love of nature, and occasionally of solitude; not indeed for the purpose of gratifying the lone enthusiasm of our spirits, by the indefinite creations of an ideal world, but to re-conquer our fading sensibilities, and to renew the freshness of virtuous emotion.4

L’opera non tardò a ricevere critiche da parte di alcuni esponenti della New Church, che non potevano certo vedere di buon occhio l’appartenenza di Emerson al trascendentalismo (tanto più che la diffusione del testo avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di facilitare ai giovani della chiesa la comprensione della scienza delle corrispondenze) e al credo unitariano, la cui cristologia entrava in conflitto con i presupposti della dottrina swedenborghiana. Un reverendo di Glasgow di nome David George Goyder, una volta ricevuta la copia di Nature tramite il sopra citato Bailey, decise di ripubblicare il testo nella sua interezza sotto forma di una delle sezioni di The Biblical Assistant, and Book of Practical Piety (London, W. Newbery, Manchester, Liverpool, Glasgow, and Boston, 1841), dal titolo: «The Religious Philosophy of Nature». Dalla prefazione di Goyder al suo volume, si legge:

The section entitled the Religious Philosophy of Nature, is written by an American Unitarian; consequently the divinity of the Lord is not recognised […] Why, then, it will be asked, has the Editor introduced it? He answers, because the whole subject is so beautifully replete with correspondence.5

Ma l’omaggio fatto da Emerson in Nature alla scienza delle corrispondenze non servì a placare la generale riluttanza di John Westall nei confronti dell’opera e di alcune dottrine da essa espresse, in primis la cristologia:

We believe every reference to the Lord Jesus Christ conveys the Unitarian idea, that He was a man; more perfect than other men it is true, but still a man, not the Divine Man of the Word, but the limited creation of Socinus. This being the fact … The conclusion is forced upon us, that to represent such a work as containing «the religious philosophy of nature», taught by the New Church, when it does not even recognize the God whom we worship as the God of nature, and of course cannot lead us up to Him, is calculated to produce evil, is a grievous error, and seems to require that this portion of the «Biblical Assistant» should be recalled and repudiated at the earliest moment.6

Questa accesa diatriba, di cui in verità non si conosce altro al di fuori delle poche reazioni espresse pubblicamente negli organi ufficiali della New Church, non permette soltanto di gettare luce sulla diffusione in area britannica dell’opera emersoniana, ma anche di ritrovare, nella scelta operata dal reverendo Goyder, lo stimolo per una rilettura in chiave swedenborghiana di Nature. Si potrebbe affermare che quasi tutta la cultura e l’arte statunitense, lungo il corso dell’ottocento, si caratterizzi per la predilezione nei confronti delle intuizioni di Swedenborg. Gli splendidi quadri di George Inness riflettono, per esempio, la necessità di trasferire nei colori e nella modalità rappresentativa dei paesaggi naturali la legge delle corrispondenze. Per molti degli individui coinvolti negli esperimenti di socialismo utopico, di cui l’esempio più lampante è rappresentato dall’esperienza della comune di Brook Farm, l’analogia universale di Fourier è portatrice della stessa verità espressa in modo esemplare dalla dottrina delle corrispondenze.7

Come già accennato in apertura del presente articolo, anche i testi di Swedenborg trovano diffusione nel New England tramite fonti indirette. Lo stesso Emerson ricava una serie di spunti ed informazioni sulle dottrine del veggente svedese immergendosi nel testo dell’amico e «swedenborgian druggist» Sampson Reed, dal titolo: Observations on the growth of the mind (1826). Anche se il nome di Swedenborg non compare mai, l’opera ne mostra l’influenza in modo modo piuttosto evidente.8 Colto dall’entusiasmo della scoperta, Emerson scriverà: «Our American press does not often issue such productions as Sampson Reed’s observations on the Growth of the Mind […] It has to my mind the aspect of a revelation».9 L’opera di Sampson Reed guadagnerà col passare del tempo un valore tale da figurare tra quelle «peculiarities of the present age» che a detta di Emerson marcano il segno di un cambiamento epocale: «Transcendentalism. Metaphysics and Ethics look inwards and France produces Mad. de Staël; England, Wordsworth; America, Sampson Reed; as well as Germany, Swedenborg».10 Il trascendentalismo (termine che compare per la prima volta nei Diari) figura tra le peculiarità dell’epoca moderna per aver attuato uno spostamento dell’enfasi dall’esteriorità all’interiorità. Per quanto una definizione di questo genere comporti un’eccessiva esemplificazione della terminologia kantiana, per la quale la nozione di trascendentale designa: «ogni conoscenza che si occupi in generale non tanto di oggetti quanto del nostro modo di conoscere gli oggetti nella misura in cui questo deve essere possibile a priori»,11 ha il pregio di rivelare l’utilizzo che se ne faceva del termine nel territorio del New England, in particolar modo nel momento in cui Emerson appunta i propri pensieri nel suo diario.12 Una rivelazione di non poco conto, visto il modo con cui la critica ha cercato di aggirare il problema, ricollegando direttamente il termine al gruppo di pensatori denominati «trascendentalisti». Si pensi alla definizione di Elémire Zolla, secondo la quale, il trascendentalismo è definito: «meglio che da caratteri dottrinali, tutti vaghi o inesatti, dalla condizione dei suoi rappresentanti, in buona parte pastori che non riuscivano a vivere nei ranghi d’una Chiesa».13 Accezione che non risulta affatto nuova, ma si ritrova in parte nello studio di Harold Clarke Goddard, in cui viene presentato l’utilizzo così detto «popolare» del termine, finalizzato appunto a descrivere il carattere e le azioni: «of a class of ultra-radical persons who find themselves out of joint with the society in which they live».14 Dalla prefazione che Reed scrive per la terza edizione di Observations (1838) emerge chiaramente un aspetto dottrinale, che verrà adottato in pieno da Emerson per giustificare la sua posizione filosofica in Nature, secondo cui il trascendentalismo, altro non sarebbe che l’acerrimo nemico del sensismo: «Transcendentalism is the parasite of sensualism».15 Come testimonia la lettera di Frederic Henry Hedge a James Elliot Cabot, datata otto dicembre 1883, il sensismo è non soltanto la filosofia imperante in quel periodo (per quanto non si possa fare a meno di segnalare la presenza nel curriculum base della Harvard University di Philosophy of the human mind di Dugald Stewart)16 ma anche il fondamento della stessa teologia unitariana: «What we strongly felt was dissatisfaction, with the reigning sensuous philosophy dating from Locke, on which our Unitarian theology was based».17 Da tutto ciò è possibile comprendere l’entusiasmo di Emerson nell’accogliere la novità promossa dal trascendentalismo, il cui senso implicito è stato riformulato in maniera molto chiara dallo storico del movimento Octavius Brooks Frothingham: «the sanctions of authority from outward to inward, from external testimony to immediate consciousness, from the senses to the soul, as the deepest thinkers in all ages have done».18 Il trasferimento dell’enfasi dall’esteriorità dei sensi all’interiorità dell’anima è a mio avviso un tema che accompagna tutta la prima fase del pensiero emersoniano. In Nature questo aspetto riemerge nell’opposizione tra l’uomo sensuale, «sensual man», (metafora utilizzata da Emerson per designare l’uomo che ripone la propria fiducia in ciò che i sensi esterni gli restituiscono e a cui segue l’atto di adattamento del proprio pensiero alle cose) e il poeta, che usa la materia come simbolo delle proprie passioni e, contrariamente all’uomo sensuale, conforma gli oggetti naturali al proprio modo di pensarli:

In un modo più alto il poeta comunica lo stesso piacere. Attraverso pochi segni egli delinea, come nell’aria, il sole, la montagna, il campo, la città, l’eroe, la fanciulla, in modo non diverso da come li conosciamo, ma solamente sollevati da terra e sospesi davanti all’occhio. Egli libera la terra e il mare, e li fa girare attorno all’asse del suo pensiero primario, e li ridispone. Posseduto da un’eroica passione, egli usa la materia come simbolo di questa. L’uomo sensuale conforma i pensieri alle cose; il poeta conforma le cose ai suoi pensieri. L’uno stima la natura nelle sue radici e nella sua fissità; l’altro, come un fluido, e vi imprime il suo essere. Per lui il mondo refrattario è duttile e flessibile; egli investe di umanità la polvere e le pietre, e li trasforma in parole della Ragione. L’Immaginazione può essere definita come l’uso che la Ragione fa del mondo materiale. Shakespeare possiede il potere di subordinare la natura agli scopi dell’espressione, più di tutti i poeti. […] Diveniamo consapevoli che la grandiosità delle cose materiali è relativa e che tutti gli oggetti si contraggono o si espandono per servire la passione del poeta.19

Il poeta non differisce dal filosofo nell’atto di ricondurre la natura e i suoi oggetti al proprio modo di concepirli: «il filosofo, non meno del poeta, pospone l’apparente ordine e le relazioni delle cose al dominio del pensiero […] Il vero filosofo e il vero poeta sono un’unica persona».20

La seconda sezione dell’esordio del filosofo si presenta come un prudente discorso a favore dell’idealismo, prudente perché nelle pagine che seguono ai frammenti appena citati emerge la volontà di una salvaguardia della natura attraverso l’esclusione sistematica di una sua visione mortificante. Bastino da esempio le seguenti dichiarazioni: «la religione e l’etica, che possono opportunamente essere chiamate la pratica delle idee e l’introduzione delle idee nella vita, hanno un analogo effetto rispetto a tutta la cultura più bassa, nel degradare la natura e nel suggerire la sua dipendenza dallo spirito […] Entrambe mettono la natura sotto i piedi».21 Tra i percorsi intrapresi da Emerson in quest’opera vi è quello di giustificare l’utilità della natura tramite la messa in evidenza dei fini in virtù dei quali essa esiste. La quadripartizione della stessa in: utilità, bellezza, linguaggio e disciplina, serve ad evidenziare la sua indispensabilità in risposta alle perenni richieste dello spirito. In tal senso, Emerson non nasconde l’influenza dello swedenborghiano Sampson Reed, dichiarando che: «La natura è fatta per collaborare con lo spirito per la nostra emancipazione».22 Il filosofo trae certamente spunto per questa dichiarazione dal seguente estratto di Observations:

The natural world was precisely and perfectly adapted to invigorate and strengthen the intellectual and moral man. Its first and highest use was not to support the vegetables which adorn, or the animals which cover its surface; nor yet to give sustenance to the human body; it has a higher and holier object, in the attainment of which these are only means. It was intended to draw forth and mature the latent energies of the soul; to impart to them its own verdure and freshness; to initiate them into its own mysteries ; and by its silent and humble dependence on its Creator, to leave on them, when it is withdrawn by death, the full im pression of his likeness.23

La natura consente l’elevazione dello spirito nella misura in cui suscita il risveglio delle sue energie latenti, e si pone perciò non come una sostanza radicalmente estranea, bensì progettata appositamente dal creatore per sollecitare l’esercizio e il relativo potenziamento delle facoltà razionali. Scrive Reed: «This love of nature, this adaptation of man to the place assigned him by his heavenly Father, this fulness of the mind as it descends into the works of God, is something which has been felt by every one, though to an imperfect degree ; and therefore needs no explanation».24 La natura è dotata di funzionalità di cui l’uomo non può fare a meno. Rapportando questo principio alla sfera del linguaggio verbale, la natura si pone come un veicolo indispensabile, in assenza del quale, la comunicazione dei pensieri risulterebbe incompleta, se non addirittura impossibile: «Ogni aspetto della natura corrisponde a qualche stato mentale, e quello stato mentale può solo essere descritto presentando quella sembianza naturale come la sua immagine».25 Per approfondire meglio questa sfumatura della relazione dell’uomo con la natura, o se si preferisce, dello spirito con la natura, è necessario richiamare lo schema con cui Emerson apre il capitolo dedicato alla natura come linguaggio:

Il linguaggio è un terzo strumento attraverso cui la Natura serve l’uomo. La Natura è il veicolo del pensiero, in un semplice, duplice, e triplice grado.

  1. Le parole sono segni di fatti naturali.
  2. Particolari fatti naturali sono simboli di particolari fatti spirituali.
  3. La Natura è il simbolo dello spirito.26

Il primo grado evidenzia come molte delle parole che vengono usate per esprimere fatti morali o mentali implichino fatti naturali. Gli esempi riportati da Emerson sono i seguenti:

Giusto significa diritto; sbagliato significa contorto. Spirito significa in primo luogo vento; trasgressione l’attraversare di una linea; accigliato, l’alzarsi delle sopracciglia. Indichiamo il cuore per esprimere un’emozione, la testa per indicare il pensiero; e pensiero ed emozione sono a loro volta parole prese in prestito dalle cose sensibili, e applicate alla natura spirituale.27

Il conoscitore di Swedenborg non faticherà molto a riscontrare una certa familiarità negli ultimi esempi riportati nell’estratto, i quali, indicano la relazione tra l’esteriorità corporea e l’interiorità umana. In Cielo e Inferno è il volto umano a rivelare ciò che è la corrispondenza:

(91) Dal volto dell’uomo si può vedere cos’è la corrispondenza. In colui che non ha imparato a dissimulare, tutti i sentimenti si presentano alla vista così come sono, in forma naturale, proprio in volto. Il volto indica il carattere dell’uomo, il suo mondo spirituale nel suo mondo naturale. Si dice infatti che il volto è lo specchio dell’anima. Allo stesso modo tutte le considerazioni dell’intelletto si manifestano nella parola e le tensioni della volontà dei movimenti del corpo. Tutto ciò che avviene nel corpo, sia sul viso che nel linguaggio e nei gesti, è detto corrispondenza.

(92) Da quanto sopra riferito, si può capire che cosa sono l’uomo interiore e l’uomo esteriore. L’uomo interiore è chiamato uomo spirituale, e l’uomo esteriore uomo naturale. L’uno è distinto dall’altro come il Cielo lo è dal mondo. Tutto ciò che viene fatto ed esiste nell’uomo esteriore o naturale, viene fatto ed esiste nell’uomo interiore o spirituale.28

La relazione tra le parole e i fatti naturali a cui esse si riferiscono, è frutto di un processo di trasformazione le cui tappe non ci sono propriamente note, ma la stessa tendenza è riscontrabile secondo Emerson nel comportamento dei bambini: «i bambini e i selvaggi usano solamente nomi o nomi di cose, che essi convertono di continuo in verbi, e applicano ad analoghi atti di pensiero».29 A un livello ulteriore, tramite l’adattamento di un fatto sensibile ad un fatto spirituale, ci accorgiamo di quanto il linguaggio non possa fare a meno di veicolare senso ricorrendo a quelle realtà concrete che appartengono al mondo esteriore: «Questa immediata dipendenza del linguaggio dalla natura, questa conversione di un fenomeno esteriore nel modello di qualcosa di umano, non perde mai il suo potere di coinvolgerci».30 Anche qui le dimostrazioni non mancano:

Non sono solo le parole a essere emblematiche; sono le cose stesse a essere tali […] Un uomo infuriato è un leone, un uomo astuto è una volpe, un uomo sicuro è una roccia, un uomo colto è una fiaccola. Un agnello è innocenza; un serpente è sottile malizia; i fiori esprimono per noi i teneri affetti. Luce e oscurità sono le nostre espressioni familiari per conoscenza e ignoranza; la parola «calore» esprime amore. Una visibile distanza dietro e davanti a noi è rispettivamente la nostra immagine della memoria e della speranza.31

Esempi che rivelano non solo quanto la natura sia dotata di un proprio linguaggio, ma anche quanto tale linguaggio possieda una portata simbolica pari a quella riscontrabile in ambito verbale. Tale principio è reso esplicito dalle dichiarazioni di apertura dell’estratto: «non sono solo le parole a essere emblematiche; sono le cose stesse a essere tali». Difficile non avvertire in ciò l’eco del pensiero di Reed: «There is a language not of words, but of things. When this language shall have been made apparent, that which is human will have answered its end; and being as it were resolved into its original elements, will lose itself in nature».32

Non vi è solo un linguaggio di parole ma anche un linguaggio di cose, il cui implicito valore emblematico si offre come strumento utile alla comunicazione verbale e, non di meno, a quell’espressione poetica e mistica a cui il saggio della Seconda Serie dal titolo Il Poeta è in buona parte dedicato. Anche l’uomo è a sua volta un portatore di simbologie, come Emerson afferma nell’introduzione di Nature: «La condizione di ogni uomo è una soluzione in geroglifico a quelle domande che vorrebbe porre».33 E del resto, il suo volto esteriore è per Swedenborg una via d’accesso privilegiata alla comprensione della dottrina delle corrispondenze e delle simbologie sulle quali essa si regge. Uno dei testi chiave della divulgazione della dottrina è non a caso la Clavis hieroglyphica arcanorum naturalium & spiritualium per viam repraesentationum et correspondentiarum (Hyerogliphic Key to Natural and Spiritual Arcana through the way of Representation and Correspondences) ,34 la quale, con ogni probabilità, viene indirettamente richiamata da Emerson nell’utilizzo del termine «geroglifico», in riferimento alla condizione dell’uomo.

Dal paragrafo che conclude la sezione dedicata alla natura come linguaggio, emerge inoltre un’affermazione la cui radicalità porta a delle conseguenze significative sul piano filosofico:

Le leggi della natura morale rispondono a quelle della materia come un volto si riflette in un vetro. «Il mondo visibile e le relazioni delle sue parti, sono il quadrante su cui leggere l’invisibile». Gli assiomi della fisica traducono le leggi dell’etica. Perciò si dice che «il tutto è più grande della parte»; «la reazione è uguale all’azione»; «il peso più piccolo può essere spinto a sollevare il peso maggiore, poiché la differenza di peso è compensata dal tempo»; e molte proposizioni simili, che hanno un significato etico oltre che fisico. Queste proposizioni hanno un senso molto più esteso e universale quando sono applicate alla vita umana di quando sono confinate all’uso tecnico.35

Le leggi che regolano la natura morale, si trasmettono, in virtù dei criteri già sufficientemente delineati, al piano fisico, e viceversa. Una volta spiegata la relazione tra i fatti spirituali e i fatti naturali sul piano del linguaggio, ed essendo il simbolismo una modalità attraverso cui entrambi i domini si articolano, anche le leggi spirituali possono riflettersi in quelle leggi che regolano il processo stesso della natura, senza che ciò comporti contraddizione alcuna. Questa tematica troverà spazio in quella critica della cristianità storica che è il Divinity School Address (discorso rivolto agli studenti dell’ultimo anno della Divinity School di Cambridge, la domenica sera del 15 luglio 1838) e nella cui conclusione viene riproposta, seppure con parole diverse, la medesima argomentazione:

Attendo il nuovo Maestro che seguirà quelle leggi luminose a tal punto da vederle formare un cerchio pieno, da vederne la grazia completa e circolare, da vedere il mondo come lo specchio dell’anima, da vedere l’identità della legge di gravitazione con la purezza del cuore e da mostrare che la Necessità e il Dovere sono una cosa sola con la Scienza, con la Bellezza e con la Gioia.36

L’identità tra la legge di gravitazione con la purezza del cuore ricalca esattamente lo stesso principio testimoniando in tal modo la centralità di questa tesi nel pensiero del filosofo. Il parametro che regola l’unità dello spirito con la natura e la riflessione in entrambe delle medesime leggi è, a mio avviso, ancora la dottrina delle corrispondenze. Ne è in qualche misura indicativa la citazione appartenente all’estratto di Nature sopra citato: «Il mondo visibile e le relazioni delle sue parti, sono il quadrante su cui leggere l’invisibile», e che nei Diari compare come citazione la cui paternità viene attribuita proprio a Swedenborg.37 Del resto, anche la dichiarazione successiva, secondo la quale: «la corruzione dell’uomo è seguita dalla corruzione del linguaggio»,38 risente molto dell’opera dello swedenborghiano francese Guillame Oegger, intitolata: Le vrai Messie, ou l’Ancien et le Nouveau Testaments examinés d’après les principes de la langue de la nature (1829),39 tradotta e ripubblicata da Elizabeth Peabody con il titolo: The true messiah; or, the Old and New Testaments Examined according to the Principles of the Language of Nature (1842). Come segnalato da Harold Clarke Goddard nel suo importante studio, questa simmetria tra le leggi dello spirito e le leggi della natura, non è soltanto un tema caro ad Emerson, ma è anche un tratto essenziale del trascendentalismo del New England.40 Il nome di Swedenborg, come si è potuto precedentemente apprendere, figura tra quelle «peculiarità dell’epoca moderna» in quanto espressione eminente del trascendentalismo.

Se è vero che in Nature Emerson si fa promotore di una svolta trascendentalista, che opera uno svecchiamento sistematico del pensiero filosofico e teologico statunitense, è anche vero che l’input primario gli viene proprio dalla dottrina swedenborghiana delle corrispondenze (almeno così risulterebbe dai precedenti riscontri). Certo è che molti altri luoghi rivelano influenze altrettanto significative, da indurre a considerare l’opera un ponte tra platonismo e kantismo, come Robert Richardson ha peraltro sostenuto: «a modern version of Plato, an American version of Kant».41 Ma se si torna ancora una volta al saggio il Poeta, la cui pubblicazione dista ben otto anni da quella di Nature, l’unico pensatore che secondo Emerson è riuscito, meglio di altri, a rendere la natura più vicina allo spirito, rimane pur sempre Swedenborg: «Swedenborg, fra tutti gli uomini dei tempi recenti, rappresenta in maniera eminente il traduttore della natura nel pensiero».42 L’uscita di Representative Men (1850) segnerà invece il distacco di Emerson da Swedenborg e dalla dottrina delle corrispondenze, la cui origine verrà da lui coerentemente ricondotta a Platone: «The fact thus explicitly stated is implied in all poetry, in allegory, in fable, in the use of emblems and in the structure of language. Plato Knew it, as is evident from his twice bisected line in the sixth book of the Republic».43 Due passi di Economy of the Animal Kingdom (III, 264;266), opera nominata nel saggio dedicato a Swedenborg, rivela l’effettiva derivazione della dottrina delle corrispondenze dal platonismo:

264 The forms of the supreme world, says Aristotle, were called by the ancients Exemplars, wherein, according to Plato, is seated the substance of things inferior (Divina Sapientia secundum Aegyptios, lib. XIV, cap. xiv).

266 Every natural form has In the supreme world some other and similar form corresponding to itself but more noble […] An inferior condition (or state, ratio) depends on another, and conditions of this kind are many and singular. But that which is single depends on that which is universal! (Div. Sap, sec. Aegypt., lib. XIV, cap. ix).44

Le citazioni di Swedenborg provengono entrambe dalla Pseudo-Teologia di Aristotele, la versione arabica dell’Enneadi di Plotino (IV-VI).45 A una lettura di Economy of the animal kingdom Emerson è evidentemente costretto a sottoporre al vaglio della critica la dottrina delle corrispondenze, in particolar modo per mezzo di quelle citazioni che non nascondono il proprio debito con la tradizione platonica. Un aspetto del tutto distante dall’Emerson che in Nature desidera esaltare il potere linguistico-simbolico della natura, attingendo a piene mani dai seguaci di Swedenborg; ma al quale sfugge, per mancanza di altre fonti, il retroterra platonico. Ciò non toglie che l’apporto delle intuizioni del veggente svedese lo aiutino nel difficile compito di far convivere l’idealismo, oserei dire trascendentale, e a cui la seconda sezione dell’opera è dedicata, con la certezza dell’esistenza distinta e continuata della natura, il cui potere è in grado di risvegliare le facoltà dell’anima e di incentivarne il relativo esercizio.


  1. Cfr. David A. Dilworth, «Nature», in Tiffany K. Wayne, Critical companion to Ralph Waldo Emerson, A literary reference to his life and work, Facts on file Library of American Literature, 2010, pp. 184-85. ↩︎

  2. Ibid. ↩︎

  3. Cfr. (edited by), Kenneth Walter Cameron, Further response to transcendental Concord, other resources for research in Emerson, Alcott, the Concord School of Philosophy and Literature, and its successors, Hartford, Transcendental Books — Box A, Station A — 06106, 1981, Part. III, p. 11. ↩︎

  4. Ivi, p. 12. ↩︎

  5. Ivi, p. 13. ↩︎

  6. Ivi, p. 14. ↩︎

  7. Francis Humphrey Noyes, History of american socialisms, Hillary House Publishers, Ltd., New York, 1961, p.  541. ↩︎

  8. Clarence Paul Hotson. «Sampson Reed, a Teacher of Emerson», in The New England Quarterly, 2.2, 1929, p. 251. ↩︎

  9. Ralph Waldo Emerson, Journals of Ralph Waldo Emerson, Vol. II, London, Constable & Co. Limited, Boston and New York, Houghton Mifflin Company, 1910, p.  116. ↩︎

  10. Ivi, p. 164. ↩︎

  11. Immanuel Kant, Critica della ragion pura, trad. a cura di Pietro Chiodi, Utet, 2005, p. 90. ↩︎

  12. 30 Gennaio 1827. ↩︎

  13. Elémire Zolla, Le origini del trascendentalismo, Edizioni storia e letteratura, Roma, 2010, p. 100. ↩︎

  14. Harold Clarke Goddard, Studies in New England Transcendentalism, Columbia University Press, 1908, p. 167. ↩︎

  15. Sampson Reed, Observations on the growth of the mind, Boston, T. H. Carter and Company, London, C. P. Alvy, 1865, p. 7. ↩︎

  16. La lettera indirizzata da Thomas Jefferson a Dugald Stewart, in data 26 Aprile 1824, dimostra l’effettivo utilizzo dell’opera del filosofo dello scottish common sense all’interno delle università statunitensi: «At a subsequent period you were so kind as to recall me to your recollection on the publication of your invaluable book on the Philosophy of the Human Mind, a copy of which you sent me, and I have been happy to see it become the text book of most of our colleges & academies», in Thomas Jefferson, Writings Library Containing His Autobiography, Notes on Virginia, Parliamentary Manual, Official Papers, Messages and Addresses, and Other Writings, Official and Private, Now Collected and Published in Their Entirety for the First Time, Including All of (Vol. 18),London, Forgotten Books, 2013, pp. 330-1. ↩︎

  17. Cit. in (edited by) Ronald A. Bosco and Joel Myerson, Emerson, in His Own Time, A Biographical Chronicle of His Life, Drawn from Recollections, Interviews, and Memoirs by Family, Friends, and Associates,, University of Iowa Press Iowa City, 2003, pp. 100-1. ↩︎

  18. Frothingham si rivolge all’unitariano James Walker, la cui filosofia è ancora legata alla tradizione dello scottish common sense, ma il cui motto: «religion is in the soul» lo rende un precursore del Trascendentalismo che si svilupperà, di lì a poco, nel territorio del New England. Si veda Henry David Gray, Emerson: A statement of New England transcendentalism as expressed in the philosophy of its chief exponent, Stanford University, California, Published by the University, 1917, p. 22. ↩︎

  19. Ralph Waldo Emerson, «Natura», in Teologia e natura, Marietti, 2010, pp. 44-5. ↩︎

  20. Ivi, p.  47. ↩︎

  21. Ivi, pp.  49-50. Ad Emerson non sfuggono le implicazioni filosofiche di un idealismo portato alle estreme conseguenze. ↩︎

  22. Ivi, p.  43. ↩︎

  23. Sampson Reed, Op. cit., p.  45. ↩︎

  24. Ivi, p. 47. ↩︎

  25. Ralph Waldo Emerson, Op. cit., p.  24. ↩︎

  26. Ivi, p.  23. ↩︎

  27. Ibid. ↩︎

  28. Emanuel Swedenborg, Cielo e inferno. L’Aldilà descritto da un grande veggente, a cura di Paola Giovetti, Edizioni Mediterranee, Roma, 1989, p.  69. ↩︎

  29. Ralph Waldo Emerson, Op. Cit., p.  24 ↩︎

  30. Emerson, p.  26. ↩︎

  31. Ivi, p.  24. ↩︎

  32. Sampson Reed, Op. cit., pp.  54-55. ↩︎

  33. Emerson, p.  8. ↩︎

  34. Matin Lamm, Emanuel Swedenborg: The development of his thought, Swedenborg Studies/No.9, Swedenborg Foundation Publishers; Translated edition, May 1 2000, p. 95. ↩︎

  35. Emerson, p. 29. ↩︎

  36. Ralph Waldo Emerson, «Discorso alla facoltà di teologia», in Teologia e Natura, pp. 118-19. ↩︎

  37. «Swedenborg considered: «the visible world and the relation of its parts as the dial plate of the invisible one». Quoted in New Jerusalem Magazine for July 1832», in Ralph Waldo Emerson, Journals of Ralph Waldo Emerson, Vol. II, pp. 500-1. ↩︎

  38. Emerson, Natura, p. 27. ↩︎

  39. Elisabeth Hurth, «The Poet and the Mystic: Ralph Waldo Emerson and Jakob Böhme», in ZAA, Zeitschrift für Anglistik und Amerikanistik, 53, 2005, p. 346. ↩︎

  40. Cfr. Harold Clarke Goddard, Studies in New England Transcendentalism, p. 5. ↩︎

  41. Robert D. Richardson, Emerson: The Mind on Fire, University of California Press, 1996, p. 233. ↩︎

  42. Ralph Waldo Emerson, «Il Poeta», in Saggi, Introduzione, traduzione e note di Piero Bertolucci, Boringhieri 1969, Torino, p.  289. ↩︎

  43. Ralph Waldo Emerson, «Swedenborg; or, The Mystic», in Representative Men, Seven Lectures, New and Revised Edition, Boston, Houghton, Mifflin & Company, 1884, p. 113. ↩︎

  44. Emanuel Swedenborg, The Economy of the animal kingdom, considered anatomically, phisically and philosophically, (Transaction III), Translated from the latin and edited by Alfred Acton, Swedenborg Scientific Association, Philadelphia, PA, 1918, pp.181;188. Si veda anche Matin Lamm, Emanuel Swedenborg: The development of his thought, pp. 96-7. ↩︎

  45. Cristina D’Ancona, «The libraries of the neoplatonists; an introduction», in The Libraries of the Neoplatonists, edited by Cristina D’Ancona, Brill, Philosophia Antiqua, Vol.107, Leiden, Boston, 2007, p. 22. ↩︎