John Toland. La ragione e i suoi nemici

Christianity not mysterious,1 il «libro incendiario»2 scritto da John Toland nel 1696,3 potrebbe essere definito un trattato sulla ragione.4 Of reason si intitola la prima sezione, la seconda è dedicata a quanto contraddice la ragione stessa, la terza a quanto la eccede, al mistero.5 Ma non è solo uno studio della ragione, di cosa è e di quanto può, piuttosto è una sorta di manuale strategico che, mentre delinea la ragione, la oppone a quanto la contraddice. Il contesto è teologico, di più, è esegetico: cosa ne è di una religione rivelata quale il Cristianesimo di fronte a una ragione che, con i suoi metodi e le sue scienze, dimostra di saper illuminare tutto? È il problema di un’epoca, ma è anche un problema che, in vesti diverse, insorge di continuo nel corso della storia dell’uomo: cosa lega, oppone o unisce, la ragione e la fede?

Toland scrive un trattato che vuole essere una difesa della religione e di fatto è un’apologia della ragione. Seppure egli tenta nel corso di tutto il testo di mostrare un accordo, teoretico e pratico, tra la ragione e la fede, di fatto egli non fa che dimostrarne un insopprimibile conflitto, dirimibile solo con l’eliminazione teorica di una delle parti. Infatti, Toland sembra non comprendere lo specifico della fede e della religione, e la sua ragione può così muoversi liberamente in ogni campo del sapere, colonizzandolo e mutandone i termini. Egli crede di aver salvato la fede razionalizzandola, di fatto l’ha cancellata, e la ragione stessa esce da questa contesa fregiata di un’effimera vittoria. È dato storicamente, infatti, che una ragione eccessivamente trionfante e rigidamente univoca è destinata alla sua crisi, a un’eclisse più rapida del suo avvento.6

In questo studio mi propongo di mostrare la struttura della ragione7 delineata da Toland in CnM, proprio in relazione a quanto le si oppone. Credo, infatti, che la definizione della ragione sia, nel contesto di CnM, il frutto di una battaglia: la ragione di Toland è costruita proprio per aver ragione dei suoi nemici. Ma la sua armatura è tutt’altro che invulnerabile. Anzi: il suo vero limite è proprio la non accettazione della sua vulnerabilità.

1. I sentieri della ragione

La questione è già tutta impostata, seppure non ancora approfondita, nella «Prefazione» di CnM:

we shall find none more backward to speak their Minds in publick than such as have Rights on their side. Indeed the Goodness of their Cause and Design should fortify ‘em, one would think, against all the Attacks of their Enemies.8

Ma quali sono i nemici di chi ha la ragione dalla propria parte? Sono gli stessi nemici di Toland:

Notwithstanding which, I have ventur’d to publish this Discourse designing thereby to rectify, as much as I’m able, the narrow bigotted Tenets of One, and the most impious Maxims of the Other.9

I nemici sono dunque i bigotti e gli atei: coloro, cioè, che fanno un uso scorretto — narrow in un caso, impious nell’altro — della ragione. A ben vedere, però, Toland intende usare gli stessi strumenti degli empi, e non dei bigotti:

No Atheist of Infidel of anykind can justly be angry with me for measuring Swords with them, and attacking them only with the Weapons they prescribe me. The true Christian can no more be offended when he finds me imploy Reason, not to enervate or perplex, but to confirm and elucidate Revelation; unless he is apprehensive I should render it too clear to my self, or too familiar to others, which are Absurdities no Body will own. I hope to make it appear, that the Use of Reason is not so dangerous in Religion as it is commonly represented.10

L’arma usata, che è la stessa degli atei e degli infedeli ed è quella che secondo Toland i cristiani temono, è «the use of reason in religion»: l’uso della ragione nella religione. L’uso della ragione in religione implica una riflessione sul legame di contraddizione o di accordo tra ragione e Scrittura, problema che Toland per certi versi tenta di aggirare, dichiarando una loro sicura omogeneità ed una sua pronta sottomissione:

so I would not to be told I contradict any thing but Scripture or Reason, which, I’m sure, agree very well together. Nor can it appear strange that I should insist upon these Terms, since I most readily submit my self to them, and give all the World the same Right over me.11

Ma il contesto in cui Toland si inserisce non è affatto pacifico. Con compiacimento egli descrive una situazione di odio e violenza, in cui la sciocca presunzione degli uomini ha il sopravvento sulla verità e libertà di Dio:

That any should be hated, despis’d, and molested; nay, sometimes be charitably burn’d and damn’d, for rejecting those Fooleries superadded, and in many Cases substituted to the most blessed, pure and practicable Religion that Men could wish or enjoy, is Matter of Atonishment and Grief to such as prefer the Precepts of God to the Invention of Men, the plain Paths of Reason to the insuperable Labyrinths of the Fathers, and true Christian Liberty to Diabolical and Antichristian tyranny.12

Egli, dunque, sembra volersi sottrarre a questa labirintica contesa, percorrendo «the plain Paths of Reason». I sentieri della ragione si oppongono ai labirinti della religione. Ma cosa è la ragione?

2. Bruti razionali

Dalla pagine di CnM, l’uomo risulta definito — «quasi» aristotelicamente — come un «brute with reason». Infatti Toland ricorda che la reason è «the only Privilege they [Men] claim over Brutes and Inanimates»13 e ancora «’Tis from it that we are accounted Men; and we could neither inform others, nor receive Improvement our selves any more than Brutes without it»14 Analogamente anche Locke15 definisce l’uomo una «beast with reason»: «The word reason […] stands for a faculty in man, that faculty whereby man is supposed to be distinguished from beasts, and wherein it is evident he much surpasses them».16

Si noti subito come la vena polemica e sarcastica di Toland risulti fin dalla scelta delle parole: Locke usa «beast», Toland «brute». «Beast» traduce propriamente il latino «animal», in quanto include anche l’uomo, mentre «brute» è meno astratto, in quanto si riferisce proprio agli animali senza ragione17 e di per sé non include l’uomo, a meno che non si voglia offenderlo. Con la sua scelta verbale, Toland sembra voler desacralizzare completamente la posizione dell’uomo e soprattutto la sua tradizionale definizione filosofica.

Questa reason che contraddistingue l’uomo viene definita prioritariamente mediante una serie di negazioni, in quella che io credo si possa chiamare «ratiologia negativa». Toland distingue la sua definizione di ragione dalla altre definizioni: così la ragione non è «the Soul, abstractely consider’d»,18 non è «that Order and Report which is naturally between all things»,19 non è neanche «their own Inclinations, or the Authority of others».20 In questo modo, Toland prende implicitamente le distanze dalla metafisica, dal realismo, dal principio di autorità, tacciando la prima di astrattismo, la seconda di naturalismo, il terzo di relativismo.

Questa ratiologia negativa non delinea dei limiti per la ragione, piuttosto denunciando degli errori, prepara il campo per una definizione forte di ragione, che esclude tutte le altre. Ma proprio tale forza implica nel discorso tolandiano una monolitica compattezza: la ragione di Toland è univocamente se stessa. Se le negazioni nell’intenzione tolandiana servono all’eliminazione dell’equivoco — infatti scrive «we find by Experience, that the word Reason is become as equivocal and ambiguous as any other»21 —, di fatto sono funzionali all’edificazione di un concetto univoco.

Del resto, anche la definizione positiva della ragione, che Toland fa seguire a quella negativa, parte da un orizzonte ampio che viene poi ritagliato. Infatti Toland definisce prima di tutto la «ragione in generale» e da questa, per esclusioni e negazioni, ricava la ragione propriamente detta. La ragione «in generale» è qualcosa che ciascuno sperimenta in sé, ed è un potere o facoltà, o meglio è il retto uso di un insieme di poteri e di facoltà:

Every one experiences in himself a Power or Faculty of forming various Ideas or Perceptions of Things: Of affirming or denying, according as he sees them to agree or disagree: And so of loving and desiring what seems good unto him; and of hating and avoiding what he thinks evil. The right Use of all these Faculties is what we call Common Sense, or Reason in general.22

La ragione «in generale»23 riguarda la formazione delle idee (qui specificate come «Perceptions of Things»24), l’accettazione o negazione di queste idee a seconda che siano concordi o discordanti con le realtà (noi «vediamo» questo accordo o disaccordo), e l’amare o l’odiare, a seconda che le idee siano pensate come buone o cattive. Dunque la ragione in generale abbraccia la formazione delle idee, la percezione della loro verità25 e anche la reazione di attrattiva o repulsione a essa collegata. Alla ragione «in generale» appartengono la conoscenza, l’assenso, l’attrattiva o la repulsione. L’ampiezza della ragione in generale viene subito ridimensionata, secondo la tecnica di riduzione all’univoco che caratterizza la definizione della reason:

But the bare Act of receiving Ideas into the Mind, whether by the Intromission of the Senses, as Colours, Figures, Sounds, Smells, etc. or by the Soul’s considering its own Operations about what it thus gets from without, as Knowing, Doubting, Affirming, Denying, etc. this bare Act, I say, of receiving such Ideas into the Mind, is not strictly Reason, because the Soul herein is purely passive.26

Dunque il ricevere idee, «da fuori» mediante i sensi, oppure «da dentro» per riflessione sulle azioni che accompagnano proprio questo ricevere «da fuori», ebbene questo non è a rigore ragione, perché in questi casi l’anima è meramente passiva. La ragione non è mai passiva: accogliere le idee non è dunque azione di ragione, perché propriamente non è azione.27 Dunque il ricevere le idee di per sé non costituisce ragione, ma comunque le idee, semplici e distinte, sono l’oggetto di ogni ragionamento. Tutta l’attività conoscitiva non può prescindere dalle idee, anzi riguarda solo esse, come Toland afferma, ripetendo quasi alla lettera Locke: «So that all our Knowledge is, in effect, nothing else but the Perception of the Agreement or Disagreement of our Ideas in a greater or lesser Number, whereinsoever this Agreement or Disagreement may consist».28

La ragione in generale, che contraddistingue l’uomo rispetto alle bestie, non è però propriamente la «ragione». Toland taglia e distingue ancora, per enucleare quel concetto di ragione che ritiene il fondamento di ogni certezza.

3. Il fondamento di ogni certezza

La conoscenza viene distinta in due parti fondamentali secondo l’immediatezza o la mediatezza con cui il rapporto tra le idee viene colto. La conoscenza immediata viene definita, infatti, come percezione intuitiva dell’accordo:

When the Mind, without the Assistance of any other Idea, immediately perceives the Agreement or Disagreement of two or more Ideas, as that Two and Two is Four, that Red is not Blew: it cannot be call’d Reason, though it be the highest Degree of Evidence: For here’s no need of Discourse or Probation, Self-Evidence excluding all manner of Doubt and Darkness.29

La conoscenza immediata consiste nella capacità della mente di percepire l’accordo o il disaccordo tra due (o più) idee, senza ricorrere a un’idea di mezzo. Toland propone l’esempio di «Two and Two is Four», che è una verità matematica, la cui negazione comporta contraddizione, e «Red is not Blew», che invece fa riferimento a evidenze di ordine empirico.

La ragione non è self-evidence. La specifica caratteristica della ragione è, viceversa, la mediatezza; la ragione è profondamente discorsiva, dimostrativa, dinamica nel senso che si muove tra le idee e ne coglie le articolazioni più remote. In quanto tale, essa si oppone all’evidenza che, escludendo ogni dubbio e oscurità, non richiede alcun «discorso» o «dimostrazione».

La ragione non lavora nella conoscenza già luminosa, essa piuttosto illumina in quanto porta alla luce. Quando, infatti, la percezione dell’accordo tra idee non è immediata, entra in campo la ragione propriamente detta: «when the Mind cannot immediately perceive the Agreement or Disagreement of any Ideas because they cannot be brought near enough together, and so compar’d, it applies one or more intermediate Ideas to discover it».30

Ecco, finalmente, la definizione positiva di ragione: sembra il risultato di un’operazione di sottrazione, il residuo di molte negazioni, ma in realtà è il motore della sua stessa definizione, fonte di ogni illuminazione conoscitiva. La ragione è mediazione, passaggio, collegamento, reca l’indubitabile proprio laddove manca l’evidenza. Essa, in quanto conoscenza, lavora sugli accordi e sui disaccordi tra le idee contenute nella mente: «Reason taken for the Principle of Discourse in us, or more particularly for that Faculty every one has of judging of his Idea’s according to their Agreement or Disagreement, and so of loving what seems good unto him, and hating what he thinks evil».31 Il rapporto di mediazione proprio del procedimento dimostrativo implica che l’idea di connessione tra due idee altrimenti troppo distanti abbia un legame evidente con entrambe le idee che collega. Ovvero se trovo un nesso tra A e C tramite B, B deve avere un nesso evidente con A e con C, necessariamente:

it is plain that the intermediate Idea can be no proof where its Agreement with both the Ideas of the Question is not evident; and that if more than one be necessary to make it appear, the same evidence is requir’d in each of them. For if the Connection of all the Parts of a Demonstration were not indubitable, we could never be certain of the Inference or Conclusion whereby we join the two Extreams.32

Il lavoro della ragione viene paragonato da Toland all’azione del misurare, cioè all’applicazione successiva di una quantità nota per scoprire una quantità ignota, traducendo la distanza tra le idee in termini spaziali: «as, when by the successive Aplication of a Line to two distant Houses, I find how far they agree or disagree in Lenght, which could not effect with my Eye».33 Dunque la vista è l’analogo della conoscenza intuitiva, mentre lo strumento di misura è l’analogo della conoscenza dimostrativa. Peraltro, la funzione di ricondurre all’evidenza comparando e sommando rapporti, porta a coincidere la ragione tolandiana con la regola dell’enumerazione cartesiana,34 chiave di volta di un metodo che è «una messa in ordine come messa in evidenza».35

La ragione dimostrativa, in quanto «metodo di conoscenza» e «facoltà dell’anima», paragonando porta in luce:

This Method of Knowledge is properly call’d Reason or Demonstration, (as the former Self-evidence or Intuition); and it may be defin’d, That Faculty of the Soul which discovers the Certainty of any thing dubious and obscure, by comparing it with something, evidently known.36

Dunque la ragione scopre la certezza di «anything dubious and obscure»: la ragione lavora sul dubbio, estirpandolo, e lavora sull’oscurità, illuminandola. In questi termini, è il fondamento di ogni certezza: «We hold that reason is the only foundation of all certitude».37

4. La ragione e l’evidenza

Per estirpare il dubbio, la ragione deve usare l’evidenza: l’evidenza è il punto di partenza e il mezzo per le mediazioni del ragionamento. In un certo senso, la ragione dipende dall’evidenza, in quanto se ne serve. Tuttavia l’evidenza è anche l’approdo della ragione: così, l’evidenza, pur proponendosi originariamente come alternativa alla ragione, ne diviene paradossalmente il compimento: «So that though Self-evidence excludes Reason, yet all Demonstration becomes at lenght Self-Evidence».38 Il rapporto tra ragione ed evidenza in CnM è in qualche modo ambiguo. È stato anche notato che Toland commette un equivoco terminologico, in quanto non usa in modo costante il termine «reason»: in parte è usato correttamente come «metodo», in parte è equivocato con il termine evidenza, precisamente: «il concetto viene indicato correttamente, in quanto metodo, in Sez. II, 7 (p. 32); Sez. II, 31 (p. 60-61); Sez. III, 1 (p. 67); in senso trasposto, in quanto “evidenza”, in Sez. II, 8 (p. 35); Sez. II, 16 (p. 42); Sez. II, 59 (p. 30)».39

La ragione, come abbiamo già notato, viene considerata il fondamento di ogni conoscenza, tuttavia il vero fondamento di persuasione viene riconosciuto nell’evidenza. Toland, infatti, specifica che «By the Ground of Perswasion, I understand that Rule by which we judg of all Truth, and which irresistibly convinces the Mind»40 e «This infallible Rule, or Ground of all right Perswasion, is Evidence; and it consists in the exact Conformity of our Ideas or Thoughts with their Objects, or the Things we think upon».41 La ragione tolandiana, dunque, si rafforza fondandosi essa stessa nell’evidenza. L’evidenza non sembra essere un suo limite, né una sua necessità, ma il suo sostegno, il suo approdo, la sua forza.

Si noti che l’evidenza è tradizionalmente l’ideale della conoscenza: ogni tipo di conoscenza aspira in qualche modo all’evidenza. Toland, però, con il suo intreccio di ragione e di evidenza, sembra asserire qualche cosa di diverso, di più eversivo e insieme riduttivo: il vincolo esclusivo che egli stabilisce tra conoscenza e ragione, e tra ragione ed evidenza, fa escludere necessariamente ogni conoscenza non evidente. Infatti ciò che è luminoso è self-evident, e ciò che è oscuro viene reso anch’esso self- evident dal lavoro della ragione.42 Esiste un confine mobile tra l’evidenza e la ragione: è il confine tra due regni alleati, e la forza dell’uno è il potere dell’altro.

5. La ragione e i sensi

La ragione ha a che fare con le idee, e queste idee non sono prodotte dalla ragione. Per certi versi la definizione della conoscenza come percezione dell’accordo e del disaccordo tra le idee, sposta il problema della formazione delle idee a un livello «infraconoscitivo». Da dove vengono le idee, che sono considerate — alla maniera insieme cartesiana e lockiana — l’unico oggetto di conoscenza?

Esse sono prodotte — alla maniera lockiana e non cartesiana — dall’esperienza «Experience […] is either external, which furnishes us with the Ideas of sensible Objects; or internal, which helps us to the Ideas of the Operations of our own Minds».43 A livello sensoriale avviene, dunque, la produzione delle idee degli oggetti, si tratta di un «Act of receiving Ideas into the Mind, whether by the Intromission of the Senses, as Colours, Figures, Sounds, Smells, etc».44

La passività con cui le idee vengono ricevute viene spiegata con la passività degli organi di senso: «When a proper Object is conveniently presented to the Eye, Ear, or any other Sense rightly dispos’d, it necessarily makes those Impressions which the Mind cannot refuse to lodg, nor refrain from being conscious of what it does».45 La ricezione sensoriale viene poi articolata in termini materialistici: «some Idea’s are but the Result of certain Powers in the Particles of Bodies, to occasion particular Sensations in us».46

Le idee delle «Operations of Perceiving, Willing, Denying, Suspending the Judgemnt, and the like»47 sono invece prodotte mediante l’esperienza interna, ovvero mediante la riflessione dell’anima su «its own Operations about what it thus gets from without, as Knowing, Doubting, Affirming, Denying».48

Proprio perché dipende dalla idee, la ragione è «whole and entire» solo se pertiene a un organismo sano: «Reason, I say, in this Sense is whole and entire in every one whose Organs are not accidentally indisposed».49 L’integrità della ragione dipende, dunque, dall’integrità organica dell’uomo. La ragione è limitata dalla sensorialità umana: essa funziona dove i sensi funzionano.

L’affermazione di Toland, mentre sottolinea la dipendenza della ragione dalla corporeità e soprattutto dalle informazioni sensoriali, sembra sostenere anche che la ragione in sé non è mai corrotta. La dipendenza dai sensi, infatti, significa qui l’abbassamento dell’errore a un livello più basso di quello della ragione, che di per sé non erra. L’errore viene confinato nella accidentale indisposizione degli organi, oppure in un colpevole e volontario allontanamento dall’evidenza:

It is impossibile for us to err as long as we take Evidence for our Guide; and we never mistake, but when we wander from it by abusing our Liberty, in denying that of any thing which belongs to it, or attributing to it what we do not see in its Idea. This is the primary and universal Origin of all our Errors.50

Questo allontanamento dall’evidenza viene però talvolta presentato come un errore della ragione in generale:

But if by Reason be understood a constant right Use of these Faculties, viz. If a Man never judges but according to clear Perceptions, desires nothing but what is truly good for him, nor avoids but what is certainly evil: Then, I confess, it is extremely corrupt. We are too prone to frame wrong Conceptions, and as erroneous Judgments of things. We generally covet what flatters our Senses, without distinguishing noxious from innocent Pleasures; and our Hatred is as partial. We gratify our Bodies so much as to meditate little, and think very grosly of spiritual or abstracted Matters.51

Qui l’attenzione viene spostata dalla sensorialità alla sensualità: l’errore deriva dall’insopprimibile tendenza a «gratify our bodies». La ragione può essere dunque corrotta dalla dipendenza dalla fisicità e dalla sensualità. La ragione dipende non solo dall’integrità degli organi, ma anche dal loro corretto uso. La questione riguarda non solo l’integrità organica, ma anche quella morale. La ragione corrotta sembra essere propria dell’uomo sensuale, e Toland ammette che la ragione è indebolita dal peccato:

so that the natural Man [nota di Toland: fisicòs constantly signifies the animal, and never the natural State of Man. It should be in this Place translated sensual, as it is very rightly, James 3,15 — Jude 19] that is, he that gives the swing to his Appetites, counts Divine Things mere Folly, calls Religion a severish Dream of superstitious Heads, or a politick Trick invented by States-men to awe the credulous Vulgar.52

Anche se ammette il limite del peccato, tuttavia Toland esclude una corruzione originaria della ragione che colpirebbe tutti gli uomini in virtù del peccato originale: «they maintain that no Man’s Reason is sound. Wherefore I hope so to state this Question, as to cut off all Occasion of Dispute from judicious and peaceable Men. Reason taken for the Principle of Discourse in us … is whole and entire in every one…».53 Esclude anche implicitamente la predestinazione di stampo protestante: «We lie under no necessary Fate of sinning».54

Egli ritiene che tutti i difetti della ragione provengano da abitudini peccaminose, da vizi — «There is no Defect in our Understanding but those of our own Creation, that is to say, vicious Habits, easily contracted, but difficultly reformed»55 — che in quanto tali non fanno parte della ragione: per certi versi le abitudini peccaminose servono a Toland per discolpare la ragione e non per riconoscerne un limite: «But these discourse are so far from being Reason, that nothing can be more directly contrary to it».56

Il discorso si torce e cambia direzione: Toland sembra dire che la ragione corrotta dai vizi in realtà non è corrotta, perché i disordini della ragione corrotta non dipendono dalla ragione, anzi sono contro di essa. L’argomentazione dei «vicious Habits» viene dunque usata da Toland per esaltare la ragione umana, che ha «no Defect»: è come se Toland considerasse il valore della ragione indipendentemente dal suo effettivo uso umano. Il contesto è molto delicato: il tema della corruzione della ragione si collega infatti a quello dei limiti della ragione nei confronti della piena comprensione delle verità trascendenti e nella materia di fede.

Proprio in questo contesto, Toland usa la sensorialità per discolpare la ragione da eventuali errori e analogamente la sensualità per discolparla da eventuali limiti: la ragione non è né limitata né corrotta, in quanto i suoi limiti e le sue corruzioni sono di per sé contrary to reason. Dunque, secondo Toland la ragione può subire delle malattie, ma queste non la limitano: tutt’al più la indispongono temporaneamente e accidentalmente. Quindi, non esistono limiti per la ragione, né costitutivi, né originari, e dunque nessun argomento di per sé può sovrastarla.

Se appare indiscutibile che seguendo l’evidenza non si sbaglia mai e che un uso corretto della ragione non conduce all’errore, tuttavia assai più discutibile è la tesi di fondo che Toland ne fa conseguire: che non c’è limite alla conoscenza della ragione, e quel che è above reason è contrary to reason, come una malattia, un vizio, una colpa.

6. La questione delle essenze

La strategia della potentissima ragione tolandiana, fortificata dall’innegabilità dell’evidenza, riesce a trasformare i punti deboli in punti di forza. Così le apparenti ammissioni di limite, vengono rovesciate in dichiarazioni di forza.

Ciò accade innazitutto per quanto riguarda l’ignoranza delle essenze reali. Toland trae la distinzione tra real essences e nominal essences dal pensiero di Locke, che viene citato ma non nominato come «an excellent modern Philosopher» e «the great Man I just mention’d».57 Locke nell’Essay spiega la dipendenza dell’essenza nominale da quella reale in questi termini:

The measure and boundary of each sort or species, hereby it is constituted that particular sort and distinguished from others, is that we call its essence, which is nothing but that abstract idea to which the name is annexed; so that everything contained in that idea is essential to that sort. This, though it be all the essence of natural substances that we know or by which we distinguish them into sorts, yet I call it by a peculiar name, the nominal essence, to distinguish it from that real constitution of substances upon which depends this nominal essence and all the properties of that sort; which, therefore, as has been said, may be called the real essence: v. g., the nominal essence of gold is that complex idea the wordgold stand for, let it be for instance a body yellow, of a certain weight, malleable, fusible, and fixed. But the real essence is the constitution of the insensible parts of that body on which those qualities and all the other properties of gold depend. How far these two are different, though they are both called essence, is obvious at first sight to discover.58

Toland riprende la nozione di essenza nominale come collezione di proprietà:

Thus the nominal Essence of the Sun is a bright, hot, and round Body, at a certain Distance from us, and that has a constant regular Motion. Whoever hears the word Sun pronounc’d, this is the Idea he has of it. He may conceive more of its Properties, or not all these; but it is still a Collection of Modes or Properties that makes his Idea.59

Soprattutto egli sottolinea la nostra ignoranza delle essenze reali:

But the real Essence is that intrinsick Constitution of a thing which is the Ground or Support of all its Properties, and from which they naturally flow or result. Now tho we are perswaded that the Modes of things must have such a Subject to exist in, (for they cannot subsist alone) yet we are absolutely ignorant of what it is. We conceive nothing more distinctly than the mention’d Properties of the Sun, and those whereby Plants, Fruits, Metals, etc. are known to us; but we have no manner of Notion of the Several Foundations of these Properties, tho we are sure in the mean time, that some such thing must necessarily be. The observable Qualities therefore of things is all that we understand by their Names, for which Reason they are call’d their Nominal Essence.60

Dunque l’essenza delle cose sembra essere un limite all’opera della ragione: l’uomo conosce solo essenze nominali e mai essenze reali. Anzi, è un limite della self-evidence, infatti non si tratta tanto di un difetto di dimostrazione, quanto proprio di una mancanza di evidenza iniziale. Ma questa ignoranza non significa l’ammissione di un limite, quanto piuttosto prepara un’ulteriore vittoria della ragione. Infatti immediatamente dopo, Toland conclude «nothing can be said to be a Mystery, because we are ignorant of its real Essence»,61 dunque Toland riprende la distinzione delle essenze per sottolineare che il mistero in sé non esiste, perché, vista la nostra ignoranza di tutte le essenze reali, allora tutto dovrebbe essere mistero:62

Egli non sfrutta questa concezione in una prospettiva scettica — prospettiva che, è bene ricordarlo, ha come possibile sbocco anche il fideismo di Berkeley — e neppure si impegna in una discussione sul concetto tradizionale di sostanza, che la tesi di Locke metteva in crisi: si limita ad affermare che il medesimo relativismo vale nel campo conoscitivo e religioso. Se tutta al realtà fisica e spirituale è un mistero nel senso che ne rimane ignota la struttura intrinseca, cade ogni distinzione qualitativa fra questa realtà e i misteri della religione, fra la conoscenza della natura e quella di Dio.63

Infatti, la logica conseguenza che Toland trae è una parificazione della conoscenza fisica e metafisica, naturale e soprannaturale. Così con certezza egli afferma che dell’anima si ha un’idea chiara e distinta quanto quella del corpo:

We certainly know as much of the Soul as we do of any thing else, if not more. We form the clearest Conceptions of Thinking, Knowing, Imagining, Willing, Hoping, Loving, and the like Operations of the Mind […] The Idea of the Soul then is every whit as clear and distinct as that of the Body.64

E allo stesso modo, persino il nome di Dio è ritenuto eloquente quanto ogni altro nome di cosa: «As by the Idea and Name of God we understand his known Attributes and Properties, so we understand those of all things else by theirs; and we conceive the one as clearly as we do the other.»65

L’ignoranza delle essenze reali di fatto rende possibile l’attuazione del progetto di un sapere del tutto razionale: «We hold that Reason is the only Foundation of all certitude; and that nothing reveal’d, whether as to its Manner or Existence, is more exempted from its Disquisitions, than the ordinary Phenomena of Nature».66 Il limite delle essenze, di fatto, è funzionale al rafforzamento della ragione, infatti permette la cancellazione del sovrarazionale, e dunque concorre all’eliminazione di uno spazio esterno alla ragione.

7. La ragione e la probabilità

Un vero limite al funzionamento della ragione sembra risiedere nella probabilità, che è necessario ammettere «to supply the Defect of Demonstration»,67 proprio laddove manca la dimostrazione della ragione. Secondo Toland, ragionare è impossibile se mancano le idee o se manca l’idea intermedia per i loro accordi: nel primo caso si ha la totale oscurità, il niente, nel secondo caso la probabilità:

it is yet plainer, that where we have no Notions or Ideas of a thing, we cannot reason about it at all; and where we have Ideas, if intermediate ones, to shew their constant and necessary Agreement or Disagreement, fail us, we can never go beyond Probability.68

Toland dunque definisce la probabilità come uno stato intermedio tra la conoscenza e la totale impossibilità di essa. A differenza di Locke, che lascia un ampio spazio conoscitivo al «crepuscolo della probabilità»,69 Toland tematizza poco e occasionalmente il valore teorico della probabilità, e in ogni modo lo fa ponendolo in alternativa alla conoscenza, e non come una forma di essa. La probabilità è confinata nella mancanza di evidenza, nelle conoscenze incerte:

Let us now but strictly require this Evidence in all the Agreements and Disagreements of our Idea’s in things meerly speculative, and as far as we can in Matters of common Practice, (for these must of necessity sometimes admit Probability to supply the Defect of Demonstration).70

Si noti che la probabilità viene qui definita come «Defect of Demonstration», o meglio come inevitabile rimedio al difetto dimostrativo: essa segna la sconfitta della conoscenza? L’utilità della probabilità nella vita comune è uno spazio aperto per la ragionevolezza, che è diversa dalla razionalità? Oppure si tratta solo di un modo diverso per ribadire che solo con l’evidenza e con la ragione si può ottenere vera conoscenza?

Il compito della conoscenza, alternativo alla «pigra fiducia in un’autorità» e anche allo «scettico progresso all’infinito», è sempre un’azione di illuminazione: un portare la verità alla luce, dalle caverne sotterranee, eliminando ogni dubbio e incertezza: «and we may without a lazy Reliance upon Authority, or a sceptical Progress to Infinity, successfully trace the Truth, and bring it to view the Light from those subterraneous Caverns where it is suppos’d to lie conceal’d».71 Toland rappresenta il compito della ragione utilizzando termini di visione (view, light) sempre contrapposti ai termini dell’oscurità e del chiaroscuro.

La probabilità è uno degli argomenti aggiunti e modificati nella seconda edizione di CnM, con una più decisa sottolineatura dell’esclusione di ogni valore conoscitivo della probabilità. Toland aggiunge infatti nella seconda edizione:

Tho we have an Idea of inhabited, and an Idea of the Moon, yet we have no intermediate Idea to shew such a necessary Connection between them, as to make us certainly conclude that this Planet is inhabited, however likely it may seen. Now, since Probability is not Knowledg, I banish all Hypotheses from my Philosophy; because if I admit never so many, yet my knowledg is not a jot increas’d: for no evident Connection appearing between my Ideas, I may possibly take the wrong side of the Question to be right, which is equal to knowing nothing of the Matter. When I have arriv’d at knowledg, I enjoy all the Satisfation that attends it; where I have only Probability, there I suspend my Judgment, or, if it be worth the Pains, I search after Certainty.72

La probabilità, dunque, che interviene laddove mancano le idee intermedie, poiché manca di evidenza e necessità, non è conoscenza. Riecheggiando il newtoniano hypoteses non fingo,73 Toland esclude dalla propria filosofia l’incertezza della probabilità. Di fronte alla probabilità, che è dunque solo un nome dell’ignoranza, si sospende il giudizio e, se occorre, si cerca una certezza. Poiché incertezza e probabilità, per Toland sono la stessa cosa: «when … the thing is uncertain, or, at best, but probable, which, with me, are not very different».74

Se la probabilità è alternativa alla conoscenza, indica una zona in cui la ragione non riesce a penetrare? Questo non sembra preoccupare Toland; egli piuttosto che della realtà sembra preoccupato della conoscenza, e, con la probabilità, vuole escludere ogni via conoscitiva che non passi con la ragione attraverso l’evidenza.

8. La ragione e la fede

La definizione della fede (faith) attraversa l’intera CnM, articolandosi in ben precisi passaggi che Toland stesso individua, esplicitando i rimandi interni del testo. I capitoli centrali per lo svolgimento del percorso della fede, sono il capitolo 3 della prima sezione: Of the Means of Information, il capitolo 2 della seconda sezione: Of the Authority of Revelation, as it regards this Controversy e il capitolo 4 della terza sezione Objections brought from particular Texts of Scripture, from the Nature of Faith, and Miracles, answer’d.

Proprio in quest’ultimo viene offerta una definizione della parola «faith»: «The word imports Belief or Perswasion, as when we give Credit to any thing which is told us by God or Man; whence Faith is properly divided into Humane and Divine».75 «Faith» significa dare credito a qualcosa di «detto» da Dio o dall’uomo, e implica un riferimento a «belief» e a «perswuasion» che sono presentati come sinonimi. «Perswasion», a sua volta, è anche sinonimo di «Acquiescence of Faith»: «which [reason] orderly begets in us an Acquiescence of Faith or Perswasion».76

«Acquiescence» si collega, a mio avviso, a «satisfaction» e a «convincement». Infatti, nel medesimo capitolo Toland prosegue: «As for acquiescing in what a Man understands not, or cannot reconcile to his Reason, they know best the fruits of it that practice it […] On the contrary, I’m pretty sure he pretends in vain to convince the Judgment, who explains not the Nature of the Thing»77 e ancora: «A man may give his verbal Assent to he knows not what, out of Fear, Superstition, Indifference, Interest, and the like feeble and unfair Motives: but as long as he conceives not what he believes, he cannot sincerely acquiesce in it, and remains depriv’d of all solid Satisfaction».78 «Satisfaction» sembra essere allora la soddisfazione conoscitiva che indica la condizione dell’assenso ben motivato, ovvero la certezza («certitude»), e accompagna l’«acquiescement», fatto a ragion veduta. La fede è dunque questione di «convinciment» e «acquiescence»: che possono essere falsi, motivati solo dalle passioni, oppure viceversa ben fondati su una solida «satisfaction» conoscitiva.79

Tutto questo rimanda alla questione dei mezzi di informazione e del fondamento di persuasione, perché se la fede è un dare credito a quanto è detto da Dio e dall’uomo, quanto dicono Dio o l’uomo costituisce «means of information» e necessita di «ground of perswasion»:

The Means of Information I call those Ways whereby any thing comes barely to our Knowledg, without necessarily commanding our Assent. By the Ground of Perswasion, I understand that Rule by which we judg of all Truth, and which irresistibly convinces the Mind. The Means of Information are Experience and Autorithy […] Autorithy, abusively socall’d, as if all its Informations were to be receiv’d without Examen, is either Humane or divine.80

«Perswuasion» è presente anche nella definizione di fede che Toland propone come tipica del Nuovo Testamento: «Nor can any Man shew me in all the New Testament another Signification of Faith, but a most firm Perswasion built upon substantial Reasons».81 La fede è una persuasione che va costruita sopra ragioni sostanziali: «But surely nothing can better root and establish our Perswasion than a thorow Examination and Trial of what we believe; whereas the Weakness and Instability of our Faith proceed from want of sufficient Reason for it, whereupon Incredulity always follows».82

Per Toland, occorre fondare la persuasione mediante una ricerca di ciò che è creduto: questo rende salda la fede. Anche il verbo «to believe» riporta a questo nodo teorico:

We should not confound the Way whereby we come to the Knowledg of a thing, with the Grounds we have to believe it … I believe nothing purely upon his word without Evidence in the things themselves. Not the bare Authority of him that speaks, but the clear Conception I form of what he says, is the Ground of my Perswasion.83

Per Toland occorre «conceive» ciò che si crede.:84

To be confident of any thing without conceiving it, is no real Faith or Perswasion, but a rash Presumption and an obstinate Prejudice, rather becoming Enthusiasts or Impostors than the taught of God, who has no Interest to delude his Creatures, nor wants Ability to inform them rightly.85

La fede, senza una chiara concezione del contenuto, diventa presunzione, pregiudizio, entusiasmo,86 impostura. «To believe» ha un valore più forte rispetto a «perswasion»: «We must necessarily believe, that it is impossibile the same thing should be and not be at once: Nor can all the World perswade us to doubt of it».87 Infatti «to believe» è accompagnato dal verbo «must» e dall’avverbio «necessarily»: verbo e avverbio che di per sé non dovrebbero mai accompagnare l’atto del credere, perché laddove non c’è libertà non c’è fede. La fede, contrariamente a quanto Toland indica, è proprio il tipo di conoscenza svincolato da ogni necessità, perché riguarda verità che non sono evidenti per noi, e il motivo del nostro assenso è dato dall’autorità di chi parla. Toland viceversa afferma: «I believe nothing purely upon his world without Evidence in the things themselves. Not the bare Authority of him that speaks, but the clear Conception I form of what he says, is the Ground of my Perswasion».88

Questa «clear conception» potrebbe significare, tradizionalmente, il comprendere la possibilità di ciò in cui si crede: non possiamo infatti credere a ciò che comprendiamo impossibile. Ma per Toland la stessa possibilità rimanda all’evidenza, alla percezione di un perfetto accordo: «when we clearly perceive a perfect Agreement and Connection between the Terms of any Proposition, we then conclude it possibile because intelligible».89 Toland spiega infatti che tra le due parti che compongono la fede, ovvero la conoscenza e l’assenso, benché formalmente quest’ultimo qualifichi la fede, tuttavia è prioritaria l’evidenza della prima: «’Tis the last indeed that constitutes the formal Act of Faith, but not without the Evidence of the first: And this is the true Account we have of it all over the New Testament».90 Questa richiesta di evidenza viene applicata sia alla fede nella parole dell’uomo, sia alla fede nelle parole di Dio: questi due tipi di fede vengono peraltro identificati da Toland, entrambi sono semplici mezzi di informazione, impropriamente chiamati «authority».

Toland nega peraltro la fede come virtù teologale ispirata: «I am not ignorant how some boast they are strongly perswaded by the illuminating and efficacious Operation of the Holy Spirit, and that they neither have nor approve other Reasons of their Faith: But we shall endeavour in its proper place to undeceive them».91 E ironizza sull’azione della volontà nell’atto di fede: «I will believe because I will believe, that is, because I’m in the Humour so to do, is the top of his Apology».92

Quale è allora lo specifico della fede, rispetto alle altre forme di conoscenza? Toland sembra farne una questione di tempo: «Besides, there can be properly no Faith of things seen or present, for then ‘tis Self-evidence and not Ratiocination».93 La fede è per Toland la conoscenza di un’evidenza non presente. Mi sembra che in questo modo egli distingua la fede dalla self-evidence ma non dalla reason, che ha definito proprio come un portare al presente un’evidenza lontana.

Toland nega uno statuto conoscitivo autonomo delle verità accettate per fede, perché richiede l’evidenza per il contenuto di ogni verità, cosa che sembra escludere aprioristicamente la questione della fede. Toland, del resto, sembra implicitamente escludere che si possa «avere fede»: in numerosi passaggi di CnM la fede nel soprannaturale, nei miracoli, nei dogmi, viene motivata da cause irrazionali quali la paura, oppure viene ritenuta artificiosamente finta per motivi di convenienza, tanto che sembra risultare che nessuno — non gli impauriti fedeli, né tanto meno i preti complottatori — abbia sinceramente fede, e che la fede, in mancanza di evidenza nasca solo da «Fear, Superstition, Indifference, Interest».94 Come sottolinea Venuti, Toland non ha «fede nella fede».95

La fede si trova subordinata all’evidenza, al pari della ragione: sembra non esserci alcuno spazio tra l’evidenza intuitiva e l’evidenza dimostrativa, tanto che la fede sembra debba essere collocata su questo secondo versante. A una distinzione dei termini — fides et ratio96 — Toland non oppone tanto una contrapposizione — aut fides aut ratio97 — quanto una identificazione: Fides sive ratio? Ratio sive fides?

Dall’altra parte però, l’uso non costante del verbo «to believe», posto per esempio davanti al riconoscimento dell’evidenza di un’idea — «The Reason then why I believe the Idea of a Rose to be evident, is the true Represention it gives me of that Flowers»98 — o di verità evidenti quali il principio di non contraddizione — «We must necessarily believe, that it is impossible the same thing should be and not be at once»99 —, conduce un’estensione dell’ambito del credere al riconoscimento di ogni verità, tanto che risulta credere anche riconoscere l’evidenza. È una premessa della riduzione della conoscenza a «belief», come farà Hume?

Questa volta sembra che sia il «nemico» della reason a prendersi un’inaspettata vittoria: infatti la prigionia della fede conduce a un indebolimento della ragione. Se la fede non opera più, allora la ragione perde la specificità del suo proprio operare: un contraccolpo teorico di cui Toland sembra non avere alcuna coscienza.

9. Contro la ragione

Ma il nemico naturale della ragione dovrebbe essere l’irrazionale: chi oserebbe negare che si oppongono? La definizione di irrazionale procede dal funzionamento della conoscenza razionale: «I take it to be very intelligible from the precedent Section, that what is evidently repugnant to clear and distinct Idea’s, or to our common Notions, is contrary to Reason».100 La contrarietà alla ragione significa ripugnanza evidente alle idee chiare e distinte e alle nozioni comuni. Si noti che in questo modo l’irrazionale si oppone non tanto alla razionalità, ma all’evidenza, alla chiarezza e distinzione dell’idea. Toland definisce anche il contrary to Reason come assenza di idee: «if any Doctrine of the New Testament be contrary to Reason, we have no manner of Idea of it».101

Spesso, e soprattutto negli esempi, l’irrazionale si identifica — correttamente — con la contraddizione: «To say, for instance, that a Ball is white and black at once, is to say just nothing; for these Colours are so incompatible in the Same Subject, as to exclude all Possibility of a real positive Idea or Conception».102 Si noti, comunque, che l’esempio non è il migliore per illustrare una contraddizione, perché bianco e nero non sono contraddittori, e non è impossibile, salvo diverse specificazioni, che una palla possa essere bicolore. L’esempio dovrebbe semmai avere la forma: una palla bianca e non bianca simul. La poca correttezza dell’esempio può nascondere una certa confusione teorica, o piuttosto essere il segno di una nozione di contraddizione estendibile anche a ciò che contraddittorio non è. Infatti, nell’esempio che Toland pone di seguito, di carattere decisamente teologico e religioso, la contraddizione logica sembra proprio non esserci:

So to say, as the Papist, that Children dying before Baptism are damn’d without Pain, signifies nothing at all: For if they be intelligent Creatures in the other World, to be eternally excluded God’s Presence, and the Society of the Blessed, must prove ineffable Torment to them: But if they think they have no Understanding, then they are not capable of Damnation in their Sense; and so they should not say they are in Limbo-Dungeon; but that either they had no Souls, or were annihilated; which (had it been true, as they never can shew) would be reasonable enough, and easily conceiv’d.103

In questo caso, la contraddizione logica non può essere teorizzata, mentre Toland prova a dimostrare l’incompatibilità di dannazione e assenza di sofferenza. Il problema, qui assai chiaro, è che di fatto non si possiede un’idea chiara e distinta della dannazione, della sofferenza, dell’aldilà, dunque non si possono pretendere asserzioni evidenti. Illuminante è l’inciso posto da Toland fra parentesi: questo è proprio un ambito che «they never can shew». Risulta, dunque, che mentre Toland tratta dell’irrazionale, in esso ha già compreso il sovrarazionale; la contraddizione non è per Toland solo contraddizione logica, ma qualunque contrarietà alle idee possedute, non ammettendo che tra la contraddizione e la piena evidenza esistano infinite sfumature di relazioni più o meno chiare, più o meno note, comunque tutte possibili, come il caso appunto della dannazione senza dolore.

L’idea, come unico contenuto di conoscenza e come chiara rappresentazione dell’oggetto, serve come vincolo per la conoscenza stessa: «if we have no Idea’s of a thing, it is certainly but lost Labour for us to trouble ourselves about it».104 Toland tematizza sempre la contraddizione come contraddizione dell’idea: «If the sincerest Person on Earth should assure me he saw a Cane without two ends, I neither should nor could believe him; because this relation plainly contradicts the Idea of a Cane».105 Anche in questo esempio, la contraddizione più che nei confronti della nostra idea di canna, come Toland asserisce, sembra sussistere tra il finito (la canna) e l’infinito (l’assenza di confini). Più corretto è invece l’esempio della cosa estesa e non estesa, che appunto non significa niente: «To say, for example, that a thing is extended and not extended, is round and square at once, is to say nothing».106

La contraddizione viene dunque assimilata al niente: «And that every Contradiction, which is Synonym for Impossibility, is pure nothing, we have already sufficiently demonstrated»,107 e identificata con il conflitto delle idee: «for these Idea’s destroy one onether, and cannot subsist together in the same Subject».108 Toland non riesce a prendere neanche in ipotesi la possibilità di un contenuto che sfugga alla nostra conoscenza, senza contraddirla: «And since we cannot in this World know any thing but our common Notions, how shall we be sure of this pretended Consistency between our present seeming Contradictions, and the Theology of the World to come?»109 Dunque la conoscenza di «this World», è modello e confine per la conoscenza del «World to come».

Queste considerazioni sulla contraddizione sono inserite nel capitolo I della II sezione, intitolato The Absurdity and Effects of admitting any real or seeming Contraditions in Religion,110 in cui la tesi di fondo è che «A seeming Contradiction is to us as good as real one».111 Questa identificazione tra contraddizione apparente e reale pone una equazione di identità tra il piano della realtà del significato (reale contraddizione) e il piano dell’apparenza della forma significante (contraddizione apparente), e chiaramente riduce l’orizzonte della realtà a quello della conoscenza umana.112

Il discorso sull’irrazionale condotto da Toland coinvolge essenzialmente due termini: «nothing» e «above reason». Toland, infatti, come abbiamo appena visto, quando parla del «contrary to reason» coinvolge anche realtà che sono «above reason»: supra-intellectual Truth, Heaven, the World to come. Risulta quasi impossibile affrontare il discorso dell’irrazionalità in Toland senza coinvolgere anche la sovrarazionalità.

10. Al di sopra della ragione

L’operazione di CnM è espressamente un’operazione di riduzione alla ragione che implica l’identificazione di «above reason» e «contrary to reason», come il titolo chiaramente indica: «there is nothing in the Gospel contrary to Reason nor above it», dove il «nor» pone un’identità quasi immediata. Questa identità viene sviluppata nel testo, con una apparentemente maggiore cautela. La prima sezione è infatti dedicata alla ragione, la seconda al «contrary to reason»: «That the Doctrines of the Gospel are not contrary to Reason», la terza all’«above reason»: «That there is nothing Mysterious, or above Reason in the Gospel». Gradualmente viene eliminato prima l’irrazionale e poi il sovrarazionale, anche se di fatto sono annullati insieme. Il vero nemico della ragione di Toland è il sovrarazionale. Esso propriamente non è un nemico, ma la struttura della ragione tolandiana esige che lo sia.

Vediamo ora, con maggiore dettaglio, con quali esempi Toland parli della sovrarazionalità:

I understand nothing better than this Table upon which I am now writing: I conceive it divisible into Parts beyond all Imagination; but shall I say it is above my Reason because I cannot count these Parts, nor distinctly perceive their Quantity and Figures?113

L’esempio propone una realtà molto banale e accessibile, che diviene possibile parametro del non razionale mediante lo strumento della divisibilità infinita, che pone al di fuori della percezione la quantità e la figura (qualità primarie). Il sovrarazionale viene escluso come se fosse impercepibile, e poiché ogni realtà è al limite impercepibile, allora tutto diverrebbe sovrarazionale. L’esempio che segue parte dalla realtà naturale:

I am convinc’d that Plants have a regular Contexture, and a Multitude of Vessels, many of them equivalent or analogous to those of Animals, whereby they receive a Juice from the Earth, and prepare it, changing some into their own Substance, and evacuating the excrementitious Parts. But I do not clearly comprehend how all these Operations are perform’d, though I know very well what is meant by a Tree.114

Anche in questo caso, il sovrarazionale viene escluso con l’argomentazione della conoscenza imprecisa dei fenomeni naturali, anche se viene asserito il possesso del significato dell’idea «what is meant by a Tree». Si noti che mentre negli esempi e nelle argomentazioni relative al «contrary to reason» venivano inclusi elementi soprannaturali, quali il paradiso e il destino delle anime, in questi esempi abbondano viceversa e realtà naturali. Sembra che Toland identifichi il sovrarazionale con il margine impercepibile di ogni realtà percepita.

Inoltre il sovrarazionale viene affrontato come un problema solo conoscitivo e non come una questione ontologica. «It is improper therefore to say a thing is above our Reason, because we know no more of it than concern us, and ridiculous to supersede our Disquisitions about it upon that score».115 Questa impostazione rende Toland indifferente verso ciò che non conosciamo e che non ci è in qualche modo utile conoscere: «The most compendious Method therefore to acquire sure and useful Knowledg, is neither to trouble our selves nor others with what is useless, were it known; or what is impossible to be known at all».116 L’esempio è molto significativo: «Since I easily perceive the good or bad Effects of Rain upon the Earth, what should I be the better did I comprehend its Generation in the Clouds? for after all I could make no Rain at my Pleasure, nor prevent its falling at any time».117 Il sovrarazionale è dunque inutile da conoscere, ma secondo Toland comunque è inutile ogni conoscenza che sfugga alla percezione e non abbia un risvolto pratico operativo. L’«above reason» viene dunque escluso in quanto «above senses»?

Inoltre il vincolo dell’idea pone la semplice alternativa tra «reason» e «contrary to reason», senza lasciare spazio a uno spazio «above reason». Come notarono subito anche i contemporanei, irrazionale e sovrarazionale sono ben diversi, in quanto il primo implica la non esistenza dell’oggetto, il secondo semplicemente la non comprensibilità per il soggetto. Come sottolineò il Norris è cosa ben diversa comprendere l’incompatibilità di due idee (irrazionale) o non comprendere l’unione o disunione di due idee (sovrarazionale).118 Il mistero, che viene ritenuto sinonimo di «above reason», viene identificato con l’irrazionalità, con il niente:

I shew’d before that Contradiction and Nothing were convertible Terms; and I may now say as much of Mystery in the Tehological Sense: for, to speak freely, Contradiction and Mystery are but two emphatick ways of saying Nothing. Contradiction expresses Nothing by a couple of Ideas that destroy one another, and Mystery expresses Nothing by Words that have no Ideas at all.119

Se dunque l’irrazionalità descrive un conflitto di idee incompatibili (in realtà talvolta anche il «contrary to reason» viene descritto come assenza di idee), la sovrarazionalità è ancora più silente, perché non corrisponde ad alcuna idea. Consiste, se così si può dire, in un niente gnoseologicamente più grave e ontologicamente più profondo: «and as of what is not knowable we can have no Idea, so it is nothing to us».120

11. Toland e Robert Boyle

Una critica lucida alla concezione tolandiana, proviene, se si può dire, da una riflessione che lo precede, quella di Robert Boyle. La riflessione di questo «scienziato» merita particolare spazio per la spazio teorico che, pur da posizioni opposte,121 condivide con Toland. Egli, già ben consapevole della questione centrale del deismo, si dedica proprio al rapporto tra la ragione e quanto la eccede, cercando di preservare l’«above reason» dall’accusa di «no rational».122 Gli elementi rilevanti di questa sua riflessione consistono innanzitutto nella sottolineatura dei limiti della ragione presenti anche nell’indagine scientifica, e soprattutto nella considerazione che esiste un ambito che travalica la ragione non illuminata dalla Rivelazione:

There may be many things relating to the deity above the Reach of unenlightned humane Reason. Not that I affirm all these things to be in their own Nature incomprehensible to us (though some of them may be so) when they are once propos’d; but that Reason by its own light could not discover them particularly, and therefore it must owe its knowledge of them to divine Revelation.123

È dunque da una diversa nozione di ragione, limitata, bisognosa di luce, che discende la possibilità di definire il sovrarazionale. E non solo esiste una ragione non illuminata e una ragione illuminata, ma secondo Boyle occorre distinguere anche tra la «right Reason» e l’«Exercise of it»: la prima può fungere da paradigma di ciò che è razionale, il secondo certo no, essendo legato alle «receiv’d opinions», e non alla verità.124 Altro passaggio fondamentale è il discernimento entro la nozione di evidenza: non esiste un unico tipo di evidenza, essa può essere fisica, metafisica, morale. Pretendere un grado di evidenza improprio, è contrario alla ragione. Dunque, potrebbe dire Boyle, la tolandiana richiesta di evidenza del contenuto per le verità rivelate è irragionevole.

Boyle riconosce una divisione in generi del sovrarazionale: esso può riguardare realtà «incomprehensible» per noi (come Dio e gli angeli), realtà «inexplicable» (come nel caso della visione all’infinito) e realtà «unsociable» (cioè inconciliabili con qualcosa che già conosciamo, come per esempio la divisibilità in infinite parti delle quantità finite implica che due linee di diversa lunghezza siano costituite da un uguale numero di parti).125 Si noti che il sovrarazionale eccede la ragione non solo nell’ambito religioso, ma anche nei confronti delle verità naturali.

Boyle dunque modula126 quel che in Toland è monolitico e univoco, e così riesce a tacciare di irrazionalità i tentativi tolandiani di rendere irrazionale il sovrarazionale, mediante la ragione.

12. «Common sense» e «sensus communis»

Toland identifica la «reason in general» con il «common sense», infatti nell’espressione «Common Sense, or Reason in general», «or» ha un chiaro valore esplicativo. È chiaro che qui «common sense» non si riferisce al senso interno di matrice aristotelica,127 e neanche allude a qualcosa di simile alle successive teorie del «Common Sense» del Reid,128 quanto piuttosto è vicino alla teorizzazione cartesiana. Toland riprende infatti quasi letteralmente l’esordio del Discourse de la méthode di Descartes.

Inoltre, in Toland la questione ha anche implicazioni di tipo teologico,129 in quanto pone la problematica del soggetto della verità: «tutti» possono accedere alla verità o solo un gruppo ristretto? Toland ha un atteggiamento contraddittorio: sembra volersi appellare sempre alle certezze dei semplici, cioè alle verità possedute da tutti, tuttavia di fatto la sua ossessiva richiesta di evidenza, e la sua concezione univoca di ragione, sembrano piuttosto negare le verità del sensus communis.

Mi sembra che per Toland possano valere le considerazione fatte da Livi a proposito del «common sense» in Descartes e dopo Descartes; Livi nota:

Il sistema cartesiano, dunque, procede con due logiche: una esplicita, ed è quella voluta, come novità metodologica, da Cartesio, ossia la chiarezza e la distinzione dei termini di una proposizione evidente; l’altra implicita, ed è l’ineliminabile corredo gnoseologico delle certezze del senso comune, che non hanno la caratteristica voluta (arbitrariamente) da Cartesio, ma hanno una caratteristica più importante e fondamentale: la loro necessaria presenza alla coscienza come materia di ogni pensare […]. Il giudizio filosofico si contrappone al giudizio del senso comune: tutto ciò che questo afferma, la filosofia lo nega, sia pure con l’intenzione di recuperarlo poi, per altra via. Ed è proprio questo che caratterizza il cartesianismo: la pretesa di recuperare per via di analisi filosofica quello che viene offerto alla coscienza per via di senso comune. La storia ha poi dimostrato come sia impossibile il tentativo di recuperare le certezze del senso comune con il loro originale significato e con la loro originale innegabilità: e, difatti, la pluralità degli enti viene poi a essere negata dal razionalismo post-cartesiano (Spinoza), così come l’empirismo, proveniendo dalla stessa matrice metodologica, arriva a negare la realtà delle sostanze, della causalità, del cosmo (Hume). Etienne Gilson ha sempre sostenuto che il realismo — parte essenziale delle certezze del senso comune — non si recupera più una volta negato dal dubbio metodico.130

Quel procedimento che ho chiamato ratiologia negativa sembra proprio funzionare in questo modo: è un procedere per negazioni, procedimento che di fatto avrebbe valore solo se l’oggetto da conoscere fosse Dio, mentre nei confronti di ogni altra realtà questo negare, questa pretesa purezza obiettiva, nasconde un pregiudizio (i.e. l’opzione per l’evidenza) e cancella la realtà e i molti modi per conoscerla. Toland, al pari di molti suoi contemporanei e conterranei, confonde «sensus communis» e «common sense», cioè di fatto intende «ciò che tutti posseggono» ma non ne sottolinea la forza euristica, anzi il suo procedere è contro il «sensus communis», proprio perché è un procedere per negazioni. Ma — al solito — il «sensus communis» insorge ed emerge, portanto Toland alla contraddizione.

13. Limiti e confini

La ragione di Toland dunque non ha limiti? Anche se li avesse, e li ha, a Toland non interessa, egli ritiene che quel che conosciamo è sufficiente. «The most compendious Method therefore to acquire sure and useful Knowledg, is neither to trouble our selves nor others with what is useless, were it known; or what is impossible to be known at all».131

La ragione di Toland sembra avere dei punti deboli, ma, come abbiamo visto, Toland imposta il discorso in maniera tale che i punti deboli della ragione sembrano suoi punti di forza, perché le consentono di raggiungere il suo scopo principale che è il dominio conoscitivo esclusivo delle verità rivelate. Come ha scritto la Giuntini: «Lo scopo fondamentale dell’autore del Cristianesimo senza misteri era dimostrare che la determinazione dei limiti dell’intelletto non corrisponde alla passiva accettazione delle verità di fede, ma equivale a fondare sulla stessa base razionale le verità di qualunque ordine e provenienza».132

Il vero nemico della ragione di Toland è la conoscenza per fede. Egli costruisce una ragione forte proprio in vista di questa battaglia. Egli, abilmente, non allestisce un aut fide aut ratio, ma un più sottile fides sive ratio. Nel suo orizzonte, oltre la ragione non c’è altra forma di conoscenza, se non l’evidenza, legata alla ragione da un genitivo di possesso: «Evidence of reason».133 L’evidenza, come abbiamo visto, è la forza della ragione, che funziona solo se sa partire dall’evidenza e giungere all’evidenza, usando l’evidenza.

Proprio la richiesta di evidenza per ogni forma di conoscenza impedisce un equilibrato confronto tra fides et ratio. Questa struttura della ragione consente di collocare «contrary to reason» tutto quello che non è riconducibile con la «reason» all’evidenza. Così facilmente quanto sta «sopra» la ragione (above reason) di fatto è considerato «contro» (contrary to reason): il limite della ragione è in realtà il confine di un potere, oltre il quale esistono solo i nemici (against reason).

Questo articolo costituisce la versione italiana riveduta e corredata di note esplicative e bibliografiche di Reason and its “Enemies” in the Thought of John Toland, «Sensus Communis», II (2001) 1.


  1. J. Toland, Christianity not Mysterious or, a Treatise shewing, that there is nothing in the Gospel contrary to reason, nor above it: and that no Christian docrtine can be properly call’d a mystery, Londra 1696. D’ora in poi sarà indicato con l’acronimo CnM↩︎

  2. Così lo definisce Garin, in E. Garin, L’illuminismo inglese. I moralisti, Fratelli Bocca editori, Milano, 1941, p. 85. Analogamente Carabelli nota che «fu l’opera di Toland, e in assoluto una delle opere uscite fra ’600 e ’700, che suscitò il maggior numero di reazioni polemiche». G. Carabelli, Tolandiana. Materiali bibliografici per lo studio dell’opera e della fortuna di John Toland (1670-1722), La Nuova Italia editrice, Firenze, 1975, p. 22.

    Oltre che incendiario CnM è anche un libro incendiato: infatti viene condannato al rogo prima in Irlanda dalla House of Convocation di Dublino e successivamente nel 1701, anche in Inghilterra, dalla Lower House of Convocation di Londra. ↩︎

  3. CnM ha una prima edizione anonima «Printed in the Year 1696» a Londra, e due edizioni successive e autografe: una del 1696 («printed for Sam. Buckley at the Dolphin over against St. Dunstans Church in Fleetstreet», presenta delle varianti soprattutto nella prima sezione del testo) e una del 1702 (con l’aggiunta di An Apology for Mr. Toland, già pubblicata nel 1697). ↩︎

  4. Volendo rapidamente verificare cosa «si dice» oggi di Toland, anche al di fuori della bibliografia specializzata, vediamo ricorrere la «ragione»; per esempio: «He remains, however, fundamentally a rationalist in the line of Bruno, Descartes, Spinoza, and Leibniz», The Encyclopedia of Philosophy, The Macmillan Company & Free Press, New York — Collier MacMillian Limited, London, 1967, vol. VIII, ad vocem, p. 141; «tutte opere assai indicative di un razionalismo ormai decisamente illuministico [a proposito soprattutto delle ultime opere di Toland]», Enciclopedia Filosofica, Sansoni, Firenze, 19692, vol. VI, ad vocem, p. 261; «CnM […] gli alienò le simpatie della chiesa anglicana a causa delle tesi razionalistiche in essa espresse», Encliclopedia di Filosofia, Garzanti, Milano, 1993, ad vocem, p. 1154. ↩︎

  5. Più precisamente: dopo la prima sezione Of reason (pp. 1-22), seguono la seconda That the Doctrines of the Gospel are not contrary to Reason (pp. 23-66) e la terza That there is nothing *Mysterious, or above Reason in the Gospel* (pp. 67-173). ↩︎

  6. Per una ricostruzione storica della parabola della ragione nel pensiero inglese dei secc. XVII e XVIII, cfr. M. Sina, L’avvento della ragione. «Reason» e «above Reason» dal razionalismo teologico inglese al deismo, Vita e Pensiero, Milano 1976. ↩︎

  7. Per uno studio della ragione tolandiana, rimando al mio: L. Congiunti, John Toland. Le ragioni della *reason**, in Aa. Vv., *Passione dell’originario. Fenomenologia ed ermeneutica dell’esperienza religiosa, Studium, Roma 2000, pp. 65-96. ↩︎

  8. CnM, p. III, corsivo mio. ↩︎

  9. Ibid., p. VII. ↩︎

  10. Ibid., p. VIII. ↩︎

  11. Ibid., p. XVI. ↩︎

  12. Ibid., pp. XXIII-XXIV. ↩︎

  13. Ibid., p. 8. Si avverte una certa ironia nei confronti della definizione aristotelica di animale razionale. ↩︎

  14. Ibid., p. 57. ↩︎

  15. La questione del rapporto tra Toland e Locke è piuttosto complessa. Toland nelle sue opere fa esplicito riferimento alla filosofia di Locke, e i contemporanei percepirono CnM come la logica conseguenza dell’Essay lockiano (le cui prime tre edizioni — 1690, 1694, 1695 — sono precedenti CnM). Tuttavia Locke — che insieme a Toland fu coinvolto nell’accusa di socinianesimo — negò sempre e recisamente ogni legame personale e filosofico con Toland, e di contro anche lo stesso Toland arrivò a negare ogni riferimento a Locke. Esula dagli intenti di questo mio studio un’analisi dettagliata della questione, noto solo che proprio intorno alla nozione di ragione si annidano, a mio avviso, le somiglianze e le differenze tra Toland e Locke; non a caso Locke stesso chiede di verificare la sua distanza da Toland «by comparing his account of reason with what I have said of reason in my Essay», J. Locke, Reply to the right Reverend the Lord Bishop of Worcester’s Answer to his Second Letter: wherein, beside other incident Matters, what his Lordship has said concerning Certainty by Reason, Certainty by Ideas, and Certainty of Faith; The Resurrection of the same Body; The Immateriality of the Soul; The Inconsistency of Mr. Locke’s Notion with the Articles of the Christian faith, and their Tendency to Scepticism, is examined, printed for A. and J. Churchill, London, 1699. ↩︎

  16. J. Locke, Essay of Humane Understanding, ed. by J.W. Yolton, Dent and Sons, London 1961, IV, 17, 1. ↩︎

  17. Mi sembra che «Brute» significhi propriamente «beast without reason», e a meno di non intendere il linguaggio come mero calcolo di parole — alla maniera hobbesiana, per intenderci — non si può passare dal «brute» all’uomo semplicemente aggiungendo la «reason»!. ↩︎

  18. CnM, p. 9. ↩︎

  19. Ibid. ↩︎

  20. Ibid. ↩︎

  21. Ibid, p. 58. ↩︎

  22. Ibid., p. 9. ↩︎

  23. Rimandiamo per ora l’analisi della ragione come «common sense». ↩︎

  24. La nozione di «idea» nel contesto tolandiano è piuttosto complessa: alla influenza lockiana — evidente nella definizione di idea che Toland aggiunge nella seconda edizione di CnM: «By the word idea which I make so much use of here, and shall more frequently in the following Discourse, I understand the immediate Object of the Mind when it thinks, or any Thought that the Mind imploys about any thing, whether such a Thought be the Image or Representation of a Body as is the Idea of a Tree; or whether it be some Sensation occasion’d by any Body, such as are the Ideas of Cold and Heat, of Smell and Tastes; or whether, lastly, it be a meerly intellectual or abstracted Thought, such as are the Ideas of God and created Spirits, of Arguing, of Suspension, of Thinking in general, or the like» CnM, 16962, p. 10, aggiunge una originale declinazione, definendo l’idea come «representative beings». «Idea’s therefore being representative Beings, their Evidence naturally consists in the Property they have of truly representing their Objects». CnM, p. 18. Sull’idea come «representative beings» e soprattutto per il rapporto con Roëll, cfr. M. Iofrida, La filosofia di John Toland. Spinozismo, scienza e religione nella cultura europea fra ’600 e ’700, Franco Angeli Editore, Milano 1983, in particolare pp. 31-32 e nota 78. ↩︎

  25. In realtà la singola idea non pone logicamente un problema di verità, la quale è sempre implicata da un nesso tra concetti. Toland spiega la verità dell’idea insieme alla sua evidenza: «The Reason then why I believe the Idea of a Rose to be evident, is the true Representation it gives me of that Flower. I know it is true, because the Rose must contain all the Properties which its Idea exhibits, either really, as the Bulk and Form, or occasionally, as the Colour, Taste and Smell. And I cannot doubt of this, because the Properties must belong to the exemplary Cause, or to Nothing, or be the Figments of my own Brain: But Nothing can have no Properties; and I cannot make one single Idea at my Pleasure, nor avoid receiving some when Objects work on my Senses: Therefore I conclude the Properties of the Rose are not the Creatures of my Fancy, but belong to the exemplary Cause, that is, the Object» Ibid., p. 18. ↩︎

  26. CnM, p. 10. ↩︎

  27. La ricezione delle idee non implica la libertà: quando un oggetto si presenta al senso appropriato imprime una sensazione che l’anima non può rifiutare, così come non può negarne la coscienza. Si noti che Toland aveva precedentemente parlato di formare («form») le idee, ora invece parla di ricevere («receive») le idee: se formare le idee è una facoltà il cui retto uso è ragione, viceversa ricevere le idee non è ragione. ↩︎

  28. CnM, p. 11. Scrive Locke: «Knowledge then seems to me to be nothing but the perception of the connexion and agreement, or disagreement and repugnancy, of any of our ideas». J. Locke, op. cit., IV, I, 1. ↩︎

  29. CnM, p. 11. ↩︎

  30. Ibid, p. 12. ↩︎

  31. Ibid. p. 57. Si noti come questa definizione riporti la ragione in quanto facoltà dimostrativa alla più generica definizione di conoscenza e soprattutto di ragione in generale, includendo l’amare ciò che sembra buono e odiare ciò che è ritenuto cattivo: questo è un segno di come la nozione di ragione che Toland propone, pur essendo univoca, pretenda l’ampiezza e lo spessore di una nozione multivoca. ↩︎

  32. Ibid., p. 13. ↩︎

  33. Ibid., p. 12. ↩︎

  34. La Bonicalzi esplicita il senso dell’enumerazione cartesiana: «La comparazione tra termini permette di vedere nella relazione secondo un procedimento infinito capace di produrre conoscenza nuova: l’enumerazione ordina infatti una somma di rapporti fino a condensarli in un rapporto unico, nuovo», F. Bonicalzi, L’ordine della certezza. Scientificità e persuasione in Descartes, Marietti, Genova 1991, p. 57. ↩︎

  35. CnM↩︎

  36. Ibid, pp. 12-13. ↩︎

  37. Ibid., p. 6. ↩︎

  38. Ibid., p. 13. ↩︎

  39. «Tale trasposizione semantica, che curiosamente nessun critico ha notato finora, implica il fatto che alcune verità delle Scritture non possano essere mediate con idee chiare e distinte, e dunque rese evidenti, appunto perché si vuol far credere che siano contrarie alla Ragione e questo è proprio ciò che vuol confutare Toland sulla base della fattualità che “nulla nel Vangelo è contrario alla Ragione”», M. Venuti, Ragione e rivelazione in John Toland (Christianity not mysterious*, 1696)*, Pubblicazioni dell’I.S.U, Università Cattolica, Milano, s. d., . pp. 47-48. ↩︎

  40. CnM, p. 14. ↩︎

  41. Idid., p. 16. ↩︎

  42. Un contemporaneo di Toland, Browne, ravvisa proprio nella nozione di evidenza e nell’assenza di una ragione analogica il punto critico dell’opera di Toland. cfr. P. Browne, A Letter in Answer to a Book entituled «Christianity not Mysterious». As also to all those who set up for Reason and Evidence in Opposition to Revelation and Mysteries, printed for Joseph Ray, Dublin, 1697, pp. 4-5, e per la nozione di analogia: Idem, Things Divine and Supernatural conceived by Analogy with Things Natural and Human, printed for W. Innys and R. Manby, London, 1753, p. 38. ↩︎

  43. CnM, p. ↩︎

  44. Ibid., pp. 9-10. Si noti che il contesto di tale puntualizzazione è la definizione della ragione: il tema dei sensi è cioè trattato fondamentalmente in funzione di quello della ragione. ↩︎

  45. Ibid., p. 10, corsivo mio. ↩︎

  46. La citazione per intero è la seguente: «for some Idea’s are but the Result of certain Powers in the Particles of Bodies, to occasion particular Sensations in us; as the Sweetness of Sugar and the Cold of Ice, are no more inherent in them than Pain in the Knife that cuts me, or Sickness in the Fruit that surfeits me» Ibid., p. 17. Si noti che Toland riprende qui la questione della soggettività delle qualità secondarie, già ampiamente impostata nella filosofia moderna, e in particolare da Locke. Tuttavia, in CnM sovente tutte le qualità sono raggruppate insieme, senza distinzioni: «Colours, Figures, Sounds, Smells», Ibid, p. 10. ↩︎

  47. Ibid., p. 10. ↩︎

  48. Ibid., pp. 9-10. ↩︎

  49. Idid., p. 57. ↩︎

  50. Ibid., pp. 19-20. ↩︎

  51. Ibid., pp. 57-58. ↩︎

  52. Ibid., p. 58. Si noti peraltro come in questo passaggio Toland attribuisca all’uomo sensuale quel disprezzo della religione come superstizione di cui egli stesso è sostenitore: un esempio dell’abile retorica con cui talvolta tenta di mantenersi in equilibrio tra la tradizione e la sua eversione. ↩︎

  53. Ibid., p. 57. ↩︎

  54. Ibid., p. 59. ↩︎

  55. Ibid. ↩︎

  56. Ibid. ↩︎

  57. Ibid., pp. 83 e 87. ↩︎

  58. J. Locke, Essay, cit., III, 6, 2. ↩︎

  59. CnM., pp. 83-84. ↩︎

  60. Ibid., pp. 84-85. ↩︎

  61. Ibid., p. 85. ↩︎

  62. In Locke la problematica è «of words», in Toland è «of mystery». ↩︎

  63. C. Giuntini, Toland e i liberi pensatori del ’700, Sansoni, Firenze, 1974, pp. 12-13. ↩︎

  64. CnM, pp. 86-87. Ciò ovviamente sempre nell’ignoranza della «sostanza»: «But we are Strangers to the Subject wherein these Operations exist» Ibid., p. 87. ↩︎

  65. Ibid., p. 88. Poco sopra, Toland aveva precisato: «As for God, we comprehend nothing better than his Attributes. We know not, it’s true, the Nature of that eternal Subject or Essence wherein Infinite Goodness, Love, Knowledg, Power and Wisdom coexist; but we arer not better acquainted with the real Essence of any of his Creatures» Ibid. ↩︎

  66. Ibid., p. 6. ↩︎

  67. Ibid., p. 19. ↩︎

  68. Ibid., p. 13. ↩︎

  69. «So in the greatest part of Our Concernment, He has afforded us only the twilight, as I mat to say, of Probability, suitable, I presume, to that state of Mediocrity and Probationership, He has been pleased to place us in here; wherein to check out over-confidence and presumption, we might be every day’s experience be made sensible of our short-sightedness and liableness to Error» J. Locke, op. cit., IV, 14, 2. ↩︎

  70. CnM., p. 19. ↩︎

  71. Ibid. ↩︎

  72. CnM2, p. 13 (p. 180 della ristampa anastatica a cura di G. Gawlick, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1964). ↩︎

  73. Così commenta anche la Motzo Dentice d’Accadia: «ma, dopo avere concluso per parte sua che quando tutto questo processo (autoevidenza, connessione tra le idee, dimostrazione) non è possibile, si resta nella sfera della probabilità, lungi da quella della certezza, allontanandosi bruscamente dal Locke si affretta a proclamare, parafrasando il celebre motto newtoniano: “Ora, poiché la probabilità non è conoscenza, io bandisco tutte le ipotesi dalla mia filosofia”», C. Motzo Dentice d’Accadia, Il Deismo Inglese del Settecento. John Toland, in «Giornale critico della filosofia italiana», 15, 1934, p. 75. ↩︎

  74. CnM2, p. 15 (p. 181 della rist. anast. cit.). ↩︎

  75. CnM, pp. 130-131. ↩︎

  76. Ibid., p. 32. ↩︎

  77. Ibid., p. 35. ↩︎

  78. Ibid. ↩︎

  79. Sarebbe interessante operare un confronto tra la «satisfaction» tolandiana e la «satisfactio» invocata da san Tommaso d’Aquino proprio in materia di rapporti fede-ragione. Infatti, san Tommaso chiarisce che «rationem fidei ostendere» (cfr. 1 Pt 3, 15) non significa dare dimostrazione ma appunto «satisfactio» degli argomenti di fede. Cfr. san Tommaso d’Aquino, De rationibus fidei contra Saracenos, Graecos et Armenos, c. 2, n. 956. ↩︎

  80. CnM., pp. 14-15. ↩︎

  81. Ibid., pp. 137-138. ↩︎

  82. Ibid. ↩︎

  83. Ibid., p. 38. ↩︎

  84. Come abbiamo già visto «as long as he conceives not what he believes, he cannot sincerely acquiesce in it, and remaind depriv’d of all solid Satisfaction», Ibid., p. 35. ↩︎

  85. Ibid., p. 132. ↩︎

  86. Relativamente all’entusiamso si consideri quanto afferma Sina: «l’ampiezza del campo polemico del Toland abbraccia l’intera gamma dell’“entusiasmo”; entusiasmo che si esprime sia nell’infima forma di adesione fideistica, sicura del luogo comune che “noi dobbiamo adorare ciò che non possiamo comprendere”, sia nella cieca fiducia nella interpretazione patristica della sacra Scrittura, dimentica delle numerose contraddizioni presenti negli scritti dei padri, nonché della corruzione ed adulterazione del testo sacro. È ancora “entusiasmo” il riferimento acritico all’interpretazione dei dottori ortodossi, riferimento che spesso non bada alla loro faziosità o superficialità, come ancora è entusiasmo la infondata delega di ogni competenza, per il raggiungimento della verità religiosa, all’autorità dei concili o del sommo pontefice, quasi che la storia della chiesa ci possa mostrare qualcos’altro al di fuori di lotte, errori, passioni. Alla radice di questa forma deviante, che è l’entusiasmo, sta l’abdicazione all’indagine razionale, data la convinzione comune di trovarci, nel campo rivelato, di fronte al razionalmente insondabile, cioè al mistero», M. Sina, op. cit., pp. 441-442. ↩︎

  87. CnM, pp. 20-21. ↩︎

  88. Ibid., p. 38. ↩︎

  89. Ibid., p. 39. ↩︎

  90. Ibid. ↩︎

  91. Ibid. ↩︎

  92. Ibid., p. 36. ↩︎

  93. Ibid., pp. 134-135. ↩︎

  94. Ibid., p. 35. ↩︎

  95. Questa è secondo Venuti la «radice ateistica» di Toland: «ateismo non risponde alla questione banale che chiede se il filosofo credesse o meno in Dio, ma quello più decisivo, che Toland non aveve fede nella fede ossia era estraneo al suo procedere filosofico e religioso il concetto di gratuità», M. Venuti, op. cit., p. 48. ↩︎

  96. Per un equilibrato rapporto «fides et ratio» ovviamente faccio riferimento alla lettera enciclica: Ioannis Pauli PP. II, Summi Puntificis Litterae Encyclicae *Fides et Ratio cunctis catholicae ecclesiae episcopis de necessitudinis natura inter utramque*, 14 settembre 1998. ↩︎

  97. Cfr. P. Flores d’Arcais, Aut fides aut ratio, «MicroMega», n. 5, 1998. ↩︎

  98. CnM., p. 18. ↩︎

  99. Ibid, p. 20. ↩︎

  100. Ibid., p. 23. ↩︎

  101. Ibid., p. 27. ↩︎

  102. Ibid. ↩︎

  103. Ibid., pp. 27-28. ↩︎

  104. Ibid., p. 28. ↩︎

  105. Ibid., p. 38. ↩︎

  106. Ibid., p. 39. ↩︎

  107. Ibid. ↩︎

  108. Ibid. ↩︎

  109. Ibid., pp. 29-30. ↩︎

  110. Ibid., pp. 24-37. ↩︎

  111. Ibid., p. 34. ↩︎

  112. Questa riduzione è del resto abbastanza tipica del discorso di Toland, in cui l’eliminazione del mistero viene effettuata mediante una serie di appiattimenti, di riduzioni all’univoco; per esempio, alcune coppie di termini identificati sono: metafora e analogia; contraddizione apparente e contraddizione reale; sovrarazionale e irrazionale; fede umana e fede divina; credere e riconoscere l’evidenza. ↩︎

  113. Ibid., p. 76. ↩︎

  114. Ibid. ↩︎

  115. Ibid., p. 78. ↩︎

  116. Ibid., p. 79. ↩︎

  117. Ibid. ↩︎

  118. J. Norris, An Account of Reason and Faith in relation to the Mysteries of Christianity, printed for S. Manship, London, 1697, pp. 118-119. ↩︎

  119. CnM, p. 140. ↩︎

  120. Ibid. p. 78. ↩︎

  121. Pur nell’opposizione, hanno in comune la medesima concezione che il mistero rivelato da Cristo non sia più mistero. Tuttavia Boyle non conclude che il Cristianesimo sia privo di misteri. ↩︎

  122. Sulla riflessione di Boyle, cfr. M. Sina, Robert Boyle ed il problema dell’«above Reason», in «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», n. IV, 1973, pp. 746-770. ↩︎

  123. R. Boyle, Some Consideration about the Reconcileableness of Reason and Religion, printed by T.N. for H. Herringman, London, 1675, pp. 11-12. ↩︎

  124. Ibid., p. 41. ↩︎

  125. R. Boyle, A discourse of Things above Reason. Inquiring whether a Philosopher should admit there are any such, printed for Jonathan Robinson, London, 1681, pp. 8-11. ↩︎

  126. E ancora modulerà con sottili distinzioni, in opere successive, quale per esempio R. Boyle, Some advice about Judging of Things said to Trascend reason, printed for Jonathan Robinson, London, 1681 (sono un’appendice alla prima edizione di A discourse of Things above Reason. Inquiring whether a Philosopher should admit there are any such, cit.). ↩︎

  127. Cfr. Aristotele, De Anima, III, 2, 425b8, 427a12. ↩︎

  128. Cfr. T. Reid, An Inquiry into the human mind according to principles of common sense, ed. Wish, Londra 1819. ↩︎

  129. È la corrente dei latitudinari che fa appello al senso comune. Nota al proposito Iofrida: «la ragione cui fanno appello i latitudinari è un senso comune, un mero buon senso […] la caratteristica dell’ambiente inglese è che alla ragione non si chiede l’evidenza ma la semplice probabilità», M. Iofrida, op. cit., p. 38. ↩︎

  130. A. Livi, Il senso comune tra razionalismo e scetticismo (Vico, Reid, Jacobi, Moore), editrice Massimo, Milano 1992, pp. 38-41. ↩︎

  131. CnM, p. 79. ↩︎

  132. C. Giuntini, op. cit., p. 13. ↩︎

  133. CnM, p. 2. ↩︎