Comunicazione ed educazione nel pensiero di Karl Jaspers. Possibili valenze etiche, giuridiche, politiche

1. Premessa

Perché interessarsi a Karl Jaspers oggi? Perché porsi in ascolto di questo Filosofo? C’è qualcosa da cercare, ancora, in questo autore, che abbia bisogno di essere scoperto, o anche soltanto ri-scoperto, in modo che abbia senso un invito a rileggerlo, che non sia semplicemente un tentativo di ricostruzione del suo pensiero in sede storico-filosofica? Impegnarsi in queste domande può voler significare il tentativo di raccogliere quanto di più filosoficamente vivo resta dell’opera di questo pensatore, nella persuasione che la fecondità di un pensiero si rivela nel tempo lungo, nella sedimentazione che lentamente lo assimila alla coscienza delle generazioni che si succedono, rendendolo parte di una sensibilità trans-epocale. Interessa forse poco, in questo senso, acquisire il nome di Jaspers al museo dei classici, interessa forse di più saperlo prossimo alle inquietudini e alle urgenze dei contemporanei, con lo sguardo rivolto al futuro.1

2. Antropologia filosofica della comunicazione

Perché c’è la comunicazione? Perché non sono solo? Con questi interrogativi si apre il terzo capitolo del Libro secondo della Philosophie di Jaspers.2 Con i medesimi interrogativi si apre il capitolo di ogni esistenza3 che prenda coscienza di sé, della ragione e del significato di sé. Già questo incipit dà riscontro dell’estrema pertinenza del filosofare di Jaspers alle domande prime, e fondamentali, che si affacciano alla consapevolezza umana. La formulazione di queste domande procede da un livello esistenziale, al quale solo può darsi, secondo Jaspers, una comunicazione vera, che deve essere scoperta al limite della comunicazione che si può osservare,4 e che è competenza della psicologia e della sociologia5: delle scienze della comunicazione. Perché «la vera comunicazione, che è poi l’unica in cui conosco veramente il mio essere, in quanto sono io stesso a produrla con l’altro, non è empiricamente riscontrabile; la sua chiarificazione è un compito filosofico»,6 in quanto si tratta della comunicazione dell’esserci, troppo importante, quindi, per essere assegnata esclusivamente o in via prioritaria alle scienze, siano esse «umane» o «sociali».

A una fase di ingenuo e problematico esserci dell’uomo nella comunità — nella quale la sua coscienza di esserci è fondata in una originaria identificazione con tutti, e dove il se-stesso «non vive ancora in comunicazione, perché ancora non è cosciente di sé»7 — segue un salto, grazie al quale «l’io, divenuto cosciente di sé, può contrapporsi all’altro e al suo mondo; quando differenziandosi, coglie la sua indipendenza originaria».8 Acquisita la separazione9 di un io indipendente, si pone il problema «di stabilire come l’io e un altro io si intendono e trattano tra loro».10 Il primo momento di questa ricerca di intesa reciproca è dato dalla «comprensione da io a io attraverso la comune comprensione di una cosa oggettiva, ossia di un contenuto concettuale in cui si apprende e si riconosce un’esattezza, o attraverso un’azione in cui insieme si coglie uno scopo e i mezzi necessari».11 Questo genere di comunità è, per Jaspers, impersonale, perché «l’io che si è individuato può trattare ogni altro io come si tratta una cosa».12 In questo tipo di comunicazioni «io sono pensato solo come intelletto di una coscienza in generale».13 L’antropologia filosofica14 che emerge da queste osservazioni sostiene il tentativo di interpretare i primi movimenti che è dato registrare al livello del fenomeno comunicazione:

l’uomo, infatti, non si risolve nell’io formale dell’intelletto, né nella semplice vitalità dell’esserci, ma è portatore di un contenuto che o si mantiene nell’oscurità di una comunità primitiva, o si realizza attraverso una totalità spirituale di cui l’uomo diventa cosciente senza tuttavia conoscerla a sufficienza.15

L’antropologia filosofica della comunicazione, che così viene ad impostarsi — secondo l’originale taglio fenomenologico impressovi da Jaspers16 — , introduce a sua volta il tema di una comunicazione sostanziale, quale si dà nella comunità dell’idea di un tutto: uno Stato, una società, una famiglia, una università o una professione.17 L’antropologia jaspersiana si atteggia, su questo piano, ad una antropologia filosofico-sociale, centrata sulla comunicazione, e puntata sulla totalità sociologica nella quale l’uomo viene a trovarsi inserito. Tema della sociologia può essere la comunicazione sostanziale, che tuttavia, in quanto oggettivata, è ancora una comunicazione non-esistenziale, dandosi viceversa come esistenziale unicamente la comunicazione nella quale «io sono in gioco con tutto il mio essere, non solo col mio esserci, e in forme che, non essendo universali, non si possono universalmente trasmettere».18 L’antropologia filosofica della comunicazione esistenziale presuppone, in Jaspers, l’insufficienza delle comunicazioni non esistenziali, in ognuna delle quali si sperimenta una soddisfazione specifica, in nessuna mai una assoluta19: tale inadeguatezza «è dunque l’origine di una rottura che avviene in direzione dell’esistenza e di un filosofare che cerca di chiarirla»,20 la chiarificazione dell’esistenza derivando proprio dall’esperienza dell’insufficienza della comunicazione (oggettivante); questa esperienza «è il punto di partenza per la riflessione filosofica che cerca di capire perché io sono, solo se sono con l’altro che è di volta in volta insostituibile».21

Jaspers lascia intendere che, all’origine della coscienza in generale, c’è già comunicazione, perché «io sono già con un’altra coscienza»22: la mia coscienza deve infatti poter riconoscersi in un altro io per contrapporsi a se stessa nell’autocomunicazione.23 La insufficienza nell’io solo fa sì che da solo io non possa cercare, e trovare, la verità, perché la verità «non è ciò che è vero solo per me»;24 la insufficienza nell’altro postula che io non possa diventare me stesso se l’altro non vuole a sua volta essere se stesso, e che io non possa essere libero se l’altro non lo è;25 all’impulso alla comunicazione — derivante dalla responsabilità che avverto, non solo di me ma anche dell’altro, «come se egli fosse me ed io lui»26 — predispone incondizionatamente la coscienza di essere un fattore decisivo, per me stesso come per l’altro,27 anche se la coscienza di un significato essenziale che, «nell’incontro delle esistenze possibili, nel loro contattarsi e sopravanzarsi, oltrepassa tutto ciò che è concepibile nel mondo, si impone senza che, da parte nostra, la si comprenda esattamente».28 Ne viene che essere è essere-l’uno-con-l’altro,29 «non solo per l’esserci, ma per l’esistenza che, nel tempo, non esiste nella stabilità della propria autosussistenza, ma come processo e pericolo».30

Da questi ultimi passaggi emerge un nesso essenziale che lega comunicazione (esistenziale), verità, libertà, responsabilità31: trattasi di un nesso che Jaspers precisa con particolare riguardo alla relazione tra me e l’altro nella libertà; solo a partire dalla libertà come possibilità si può difatti intendere il senso dell’affermazione per la quale «sono me stesso nella mia libertà solo se l’altro vuol essere ed è se-stesso, ed io con lui».32 Dipende dal realizzarsi di questa possibilità il darsi della necessità della comunicazione esistenziale — motivata dall’insufficienza della comunicazione non esistenziale — come una necessità della libertà stessa che, come tale, «non può essere compresa oggettivamente».33 La comunicazione con un’esistenza libera, accanto alle possibilità che presuppone e al contempo dischiude, incontra tuttavia limiti, come nell’esperienza del trovare un amico, che è comunicativa nella misura in cui, distinguendosi da un semplice contatto spirituale, si espone fatalmente al rischio, comportando l’attesa e il timore, dell’incomprensione.34 Ma anche i suoi limiti — ivi compresa una certa selettività della comunicazione, che mi impedisce di raggiungere tutti gli uomini — avvalorano la comunicazione quale origine dell’esistenza, percepita a sua volta come un dono.35 La comunicazione è resa altresì possibile da una tensione tra solitudine e comunione: essa infatti «si realizza di volta in volta tra due che, pur vincolandosi tra loro, devono continuare a restare due, in quanto si relazionano nella solitudine e conoscono la solitudine perché sono in comunicazione».36 Se da una parte non posso essere me stesso senza entrare in comunicazione con l’altro, è anche vero che «non posso entrare in comunicazione con l’altro senza essere solo».37 E, se è pur vero che

con la comunicazione cessa una solitudine, ne nasce una nuova che non può svanire se da parte mia non cesso di essere condizione della comunicazione. Devo volere la solitudine se voglio essere dalla mia origine propria e avere così il coraggio di entrare nella comunicazione più profonda.38

È qui contenuta in nuce la critica filosofica dell’ipercomunicazione inaugurata dalla rivoluzione digitale degli Anni Novanta, che «connette» — in senso oggettivante — molto più di quanto non permetta di comunicare autenticamente, ridimensionando il comunicare in senso esistenziale.39 A questa comunicazione della solitudine si oppone l’atteggiamento filosofico per il quale è la verità a fondare la comunità40: non la comunità nella quale raggiungo la coscienza dell’essere autentico, ma «l’ordine del mondo degli uomini in cui si può rispettare reciprocamente ciò che, pur rimanendo incomprensibile, esige un avvicinamento progressivo in una comunicazione che va via via ampliandosi».41 Per Jaspers, «la possibilità dell’esistenza nella tensione tra solitudine e comunicazione è l’alternativa che, pur non essendo valida per tutti, assume per il se-stesso un valore incondizionato in quanto gli consente di cogliere l’essere che gli è accessibile nell’uomo».42

Nella comunicazione accade inoltre che «mi manifesto con l’altro»,43 e «il processo del manifestarsi nella comunicazione è una lotta unica nel suo genere, una lotta che è, ad un tempo, amore».44 In questo liebender Kampf, che «è la lotta del singolo per l’esistenza»,45 c’è una solidarietà senza paragoni, dove ciascuno «mette tutto a disposizione dell’altro».46 Nell’illimitato domandare e rispondere, che un’autentica comunicazione esige, possono darsi regole, e la regola di quella solidarietà comunicativa è una fiducia47 assoluta, perché si tratta di una lotta amorosa per la verità dell’esistenza. L’amore per la verità di sé e dell’altro esige e detta, per promuovere la comunicazione di esistenza, la regola della fiducia: in tal modo la comunicazione si rivela la dimensione nella quale si insedia, si forma, si struttura un ordine delle relazioni interumane d’impronta fiduciale.

La comunicazione esistenziale, generata dalla lotta amorosa per la verità, e animata da una fiducia incondizionata, in quanto comunicazione solidale «cerca di penetrare nel tessuto dei rapporti reciproci»,48 a far crescere i quali si dà qualcosa che, nel suo venir prima, è non reciprocabile: l’infondato, immotivato amore per il singolo.49 Jaspers puntualizza che l’amore «non è ancora la comunicazione, ma la sua sorgente, che, attraverso la comunicazione, si chiarisce»,50 come se l’essere dell’origine parlasse a se stesso;51 che l’amore «è di volta in volta unico»,52 e, se vero, indissolubile.53 «Ma — soggiunge Jaspers — , senza comunicazione esistenziale ogni amore è problematico»,54 perché «l’amore, che è l’origine sostanziale del se-stesso nella comunicazione, può produrre il se-stesso come movimento della propria manifestazione, ma non può condurlo a un compimento e ad una conclusione».55 Sostare sul tema dell’amore consente a Jaspers di assumere che «c’è comunicazione solo dove un esserci proprio, disposto ad una apertura infinita, è legato all’altro»,56 in una maniera, incondizionata, dove «il se-stesso si incontra con l’altro sullo stesso piano».57 Paradigmatico di questo incontro comunicativo-esistenziale è il Mit-philosophieren il quale, fin dall’antichità, fa procedere la comprensione filosofica dall’ipotesi di una essenza originariamente etica del singolo,58 alla quale aderisce il dialogo,59 da considerarsi come la forma adeguata della comunicazione del filosofare. Nella comunità del filosofare prende infine senso e forma la questione fondamentale: «quali pensieri sono necessari perché sia possibile la comunicazione più profonda?».60

A questo interrogarsi in profondità Jaspers prova a rispondere, in Vernunft und Existenz, mettendo a tema la verità come comunicabilità: il vero, per essere tale, deve essere comunicabile,61 sia perché la verità si accende nell’atto stesso della comunicazione tra le esistenze,62 sia perché la comunicazione è la condizione universale e necessaria dell’umanità63: essa, infatti, «è talmente essenziale che tutto ciò che l’uomo è, e quello che per lui esiste, si trova in un senso o nell’altro nella comunicazione. L’essere onnicomprensivo che noi stessi siamo, è in ogni sua forma comunicazione».64 È per questo che «la verità non può essere separata dalla comunicazione. Essa è presente nella realtà temporale come realtà, proprio in virtù della comunicazione»,65 donde si ha che il dinamismo proprio della comunicazione consiste nel cercare e nel sostenere la verità66: la comunicabilità del vero postula che la comunicazione sia essa stessa una questione di verità. Quando la verità si dia come volontà di comunicazione totale,67 l’inseparabilità di verità e comunicazione diviene una coincidenza dell’una con l’altra.

Questa coappartenenza di verità e comunicazione, che le rende reciprocamente assimilabili, fa sì che l’unico problema essenziale per l’uomo — in quanto ragione ed esistenza — sia il problema della sua comunicazione.68 Jaspers svolge il suo pensiero muovendo dagli stadi della comunicazione della coscienza universale (che unisce momenti ripetibili), e della lotta del solo esistere, per passare alla comunione spirituale, momenti dai quali la comunicazione dell’esistenza si distingue per il suo intercorrere tra singolarità insostituibili69: in virtù della essenziale incidenza della verità nella comunicazione, «essere se stesso ed essere della verità non sono altro, perciò, che questo incondizionato porsi in una comunicazione»,70 in una comunicazione nella verità. Scrive Jaspers che «la vera e propria comunicazione tra essere ed essere si effettua come ragione la cui sostanza è radicata nell’esistenza (Existenz); e si effettua precisamente nella realtà esistenziale (Dasein), nella coscienza universale e nello spirito».71 La consistenza del mondo, e della trascendenza — ai quali la ragione, come esistenza possibile, si rivolge — «deve farsi comunicabile, perché solo così può per noi divenire essere»;72 ma è solo nell’uomo, in quanto ragione-ed-esistenza, che «l’essere e l’essere-in-comunicazione diventano la stessa cosa, e l’uomo è in tal senso veramente se stesso».73 Se «in ogni significato della verità noi individuiamo chi è il parlante che comunica la verità»,74 è soltanto nella comunicazione — pienamente veritativa — di esistenza e di ragione che parla decisamente der existierende Mensch, l’uomo come esistenza.75

Il nesso che lega verità e comunicazione rende la verità, nell’essenziale, tutt’altro che dogmatica: la rende comunicativa.76 Se la volontà di comunicare è totale, essa non può che essere vera: proprio perché totale, essa ha fiducia nella verità dell’altro, che «non è la sua, ma che, essendo verità, deve contenere in sé una possibilità di comunicazione».77 Se ne deduce che non l’incomprensibile, e nemmeno l’impensabile, ma l’incomunicabile equivale, per Jaspers, al non vero. La fissità di un dogma è incompatibile con la verità perché si ridurrebbe, stando all’indicazione di Jaspers, alla delimitazione di un qualcosa che invece, originariamente, è se stesso in quanto illimitato, e non limitabile, perché «la verità per l’uomo esiste come verità in divenire»78: verità ed esistenza, verità e comunicazione, il plesso verità, esistenza e comunicazione si tengono insieme non sul piano di una universale validità, ma nel riferirsi ad una strutturale incompiutezza della comunicazione79 che, rendendola indisponibile a una oggettivazione, svuota la carica di violenza insita in ogni pretesa di verità.80 Una verità non comunicata, da esistenza ad esistenza, resta una verità parziale, e quindi, ultimamente, una non-verità, intrinsecamente violenta. Il punto focale di questo passaggio sembra essere il seguente: poiché la comunicazione è incompiuta, la verità nell’esistenza, e per l’esistenza,81 non può essere tema di una conoscenza definitiva, e perciò fatalmente riduttiva,82 proprio perché conoscere è essenzialmente, secondo Jaspers, Mitteilen,83 un processo infinito, in quanto comprensione dell’esistenza.84

3. Antropologia filosofica dell’educazione

«Quando l’uomo viene compreso come “coscienza in generale”, educazione significa guida verso un modo di vedere chiaro, offerta di un sapere utile, formazione (Schulung) di un sapere convincente e disciplina della comunicazione».85 Ove ci si riferisca all’uomo come spirito, l’educazione supera la ristrettezza della sola coscienza, per inserire l’uomo nella corrente viva della tradizione.86 Ma solo «nella conquista dell’esistenza accade, si perfeziona, finisce l’educazione».87 L’antropologia filosofica della comunicazione, quale può dedursi dalla lettura di Jaspers, implica anche una antropologia filosofica dell’educazione88 che, come si avrà modo di vedere, sviluppa conseguenze etiche,89 giuridiche e politiche di grande spessore, dal momento che — secondo quanto è stato giustamente rilevato da Hermann Horn — è dalla (auto) educazione del popolo che dipende qualcosa come la ragione, la libertà, la democrazia.90 Attorno a che cosa significa educare Jaspers si esprime nei termini seguenti:

educare significa, in una relazione tra due esseri umani (e in particolare nella relazione tra un anziano e un giovane), trasmettere contenuti e, allo stesso tempo, dare accesso a significati, disciplinare il comportamento, allo scopo di comunicare alla gioventù la tradizione, di consentirle di inserirvi il suo sviluppo originale e di aprirle la possibilità della sua libertà.91

Nel processo di trasmissione dei contenuti, il giovane deve essere condotto impercettibilmente alle origini, all’autentico, al fondamento,92 secondo il metodo socratico della maieutica,93 che prescinde dall’applicazione di metodologie scientifiche, siano esse pedagogiche, psicologiche o sociologiche. Imprescindibile per l’educazione è invece, per Jaspers, non una tecnica pedagogica94 ma la fede95 — equivalente della fiducia nel fondamento dell’essere96 — ossia «l’atto dell’esistenza che diventa consapevole della Trascendenza nella sua realtà»,97 di un assoluto da venerare;98 amore e autorità, in quanto alimentano la fiducia, sono fattori indispensabili dell’educazione, che trovano nella famiglia l’ambito antropologico originario nel quale esplicarsi;99 nella scuola elementare la funzione nella quale prende forma il destino morale, spirituale e politico di tutti;100 e via di seguito, nei successivi gradi di formazione scolastica, fino all’università, compiti della quale sono la ricerca, l’insegnamento (come partecipazione al processo di ricerca) ,101 la formazione alla conoscenza scientifica.102 Questi compiti possono riassumersi in uno — la formazione alla ragione103 — che condensa tutti i motivi e i significati fondamentali dell’attitudine comunicativa dell’educazione.

Jaspers ha gli strumenti per entrare altresì nel merito nella questione relativa al soggetto dell’educazione104: di fronte alle due alternative estreme che possono profilarsi — l’astensione dello Stato dall’intervenire in materia educativa, oppure l’interventismo statale — occorre ricercare una sorta di via intermedia, che da una parte scongiuri il rischio della dispersività delle opzioni aperte dal pluralismo educativo, e dall’altra finalizzi la politica,105 anche in materia di educazione, all’obiettivo formativo della libertà, che tuttavia nessuna organizzazione è in grado di perseguire e attingere.106 In questa prospettiva, la democrazia si configura come «la via unica, necessaria, estremamente difficile, attraverso la quale gli uomini raggiungono insieme la loro possibile libertà e organizzano il mondo in base alle forme particolari che vi conducono».107 Nell’idea di democrazia, infatti, «la politica è essa stessa educazione»108: educazione alla ragione, alla libertà,109 alla fiducia, al senso del diritto e della legge. Jaspers non si nasconde che trattasi di un compito difficilissimo, che richiede il concorso di forze operanti consapevolmente e responsabilmente nel suscitare un’autoformazione complessiva dei singoli e di tutto un popolo.

La democrazia si presenta così, nel pensiero di Jaspers, come una scuola di formazione filosofica permanente alla politica della ragione,110 della libertà, della fiducia: di questa educazione politica, filosoficamente impostata e animata, sono parte l’istruzione civica e l’educazione al rispetto dell’autorità;111 l’acquisizione di immagini e di idee paradigmatiche per la formazione di una coscienza civile; la formazione alla gestione di compiti da svolgere in comune; l’allenamento alla discussione pubblica ordinata sulle questioni di attualità; l’addestramento all’analisi critica delle parole d’ordine.112

Si dirà che si tratta di nobili propositi, smentiti da una realtà ben più complessa e problematica, che sembra intaccare, quando non lo spezza drasticamente, il nesso tra educazione e politica interpretato come tale da determinare la forma stessa del regime democratico. A Jaspers tuttavia non difetta una realistica presa d’atto degli elementi che dominano il mondo umano dei rapporti politici. In Origine e senso della storia, viene infatti riconosciuta la fondamentale realtà della forza, e la sua inevitabilità, insieme con l’intrinseca malvagità del potere113 (idea, questa, recepita da Burckhardt). Accanto a questa constatazione, ne sopraggiunge un’altra, di segno opposto, che registra la primordiale lotta della Storia, che si svolge tra due forze antitetiche: la legalità, e l’impero della violenza.114 Jaspers sostiene che la giustizia «deve diventare reale mediante la legge sulla base di un’ideale legge-guida, il diritto naturale»,115 che potrebbe essere aggiornato sotto l’etichetta dei diritti dell’uomo. Questa legge-guida, tuttavia, non sviluppa un’efficacia diretta sulla società politica perché, per la sua attuazione, deve passare attraverso le leggi delle quali una società storicamente si dota.116

La libertà umana117 diventa libertà politica nella misura in cui essa si esercita con la validità delle leggi di diritto positivo di uno Stato,118 che è Stato di diritto quando in esso domina, mediante le leggi, la libertà.119 Se Stato di diritto è quello Stato nel quale «le leggi vengono promulgate e modificate esclusivamente per vie legali»,120 queste vie, nelle democrazie, «passano attraverso il popolo, la sua collaborazione e partecipazione, diretta o indiretta, tramite rappresentanti rinnovati periodicamente in libere elezioni irreprensibili».121 Jaspers si mostra nella sua peculiare qualità di pensatore essenziale della democrazia, in una maniera tale da distinguerlo da ogni altro pensatore della politica, se non nella modernità, quanto meno nel suo tempo: così diverso, e distante, per esempio, da un Martin Heidegger,122 al quale pure si tributano onori iconografici proporzionalmente molto maggiori, proprio all’interno delle società democratiche, e per paradosso proprio da parte di studiosi personalmente estimatori e amanti (e spesso largamente beneficiari) delle libertà politiche.

Premesso che la libertà politica ha da intendersi come interna alla condizione politica di un popolo, la forza di questa libertà «scaturisce originariamente dall’autoeducazione politica di un popolo, che in ciò si costituisce come nazione politica»123: il processo di democratizzazione di un popolo è un processo autoeducativo, contagioso a misura che da esso può innescarsi un movimento di liberazione politica di altri popoli.124 Jaspers tiene ben presente la drammatica esperienza della Seconda Guerra mondiale, e la non meno problematica situazione della Guerra fredda. Dopo di allora, abbiamo assistito a tentativi di «esportazione» della democrazia, rivelatisi più o meno fallimentari, in Paesi a maggioranza islamica, come l’Afghanistan (dal 2001) e l’Iraq (dal 2003) .125 A un’iniziale diffusione dei regimi democratici su scala tendenzialmente globale (dal 1989 fino al 2003) è succeduta una fase di ristagno, se non di ritirata, delle democrazie nelle loro tradizionali roccaforti occidentali. L’autoritarismo, in forme più o meno dissimulate, anche sotto sembianze parademocratiche, torna ad affacciarsi prepotentemente nei teatri della geopolitica. Viene da domandarsi che cosa Jaspers scriverebbe oggi.

Le libertà democratiche sono in pericolo: questo va scritto a chiare lettere, e non tanto perché si tratti di una constatazione fattuale, che peraltro la realtà storica è sempre pronta a contraddire, quanto perché si tratta dell’essenziale della libertà, che trova in Jaspers un interprete sempre attuale, oggi forse più che mai. La libertà è per definizione, a detta di Jaspers, sulla difensiva, e quindi in pericolo: anzi, è già perduta dove non si avverta più la minaccia diretta contro di essa.126 Ecco perché è necessaria la preoccupazione di tutti per la libertà: perché un popolo, che non sia mai stato libero per ragioni storico-culturali, o che non riesca ad essere tale per passione ideologica, o per bisogno di sopravvivenza, può non desiderare la libertà, la giustizia, la democrazia127 o, per stanchezza ed assuefazione, potrebbe cessare di desiderarle. Proprio perché la libertà è perennemente in bilico, ci si deve preoccupare per essa, per la sua difesa lì dove regnano la legge e la pace, come per la sua promozione lì dove regnano la paura e la violenza.

Se qualcosa non ha funzionato, e continua a non funzionare, nell’opera di installazione delle istituzioni democratiche in società tradizionalmente ad esse estranee, non sarà forse per una appannata percezione della vulnerabilità della libertà all’interno stesso delle società di più consolidata tradizione democratica? Non sarà che, dimenticata la lezione di Jaspers, ci si è accontentati della capacità istituzionale della democrazia di fare presa sulla propensione — supposta come naturale — dei popoli a recepirla, piuttosto che impegnarsi nella faticosa opera educativa che essa esige? Ci si è forse illusi che lo stile di vita consumistico delle società occidentali, con i suoi modelli proposti per via televisiva e telematica a tutto il mondo, potesse farsi veicolo di valori liberali e democratici ritenuti come di per sé «contagiosi»? L’amara smentita della realtà impone di ripensare radicalmente le ragioni del successo e dei fallimenti della democrazia, che dipendono in ultima analisi, se stiamo alle indicazioni di Jaspers, dall’assimilazione, persistente e rinnovata, o viceversa rimossa o rifiutata, del suo momento preparatorio: quella forma peculiare di comunicazione che è l’educazione, svolta, quest’ultima, nella sua declinazione eminentemente politica. L’antropologia filosofica dell’educazione politica alla libertà si integra, con Jaspers, in una filosofia della comunicazione giuridica — centrata sulla garanzia costituzionale della libertà sostenuta da uno Stato di diritto128 — e della comunicazione politica — ruotante attorno alla libertà politica pensata e praticata in quanto libera democrazia.129 Prima di essere una forma o un sistema di governo, la democrazia è una forma educativa, presupposto della civiltà politica umanistica della libertà (tema ampiamente approfondito in Jaspers) e della fiducia130 (tema suscettibile di interessanti sviluppi a partire da questo autore, e se necessario oltre). In qualità di maestro del pensiero democratico, Jaspers punta al cuore della questione filosofico-giuridica, e ad un tempo filosofico-politica,131 fondamentale di ogni democrazia liberale: l’inseparabilità della libertà dell’individuo da quella di tutti gli altri,132 il che equivale a rappresentare la libertà democratica come libertà in comunicazione, sopra richiamata nei suoi presupposti antropologico-filosofici.133 Questa libertà si esprime nelle sue valenze giuridico-protettive — come nell’istanza di salvaguardia dei diritti a fronte della sopraffazione, che è sempre in agguato134 — ed etico-promozionali — come nell’incentivazione del dialogo sotto forma di pubblico dibattito delle opinioni135: la democrazia, in tale contesto creato e favorito da un clima di libertà, si prospetta come la possibilità di una cooperazione di tutti — nell’accordo e nel compromesso — alla formazione della volontà.136

In democrazia, la formazione della volontà collettiva ha luogo mediante lo svolgimento di libere elezioni, alle quali concorrono i partiti — in quanto organi del popolo137: le condizioni di libertà prevedono necessariamente il pluralismo politico, che a sua volta contempla l’esistenza, e la vivace operatività, delle minoranze temporaneamente all’opposizione da esercitarsi non solo come contestazione ma anche come collaborazione con le maggioranze al governo, segno incontrovertibile di una condizione democraticamente e pluralisticamente libera.138

L’antropologia filosofica dell’educazione politica alla libertà si precisa, in Jaspers filosofo della democrazia, nei termini di una antropologia filosofica dell’educazione politica alla libertà politica, che è da pensarsi come condizione di possibilità di ogni altra libertà umana139: la libertà è tale in quanto è, innanzitutto, libertà politica — assistita dalle garanzie di un ordinamento giuridico140 — costantemente esposta al pericolo della sua negazione; la libertà politicamente democratica corrisponde al compito di una pedagogia politica integrale, individuale e popolare, nella quale si traducono in via eminente l’etica e la prassi di una comunicazione tendenzialmente illimitata; la democrazia costituisce l’ambiente politicamente propizio all’estrinsecarsi delle potenzialità dell’uomo in quanto essere-in comunicazione.

Oltre all’esistenza di una dialettica partitica (possibilmente vivace), «un segno distintivo della condizione di libertà politica è la separazione di politica e visione del mondo»141: un tema filosofico-politico oggi quanto mai sensibile, che permette a Jaspers di svolgere una riflessione che potrebbe essere utile a leggere il nostro tempo, e a tentare un approccio costruttivo alla problematica dei complessi rapporti fra religioni e politica. «La politica — dice Jaspers — si occupa di ciò che è comune a tutti gli uomini, di quegli interessi dell’esserci, indipendenti dal contenuto di qualsiasi fede, in cui tutti gli uomini si possono comprendere in modo da farsi reciprocamente posto mercé l’ordine, il diritto e il contratto»142: tale politica — continua Jaspers — «è fondata su una fede che vuole la libertà».143 Questa fede accomuna tutti gli uomini autenticamente credenti,144 perché «agli uomini che credono è comune la serietà dell’esigenza incondizionata di giustizia e legalità nelle condizioni e nel divenire della società umana»145: in tal senso, solo gli uomini religiosi «sono capaci della grandezza della moderazione e della lealtà nell’attività etico-politica».146 Il senso religioso è l’anima di una politica al servizio della libertà: nel caso specifico della fede cristiana, anche se «il cristianesimo che in quanto tale si è fatto politico è divenuto discutibile come fede»,147 Jaspers riconosce ai cristiani il merito di aver creato il moderno mondo di libertà, ambientandone non tanto i contenuti quanto la mentalità.148

Tentare di plasmare la società politica sulla base di una particolare Weltanschauung, sia questa d’ispirazione religiosa o no, porta fatalmente al sopruso e alla violenza. Per questo è decisiva la distinzione di piani tra religioni, culture, ideologie da un lato e, dall’altro, la politica. Ciò non impedisce di ricercare le condizioni che storicamente hanno permesso alla democrazia politica moderna di sorgere e di consolidarsi: queste condizioni possono essere attinte da una ricostruzione del percorso tracciato dal pensiero cristiano della politica, e del diritto, talora in (apparente più che effettivo) disallineamento rispetto alle posizioni espresse dall’ufficialità ecclesiastica. Prova ne sia l’estrema difficoltà di pensare la democrazia dei moderni senza un riferimento determinante al cristianesimo: prima che essere — e comunque ben lungi dall’essere — politicamente cristiana, la democrazia lo è filosoficamente, per lo meno nell’accezione ipotizzata da Jaspers.149 L’irreligiosità dei politici non rende comunque un grande servizio alla politica in generale, men che meno alla politica per eccellenza: per Jaspers, la politica (cristianamente) democratica.150 In generale, una politica formalmente separata dalle religioni, se è una conquista storica della modernità occidentale di marca cristiana, nella misura in cui è democratica, ovvero nella misura in cui fa crescere la libertà, garantisce a tutte le istanze religiose, come del resto a tutte le possibilità umane ivi presenti, spazio e modalità di espressione, a patto che questi siano compatibili, in spirito di corresponsabilità, con ciò che è indispensabilmente comune a tutti151: purché ancora una volta si riveli, in chiave politicamente educativa, la verità dell’esistenza-in-comunicazione.152

Lo Stato-democratico-di diritto è la forma ordinamentale che contribuisce alla salvaguardia della democrazia in quanto estrinsecazione di ognuno secondo la capacità e il merito, sostenendola con la «necessità di trasformare la salvaguardia legale secondo le circostanze e l’esperienza, ma senza violenza, in forma giuridiche».153 Resta inteso che lo Stato di diritto, nella sua versione democratica, sorregge una democrazia formale che, ad ogni buon conto, non garantisce automaticamente la libertà. Solo in presenza di elementi come un ethos di vita comunitaria — facilitata da strumenti di autoamministrazione locale libera e responsabile — un’autoeducazione al dialogo — e, contestualmente, al pensiero critico e alla capacità di giudizio — un’incondizionata difesa dei diritti dell’uomo, una serietà della fede, la democrazia può essere una forma di autogoverno del popolo affidabile in termini di effettiva libertà di tutti.154 In mancanza di questi elementi, la partitocrazia e, peggio ancora, una mentalità da subalterni portano al suicidio della democrazia,155 anche se tutto, ultimamente, «dipende dalle elezioni»,156 che rappresentano l’unica via di libertà, la quale — come unica forma di legittimità rimasta — rimette alla volontà del popolo la decisione a riguardo di chi deve governare.157

Una concezione della libertà, come quella presente in Jaspers, non si limita ad enunciare principi generali, né tanto meno massime di tono vago, ma, sensibile com’è all’esistenza, si permette di entrare nel vivo dettaglio della quotidianità, dove si prepara ciò che avviene nei più ampi contesti della socialità umana: è qui che tocca a Jaspers denunciare, senza perifrasi, «la parola imperiosa che tronca la discussione, l’arbitrio irragionevole che provoca la rivolta, la discussione unilaterale, il comando che non si mantiene entro limiti contrattuali e il particolare terreno che gli compete».158 Tutti questi fenomeni, dall’atmosfera che si respira dentro le mura di casa al lavoro in ufficio, alla strada, agli ambienti dell’odierna realtà virtuale, creano lo habitat per comportamenti diffusi improntati al maltrattamento, all’arroganza, a una generale mancanza di rispetto per gli altri: prima di ogni radicalismo ideologico, e di qualunque più o meno diffusa pratica di illegalità, è questo malessere domestico, familiare, lavorativo, sociale in senso lato, che fa male alla democrazia, e che anzi crea il brodo di coltura nel quale prosperano i germi della violenza, della criminalità, della guerra.

Può a sua volta la democrazia resistere a queste forme del negativo, senza snaturarsi, senza venir meno alla sua vocazione a promuovere la libera e pacifica convivenza e cooperazione tra gli uomini? Jaspers prospetta un’alternativa secca: o vivere inermi, costi quel che costi, oppure «riconoscere la forza come un’effettiva condizione dell’esserci, impiegarla come un fattore della politica»,159 al servizio del diritto. Ciò presuppone di «accettare il male della violenza e affermare l’inevitabilità di certi aspetti della politica»,160 fino a far maturare la potenza come un elemento del diritto, perché uno spirito impotente mostra un deficit in quanto spirito161: in quanto spirito che vuole la libertà. Soltanto in una costituzione-democratica-di libertà il potere politico può procedere «in modo degno di fiducia contro tutto ciò che minaccia la libertà dell’uomo, vale a dire sulla via di un ordinamento di diritto che deve diventare ordinamento mondiale».162 Se l’orizzonte dello sguardo di Jaspers al futuro è una globalizzazione del diritto accompagnata dalla democratizzazione delle società, la via maestra a questo traguardo è tracciata da una pedagogia della libertà che incontra l’uomo, come singolo e come popolo, nelle dimensioni dell’esistenza che richiedono, per venire espresse e comunicate, di essere sostenute da un’educazione. La democrazia cresce nella misura in cui viene alimentata da una educazione dei singoli e da una educazione del popolo alla libertà.

4. Possibilità della libertà e della democrazia

Il senso e il fine della Storia, per Jaspers, sono nella libertà, e nella coscienza della libertà. Ma la tensione a un ordine mondiale di diritto «non prende a fine immediato la libertà, bensì solo la libertà politica, che all’esserci umano offre un campo d’azione per tutte le possibilità di libertà genuina».163 L’immane, e capillare, processo educativo dell’umanità, attivato dalla democrazia, punta in realtà ad un livello metapolitico. Come si è detto, Jaspers non si nasconde l’estrema difficoltà di questo compito, la fragilità delle istituzioni democratiche, le gravi insidie che rendono così vulnerabile la libertà politica.

Più alto è il valore proclamato e perseguito, più seria è la minaccia che vi incombe. Può valere la pena adoperarsi per la libertà e la democrazia se di queste si percepisce la piena e intera portata antropologica ed etico-civile. Si tratta, come sempre in casi del genere, di un’opzione di fondo: una filosofia che progettualmente ignori la libertà prepara il terreno fertile per la schiavitù; un pensiero che non apprezzi la consistenza antropologico-filosofica della democrazia è incapace di opporre persuasivi argomenti razionali all’imporsi degli argomenti della forza. Leggi liberticide, e prassi antidemocratica, sono soltanto l’esito di una crisi, prima ideale e poi strutturale, che ha già prodotto la catastrofe dell’Europa nel Secondo conflitto mondiale, e che si ripresenta oggi, sotto un nuovo aspetto, nei processi di trasformazione economica, sociale, culturale, istituzionale innescati dalla tecno-globalizzazione dei mercati e degli stili di vita. Se una società sia pure parzialmente libera e democratica sceglie di competere con altre società sul piano della potenza economica, avendo opzionato per l’economia come decisivo criterio di misura, ha già rinunciato alla libertà e alla democrazia, perché si è affidata ad un metro di giudizio ad esse estrinseco; se un popolo ha deciso che l’ideale da raggiungere sia il massimo livello di benessere economico possibile, non può capire l’aspirazione di un altro popolo alla libertà, perché per questa si può anche rischiare la vita, mentre la massimizzazione del profitto non registra un significativo martirologio; una democrazia che diventi allergica al pubblico dibattito delle idee mostra di essersi già asservita al potente di turno, solamente refrattario alle critiche. Tutti questi fenomeni denotano una controtendenza insita nella libertà possibile, e nella democrazia possibile, e impongono di riflettere più in profondità sui significati che il nesso tra libertà, democrazia e possibilità dà ad intendere.

Nel ricordare che la libertà politica è la condizione della comunità nella quale «la libertà di ciascun singolo possiede la massima possibilità di esprimersi»,164 Jaspers sottolinea che la libertà «esige la comunità nel vero»,165 la quale a sua volta richiede «la comunicazione del pensiero che crea ed esamina, che non deve sparire senza effetto nella segretezza, ma si deve incontrare pubblicamente».166 Un potere politico basato sulla verità asseconda l’illimitata discussione pubblica, la quale «è l’unica, inevitabile strada per lo sviluppo della verità»167: mai come in questo passaggio viene in evidenza l’interazione tra il piano filosofico-esistenziale e il piano filosofico-politico della complessa elaborazione speculativa di Jaspers. In questo modo di pensare, si avverte che il momento politico (comprensivo di quello giuridico) non è registrabile come un mero corollario del momento antropologico-esistenziale: che la verità sia in grado di reggere il discorso pubblico è una possibilità riconosciuta all’esigenza, della quale il pensiero è portatore, di esistere nella forma del comunicarsi, del non nascondersi.

Preso atto che il discorso pubblico, il più delle volte, è un’arena nelle quale a farla da padroni sono coloro che sanno imporsi non con la forza degli argomenti ma con la rozzezza o con l’arte dell’inganno, preso atto insomma che la corruzione dell’ethos democratico è una sua ineliminabile costante storica, Jaspers si mostra dolorosamente consapevole del fallimento registrato dalla maggior parte dei tentativi di progresso umano e civile nella libertà: per giunta, «oggi la libertà sembra diventare impossibile ancor più che nella storia passata, per la massificazione causata dal mondo della tecnica»,168 la quale, strutturata su di una catena di rapporti di obbedienza a comandi, si rivela per sua natura intollerante dell’imprevisto, dell’eccezione, di tutto ciò che contravviene al calcolo del controllabile. La privazione del futuro, l’assorbimento delle urgenze esistenziali in un eterno presente,169 la perdita della memoria storica fanno scomparire la libertà sotto una coltre di pubblicità, e di spettacolarizzazione di eventi dimenticati con la stessa rapidità con la quale vengono rappresentati.170 La crisi della libertà è acutizzata — come Jaspers lucidamente prevedeva — dall’emergere di nuovi attori sulla scena globale:

a differenza di quanto s’è verificato nei rari momenti e luoghi dell’Occidente, questi uomini di stirpi e provenienza molto diverse non hanno mai conosciuto, nel loro passato, la libertà. Sono stati trascinati senza eccezione nel gorgo della tecnica moderna e delle sue conseguenze.171

Si tratta di miliardi di cinesi, islamici, africani, e anche di non pochi europei e latino-americani, che non vantano nel loro codice storico-culturale significative esperienze di libertà: una modernizzazione senza democratizzazione sta avanzando, apparentemente senza sosta, e sta estendendosi anche a quelle isole di libertà che l’occidentalizzazione del mondo, pur tra mille deviazioni e contraddizioni (colonialismo, etnocidi etc.), aveva creato. Un semi-autoritario dispotismo ad alto dosaggio tecno-scientistico, ed economicistico, stende la sua ombra sullo stesso Occidente, penetrando nelle coscienze con suadenti, ma non discutibili, ingiunzioni, ammantate di permissivismo; un assolutismo religioso di vecchio conio, ma provvisto di formidabili, modernissimi mezzi di persuasione teletecnologici, si espande senza incontrare grande resistenza, ma travolgendo confini geografici e geoculturali che sembravano stabilmente riconosciuti. Tutto questo sembra parlare, oggi, di una impossibile libertà, condannata a sparire da un mondo in preda all’anarchia e alla violenza.

Eppure, finché ci si interrogherà se sia umanamente più accettabile una condizione di universale sottomissione — alle potenze socialmente o economicamente dominanti, come alle passioni che corrompono l’animo umano — ovvero una condizione di libertà, per quest’ultima resterà sempre accesa un’ultima chance. Il riscatto del singolo, e di un popolo, da una condizione di asservimento — di varia ed eterogenea specie: spirituale, psicologico, intellettuale, culturale, politico, religioso, economico, energetico — è un’occasione inscritta, se si segue l’intuizione di Jaspers, nell’infinita apertura dell’interezza della Storia. La verifica di questa insopprimibile opportunità è data dal fatto che l’idea della libertà, indimostrabile quanto lo è la sua inesistenza, «è stata realmente vissuta e pensata, non di frequente né dalla moltitudine, ma in fenomeni singoli di grande portata»172: la riprova non si consegue col sapere ma, secondo Jaspers, con l’azione, in particolare con l’agire quotidiano del singolo,173 dove la libertà ha modo di manifestarsi, in totale trasparenza, come «la condotta che segue l’Incondizionato»,174 chiarificandosi a se stessa mediante il filosofare.175

Poiché la spontaneità della libertà è indeducibile da ipotetici precursori, un’indagine conoscitiva a riguardo di essa, per esempio di taglio sociologico, non ha strumenti per attingerla, ma può tutt’al più indicare condizioni che rendono la libertà una possibilità storicamente concreta.176 Perché solo una libertà rende accessibile la libertà: i vincoli oggettivi del sapere scientifico impediscono un accesso alla libertà che solo il pensiero, che pensi filosoficamente,177 permette. È infatti solo da questo che sgorga quella fiducia nell’uomo178 che nutre la speranza, e la fede, nella libertà.

Lo spazio della libertà, in senso esistenziale e in senso politico, è anzitutto uno spazio filosofico: la democrazia, come regime politico della libertà, e della fiducia,179 richiede una cifratura180 intensamente filosofica delle sue condizioni. Perduto questo spazio, il destino della libertà e della democrazia è irrimediabilmente compromesso, perché decade l’interesse verso di esse, perché solo un uomo libero può interessarsi alla condizione di libertà, o di servitù, di un altro uomo (e altrettanto dicasi per i popoli). In sostanza, «poiché l’uomo è un essere pensante, la verità prima o poi deve raggiungerlo»181: presto o tardi, deve raggiungerlo la verità dell’esistenza, della comunicazione, della libertà, della stessa democrazia; ed è il senso del dovere verso la verità, che faccia tra l’altro cadere la censura accademica sullo studio e sull’insegnamento dell’opera di Jaspers,182 a gettare le basi di una libera vita politico-spirituale.

Questo lavoro raccoglie i risultati di una ricerca che lo scrivente ha sviluppato, in questi ultimi anni, a partire da una relazione presentata, col titolo Comunicazione ed educazione in Karl Jaspers, al convegno su Filosofia e psichiatria in Karl Jaspers (Campobasso, 19/3/2004). Parte di questi risultati si è riversata in La problematicità dei diritti dell’uomo: Jaspers e Lévinas a confronto, in Responsabilità di fronte alla storia. La filosofia di Emmanuel Levinas tra alterità e terzietà, a cura di M. Durante, il nuovo melangolo, Genova 2008, pp. 215-230.


  1. Per una prima presa di contatto con l’insieme della produzione di Jaspers si rinvia alla voce a lui dedicata da G. Cantillo in Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano 2006, 6, pp. 5925-5933. Cfr. anche Id., Introduzione a Jaspers, Laterza, Roma-Bari 2002. Per un’ampia e dettagliata panoramica della letteratura secondaria su questo autore si fa rinvio a C. Fiorillo, «Bibliografia di Karl Jaspers». Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], 2003, anno 5 [inserito il 4 gennaio 2002, aggiornato il 20 luglio 2003 e il 1º settembre 2004]. ↩︎

  2. Cfr. K. Jaspers, Filosofia, Utet, Torino 1996, p. 520. ↩︎

  3. Con esistenza deve intendersi, per Jaspers, ciò che non diventa mai oggetto, l’origine a partire dalla quale si pensa e si agisce (cfr. ivi, p. 126). ↩︎

  4. Cfr. ivi, p. 520. ↩︎

  5. Siamo avvertiti da Jaspers che «in psicologia e in sociologia si accede alla totalità dell’essere umano che è empiricamente conoscibile nella misura in cui è oggettivabile» (ivi, p. 321); ma altresì che «la totalità dell’esserci non né oggetto possibile, né fondamento dell’unità di queste scienze universali» (ibidem). Come Jaspers precisa, «in principio posso conoscere l’uomo con la psicologia e la sociologia, ma completare questa conoscenza è un compito infinito. (…) Ciò che noi siamo non è accessibile ad alcuna orientazione nel mondo, né ad alcuna delle sue idee, ma solo alla chiarificazione filoosofica. Noi siamo ciò che di noi riconosciamo nella psicologia e nella sociologia, ma siamo anche molto di più di ciò che lì vi riconosciamo» (ivi, p. 325). ↩︎

  6. Ivi, p. 521. Sui complessi rapporti fra solitudine, altro, comunicazione si sofferma D. DI Cesare, in Tra solitudine e comunicazione. Jaspers e il cammino della filosofia, relazione presentata al Convegno su Karl Jaspers: filosofia, esistenza e comunicazione, Napoli, 6-7/12/1999, ora in Filosofia, esistenza, comunicazione in Karl Jaspers(col titolo Comprendere ed esistere. «Limite» e «comunicazione illimitata in Karl Jaspers), a cura di D. Di Cesare, G. Cantillo, Loffredo, Napoli, 2002, pp. 80-93. Quanto alla chiarificazione, questa è per Jaspers la forma dell’esserci dell’inoggettiva esistenza possibile (cfr. K. Jaspers, Filosofia, cit., p. 138). ↩︎

  7. Id., Filosofia, cit., p. 520. ↩︎

  8. Ibidem. «Nella comunicazione divento manifesto a me stesso con l’altra persona. Questo diventar manifesto è però, nello stesso tempo, soprattutto un diventar reale dell’io in quanto se stesso» (Id., La mia filosofia, Einaudi, Torino 1948, p. 153). La comunicazione fa in modo che l’esistenza, col diventare chiara a se stessa, continui pure a creare se stessa (cfr. ibidem). ↩︎

  9. Esula dai limiti del presente lavoro un confronto critico con il tema della separazione in Emmanuel Lévinas, in merito al quale si rinvia a S. Marzano, Lévinas, Jaspers e il pensiero della differenza, Silvio Zamorani, Torino 1998. ↩︎

  10. K. Jaspers, Filosofia, cit., pp. 521-522. ↩︎

  11. Ivi, p. 522. ↩︎

  12. Ibidem↩︎

  13. Ibidem↩︎

  14. Pur nel rispetto della limitazione dell’antropologia all’orientazione filosofica nel mondo, operata da Jaspers con accostamento alla psicologia comprensiva (sulla quale cfr. diffusamente P. Ventura, Jaspers e la psicologia comprensivo-esistenziale, in Id., Metaproblematiche del diritto. Per una ri-animazione etico-giuridica dell’esistenza, Giuffrè, Milano 1997, pp. 249-303) e alla scienza storica dello spirito (cfr. K. Jaspers, Filosofia, cit., p. 121), si trae da Kurt Salamun il riscontro di una messa a fuoco squisitamente antropologico-filosofica del legame che unisce indissolubilmente uomo e comunicazione nell’originalissimo esistenzialismo jaspersiano (cfr. K. Salamun, Aspetti della condizione umana nella filosofia di Karl Jaspers, relazione presentata al Convegno su Karl Jaspers: filosofia, esistenza e comunicazione, cit., ora in Filosofia, esistenza, comunicazione in Karl Jaspers, cit., pp. 41-58). Ma sembrerebbe che sia Jaspers medesimo ad autorizzare una antropologia filosofica quando, nel rilevare l’errore di una antropologia soltanto medica — e si potrebbe aggiungere: culturale, giuridica, politica, economica —, perviene ad individuare nell’antropologia filosofica «non una teoria che pone un oggetto conveniente innanzi agli occhi, ma solo un infinito processo di chiarificazione di noi stessi, per il quale riescono utili anche quelle particolarità che si possono ricercare nell’uomo» (K. Jaspers, Psicopatologia generale, Il Pensiero scientifico, Roma 1965, p. 800). Una antropologia filosofica di qualcosa come la comunicazione, e — come si osserverà — l’educazione, sembra affiorare dal peculiare profilo fenomenologico-esistenziale della filosofia di Jaspers. ↩︎

  15. Id., Filosofia, cit., pp. 522-523. ↩︎

  16. A proposito di antropologia, e soprattutto dei suoi limiti, siamo avvertiti dallo stesso Jaspers che «non abbiamo a disposizione neppure una risposta definitiva e soddisfacente alla domanda «che cosa è l’uomo?». Non possiamo dire con una risposta completa che cosa sia l’uomo. Lo stesso fatto che non sappiamo che cosa l’uomo sia veramente fa parte dell’essenza del nostro essere-umano» (Id., Origine e senso della storia, Edizioni di Comunità, Milano 1972, p. 57). ↩︎

  17. Cfr. Id., Filosofia, cit., p. 523. ↩︎

  18. Ivi, p. 525. ↩︎

  19. Cfr. ibidem↩︎

  20. Ibidem↩︎

  21. Ibidem. «Noi siamo di volta in volta assolutamente insostituibili, e non casi di un genere concettuale come potrebbe essere quello di «esistenza»» (ivi, p. 130). ↩︎

  22. Ivi, p. 525. ↩︎

  23. Cfr. ibidem. L’autocomunicazione «è un caso limite della comunicazione, è quella solitudine che come autorelazione si dispone già alla relazione con l’altro» (D. DI Cesare, Il linguaggio nella filosofia di Karl Jaspers, Introduzione a K. Jaspers, Il linguaggio. Sul tragico, Guida, Napoli 1993, p. 14). ↩︎

  24. Cfr. K. Jaspers, Filosofia, cit., p. 526. ↩︎

  25. Cfr. ivi, p. 527. In questo passaggio è contenuto il nucleo della concezione jaspersiana della libertà come libertà essenzialmente in comunicazione, con tutte le implicazioni filosofico-politiche che, come si vedrà più avanti, ne discendono. ↩︎

  26. Ibidem↩︎

  27. Cfr. ibidem↩︎

  28. Ibidem↩︎

  29. Cfr. ivi, p. 528. ↩︎

  30. Ibidem. Senza pericolo, per Jaspers, «non c’è né libertà d’esserci, né libertà del se-stesso» (ivi, p. 879): ciò vorrà dire anche, come più avanti si avrà occasione di verificare, che senza percezione del suo essere pericolante non può esserci neppure libertà politica. ↩︎

  31. Su quest’ultimo aspetto tematico si rinvia in generale a E. Baccarini, Esistenza e responsabilità in K. Jaspers, in Karl Jaspers. Esistenza e trascendenza, Pro Civitate Christiana, Assisi 1989. ↩︎

  32. K. Jaspers, Filosofia, cit., p. 528. ↩︎

  33. Ibidem↩︎

  34. Cfr. ivi, p. 529. ↩︎

  35. Cfr. ivi, p. 530. Poiché, nell’esistere, l’uomo fa esperienza di qualcosa non da lui prodotto — «incontra se stesso e non sa come» (ivi, p. 514) —, «egli giunge a se stesso come un dono» (ibidem), per cui «io sono, solo se sono a me donato, perché questo voler-se-stesso ha bisogno di qualcosa che sopraggiunga» (ibidem); l’esistenza, per Jaspers, «non è se stessa quando sfugge da sé, ma quando si rende conto di essere stata donata a se stessa» (ivi, p. 938). ↩︎

  36. Ivi, p. 531. Nella meditazione sul peccato originale, Jaspers torna su questo punto, ribadendo che essere uomo non significa essere solo, ma essere due, ovvero essere in comunicazione (cfr. Id., La fede filosofica di fronte alla rivelazione, Longanesi, Milano 1970, p. 625). Sulla tematica del due in filosofia cfr. E. Guglielminetti, «Due» di filosofia, Jaca Book, Milano 2007. ↩︎

  37. K. Jaspers, Filosofia, cit., p. 531. ↩︎

  38. Ibidem. La solitudine è in primo luogo il polo insopprimibile nella comunicazione, senza del quale «la comunicazione stessa non ci sarebbe, in secondo luogo, come possibilità di un io vuoto, è l’immagine del vero non-essere nella sua abissalità, da cui mi salvo per la decisione storica di realizzarmi nella comunicazione; in terzo luogo è l’attuale mancanza di un legame comunicativo con l’altro e l’incertezza derivante dalla possibilità di annullarla» (ivi, p. 550). ↩︎

  39. Nell’ampia letteratura sull’argomento si rinvia in particolare a P. Breton, L’utopia della comunicazione, Utet, Torino 1995; M. Perniola, Contro la comunicazione, Einaudi, Torino 2004; Id., Miracoli e traumi della comunicazione, Torino 2009. ↩︎

  40. K. Jaspers, Filosofia, cit., p. 532. ↩︎

  41. Ivi, p. 534. ↩︎

  42. Ibidem↩︎

  43. Ibidem↩︎

  44. Ivi, p. 535. ↩︎

  45. Ibidem↩︎

  46. Ivi, p. 537. ↩︎

  47. Cfr. ibidem. Attorno all’ipotesi della fiducia — in quanto certezza esistenziale della comunicazione, secondo Jaspers più grande e più intensa di qualunque certezza conoscitiva (cfr. Id., Psicopatologia generale, cit., p. 387) — si è tentato di proporre una antropologia filosofica del diritto e della politica, consegnata in L. Scillitani, Fiducia, diritto, politica. Prospettive antropologico-filosofiche, Giappichelli, Torino 2007. ↩︎

  48. K. Jaspers, Filosofia, cit., p. 540. ↩︎

  49. Cfr. ivi, p. 541. ↩︎

  50. Ivi, p. 542. ↩︎

  51. Cfr. ibidem↩︎

  52. Ibidem↩︎

  53. Cfr. ibidem. All’unicità e all’indissolubilità del vero amore si oppongono, ad avviso di Jaspers, le stesse forze che impediscono la comunicazione: confusione, erotica, evasione dalla solitudine, volontà di possesso. ↩︎

  54. Ivi, p. 543. ↩︎

  55. Ibidem↩︎

  56. Ivi, p. 555. ↩︎

  57. Ivi, p. 565. Resta da chiedersi se l’uguaglianza di livello che, per Jaspers, «è condizione della comunicazione autentica» (ivi, p. 566), sia da interpretarsi come una sorta di parità ontologica. In tal caso, occorrerebbe interrogarsi circa il significato teoretico di una ontologia della comunicazione procedente da un elemento intensamente esistenziale come l’amore. La problematicità della sostanza della relazione comunicativa in Jaspers rende un compito del genere per lo meno arduo, oltre che non autorizzato espressamente dallo stesso Jaspers (cfr. ivi, p. 578). ↩︎

  58. Cfr. ivi, p. 585. ↩︎

  59. Su quest’ultimo passaggio si rinvia a un tentativo di riformulare il tema del dialogo a partire (anche) da Jaspers, leggibile in L. Scillitani, Il dialogo: presupposti filosofici, regole etico-giuridiche, possibilità politiche, in Id., Antropologia filosofica del diritto e della politica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2011, pp. 171-191. ↩︎

  60. K. Jaspers, Filosofia, cit., p. 589. ↩︎

  61. Cfr. Id., Ragione ed esistenza, Fabbri, Milano 1996, p. 86. ↩︎

  62. Cfr. G. Cantillo, Introduzione a Jaspers, cit., p. 60. ↩︎

  63. Cfr. K. Jaspers, Ragione ed esistenza, cit., p. 88. ↩︎

  64. Ibidem. Circa l’Umgreifende in Jaspers, poiché non ci si sofferma specificamente in questa sede, si rinvia a G. Cantillo, La Metafisica dell’Umgreifende, relazione presentata al Convegno su Karl Jaspers: filosofia, esistenza e comunicazione, e in generale a una presentazione complessiva della originale periecontologia jaspersiana in Id., Introduzione a Jaspers, cit., pp. 95 ss; S. Marzano, Aspetti kantiani del pensiero di Jaspers, Mursia, Milano 1974, pp. 62 ss. ↩︎

  65. K. Jaspers, Ragione ed esistenza, cit., pp. 88-89. ↩︎

  66. Cfr. ivi, p. 89. ↩︎

  67. Cfr. ivi, p. 108. ↩︎

  68. Cfr. ivi, p. 108. ↩︎

  69. Cfr. ivi, p. 105. Sulla radicale storicità, interpretata come individualità e insostituibilità della comunicazione vera richiama l’attenzione G. Cantillo, in Introduzione a Jaspers, cit., p. 75. ↩︎

  70. K. Jaspers, Ragione ed esistenza, p. 106. ↩︎

  71. Ivi, p. 107. ↩︎

  72. Ibidem↩︎

  73. Ivi, p. 108. ↩︎

  74. Ivi, p. 110. Jaspers distingue il significato della verità in conferma pragmatica della realtà esistenziale; in evidenza logica della coscienza universale; in persuasione dell’idea spirituale. Della verità di ciò che Jaspers nomina fede, non compresa nelle prime tre, l’uomo fa esperienza in quanto esistenza (cfr. ivi, p. 109). ↩︎

  75. Cfr. ivi, p. 110. Se l’esserci dell’uomo si dà solo empiricamente, la sua esistenza c’è solo come libertà (cfr. Id., Filosofia, cit., p. 470). ↩︎

  76. Cfr. Id.,Ragione ed esistenza, cit., p. 111. ↩︎

  77. Ivi, p. 119. ↩︎

  78. Ivi, p. 122. ↩︎

  79. Cfr. ibidem↩︎

  80. La radice della violenza, a parere di Jaspers, origina da una sconsiderata volontà vitale di esserci(cfr. Id., Metafisica, Mursia, Milano 1972, p. 217), della quale fa parte — come sembra dover intendersi dall’intero percorso della lettura di Jaspers — la ristrettezza del conoscere che vuole soltanto conoscere, senza aprirsi alla comunicazione con l’essenza razionale dell’altro, realizzata viceversa dall’amore (cfr. ivi, p. 222). ↩︎

  81. Sulla comunicazione in quanto orizzonte invalicabile del pensiero esistenziale, vale a dire dell’esistenza come verità possibile e reale della libertà, attira l’attenzione P. Ventura, nel suo lavoro intorno a Jaspers e la psicologia comprensivo-esistenziale, cit., p. 274. ↩︎

  82. La comunicatività dell’altro (V. Fagone, «Esistenza e comunicazione nel pensiero di K. Jaspers», La Civiltà Cattolica, 1969, n. 2863, p. 16), e del vero, è una dimensione fondamentalmente esistenziale, riflesso della possibilità stessa del pensiero (cfr. Id., Ragione ed esistenza, cit., p. 124). Che Jaspers ne tratti nella parte della sua Filosofia dedicata alla Chiarificazione dell’esistenza, e non in quella dedicata alla Metafisica, lascia intendere che, nell’ordine di una metafisica, non possa escludersi un compimento (della comunicazione) della verità che, però, nella trascendenza, presupporrebbe come tolta la possibilità del pensiero (cfr. ibidem). Ciò spiega anche che per il pensiero, come per la comunicazione, il punto d’arrivo è il silenzio (cfr. ivi, p. 125), che per Jaspers equivale, come parola ultima della comunicazione (cfr. V. Fagone, «Esistenza e comunicazione», cit., p. 19), all’esistenza più autentica (cfr. K. Jaspers, Filosofia, cit., p. 618). ↩︎

  83. V. Fagone, «Esistenza e comunicazione», cit., p. 12. ↩︎

  84. D. DI Cesare, Tra solitudine e comunicazione, cit. Si può capire dunque in che senso Jaspers sostenga essere tema di esperienza, non di rivelazione, ciò che è comune a tutta l’umanità: perché l’esperienza — di una illimitata, e perciò sempre incompleta, comunicazione, e dei suoi contenuti — «è accessibile all’uomo in quanto uomo» (K. Jaspers, Origine e senso della storia, cit., p. 40). ↩︎

  85. K. Jaspers, Was ist Erziehung? Ein Lesebuch, München 1999, p. 32, cit. in A.G. Vitolo, Tra «legge del giorno» e «passione per la notte». Educazione e cultura nel pensiero di Karl Jaspers, Loffredo, Napoli 2003, pp. 113-114, n. 3. ↩︎

  86. Cfr. ivi, pp. 114-115. «La cristallizzazione della tradizione in un’autorità fissa è inevitabile, anzi è necessaria, sociologicamente per assicurare alla tradizione la continuità nel tempo, esistenzialmente perché, per ogni esserci che si ridesta, la tradizione è la prima forma di certezza dell’essere» (Id., Filosofia, cit., p. 432). ↩︎

  87. K. Jaspers, Was ist Erziehung?, cit., p. 117. Per i nessi tra educazione ed esistenza in Jaspers si rimanda in particolare a C. Fiorillo, ««Io non posso». Jaspers come educatore e il rischio dell’esistenza», Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], 2013, anno 15. ↩︎

  88. «Tra il dominio tecnico delle cose e la libera comunicazione delle esistenze c’è l’ambito della cura e dell’educazione, dove l’altro, anche se è trattato come oggetto, è nello stesso tempo riconosciuto nella sua essenza propria. Nella cura e nell’educazione si fa affidamento sull’originarietà dell’altro» (K. Jaspers, Filosofia, cit., p. 238). ↩︎

  89. Sull’eticità del pensiero filosofico-esistenziale attira l’attenzione Reiner Wiehl, in La filosofia dell’esistenza come etica in Karl Jaspers, relazione presentata al Convegno su Karl Jaspers: filosofia, esistenza e comunicazione, ora in Filosofia, esistenza, comunicazione in Karl Jaspers, cit., pp. 25-40. ↩︎

  90. Cfr. H. Horn, «Karl Jaspers», Perspectives, 1993, n. 3-4, pp. 745-764. D’ora in poi le pagine di riferimento saranno tratte dal sito web http://www.ibe.unesco.org/publications/ThinkersPdf/jasperse.pdf. Il curatore dell’antologia di Jaspers sulla Erziehung, prima citata (vedi n. 80), riconosce che Jaspers non ha mai trattato sistematicamente di pedagogia, sebbene tutta la sua opera sia significativamente cosparsa di valenze educative della comunicazione. Più in generale, nel solco tracciato dalle considerazioni di Hannah Arendt, dopo Jaspers ragione, libertà, comunicazione (fino ai loro effetti politici, come si dirà) non possono non pensarsi in simultanea (cfr. G. Cantillo, Introduzione a Jaspers, cit., pp. 163-164). ↩︎

  91. K. Jaspers, Von der Wahrheit. Philosophische Logik, Piper, München 1947, p. 364, cit. ivi, p. 3. ↩︎

  92. Cfr. ibidem↩︎

  93. Cfr. ivi, p. 4. Vedi anche infra, n. 109. ↩︎

  94. Cfr. al riguardo Id., I limiti della pianificazione pedagogica, in Verità e verifica Filosofare per la prassi, Morcelliana, Brescia 1990, pp. 23-31. ↩︎

  95. Cfr. K. Jaspers, Von der Wahrheit., cit., p. 5. Per il resto, Jaspers, pur riconoscendo alla tecnica delle (tele)comunicazioni il merito di aver realizzato, per la prima volta nella Storia, l’unità planetaria del genere umano (cfr. Id., Origine e senso della storia, cit., p. 165), sottolinea che l’atteggiamento verso l’uomo nell’educazione e nella comunicazione non si conforma alle regole della tecnica in generale (cfr. ivi, p. 156). ↩︎

  96. Id., Filosofia, cit., p. 761. ↩︎

  97. Id., La fede filosofica, Raffaello Cortina, Milano 2005, p. 76. ↩︎

  98. Id., Die Idee der Universität, Springer-Verlag, Berlin-Göttingen-Heidelberg 1961, p. 49, cit. in H. Horn, «Karl Jaspers», cit., p. 5. Sulla ricezione de L’idea di Università in area anglosassone si rinvia in particolare a C. Fincher, «Recalling Karl Jaspers’ Classic The Idea of the University», Ihe Perspectives, 2000, aprile, pp. 1-6. ↩︎

  99. Cfr. Id., Die Idee der Universität, cit., p. 6. ↩︎

  100. Cfr. ivi, p. 7. ↩︎

  101. «Nella misura in cui l’università ricerca la verità attraverso la scienza (…) poiché questo compito implica che vi sia tradizione, la ricerca esige l’insegnamento» (ibidem). La coimplicazione, di ricerca e insegnamento, e la loro feconda interazione, sono dunque rese necessarie dalla dinamica stessa della trasmissione del sapere, di quella forma particolare di comunicazione che è la tradizione. Si tratta di un’esemplificazione del nesso strettissimo in cui si legano comunicazione ed educazione. ↩︎

  102. Cfr. ibidem. «Le Università, come strutture di coesistenza di tutte le scienze per realizzare in tutte le direzioni le possibilità del sapere, per indagare, per comprendere e apprendere tutto ciò che può presentarsi, tanto nei fatti, quanto nelle costruzioni intellettuali, possiedono un’unità e una vita intensa dovuta al filosofare che è presente in ogni ricercatore e in ogni erudito. (…) Le Università prosperano e fioriscono nella misura in cui sono penetrate e ispirate da quest’anima» (Id., Filosofia, cit., p. 761). Alla luce della riflessione di Jaspers, appare chiaro che la crisi odierna dell’istituzione universitaria è una crisi filosofica, dovuta probabilmente a una sorta di abbandono reciproco, tale che verrebbe da chiedersi: è l’università che ha abbandonato la filosofia, o è la filosofia ad aver abbandonato l’università? ↩︎

  103. Id., Die Idee der Universität, cit. in H. Horn, «Karl Jaspers», cit., p. 8. ↩︎

  104. Nella comunicazione, ma in particolare nella comunicazione educativa, «un altro io mi si presenta non come per me oggetto, ma altrettanto come soggetto, cioè come libertà» (G. Cantillo, Introduzione a Jaspers, cit., p. 67). ↩︎

  105. Per politica Jaspers intende l’azione che si riferisce alla volontà di altri uomini, le azioni dei quali «intervengono in maniera rilevante nella produzione del nostro mondo» (K. Jaspers, Filosofia, cit., p. 239). ↩︎

  106. Cfr. Id., Die Idee der Universität, cit., p. 9. ↩︎

  107. Id., Hoffnung und Sorge. Schriften zur deutschen Politik 1945-1965, Piper, München 1965, p. 22, cit. in H. Horn, «Karl Jaspers», cit., p. 9. ↩︎

  108. Id., Philosophie und Welt. Reden und Aufsätze, Piper, München 1965, p. 618, cit. in H. Horn, «Karl Jaspers», cit., p. 10. ↩︎

  109. L’educazione alla libertà è questione complessa, che rinvia ai rapporti fra libertà e comunicazione. La domanda «può comunicarsi la libertà?, e come?» andrebbe affrontata, con Jaspers lettore e interprete di Kierkegaard, sullo sfondo di una più ampia disamina della distinzione tra comunicazione diretta e comunicazione indiretta, quale si ricava da significative pagine della Psicologia delle visioni del mondo. Non è tuttavia questa la sede per acquisire i risultati di questa riflessione. Basti soltanto fermare l’attenzione sul richiamo allusivo, sopra formulato, alla maieutica socratica (vedi anche supra, n. 94) che, secondo Jaspers, rappresenta un’esemplificazione della indirekte Mitteilung, per la quale «tutto ciò che è stato oggetto di comunicazione, (…), che è dicibile, è in fondo l’inessenziale, ma insieme il portatore diretto dell’essenziale» K. Jaspers, Psicologia delle visioni del mondo, Astrolabio, Roma 1950, p. 439). ↩︎

  110. Su quest’ultima figura tematica si rinvia a F. Miano, Ragione e antiragione. La politica in Karl Jaspers, relazione presentata al Convegno su Karl Jaspers: filosofia, esistenza e comunicazione, ora in Filosofia, esistenza, comunicazione in Karl Jaspers, cit.,pp. 178-193; Id., Etica e storia nel pensiero di Karl Jaspers, Loffredo, Napoli 1993, pp. 215 ss. ↩︎

  111. Sulla stretta correlazione di libertà e autorità insiste lo stesso Jaspers (del quale cfr. Libertà e autorità, in Verità e verifica. Filosofare per la prassi, cit., p. 37: «il contenuto della libertà proviene solo dall’autorità che essa segue. L’autorità è autentica solo se risveglia la libertà (…). Chi diventa autenticamente libero vive nell’autorità, chi segue la vera auorità diventa libero. La libertà acquista contenuto attraverso l’autorità»). Sul tema in questione si rinvia anche a Id., Esistenza e autorità, Japadre, L’Aquila 1977. ↩︎

  112. Cfr. K. Jaspers, Philosophie und Welt, cit., p. 618. ↩︎

  113. Cfr. Id., Origine e senso della storia, Edizioni di Comunità, Milano 1972, p. 202. ↩︎

  114. Cfr. ibidem↩︎

  115. Ibidem↩︎

  116. Cfr. ibidem↩︎

  117. Jaspers è esplicito nell’affermare che filosofia autentica è la filosofia della libertà (cfr. Id., Filosofia, cit., p. 85). Nello svolgimento logico del suo percorso fino alle conseguenze filosofico-politiche, si potrebbe dedurre che autentica filosofia della politica è una filosofia politica della libertà, e della politica democratica delle libertà. ↩︎

  118. Lo Stato è, per Jaspers, l’oggettività attraverso la quale l’uomo partecipa al destino reale della società (cfr. ivi, p. 836). ↩︎

  119. Cfr. Id., Origine e senso della storia, cit., p. 202. ↩︎

  120. Ibidem↩︎

  121. Ivi, pp. 202-203. ↩︎

  122. Per un primo raffronto critico tra Jaspers e Heidegger si rinvia a U. Galimberti, Linguaggio e civiltà, Mursia, Milano 1984. ↩︎

  123. K. Jaspers, Origine e senso della storia, cit., p. 203. ↩︎

  124. Cfr. ibidem↩︎

  125. Si riportano per esteso, a questo proposito, frasi che sembrano scritte per fotografare talune odierne situazioni politicamente critiche: «una democrazia instaurata all’improvviso, non generata da un popolo, e quindi anche non ancora compresa, per il popolo di tale Stato rappresenta solo la possibilità di giungere all’idea della democrazia» (Id., Pericoli e possibilità della libertà, in Verità e verifica. Filosofare per la prassi, cit., p. 179), in un certo senso a una semi-democrazia, perché la democrazia in quanto forma costituzionale «non vuol dire ancora affatto libertà» (ibidem). D’altro lato, se è vero che «una democrazia che conquista abbandona se stessa» (Id., Origine e senso della storia, cit., p. 251) — mentre una democrazia che intrattiene buone relazioni con gli altri «pone le basi di un’unione di tutti con eguaglianza di diritti» (ibidem) —, è pur vero che «la dittatura, una volta instaurata, non può essere eliminata dall’interno» (ivi, p. 262): quando scriveva queste cose, Jaspers aveva sotto gli occhi la sorte toccata a regimi dispotici abbattuti dagli Alleati, e non aveva ancora assistito al disfacimento della dittatura del proletariato, o all’eliminazione cruenta di dittature di stampo teo-politico, o laico-nazionalistico. Si è trattato di cedimenti strutturali dovuti o a una diretta pressione politico-economica o ad interventi militari in piena regola, sviluppati, la prima come questi ultimi, comunque per effetto di fattori esterni ai regimi dittatoriali. ↩︎

  126. Cfr. ivi, p. 216. ↩︎

  127. Cfr. ibidem↩︎

  128. Cfr. ivi, p. 211. ↩︎

  129. Cfr. ivi, pp. 208. ↩︎

  130. Cfr. ivi, p. 203-204. Jaspers sosta sul tema della fiducia per rilanciare la categoria giuridico-politica della legittimità, a suo tempo formulata da Guglielmo Ferrero (del quale cfr. Potere, Edizioni di Comunità, Roma 1946). ↩︎

  131. Per la ricezione di Jaspers nella filosofia italiana del diritto e della politica si rinvia a L. Avitabile, K. Jaspers: il politico tra immanenza e trascendenza, in Homo politicus. I dilemmi della democrazia, Gregoriana, Padova 1998, pp. 193-207. ↩︎

  132. Cfr. K. Jaspers, Origine e senso della storia, p. 205. È presente in Jaspers una acuta e penetrante critica della visione della libertà espressa storicamente dal liberalismo: ammesso che un primo movimento della libertà coincida con uno spirito di indipendenza (dall’autorità), particolarmente accentuato nelle versioni neoliberiste che enfatizzano la libera concorrenza e le libertà private, sta al pensiero liberale, per essere fino in fondo coerente con le sue premesse, maturarsi al punto di riconoscere che chi è libero «si pone in rapporto con l’altro, è dipendente da lui, ed indipendente solo in quanto venga egli stesso in rapporto con l’indipendenza» (Id., Psicologia delle visioni del mondo, cit., p. 383), acquistando in tal modo il senso e la portata pubblica delle libertà. Come unità di libertà e indipendenza (cfr. Id., Filosofia, cit., p. 483), la libertà del liberalismo potrebbe estrinsecarsi in una suprema sintesi dell’istanza individuale, che reclama la liberazione dai vincoli, con la polarizzazione comunicativa della relazione con l’altro (comunque di difficile identificazione, in tutto il ragionamento di Jaspers). ↩︎

  133. Cfr. supra, n. 23. ↩︎

  134. Alla protezione dell’individuo dalla violenza corrisponde la limitazione del potere che sia concentrato, anche per le più elevate ragioni di servizio reso alla collettività, nelle mani di un singolo individuo: perché «l’uomo rimane uomo, e persino il migliore è un pericolo se non sottostà a limitazioni. Perciò prevale una profonda diffidenza verso il potere perpetuo, e anche il più potente, perlomeno per un momento, deve dimettersi nell’avvicendamento elettorale» (ivi, p. 207). Un potere autenticamente democratico è un potere giuridicamente limitato, bilanciato, costantemente controllato. È d’altronde illusorio, dal punto di vista di Jaspers, «pensare che il potere sarebbe solo il veicolo della realizzazione del diritto, e che il diritto cercherebbe il potere solo per realizzarsi, pensare che alla base del potere ci sia quella buona coscienza morale e quella trasparenza razionale che farebbe del potere la struttura protettiva del diritto» (Id., Filosofia, cit., p. 717). ↩︎

  135. Cfr. Id., Origine e senso della storia, cit., pp. 206-207. ↩︎

  136. Cfr. ibidem↩︎

  137. Cfr. ivi, p. 213. ↩︎

  138. Cfr. ivi, p. 208. ↩︎

  139. Cfr. K. Jaspers, Origine e senso della storia, cit., p. 209. Se la libertà politica rende possibile la libertà in generale, vuol dire che, nelle cose umane storiche, la politica riveste un’importanza suprema. Si vedrà che, in ogni modo, questa importanza, per quanto da sottolinearsi come grande e decisiva, resta strumentale ai fini di una libertà che, in quanto esistenza comunicante (e comunicata), trascende le dimensioni di politicità della Mitteilung↩︎

  140. Cfr. ibidem↩︎

  141. Ibidem↩︎

  142. Ibidem↩︎

  143. Ivi, p. 210. Solo con una fede che vuole la libertà «si formulano le leggi che soggiogano la violenza, si costituisce la legittimità che è imprescindibile da un clima di fiducia, l’uomo diventa se stesso sottomettendosi a imperativi assoluti» (ivi, p. 280). ↩︎

  144. Forse a questo pensava Jaspers quando, nel denunciare la natura disumana del nichilismo, intravedeva un elemento, quantunque nascosto, comune a tutti i credenti? (cfr. ivi, cit., p. 272). Colui che crede, ad ogni modo, «ama colui che crede, dovunque lo incontri. Come la libertà tende a far diventare liberi tutti intorno ad essa» (ivi, p. 283). ↩︎

  145. Ivi, p. 210. ↩︎

  146. Ibidem↩︎

  147. Ibidem↩︎

  148. Cfr. ibidem. Nota Jaspers che, diversamente dal cristianesimo di tradizione bizantina, la stessa Chiesa occidentale incoraggiò la libertà persino tra i suoi avversari: la forza della volontà dei suoi uomini, anche di Stato, «rivolta non solo agli effimeri obiettivi della politica di potenza, ma altresì alla penetrazione dei principi etici e religiosi nelle forme della vita e dello stato, fu una delle fonti principali della libertà occidentale dal Medioevo in poi» (ivi, p. 87). ↩︎

  149. Non è detto che una filosofia esplicitamente cristiana della democrazia sia all’altezza delle fonti del pensiero democratico, e che un pensiero «forte» dell’elemento democratico della politica sia davvero nelle possibilità di tale filosofia: le ambiguità interpretative, e i limiti, di una filosofia politica pure così ricca e feconda, come quella di un Maritain, stanno a dimostrarlo. Resta da domandarsi se la democrazia, una volta esaurita la spinta propulsiva storicamente esercitata dall’umanesimo cristiano, possa avere ancora un futuro. ↩︎

  150. A Jaspers risulta che «i movimenti improntati a una fede e a una visione del mondo sono liberticidi in politica. Perché non si discute con i militanti della fede» (ivi, p. 211). L’esperienza storica ha mostrato che, quando l’ateismo diventa una fede (talvolta più fanatica di quella religiosa), può negare la libertà in maniera ancora più sistematica. Potrebbe ipotizzarsi un movimento socio-politico che fosse improntato alla fede nella comunicazione, così come delineata da Jaspers? E sarebbe da escludere l’ipotesi di un movimento del genere, improntato a tale fede, anche se generato dall’interno di una esperienza di fede religiosa? La democrazia potrebbe creare l’ambiente idoneo a tale ipotesi, sviluppando nei movimenti che vi prendono parte, siano essi religiosi o laici, gli anticorpi che permettono ad essi, e alla stessa democrazia, di non degenerare in liberticidio: sia quello autoritario, o semi-autoritario (che si serve di pratiche impositive) sia quello «permissivo» (che, in nome della libertà, rende tutti schiavi degli slogan del momento). È, se si vuole, la scommessa nella quale si gioca il destino della democrazia nei contesti multiculturali, multireligiosi, e multiidentitari, che caratterizzano l’epoca presente. ↩︎

  151. Cfr. ivi, p. 209. ↩︎

  152. Cfr. ivi, p. 211. ↩︎

  153. Ivi, p. 212. ↩︎

  154. Cfr. ivi, p. 213. ↩︎

  155. Cfr. ibidem. Sulla deriva partitocratica delle democrazie occidentali cfr. H. Belloc - C.E. Chesterton, Partitocrazia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014. ↩︎

  156. K. Jaspers,Origine e senso della storia, cit., p. 213. ↩︎

  157. Cfr. ivi, p. 214. Una simile fiducia, espressa da parte di un intellettuale, nella positività del processo elettorale, quale modo di formazione della volontà popolare, è tutt’altro che usuale nel pensiero filosofico occidentale, spesso e volentieri sorpreso in posture anti-democratiche, o quanto meno indifferenti al problema di determinare le modalità più adeguate al prodursi, e al comunicarsi, di una libera coscienza popolare. È così accaduto che tale problema sia stato assegnato alla competenza della scienza politica, quando viceversa Jaspers ne rileva i profondi significati filosofici in gioco: in una qualsiasi competizione elettorale, qualunque sia il procedimento adottato, la posta, con la democrazia, è la libertà stessa; votare significa nient’altro che scegliere, per la libertà, o per il suo contrario. Il distacco, a volte sprezzante (verso la tirannia delle maggioranze), della filosofia da questa realtà ha consegnato un momento decisivo del politico alla pressoché esclusiva spettanza dei politologi. Il risultato è che finiscono col soffrirne gli stessi processi di autocoscienza democratica dei singoli e dei popoli. ↩︎

  158. Ivi, p. 218. ↩︎

  159. Ibidem↩︎

  160. Ibidem↩︎

  161. Cfr. ivi, pp. 218-219. ↩︎

  162. Ivi, p. 193. ↩︎

  163. Ivi, p. 325. ↩︎

  164. Id., Pericoli e possibilità della libertà, in Verità e verifica, cit., p. 155. ↩︎

  165. Ivi, p. 156. ↩︎

  166. Ibidem↩︎

  167. Ibidem↩︎

  168. Ivi, pp. 156-157. ↩︎

  169. Circa l’assorbimento delle dimensioni temporali nell’esaltazione del presente (privato), correlata a una cancellazione del futuro diffusamente percepita, va considerato un arco di interpretazioni di diversa impostazione scientifico-culturale, ma accomunate dall’urgenza di fare i conti con questo fenomeno, e documentate tra le altre da M. AugÉ, Che fine ha fatto il futuro? Dai non luoghi al nontempo, elèuthera, Milano 2009; D. Fusaro, Essere senza tempo, Bompiani, Milano 2010; C. Giunta, L’assedio del presente, il Mulino, Bologna 2008; G. Zagrebelsky, Contro la dittatura del presente. Perché è necessario un discorso sui fini, Laterza, Roma-Bari 2014. ↩︎

  170. K. Jaspers, Pericoli e possibilità della libertà, cit., p. 157. ↩︎

  171. Ibidem↩︎

  172. Ivi, p. 164. Jaspers cita per tutte, fra le lotte senza le quali la libertà non esiste (cfr. Id., Filosofia, cit., p. 424), Salamina, le lotte degli Svizzeri e degli Olandesi. Non è un caso che, dai Greci fino alle guerre moderne, combattute dal mondo (politicamente) libero contro i totalitarismi, la libertà si sia risvegliata solo dinanzi all’incombere del pericolo estremo. D’altro canto, Jaspers osserva che storicamente è stata la formazione di libere città-Stato «a dare all’individuo occasioni e pericoli enormi. Dopo d’allora è rimasta la possibilità della libertà nel mondo» (Id., Origine e senso della storia, cit., p. 91). ↩︎

  173. Cfr. Pericoli e possibilità della libertà, cit., p. 157. ↩︎

  174. Ivi, p. 165. ↩︎

  175. Cfr.ibidem↩︎

  176. Cfr. ivi, p. 166. ↩︎

  177. «Pensando filosoficamente, guadagniamo l’ampiezza dello spazio e insieme una base nell’infinito» (Id.,Libertà e autorità, in Verità e verifica, cit., p. 39). ↩︎

  178. Cfr. Id., Pericoli e possibilità della libertà, cit. in Verità e verifica, cit., p. 168. ↩︎

  179. La democrazia, in Jaspers, si rappresenta come qualcosa di più, e di più intensamente fiduciale, del regime di rispetto reciproco e di comunicazione che vi riconosce Giuseppe Cantillo (del quale cfr. Introduzione a Jaspers, cit., p. 140). ↩︎

  180. Parlare (filosoficamente) cifrato è parlare, in un modo o nell’altro, di Jaspers (cfr. U. Galimberti, Linguaggio e civiltà, cit., pp. 187 ss.), del quale non può non essere ricordato, per dovere di completezza, Cifre della trascendenza, Marietti, Genova 1990. Aprire una riflessione in argomento ci porterebbe tuttavia troppo lontano dal seminato di questo lavoro. ↩︎

  181. K. Jaspers, Scrittore politico e azione politica, in Verità e verifica, cit., p. 225. ↩︎

  182. Cfr. H. Saner, Karl Jaspers. Dell’ampiezza della ragione e dell’attendibilità dell’agire, in Filosofi del Novecento, a cura di E. Nordhofen, Einaudi, Torino 1988, p. 119. ↩︎