Quale cittadinanza? La proposta di Antonio Rosmini

Rosmini, com’è risaputo, pone una stretta relazione tra il concetto di persona e il concetto di Diritto: «La persona dell’uomo è il diritto umano sussistente».1 Altrettanto conosciuta è l’altra definizione rosminiana, quella relativa alla sola persona: «La persona è un soggetto intellettivo […] in quanto contiene un principio attivo, supremo».2 Rosmini, però, non scrive in modo altrettanto evidente un elenco di quelle situazioni sociali e politiche che incarnino il suo concetto di persona umana. Le persone umane, infatti, nella loro concretezza storica e nel loro vivere in una comunità, hanno funzioni sociali e caratteristiche che le distinguono l’una dall’altra, rendendole irripetibili. Proprio quest’osservazione è uno dei principi su cui si basa la riflessione di Rosmini circa la comunità dei cittadini, che egli denomina anche come società civile: tale comunità è «una società poliquota», ossia una società in cui ciascun uomo associato mette una diversa quantità di bene in comune e dove ciascuno è differente dagli altri associati, avendo ognuno differenti compiti e aspirazioni.3

Tuttavia, il Roveretano, anche se non abbandona mai il concetto di società poliquota, ha teorizzato un concetto generale e ideale di società civile e, infatti, nella Filosofia del Diritto presenta insistentemente cinque figure. Proprio queste cinque figure corrispondono alle diverse possibili funzioni che le persone associate si ritrovano a ricoprire all’interno delle dinamiche della società civile. Esse sono: i cittadini elettori, gli amministratori politici – ossia il sovrano e i membri del Parlamento – i giudici della Corte Suprema di Giustizia, gli stranieri richiedenti asilo e, infine, il nemico.

Tali figure ricorrono anche in altre opere di Rosmini: la Società e il suo fine4, La Naturale Costituzione5, e soprattutto la Costituzione secondo la giustizia sociale.6 Quest’ultima è un’opera che Rosmini scrive nel 1848, in seguito alle cinque giornate di Milano, coll’intento di offrire un modello di Costituzione, capace di riunire i diversi Stati italiani che in quei mesi stavano insorgendo.7 Cito in particolare questo scritto poiché in esso l’autore fa continuamente riferimento ai principi della società civile, principi che, appunto, egli aveva esaminato nella precedente opera, La Filosofia del Diritto.8

Procedo, dunque, analizzando ciascuna delle figure sopracitate, confrontando il testo della Filosofia del Diritto con La Costituzione secondo la giustizia sociale. Prima di iniziare con l’analisi avverto il lettore che in questo confronto ho adottato una precisa presa di posizione, per mezzo della quale ho cercato di distanziarmi da altre recenti linee di ricerca e di analisi limitate al pensiero politico e antropologico di Rosmini. Gli studi più recenti sulle opere politiche del Roveretano sono generalmente focalizzate sul concetto di un diritto che salva la persona umana più debole. Questa per lo meno è la dichiarata intenzione di Pietro Addante9 e di Mario Cioffi.10 Rispetto a queste ricerche, mi guida la consapevolezza che il Diritto non è stato pensato solo per amministrare le gravi emergenze umanitarie o per casi che assomigliano a dilemmi morali, ma è nato per dare ordine all’intera communitas dei cittadini. Dunque il Diritto in quanto tale non ha valore solo in quanto protegge e difende i valori dell’ultimo, anche se, certamente, quando ciò avviene, allora tale Diritto raggiunge l’apice della propria funzione. Ciò che mi preme mettere in risalto, all’interno delle opere politiche di Rosmini, è il Diritto che si affianca ad ogni momento dell’intera vita dell’uomo, dunque, anche negli aspetti più quotidiani di quest’ultimo: nel lavoro, nell’amministrazione delle proprietà, e anche nella gestione del potere statale. Assumendo tale prospettiva, mi propongo, infine, di mettere in risalto quale sia il concetto di cittadinanza che Rosmini intende presentare nelle sue opere e che peso egli dia a coloro che non appartengono alla cerchia dei cittadini, ossia appunto lo straniero.

1. I cittadini elettori

Incomincio quest’analisi a partire dalla prima figura, la più immediata dal punto di vista logico: i cittadini elettori. Tale concetto non è, però, perfettamente equivalente, per il Roveretano, ai concetti di popolo e di nazione. Rosmini infatti scrive, in un passo della Costituzione:

Vi hanno quelli che hanno sempre in bocca il popolo: questa magica parola supplisce per loro a tutto. Sia: ma il popolo non è la sola plebe, ma l’universalità dei cittadini […]. Il popolo non è neppure una massa confusa e dissociale; se fosse tale escluderebbe quello di ordine e di società: trattasi dunque di un popolo associato e organizzato. In questo senso […] nella nostra Costituzione tutto è popolo, è popolo il Re, sono popolo gl’impiegati, è popolo il Tribunale Politico, è popolo il Parlamento, sono popolo gli elettori: queste sono le membra del popolo organizzato e ridotto a perfetto corpo vivente della vita sociale.11

Il popolo intero, ossia la nazione, è, per Rosmini, l’insieme di tutti i cittadini, ossia di coloro che si sono associati insieme; quindi, sia coloro che svolgono un incarico pubblico, sia i semplici elettori. Dunque è corretto dire che gli elettori sono i cittadini, ma non tutti i cittadini sono semplicemente elettori. Dedichiamo questo primo paragrafo, allora, ad esaminare le dinamiche che si creano tra i semplici elettori e il corpo collettivo dell’intera società civile, e ad indagare le caratteristiche che Rosmini indica come proprie dei soli cittadini elettori. La prima caratteristica dei cittadini elettori è l’essere singolarmente e personalmente impegnati nella società. Consenso, coesione e senso di appartenenza sono allora gli elementi fondamentali su cui si dovrebbe basare il rapporto tra le singole persone verso il corpo collettivo. Secondo Rosmini, infatti, la società civile ha come fine ultimo l’appagamento delle persone, dunque essa è chiamata a riconoscere le singole persone e i loro diritti12; d’altra parte, i cittadini sono chiamati ad impegnarsi per la loro società perché essa non potrebbe perdurare se non fosse mantenuta dai contributi monetari di coloro che volontariamente si associano.13 Questo primo aspetto generale è fondamentale ed è, a mio giudizio, la chiave per comprendere tutte le successive caratteristiche che Rosmini assegna agli elettori.14

In secondo luogo, i cittadini elettori sono tutti coloro che possiedono una minima proprietà, che versano le tasse allo stato, che sono uomini e maggiorenni; a questi, e solo a questi, secondo Rosmini, lo Stato riconosce il diritto di voto. Vi sono dunque dei cittadini a cui è precluso l’esercizio del diritto di voto: a prima vista, infatti, sembra che le donne ne siano totalmente escluse nella Costituzione rosminiana. Inoltre, tutti gli elettori, secondo Rosmini, devono essere proprietari e che, di conseguenza, neppure i nullatenenti di genere maschile possono esercitare tale diritto. Infine, Rosmini rifiuta, oltre che il sistema di voto a suffragio universale maschile, anche il sistema capitario. Egli mostra di prediligere il sistema di voto a rappresentanza reale: a suo parere, il voto dev’essere «proporzionato all’imposta diretta che ciascun cittadino paga allo Stato».15 Dunque, adottando il sistema rosminiano, pare che vi debbano essere cittadini che hanno un voto che è maggiormente preso in considerazione, poiché questi sono ricchi proprietari, ed altri cittadini che, pur votando, hanno un peso politico inferiore, in quanto meno abbienti. Specifico questo aspetto, facendo riferimento ai testi rosminiani.

In primo luogo, ricordo due punti: l’esercizio del diritto di voto comporta la possibilità di stabilire i membri del Parlamento, coloro che gestiscono, come afferma Rosmini nella Costituzione, il potere legislativo in nome dell’intero popolo. In secondo luogo, egli specifica che il voto non è una grazia che lo Stato concede ma è un diritto naturale, che il sistema statale si limita a riconoscere:

Nelle altre costituzioni si concede il voto elettorale come fosse una grazia accordata dall’arbitrio del legislatore, arbitrio che può benissimo esser diretto da viste più o meno prudenziali. […] Un tal modo somiglia perfettamente a quello dei Governi assoluti e dispotici; o piuttosto li vince tutti in assolutismo e dispotismo.16

Detto questo, però, risulta ancor più difficile al lettore moderno comprendere perché Rosmini non garantisce questo diritto per tutti i maggiorenni, indipendentemente dal genere e dal censo. Di seguito provo a mettere in luce le argomentazioni che spingono Rosmini a compiere tali scelte.

In primis, affrontiamo la questione del mancato diritto di voto alle donne. Secondo Rosmini, le donne non esercitano direttamente tale diritto ma la loro voce giunge in sede di Parlamento per mezzo dei loro padri, mariti, o tutori. Questi ultimi, dunque, non votano esclusivamente per loro stessi ma anche per la proprie mogli e per i propri figli.17 Ovviamente, Rosmini, nell’affermare che le donne non hanno direttamente il diritto di voto, agisce per una consuetudine che era norma scontata ai suoi tempi e, del resto, scrivendo le proprie opere a carattere politico, propone una Costituzione che possa essere, a suo giudizio, a tutti gli effetti applicabile dai suoi contemporanei. Egli, però, rispetto ai suoi tempi, permette comunque che dei diritti delle donne si parli, anche se per mezzo degli uomini. Detto questo non voglio attualizzare questa posizione di Rosmini: certamente la sua proposta di far votare i mariti e i padri al posto delle donne, se in qualche modo è storicamente giustificabile nel 1848, risulta oggi totalmente anacronistica ed è scorretta.

Un’analisi storico-filosofica a proposito della seconda tematica non è altrettanto rapida: in questione vi è il nesso di equivalenza che Rosmini pone tra diritto di proprietà e diritto di voto e la conseguente esclusione dei nullatenenti. Dunque, non è sufficiente dire che il nostro autore è figlio del suo tempo, occorre anche vedere come il sistema di voto a rappresentanza reale non dia luogo, secondo Rosmini, a dei privilegi.

Innanzitutto, secondo il nostro autore, ciò che connette il diritto di proprietà e il diritto di voto è il sistema tributario. Ricordo che, per Rosmini, la giusta tassazione è quella a cui hanno dato libero consenso i singoli cittadini: questi si impegnano a versare i tributi, vale a dire una quota parte dei loro guadagni, allo Stato, secondo il criterio che chi ha maggiori entrate paga maggiori tasse.

I principi regolatori dell’imposta in una nazione che ha conquistato la sua libertà sono tre […]:

  1. Che la nazione sia quella che impone se stessa, il che significa […] che la maggior parte delle imposte sieno consentite da quelli stessi che le pagano;
  2. che vi sia economia delle finanze e però che le imposte sieno le più leggere possibili, avuto riguardo ai bisogni della nazione;
  3. che le imposte vengano distribuite su tutte le proprietà indistintamente in ragione di quello che rendono.18 Tutte le proprietà [contribuiscano] in proporzione del reddito alle gravezze dello Stato.19

Infine, specifico che il sistema tributario, nella prospettiva rosminiana, non ha come fine il riempire le casse dello Stato, ma è un investimento che i cittadini compiono nei confronti dell’intera società e che deve, poi, tornare a questi:«Secondo i principi comuni del diritto sociale, ogni contribuente al fondo della società deve sentire un vantaggio proporzionale a ciò che contribuisce».20Rosmini giustifica questa affermazione ritornando al proprio concetto filosofico di proprietà. La proprietà è per Rosmini quasi un’estensione della persona stessa, di modo che il singolo, pagando il tributo allo Stato, in realtà è come se consegnasse una parte di sé.21 Pertanto, secondo l’autore, chi paga maggiori tasse è maggiormente coinvolto e interessato al bene comune dell’intera società civile. Non solo, avviene anche che il corpo sociale risulta essere effettivamente in debito nei confronti della singola persona, per l’investimento da questa compiuto. Tale debito viene pagato in termini di garanzie che la persona collettiva offre al singolo: protezione delle proprietà private e peso proporzionale del voto. In tal modo, istituendo questa uguaglianza tra sistema contributivo e sistema elettorale, Rosmini è certo che si arrivi ad evitare tre rischi. Prima di tutto, si riesce ad evitare che ci sia una scissione tra i semplici cittadini elettori e i cittadini amministratori che impongono le tasse. Infatti, ciascuno sente il bene comune come frutto della somma dei singoli beni individuali messi in condivisione ed investiti dagli amministratori.

Datemi le contribuzioni equamente compartite su tutte le proprietà dello Stato, proporzionalmente a quello che rendono, fate che i proprietari che pagano di più abbiano il compenso della maggior influenza che loro conviene per decretarle; voi vedrete tolte moltissime scissure tra i cittadini, vedrete tutti un uguale interesse al bene comune.22

In più, proprio perché vi è questo reciproco riconoscimento tra singoli cittadini e Stato, non sarebbe più necessario giustificare il sistema fiscale:

Vedrete tutti interessati alla prosperità, alla gloria della patria, cessare i partiti, pagare tutti generosamente e senza lamento perché son essi stessi che il vogliono.23 Infine, si risolverebbe secondo il nostro autore il problema della corruzione all’interno degli impieghi pubblici:Vedrete nello stesso tempo introdursi la più severa amministrazione de’ fondi pubblici e con un budjet minore, eseguirsi tutti generosamente le parti dello Stato ed a splendere di tutta la nazione.24

Detto ciò, approfondisco ulteriormente la questione dell’equivalenza tra diritto di voto e diritto di proprietà specificando che Rosmini non misconosce affatto il valore dell’uguaglianza giuridica tra gli uomini, ma invita a non confonderla con un’uguaglianza costitutiva: egli è certamente convinto che ogni singolo cittadino, in quanto persona, ha lo stesso valore ontologico di ogni altro uomo e dunque ciascuno, indipendentemente dalle proprietà che possiede, è uguale a tutti gli altri uomini di fronte ad un giudice. Contemporaneamente, però, ogni cittadino è differente rispetto agli altri per la quantità e la qualità dei diritti acquisiti che gli sono propri:

L’uguaglianza giuridica consiste nell’essere i diritti di tutti egualmente inviolabili, qualunque sia la persona che li possieda. L’uguaglianza costitutiva consiste nell’avere la stessa quantità e qualità dei diritti».25 Ciascuna persona giuridica ha un’uguaglianza ed una disuguaglianza con tutte le altre: ha un’uguaglianza in quanto è persona giuridica, soggetto di diritti; ha una disuguaglianza in quanto è persona costituita in un modo specifico suo proprio».26

Il primo genere di uguaglianza, ossia l’uguaglianza giuridica, secondo Rosmini, è sullo stesso livello del principio di giustizia e comporta la protezione di tutti i diritti di ogni persona, in quanto ogni persona è soggetto di diritti: «I cittadini sono uguali in faccia ai tribunali».27 Questa forma di uguaglianza non solo è possibile ma è anche necessaria: infatti, senza il principio del rispetto di ogni persona umana non si può in alcun modo fondare una società civile di diritto, ma soltanto una signoria. Il secondo genere di uguaglianza implica, invece, secondo Rosmini, l’omologazione di massa e reca con sé un annientamento delle specificità delle singole persone, dunque dei loro diritti specifici. Ogni diritto proprio di una persona, infatti, corrisponde ad un dovere nelle altre persone e proprio questo crea delle differenze, che Rosmini non esita a definire disuguaglianze:

Qualunque diritto […] posseduto da una persona porta all’altre disuguaglianza, poiché nell’altre porta dovere: diritto e dovere sono relazioni contrarie e perciò disuguali, cioè mancanti d’eguaglianza costitutiva.28

Paradossalmente, quindi, chi parla di uguaglianza di tutti i diritti e di tutte le leggi per tutti i cittadini, compie un’ingiustizia, perché rinuncia a cogliere la specificità delle singole classi di lavoratori e dei cittadini. Un medico non avrà mai le stesse esigenze di un avvocato, o di un soldato.29 Secondo Rosmini, si riconosce pienamente questa realtà di fatto, ossia si è giusti, quando si fanno corrispondere alle diverse esigenze diversi diritti e ai diversi diritti si fanno seguire corrispondenti diverse leggi. Pretendere che si possano dare leggi identiche per tutte le diverse categorie di cittadini, significherebbe annullare i titoli su cui si fondano i singoli diritti; proprio questo è l’esito a cui si arriva pretendendo l’uguaglianza costitutiva. In conclusione, chi propone questa uguaglianza costitutiva, secondo Rosmini, finisce per sostituire al diritto, che si basa sul riconoscimento delle diverse esigenze delle realtà, l’arbitrio, che si risolve nell’ideologica imposizione di un concetto sopra la realtà:

L’uguaglianza giuridica tira seco necessariamente la disuguaglianza nella quantità di diritti che ciascuno possiede che è appunto la disuguaglianza costitutiva. I socialisti, adunque, i comunisti, i livellatori d’ogni specie distruggono l’uguaglianza de’ cittadini, la vera e legittima loro uguaglianza che è la giuridica: applicano loro principi e misure diverse: sostituiscono al diritto l’arbitrio.30

Per Rosmini, infatti, l’errore comune a tutti i «livellatori», anche quando non fanno propri i principi della lotta di classe, è il far riferimento ad un falso principio: essi dimenticano la distinzione tra diritto extra-sociale e diritto sociale-civile. «Gli uomini sono uguali per ciò che riguarda il diritto naturale, ma non ne viene mica che debbano essere uguali anche in una società che stringono fra loro».31 Rosmini teme, inoltre, che dietro le tesi dei «livellatori», più che l’aspirazione al diritto di uguaglianza per tutti gli uomini si celi la lotta di classe. Tale lotta, secondo l’autore, altro non è che una forma di dispotismo, ossia una classe che pretende di prevalere con la forza sulle altre. Rosmini sa bene che tale sommossa popolare è stata la reazione ad un altro dispotismo, quale era quello dei regimi assoluti, ossia della classe dei più ricchi, tuttavia non per questo lo giustifica: rimane sempre un tentativo di alcuni di prevalere, con la forza, su tutti gli altri.

Quando ne’ tempi moderni scoppiò l’avversione de’ popoli contro l’assolutismo de’ Principi, allora invece di combattere l’assolutismo stesso si combatté una forma speciale di lui, e però questo vizio radicale delle società non fece che mutar forma.32

Così pure Rosmini è critico nei confronti di tutte le forme di democratismo di stampo saintsimoniano: il saintsimonismo, assumendo la forma di una democrazia, cerca di giustificarsi in quanto legale, ma continua a far riferimento a principi violenti:

Quando la teoria dell’onnipotenza popolare spaventò il mondo tinto di umano sangue, allora le camere legislative vennero introdotte con tutta solennità a prendere il suo luogo. […] l’assolutismo avea mutato forma; ma egli viveva tuttavia e rivestito della veste magnifica d’una perfetta legalità: non era più atroce, ma poteva essere […] dispotico: la violenza era allontanata, ma solo d’un passo.33

Per rimediare al dispotismo in tutte le sue forme, Rosmini propone di istituire un Parlamento che non rappresenti la maggioranza al potere, che sia quella dell’aristocrazia o quella del proletariato, qual è la Camera dei Pari, ma che rappresenti tutte le possibili classi, ossia il popolo intero, la nazione intera, affinché i diritti di tutti siano rispettati. Resta il fatto che chi possiede di più ha diritto, per Rosmini, ad un voto più influente. In realtà, non vi è contraddizione con quanto detto precedentemente: Rosmini giustifica questa tesi, innanzitutto, mediante il sistema tributario e, poi, constatando che i piccoli proprietari sono la maggioranza del popolo, e i grandi latifondisti sono una minoranza. Per evitare che i grandi proprietari rimangano senza rappresentanti, perché il loro voto non raggiungerebbe mai il quorum, Rosmini immagina un sistema di voto che non sia capitario.34 Del resto, hanno diritto ad un voto più influente non solo chi possiede di più, in quanto versa maggiori tributi allo Stato, ma anche chi ha figli, dato che genera ed educa nuovi cittadini, deve votare anche per ciascuno di loro.

Infine, ne La Costituzione secondo la giustizia sociale, Rosmini specifica che il sistema a rappresentanza reale è adottato per l’elezione dei membri del Parlamento; tuttavia, non è il solo sistema che deve essere adottato dai membri della società civile: come dimostrerò a breve, nel caso dell’elezione dei membri della Corte Suprema di Giustizia e di una Nuova Costituente occorre, anche per Rosmini, che siano interpellati tutti i cittadini e che pertanto si proceda mediante un sistema di voto a suffragio universale maschile.35 In conclusione, certamente Rosmini presentando il suo modello di rappresentanza reale o censitario risulta oggi anacronistico; tuttavia, la logica che vi è dietro il sistema rosminiano di voto risulta ancora oggi fondamentale: i cittadini devono poter eleggere chi li rappresenti e chi amministri, a nome di tutti loro, il potere; inoltre, notiamo che tale sistema di voto è pensato da Rosmini come un mezzo, insieme al sistema tributario, per garantire la vicinanza delle istituzioni ai singoli cittadini. Ora, giustamente Rosmini nota che è possibile avvicinarsi a questo risultato solo se tutte le esigenze dei cittadini vengono rappresentate, uscendo da una logica ugualitarista.

Prima di passare all’ultima questione, quella relativa ai nullatenenti esclusi dal suffragio maschile, è necessario approfondire la questione dell’uguaglianza giuridica e non costitutiva tra i cittadini, ricordando quanto il nostro autore scrive a proposito del quinto carattere della società civile.36 Rosmini indica come quinto carattere della società civile il fatto che essa abbia per fine «il regolamento della modalità dei diritti di tutti al bene comune con una tendenza continua al pareggiamento della quota parte di utilità»;37 inoltre, in un altro paragrafo di quel medesimo articolo, egli scrive che l’oggetto della società civile;

Deve essere non quello di pareggiare fra’ sozi l’utilità stessa, ma bensì di pareggiare fra essi la quota parte di utilità, che dalla sua istituzione e gestione può lor derivare. Tale è il bene comune equamente distribuito, al che dee intendere costantemente il pensiero legislativo e il governo della civile società se pure vuole camminare nella via del Diritto.38

Dunque Rosmini, anche se è contrario ad un’uguaglianza costitutiva che livellerebbe le proprietà, non per questo rifiuta il fatto che possa esserci un futuro pareggiamento di tutti i cittadini. Questa, perlomeno, è l’interpretazione che Francesco Mercadante offre di questo e di altri passi della Filosofia del Diritto, nel tentativo di superare la polemica che vi era stata tra Piovani e Bulferetti39 a proposito di una nota inserita nell’opera rosminiana Della Naturale Costituzione, nota che afferma quanto segue: «si faranno più uguali che sia possibile le proprietà (è da mostrare il modo); 2) non ci sarà dominio umano ma solo dominio divino».

Il pareggiamento c’è, - commenta Mercadante – e non nella «notarella». Grande obiezione di riserva: pareggiamento di che? Non delle proprietà, di cui si dice nell’appunto bulferettiano, ma di un’oscura astrazione, che si chiama «quota parte».40 Rosmini parla di pareggiamento, fatta salva la proprietà, visto che in sede di assorbimento delle capacità, con mobilitazioni, requisizioni, regolamentazioni eccetera, ciascuno ha un nome e non ha che quel solo nome, ossia è quotato come titolare di una parte, di una porzione di ricchezza da produrre41.

Fatta salva la proprietà privata, con la quale ciascun cittadino incomincia a lavorare e produrre, tuttavia, è giusto che la società civile tenda ad equilibrare i futuri guadagni e le future carriere dei suoi cittadini, affinché non si arrivi ad una situazione tragica di enorme squilibrio, in cui vi siano moltissimi nullatenenti e pochi ultra benestanti. Rosmini sembra, per l’appunto, accennare ad un tale pareggiamento, che non intacca le proprietà private ma fa sì che si mantenga la giusta e libera concorrenza di tutti alle stesse opportunità di carriera, senza che si creino privilegi. Egli, inoltre, tenta anche di chiarire con quali mezzi si possa tendere a questa situazione di giustizia:

Indi i due doveri del sociale governo, Dovere d’accrescere in sé, e nel popolo i lumi, co’ quali la società civile possa sempre più avvicinarsi all’ottenimento dell’indicato pareggiamento; Dovere di tendere al pareggiamento della quota parte d’utilità con tutti i lumi e i mezzi che egli possiede, facendo tacere ogni interesse privato e di partito».42

Mercadante, accennando proprio a questo passo della Filosofia del Diritto, lo interpreta sottolineando il peso che sull’assetto della futura società ha proprio l’istruzione. Quest’ultima, più della forza militare o dei giudizi dei tribunali, è uno dei mezzi più efficaci che gli stati hanno proprio per evitare l’ingiusta concentrazione dei beni materiali e del potere nelle mani di pochi43:

Un bene sociale come l’istruzione, se assicurato in pari misura al figlio della campagna e al figlio della metropoli, realizza un «pareggiamento nella quota parte», uguaglianza infinitamente più seria della abolizione della differenza tra campagna e città. L’utopia di una tale abolizione rimane tutta sulla carta: mentre passa a realizzarsi e si realizza la compensazione sociale di determinati suoi effetti, grazie ad un lavorio difficilissimo, ed ancora impostato alla cieca in tutti i regimi di varia democrazia, sulla quota parte.44

Cerchiamo ora di specificare le condizioni di coloro che vengono senza eccezione esclusi dal sistema elettorale: i nullatenenti. Costoro, non avendo neanche i beni per garantirsi la propria sussistenza, non possono certamente contribuire pagando le tasse allo Stato e, dal momento che non contribuiscono, non possono in alcun modo esercitare il diritto di voto. Non per questo, però, vengono esclusi dalla società:

Che quelli che nulla pagano al tesoro dello Stato rimangano privi di voto elettorale è un corollario del principio incontroverso […]. A malgrado di ciò non ne viene, che ella rigetti dal suo seno quelli che nulla contribuiscono: si limita a non riconoscere in essi un diritto nel dare il loro suffragio nella nomina de’ Deputati. La società civile inverso a tutti quelli che nulla contribuiscono non è, e non può essere altro che una società benefica.45 Ritenere adunque questi nel suo seno, dichiararli cittadini, proteggerne i diritti è un beneficio che ella esercita verso di essi […]. La cittadinanza e la libertà che ella accorda a’ nullatenenti, vale per essi precisamente quanto vale per tutti gli altri: li dichiara altamente uguali, perfettamente uguali di fronte alla legge.46

I nullatenenti godono dell’uguaglianza giuridica e dei diritti connaturali al pari di tutti gli altri cittadini, ossia il diritto alla vita e il diritto al possesso del proprio corpo. Essi non possono esercitare il diritto di voto perché non danno alcun contributo nei confronti della società civile: su questo punto Rosmini non transisce, poiché se permettesse un’eccezione nei loro confronti allora cadrebbe l’intero sistema elettorale a rappresentanza reale; tuttavia, egli rimane fermo anche su di un altro punto, relativo ai nullatenenti: i diritti dei poveri, benché di numero inferiore rispetto a quelli di tutti gli altri cittadini, devono essere sempre salvaguardati dalla società.47 Preciso soltanto, relativamente a tale questione, i seguenti due punti. In primo luogo, quando Rosmini afferma che la società dev’essere benefica nei confronti dei nullatenenti si riferisce esclusivamente al fatto che essa deve garantire per loro la giustizia, non nel senso che essa debba obbligatoriamente farsi carico della loro sussistenza. Se ciò avvenisse, secondo Rosmini, si perderebbe il senso stesso di fare beneficienza: essa sussiste solo in quanto atto morale, assolutamente libero e volontario di una singola persona; invece, la cosiddetta «beneficienza pubblica»[ imposta dallo Stato si risolverebbe in un’imposizione di fare il bene, un imporre il bene mediante la forza. Un tale sistema sociale, apparentemente benefico, sarebbe, per Rosmini, totalmente autoritario tanto nei confronti di tutti i cittadini benestanti, tanto nei confronti dei cittadini nullatenenti: i primi sarebbero, infatti, costretti a donare qualcosa che gli è proprio, i secondi verrebbero trattati come numeri e verrebbero soddisfatti solo nelle loro carenze materiali, senza essere nutriti anche nelle loro aspetti personali o spirituali.48 In poche parole, Rosmini non è contrario a ciò che oggi chiameremmo assistenza sociale o welfare state, ma mette in guardia da una completa statalizzazione di questa. La statalizzazione porta con sé un’inevitabile irrigidimento dei rapporti interpersonali, dove meccanicamente si esprime il bisogno e meccanicamente si riceve. La beneficienza, la carità diventa un sistema standardizzato, in cui a tutti gli effetti le relazioni vengono disumanizzate o si limitano ad essere rapporti basati su pretese e non si fondano, come invece dovrebbero, su legami di riconoscimento reciproco. A quel punto, verrebbe meno quella solidarietà sociale che è essenziale per la sopravvivenza del corpo sociale. Inoltre, il nostro autore nota che là dove si è tentato qualcosa di analogo – egli fa riferimento ai laboratori nazionali in Francia dove venivano accolti gli operai disoccupati, in aziende gestite dallo Stato, investendo denaro pubblico – riducendo la beneficienza ad un meccanismo statale, non si è ottenuto nessun miglioramento nella condizione di chi era in difficoltà e si è solo inutilmente indebitato lo Stato.49

Rosmini indica in questi passi alcuni effettivi rischi dell’assistenza sociale: essa inevitabilmente diventa nociva là dove, da una parte, vi sono dei singoli cittadini beneficiari che non si accontentano di quanto ricevuto e non intendono rendersi autonomi, e, dall’altra parte, vi è un’amministrazione politica che agisce imponendo carichi agli altri suoi cittadini, quelli benestanti o appartenenti al ceto medio, senza chiedersi se questi ultimi siano nelle condizioni di accettare tali sue richieste. Il nostro autore, d’altra parte, nella Filosofia del Diritto prova molto sinteticamente a suggerire alcune strategie per gestire la questione sociale:

Se poi la stessa società si assumesse un obbligo giuridico di soccorrere [i suoi cittadini] nel caso di vera indigenza, come si fa in Inghilterra, dove è stabilita la tassa dei poveri; manifesta cosa è, che la società, dando un tale soccorso, e gli indigenti accettandolo, entra in diritto di esiger da essi il lavoro, come un’obbligazione strettamente giuridica; giacché senza di essa non si potrebbe verificare chi tra gl’indigenti avesse quel diritto di venir soccorso; non potendosi, in tale sistema, considerare gli oziosi che come altrettanti ladri.50

Il lavoro, tuttavia, non fa sì che anche ai nullatenenti sia dato accesso al diritto di voto: l’occupazione lavorativa per Rosmini vale solo in quanto forma di restituzione per il sostentamento ricevuto da parte dell’intera comunità dei cittadini, mentre il diritto di voto non può in alcun modo essere distinto dal sistema tributario e resta, come si è già detto, un diritto naturale, che si esercita, per il nostro autore, nel momento in cui si possiede una proprietà e si pagano i contributi.51 In questo passo si vede che tra indigenti e corpo collettivo vi è la stessa dinamica che vi è tra cittadini possidenti e l’intera società civile: indipendentemente dal censo, le persone devono sempre riconosciute e trattate alla stessa maniera dal Governo.

In secondo luogo, anche se Rosmini non garantisce per i nullatenenti il diritto di voto, tuttavia sostiene che un povero possa essere eletto sia come deputato sia come ministro, qualora abbia le capacità per esserlo, avendo così l’opportunità di migliorare la propria condizione.52 In tal modo il nostro autore mostra di prediligere il criterio della meritocrazia rispetto alla difesa della proprietà privata: è giusto che il diritto alla proprietà dei singoli cittadini sia difeso, ma non è giusto che la proprietà diventi il criterio per la scelta degli amministratori pubblici. A questo punto urge comprendere quali caratteristiche debbano avere i politici «di professione» secondo Rosmini.

2. Gli amministratori civili

Rosmini, scrivendo La Costituzione secondo la giustizia Sociale, non intende prediligere una forma di governo rispetto ad un’altra: egli lascia aperta in quest’opera la questione se sia migliore una monarchia costituzionale o una repubblica presidenziale – in quest’ultimo caso il Presidente si sostituirebbe al monarca. Il Roveretano, comunque, accenna a due figure di amministratori: il sovrano e le due camere parlamentari. Di seguito riporto le caratteristiche di ciascuna di queste figure.

Incominciamo dalla figura del re. Il sovrano è definito da Rosmini «il primo cittadino»53 e affermando ciò egli si mostra lontano da qualsiasi logica assolutistica: il re è certamente colui che ha in mano l’intero potere esecutivo e un potere esecutivo forte, ma resta un uomo e un cittadino soggetto alle leggi al pari degli altri.54 Rosmini critica aspramente, infatti, chi, sfruttando l’antico detto omnis potestas a Deo, lo trasfigura per deificare il sovrano.55 Il re per Rosmini è solamente colui che esercita il diritto di governare, ossia colui che è investito dell’incarico di amministrare il potere per il bene, non della propria persona, ma dell’intera società. Proprio in questo fine, che trasforma la gestione del potere in un incarico, si vede la distinzione tra monarchia e signoria:

Il diritto di governare non è una signoria come abbiamo detto, ma esso è un diritto, il quale, se ben se ne consideri la natura, consiste in un incessante esercizio di beneficienza verso la società governata, giacché nulla per essa può esservi di più vantaggioso del governo, senza il quale non ha vita, pel quale solo ottiene il suo fine.56

Rosmini nello stesso paragrafo afferma anche che:

Un tal diritto trae seco certi vantaggi […] a favore della persona che lo possiede, e però esso è cercato ed ambito.57

Il re, infatti, gode in primis del diritto di esenzione alle leggi penali, pur essendo «un uomo al pari degli altri».58 Rosmini giustamente ricorda però che egli detiene questo diritto in quanto possa non essere perseguibile penalmente per ogni suo minimo atto di governo: se dovesse essere sottoposto alle stesse leggi dei suoi cittadini finirebbe per non poter amministrare il potere che pure per incarico dovrebbe gestire.

Senza il capo non vi ha società. Non vi ha dunque un potere sociale che possa punire il Re: perché la nazione non esiste più se si separa da lui: altro non rimarrebbe in questo caso che il diritto extrasociale che non appartiene ai poteri della società civile59.

Ritorno, dunque, a quanto ho affermato precedentemente: il re è tale non perché è fine a se stesso ma perché svolge un incarico per l’intera nazione. Sottolineo anche che, per Rosmini, il re, oltre ad amministrare il potere esecutivo, ossia a far sì che le leggi scritte dal parlamento vengano applicate, ha diritto, eccezionalmente, a dare la grazia ai condannati; dunque, egli può intervenire anche nell’ambito giudiziario. Infine, il sovrano ha il diritto, in casi di eccezionale pericolo, a riorganizzare in un anno l’intero esercito.60 In conclusione, il re, secondo Rosmini, è un’autorità decisamente influente, capace anche di andare oltre la separazione dei tre poteri, legislativo, giudiziario ed esecutivo, questo perché ha l’incarico di sostenere l’azione di controllo del Tribunale Politico sul Parlamento.

Passo ora alla descrizione che Rosmini fa del Parlamento. Secondo il Roveretano, le Camere del Parlamento detengono specificatamente il potere legislativo, sono elette per mezzo del sistema di voto censitario61 e sono due: una che rappresenta gli interessi dei proprietari benestanti e l’altra lo fa per i possidenti del ceto medio e gli operai. La compresenza di due Camere è giustificata dal fatto che lo scopo del Parlamento non è quello di essere un’autorità forte, ma di essere il luogo in cui tutti gli interessi sono presi in considerazione. Rosmini scrive che esso è il luogo in cui «La lotta non è distrutta, ma fino a che le Due Camere si bilanciano non può scoppiare».62 Ogni camera, infatti, rappresenta gli interessi della sua parte. Solo nello scontro con l’altra Camera è possibile che vengano deliberate leggi giuste, capaci di tener conto di tutti gli interessi in gioco:

Gl’interessi che si oppongono collidono in modo, da esigere regolamenti e leggi diverse, perché le leggi favorevoli agli uni riescono inutili o pregiudicevoli agli altri, debbono avere nella società civile una rappresentazione separata, un potere legislativo separato. Se fosse rappresentato un solo interesse, se un solo interesse fosse quello che facesse le leggi, ne avrebbero due gravissimi sconci: 1) […] gli altri interessi rimarrebbero negletti, privi delle opportune provvidenze; 2) egli […] farebbe molte leggi che tornerebbero utili a sé […] un interesse in fatti prospera o crede di prosperare sulla rovina degli altri.63 Non possono più passare quelle disposizioni legislative che violano la libertà o la proprietà a danno de’ piccoli patrimoni, perché la Camera de’ piccoli proprietari […] vi si oppone; e non possono del pari passare quelle disposizioni che violano la libertà o la proprietà a danno de’ grandi proprietari. Che dee nascere allora? Lo Stato esige che delle disposizioni si facciano: i legislatori adunque sono necessitati […] a mettersi per la via della giustizia e dell’equità portando tali leggi, nelle quali s’abbia un riguardo ugualmente al vantaggio e al diritto sì de’ piccoli come de’ grandi possidenti; e così s’hanno delle leggi giuste.64

Rosmini, infine, insiste molto, sul fatto che il Parlamento deve limitarsi a gestire il potere legislativo, e non può, neanche in casi eccezionali, pretendere di occuparsi di materie non relative a questioni legislative.

La confusione dei tre poteri, l’invasione di essi fatta dalle Camere è una delle cause della vita effimera delle moderne Costituzioni. Uno dei limiti pertanto che si vuol mettere al potere delle Camere si è appunto questo, che non sia in loro facoltà di accettare altre petizioni fuor di quelle che si riferiscono al potere legislativo, cioè che invocano la confezione di qualche legge.65

I deputati e i ministri godono quanto il re del diritto di governare ed è attraverso di loro che il Popolo può dirsi sovrano quanto il re66, tuttavia gode di una sovranità limitata. Rosmini sicuramente enfatizza i limiti del potere del Parlamento per evitare gli estremismi della democrazia di stampo saintsimoniano, a cui abbiamo già accennato.

3. La corte Suprema di Giustizia

La Corte Suprema di Giustizia non è uno degli amministratori civili in quanto essa si occupa non di questioni politiche, bensì di questioni relative al Diritto stesso.67 Infatti, gli amministratori hanno l’incarico di assicurare un potere esecutivo forte – per quanto riguarda il re - e di fornire le riforme legislative necessarie a sorreggere e garantire quel potere, portando in tal modo l’intera società civile ad un pieno sviluppo delle proprie capacità produttive. Il parlamento, inoltre, è, come si è visto, il luogo in cui si accordano tutti gli interessi personali. La giustizia, però non è una questione meramente politica poiché non è riducibile ad un compromesso tra tutte gli interessi in gioco, bensì essa si compie solo quando i diritti individuali di tutti i soggetti giuridici vengono riconosciuti. Ciò richiede che al potere politico, di qualsiasi tipo, sia monarchico sia democratico, si affianchi un’istituzione che ragioni con una logica diversa e, quindi, che sia autonomo rispetto agli amministratori:

Egli è dunque necessario che a canto all’Amministrazione governativa sia innalzato un venerabile e sacro Tribunale politico, dove l’altissima delle potenze, l’eterna, l’immutabile giustizi chiami d’innanzi a sé gli uomini tutti, e come uguali li giudichi, senza accettazione di persone o di corpi: dove trovi un asilo il povero contro il ricco, il debole contro il forte, le minorità contro le maggioranze.68

Di seguito sottolineo le funzioni che tale Corte – che Rosmini chiama anche Tribunale Politico – svolge, nei confronti sia degli amministratori sia dei cittadini. La Corte Suprema verifica che tutti gli amministratori civili agiscano secondo le norme imposte dalla Costituzione, e soprattutto certifica che non oltrepassino i limiti imposti dalla loro funzione:

Quindi la necessità di questo nuovo tribunale, di questa suprema giurisdizione che mediante decisioni giuridiche protegge tutti i poteri contro le reciproche invasioni, tenendoli sempre separati e distinti.69

Il tribunale Politico si pone al di sopra degli stessi amministratori per garantire che i diritti di tutti, anche dei più deboli, siano rispettati.70 Esso verifica, inoltre, che le altre società che i singoli cittadini fondano autonomamente non siano immorali, irreligiose e contrarie allo Statuto della società civile. Rosmini sottolinea che questa funzione della Corte non va ad intaccare il diritto umano di libera associazione, ma stabilisce solo che «questo diritto non s’estende alle società che abbiano un fine sostanzialmente illecito».71 Il diritto di associazione è succedaneo rispetto al diritto al bene morale: nei casi in cui quello pretende di intaccare questo, esso diventa assolutamente nocivo e la società civile, che ha il compito di regolare le modalità dei diritti, deve intervenire.

La questione diventa più delicata quando occorre verificare se una società all’interno della società civile sia irreligiosa. In primo luogo, non sono in questione «le opinioni o le credenze individuali», ma il fatto che ci sia una società che pretende di «distruggere la Religione professata dagli altri cittadini».72

In secondo luogo, si possono dare nella realtà diversi casi possibili a seconda che la società irreligiosa sia propugnata da stranieri o da cittadini, inoltre, la situazione muta a seconda che la maggioranza dei cittadini segua la vera religione (la cattolica) o un’altra religione e, infine, a seconda che il Governo stesso sia costituito da cattolici o meno. In tutti questi casi, comunque, «Le varie credenze e società relative sono un fatto: il tribunale dunque non può conoscere ciò che sia loro conforme ed opposto se non unicamente interrogando esse stesse. Quindi il tribunale politico non è per se stesso competente a decidere su questo punto».73 La Corte, dunque, non è in grado da sola, in quanto strumento giuridico, di stabilire se una religione, cattolica o meno, si stia corrompendo e minacci chi non ne faccia parte. Può capirlo solo interrogando i fedeli stessi di quella religione. Rosmini, quindi, contesta il principio della legge atea, ossia il principio secondo cui lo Stato debba rimanere completamente neutrale di fronte alle questioni religiose. Il nostro autore è convinto che lo Stato sia chiamato a proteggere le libertà dei suoi cittadini e tra queste non possa mancare la libertà di coscienza e di credo. Rosmini afferma, però, che lo Stato e la religione restano due ambiti distinti: il primo è uno strumento, è una società organizzata, l’altra rimanda alla società teocratica, a quella comunità di uomini alla ricerca dei propri fini ultimi.74 Il tema ci porterebbe però ad approfondire altre tematiche: il tema della sussidiarietà, se vi sia o meno una religione di Stato per Rosmini, gli sviluppi della secolarizzazione, oltre ad aspetti che entrano poi anche nell’ambito teologico, quali l’ecumenismo. Tali aspetti, però, vanno ben oltre le intenzioni del presente elaborato, quindi mi limito a segnalarli.

Infine, la Corte di Giustizia controlla l’operato degli stessi tribunali, affinché non ci sia il tentativo di trasformare una sentenza di un giudice in una nuova legge:

Ai tribunali spetta l’applicazione della legge alle cose e persone esistenti di fatto, e quest’applicazione dicesi sentenza. Non lice mutare i vocaboli delle cose, e il farlo è una pubblica menzogna: dare il titolo di legge ad una sentenza è ingannare la nazione.75

La Corte verifica, dunque, che ciascun ente giuridico e politico rispetti i canoni imposti dalla Costituzione e non pretenda di imporsi anche dove non è competente. È fondamentale, allora, chiedersi chi siano e come vengano scelti i membri di tale corte, dato che hanno questo ruolo fondamentale. Leggiamo, sempre ne La Costituzione secondo la giustizia sociale, che i membri devono essere cittadini italiani di almeno quarant’anni e sono eletti mediante voto universale ogni dieci anni:

Questo supremo e santissimo tribunale, tutela non meno la giustizia individuale che la sociale, non meno i diritti che riguardano la libertà che quelli che riducono alla proprietà. Interessa adunque tutti i cittadini egualmente, essendo egualmente sacri i diritti del proletariato e dell’uomo dovizioso. Laonde egli è consentaneo che ogni cittadino dia un voto uguale per l’elezione di tali giudici.76

In conclusione, si può effettivamente affermare che Rosmini pensa il Tribunale politico, o Corte suprema di Giustizia, come una seconda autorità che vada proprio ad affiancarsi agli amministratori politici, facendo in qualche modo da contrappeso. Il Tribunale Politico, invece, interviene per difendere in modo intransigente i diritti di tutte le persone. La Corte e i membri del Parlamento, sono, dunque, i due poteri cardinali della società civile:

I due poteri cardinali della società civile, secondoché detta la natura della cosa, devono essere: 1) un tribunale con buone leggi che protegga tutti i diritti personali, ed anche i reali in quanto possono essere offesi; 2) un’amministrazione politico-economica che promuova lo sviluppo e il fiorimento della ricchezza.77

Scrive al proposito Mercadante:

Messo in mora per aver insistito con miopia storica irreparabile sulla rappresentanza reale, Rosmini, degli scrittori politici della sua epoca, è il solo a “sdoppiare” la rappresentanza all’insegna dell’omnia duplicia, con un esito incalcolabilmente positivo. Si trova infatti solo nelle pagine di Rosmini un argine validamente architettato, una misura preventiva infallibile, da opporre alla rappresentanza reale.78 Rosmini sdoppia la rappresentanza, perché un potere addetto alla gestione degli interessi è intimamente travagliato dalle contraddizioni economiche, ed è inetto a risolverle, quando compaiono sulla scena questioni pregiudiziali di difesa dei diritti. Si lotta per il diritto e sul diritto non si transisce: si negozia sull’interesse, e l’accordo è una transazione. […] l’amministrazione è fondata su un meccanismo, in seno al quale non tutto viene deciso, delle grandi operazioni di politica economica. La verifica in rapporto al fine di giustizia spetta ad un potere rappresentativo opposto, investito dell’altissimo ufficio di gerere personam civitatis.79

Luciano Malusa, in un testo che ho già citato, pone un’importante obiezione al Tribunale politico progettato da Rosmini, analizzando in particolare il testo della Naturale Costituzione:

Il tribunale politico funziona proprio per la protezione dei meno fortunati, dei non abbienti e di coloro che non hanno la piena libertà, dalle lesioni dei loro diritti. […] Il limite di questo Tribunale, tuttavia, è quello che non spetta alla sua giurisdizione l’intervento per togliere le cause profonde delle condizioni di povertà e di disagio delle persone.80 Non pare sufficiente la tutela dei cittadini da parte del Tribunale politico, anche perché questo giudica dell’applicazione delle leggi o della loro formazione, ma non giudica delle spese sostenute dallo Stato e delle ricchezza che sono da esso gestite o garantite.81 Per Rosmini sono due gli scopi che deve prefiggersi la società civile: la sicurezza (o difesa dei diritti) e la ricchezza (o l’aumento dei diritti). La sicurezza e la difesa dei diritti sono di pertinenza della giustizia; la ricchezza e l’aumento dei diritti sono di pertinenza dell’utilità. Nell’affermare che entrambi questi scopi vengono perseguiti dalla società Rosmini, però, dimentica l’intreccio non sempre chiaro della ricerca della ricchezza con la tutela della giustizia. Questa trascuratezza nell’esame dei rapporti tra ricchezza e giustizia è un limite obiettivo nella concezione rosminiana.82

Riassumendo, due sono i punti che Malusa indica come limiti nel progetto rosminiano di una società civile, ossia di una comunità di cittadini: in primo luogo non vi è un’effettiva considerazione dei problemi dei più deboli, vale a dire dei nullatenenti, degli operai e delle donne. In secondo luogo, manca un completo controllo, per mezzo di questo Tribunale, della giustizia sull’utilità: chi amministra è certamente controllato dalla Corte di Giustizia ma solo ex post facto e solo nel caso in cui una vittima denunci. Rosmini effettivamente nega l’esigenza di una risposta politica e giuridica alla questione sociale e proprio su tale questione, già in passato, era stato criticato. Nel 1963, infatti, Danilo Zolo, in un passo della sua opera intitolato Personalismo rosminiano, scriveva:

Il principio dell’intangibilità della proprietà privata trova una coerente integrazione nella rigida separazione rosminiana dei compiti della giustizia dai compiti della carità, nel rigoroso divieto fatto dallo Stato di provvedere, con una assistenza ordinaria e continua, al miglioramento della condizione economica delle classi più umili e alla generale soluzione, mediante interventi economici della questione sociale.83

Zolo e Malusa arrivano a questa conclusione facendo entrambi riferimento ad alcuni passi di un altro testo del Rosmini maturo, La Costituente del Regno dell’Alta Italia.84 Andando a leggere il testo rosminiano a cui i due studiosi accennano si coglie, in primis, che Rosmini nomina non la società civile, ma il Governo della società civile. Egli quindi sta riflettendo non se sia compito della comunità dei padri di famiglia di aver cura dei nullatenenti, ma se possa essere uno dei compiti dell’apparato amministrativo, ossia del Parlamento e del Sovrano, sopperire alle necessità dei cittadini nullatenenti e garantire per loro la giustizia. Mi sembra, tuttavia, esagerato, affermare con questo che Rosmini sia totalmente insensibile ai diritti dei più deboli: nel testo de La Costituzione secondo la giustizia sociale Rosmini ricorda più volte che alla base della società civile deve esserci il riconoscimento pieno dei diritti di tutti, indipendentemente dal reddito e dal genere.

Resta il fatto che il Tribunale politico non sembra essere in grado di poter intervenire in anticipo, prevenendo le cause che portano alcuni cittadini ad impoverirsi e a subire l’ingiustizia da parte di chi si approfitta della loro debolezza. A mio parere, queste ultime osservazioni che Malusa muove al concetto di Tribunale Politico sono valide. Tuttavia, questo effettivo limite, che c’è in Rosmini, può essere interpretato secondo un’altra prospettiva: Rosmini afferma che lo stato non può risolvere la questione sociale non perché è insensibile ad essa, come affermano sia Zolo sia Malusa, ma all’opposto perché ha una visione molto più ampia di questa. Mi spiego meglio: come la carità per Rosmini non mira semplicemente ad assicurare il benessere materiale dei beneficiati, ma ambisce, per sua natura, a diventare cura dell’anima umana, così la questione sociale non è solo una questione politica o economica, ma va a toccare la totalità della dignità della persona umana, ossia il desiderio di salvezza dell’uomo. Evidentemente Rosmini si apre, a questo punto, ad un livello soprannaturale: la questione sociale, ma sarebbe meglio chiamarla la questione della miseria umana, non può essere risolta completamente da un sistema imperfetto qual è lo Stato, ma può esserlo solo all’interno della perfetta società teocratica, ossia dalla perfetta comunione tra Dio e gli uomini. Per questo Rosmini scrive che

Se [la beneficienza] è un diritto del cuore che non gli si può usurpare, né strappare colla legge esterna e colla forza, ella è appunto per questo di sua natura eminentemente ecclesiastica. Sì, la soluzione del grande problema conviensi prendere da Gesù Cristo. Egli ha istituito la Chiesa e l’ha incaricata di prestar soccorso a tutte le umane miserie.85

Non può, quindi, darsi per mezzo dei tribunali o di tutte le altre autorità statali la piena soluzione al male e alla sofferenza che l’uomo può cagionare agli altri uomini: anche il giudice è un essere umano che può sempre trasgredire la legge, lasciarsi corrompere e svilire il debole per proprio tornaconto. Quand’anche si è provato storicamente a realizzare una simile estensione del giuridico sul mono statale, si è purtroppo caduti in uno Stato etico e totalitario, non in uno Stato capace di difendere i diritti dei più deboli. A nostro parere, pertanto, l’assenza di una definitiva risposta politica alla questione sociale non è solo un limite del pensiero rosminiano, ma è anche una ricchezza: Rosmini mette in guardia dai rischi cui si può incorrere passando da una gestione politica e amministrativa della società, legittima e sensata, ad una pretesa biopolitica e intrastorica di organizzazione totale sull’umano.

4. Gli stranieri richiedenti asilo

Finora ho individuato le caratteristiche proprie degli associati, dunque di tutti coloro che risiedono all’interno di una nazione fin qui, ho cercato di individuare tutte le sfaccettature dei ruoli che i singoli cittadini possono assumere. Rosmini, però, in alcuni brevi passi della Filosofia del Diritto e de La costituzione secondo la giustizia sociale, presenta esplicitamente anche il ruolo che gli stranieri possono assumere in rapporto a una società civile costituita.

Innanzitutto, il termine «straniero», pur non essendo uno dei concetti chiave su cui ruota la struttura della Filosofia del Diritto – quali sono invece i termini società civile, persona umana, sozi ecc. – è comunque una categoria fondamentale, a mio parere, per comprendere come il nostro autore pensa le dinamiche sociali. Rosmini, infatti, introduce la figura di questi «esterni» persino quando presenta la forma perfetta di società civile. Dunque, mi pare di poter dedurre che, per Rosmini, lo straniero non sia solo una momentanea presenza nello progredire storico della società civile, ossia nello Stato; mi sembra, invece, che, per il Roveretano, gli outsiders influiscano pure in ciò che essenzialmente la società civile potrebbe essere ed è chiamata ad essere:

La società civile avrà ricevuto la più perfetta sua forma, allorquando,

  1. Le leggi e gli atti del governo non disporranno del valore di alcun diritto di ragione, ma regoleranno semplicemente la modalità di tutti i diritti di ragione appartenenti o ad individui o a società, mantenendo così la massima libertà razionale;
  2. Davanti a queste leggi tutti i membri delle società civili avranno una perfetta uguaglianza;
  3. Colle persone esistenti fuori della società civile saranno osservate a pieno le norme del Diritto di ragione.86

Approfondiamo quali siano queste norme del Diritto di ragione a cui Rosmini accenna e come esse interagiscano con il Diritto sociale. Occorre, però, tener conto del fatto che, per il nostro autore, il termine «straniero» significa contemporaneamente sia il «richiedente asilo», sia il «migrante»che chiede di transitare per la nazione, sia il «nemico» che attacca. In questa sezione mi occupo esclusivamente dello straniero inteso nei primi due sensi. Rosmini afferma che la società civile può limitare l’accesso degli stranieri, ponendo determinate condizioni; aggiunge però che la società non debba chiudersi completamente nei confronti di chi chiede la cittadinanza e, comunque, che essa debba sempre riconoscere questi individui come uomini e come persone.

In primo luogo, una società civile può negare agli stranieri l’accesso a determinati beni materiali di uso pubblico o il passaggio attraverso il suo territorio, qualora questi si rifiutino di darle determinate garanzie:

Così a ragion d’esempio il diritto di passaggio per sé e per la via pubblica, il diritto della fermata necessaria, quello dell’ospitalità data a’ popoli cacciati dalle loro sedi, quello di coltivare le terre incolte, il diritto di contrarre de’ maritaggi, ed altri consimili diritti […] non si possono attribuire agli stranieri in un modo illimitato. La società civile ha il diritto d’impedirli loro, di restringerli, di legarli a certe condizioni, quando ciò riesca d’utilità o di consenso comune.87

Rosmini ha in mente, in questo passo, la società civile nella sua forma perfetta, dove tali limitazioni imposte agli stranieri sono pensate per proteggere gli interessi dei cittadini. Infatti, poco più avanti nello stesso paragrafo egli scrive che

[La società civile] non può tuttavia far questo per capriccio, per durezza o per vano sospetto. Dovendo anche in tal fatto dirigersi secondo un giusto calcolo di prudenza, è necessario che la sua condotta cangi secondo le circostanze.88

Inoltre, in un altro passo della Filosofia del Diritto si legge che qualora lo straniero richiedente asilo dia delle garanzie e prometta di impegnarsi per il corpo collettivo, anche pagando i tributi fiscali, la società civile nella sua forma perfetta non può rifiutarsi di accoglierlo tra i suoi cittadini:

La società civile non è obbligata a ricevere nel suo seno uno straniero se non nel caso che questi potesse a ciò costringerla pel diritto di guarentigia. In questo caso però, dove egli abbia tutte le qualità necessarie ad un sozio ella dee ammetterlo. L’esigere in lui, mediante disposizioni positive, qualità arbitrarie prima d’ammetterlo, è un impedirgli la concorrenza naturale e universale di cui parliamo.89

Detto ciò, però, Rosmini sa bene che gli Stati esistenti di fatto concedono con sempre maggior fatica questo diritto. Ciò si verifica poiché il diritto di cittadinanza non implica esclusivamente l’essere membro della società civile, ma esso si lega anche una serie di vantaggi economici e politici. Negli Stati storicamente presenti il nostro autore vede un mescolamento tra elemento signorile e sociale che, a suo parere, è il retaggio di una serie di antiche consuetudini: egli, infatti, ricorda che già dai tempi delle pòleis greche vi era questo rifiuto nei confronti degli stranieri richiedenti la cittadinanza, benché questi fossero proprietari e mostrassero tutte le garanzie necessarie.

In quelle società lo stato di cittadino non diceva solo a «membro della società civile»; ma diceva «un gruppo di diritti parte sociali parte signorili»; lo scioglimento di questo gruppo spetta all’opera del progresso sociale.90 La civiltà si diffuse per le colonie, le quali fondarono gli stati più illustri. Ora da principio i cittadini di tali città erano i soli conquistatori: univano adunque due qualità di cittadini fra loro, di padroni rispetto al popolo vinto. Erano cittadini-signori. In tal caso la cittadinanza non si può più estendere se non s’avverano i modi giuridici pe’ quali s’ammettono altri a parte della propria signoria.91

Rosmini si dilunga in particolare sul rapporto tra Spartani ed Iloti e nota come tutte le nazioni greche, tradizionalmente legate alla conquista territoriale, assegnassero a ciascun cittadino una sezione del territorio conquistato, di modo che tutti i cittadini fossero compartecipi della conquista;

L’aggiungere adunque nuovi cittadini, era il medesimo che donare ricchezza alle persone che si facevano cittadini. In tal caso pure l’ammettere uno straniero fra i cittadini è un atto di arbitraria beneficenza.92

L’esistenza di questi accordi e di privilegi economici che venivano dati ai soli cittadini ha portato poco alla volta nascita di un’aristocrazia in quasi tutte le civiltà e, allo stesso tempo, ad un’enfasi nazionalistica, poiché ogni Stato si è tendenzialmente chiuso in se stesso. Tale nazionalismo, denuncia Rosmini, è cresciuto fino al punto che si è arrivati a pensare che la società civile non debba semplicemente regolare le modalità dei diritti, ma debba anche stabilire chi è soggetto giuridico e chi non lo è, vale a dire chi è persona e chi non lo è. Rosmini denuncia questa mentalità che fa equivalere l’essere uomo all’essere cittadino e dichiara che l’unico modo per evitare quest’ingiustizia, oltre che le altre possibili occasioni d’ingiustizia all’interno di uno Stato, è che

La società civile mantenga il principio della libera concorrenza universale, secondo il Diritto di ragione, ed ella eviterà tutte le ingiustizie.93

Ossia che essa permetta a qualsiasi soggetto individuale, o collettivo, d’acquistare con le dovute modalità qualsiasi diritto, che sia il diritto alla cittadinanza, alla libertà dalla schiavitù, a ricoprire qualsiasi carica pubblica – di quest’ultima libertà si è già parlato, discutendo a proposito dei cittadini.94 Secondo Rosmini non è, allora, fondamentale la continua e ostinata difesa del territorio nazionale, ma il mantenimento dello stato di diritto tra cittadini e stranieri, indipendentemente dal fatto che i primi siano legati ad una società civile e gli altri no.

La nozione del diritto dee esser indipendentemente dallo stato di società; perocché i diritti esistono anco fra due individui della specie umana, che non hanno formato fra di loro società alcuna. Nel fare intervenire la società nella definizione generale del diritto non peccano solamente alcuni nostri italiani; ma presso che tutti gli autori recenti di diritto naturale. Noi escludiamo dalla nozione del diritto in genere non pure il concetto di società; ma ben anco quello di una reale coesistenza; bastandoci una coesistenza possibile. Sosteniamo cioè che l’idea del diritto esisterebbe dato anco un solo individuo della specie umana, purché questi si prenda a considerare in una relazione ipotetica con degli altri suoi simili possibili.95

Il diritto individuale, che per Rosmini è incluso nel Diritto Razionale e che precede qualsiasi forma di società organizzata, afferma che ogni uomo, indipendentemente dal fatto che sia cittadino di qualche Stato o meno, è soggetto di diritto quanto ogni altro. Dunque il principio dell’uguaglianza giuridica che abbiamo visto valere tra tutti i cittadini vale anche per gli stranieri.

Ora egli è chiaro, che non è già il soggetto determinato a cui il diritto appartiene, quello che lo renda rispettabile, ma ell’è la personalità in genere che esige un tale rispetto, la qual personalità si trova ugualmente in ogni soggetto capace di diritti. Applicando questa dottrina alle due specie di soggetti accennati, l’individuale e il sociale, noi possiamo combattere quell’errore così funesto […] pel quale si stima da alcuni che il diritto, quand’è annesso ad un corpo sociale, o in generale ad un soggetto più potente, debba prevalere al diritto stesso «quando sia annesso» ad un soggetto individuale più debole.96 La società civile ed i membri di essa si trovano rispetto a quelli che restano fuori della società, nello stato di natura, e tanto la società, e i singoli suoi membri, quanto tutti gli altri uomini che stanno in presenza di quella, senza appartenervi, sono persone giuridiche, uguali. Il diritto naturale e razionale dee essere mantenuto fra tali persone giuridiche con rispetto uguale dall’una e dall’altra parte.97

Rosmini, dunque, a proposito dei diritti degli stranieri, ribadisce quanto aveva già affermato a proposito dei diritti degli associati: gli uomini esistono indipendentemente dalla società civile; perisca, quindi, la società civile, piuttosto che periscano gli uomini;98 ancora, non si giustifichi per ragioni di Stato la morte degli innocenti e non si sacrifichi neanche una sola persona per salvare un intero popolo.99 In conclusione, la società civile nei confronti degli stranieri non ha alcun potere da imporre loro ma ha, invece, il dovere di riconoscere tali persone anche se non sono suoi cittadini:

Ora le civili associazioni debbono riconoscere che non possono menomamente disporre de’ diritti degli uomini, che sono obbligate a rispettarli tutti, qualunque ne siano i soggetti, o fuori o dentro del loro seno; e che, solamente rispetto a questi ultimi, esse hanno l’autorità di regolare la modalità de’ diritti, e nulla più.100

Rosmini ritorna su questo punto anche nel secondo articolo de La Costituzione secondo la giustizia sociale:

[lo Statuto Costituzionale] si fonda sul rispetto dovuto all’umanità: si provede lo Stato contro l’egoismo nazionale sempre inclinato a riserrarsi in se stesso: è una solenne lezione data ai popoli, una protesta contro quelle leggi pagane o barbare che confondevano l’ospite coll’amico, rendendo impossibile che si rinnovino, giacché i diritti degli stranieri con ciò sono riconosciuti anch’essi e sanciti.101

Concludendo, da tutto ciò si può dedurre che per Rosmini come il diritto di libera associazione è meno importante rispetto al diritto al bene morale, così pure i diritti di cittadinanza per quanto importanti, influiscono solo dopo che siano stati garantiti per tutti gli uomini i diritti individuali.

5. Il nemico

L’ultima figura è quella del nemico che minaccia la società civile. Rosmini apparentemente sembra essere molto lontano dal nostro sentire, in quanto egli, in diversi passi della Filosofia del Diritto, afferma il valore della «guerra giusta» se compiuta per difendere il proprio credo religioso102 o per mantenere la propria libertà fisica.103 Se si danno questi due casi, è giusto combattere ed è pure giusto che anche altre nazioni, dunque altre società civili, si alleino nei confronti di chi è attaccato.104

Detto ciò, il nostro autore, non è a favore della guerra in sé: egli riconosce e valorizza la funzione dei trattati internazionali e delle vie diplomatiche che servono agli Stati per stringere patti, garantire la pace e il comune rispetto dei territori nazionali.105 Egli, inoltre, specifica che «il diritto di difesa delle nazioni è limitato, come quello dell’individuo, all’uso de’ soli mezzi giusti ed onesti».106 Infine, Rosmini dichiara che non è giuridicamente ammissibile, una volta vinto il nemico, approfittare della vittoria per imporre un risarcimento eccessivamente duro:

La società civile lede […] gli altrui diritti quando, essendo danneggiata, esige un risarcimento maggiore del danno da lei sofferto. Esempio di ciò sono le nazioni conquistatrici, che supponendo d’essere entrate in guerra con buone ragioni, in luogo di contentarsi della riparazion dell’offesa ricevuta dalla nazione vinta, credono di avere ottenuto con ciò solo il diritto di signoreggiarla, di trattarla crudelmente, di far de’ vinti ciò che lor piace.107

6. Conclusione

A conclusione del percorso fin qui compiuto arriviamo a due risultati.

Il primo è che dai testi politici del Rosmini maturo si comprende che non esiste per quest’autore un essere umano che non sia degno di essere definito soggetto giuridico, indipendentemente dal ruolo che esso gioca o meno all’interno della società civile: anche nei confronti di un nemico violento, egli fa valere un Diritto che eviti il prolungarsi della violenza. Rosmini, benché rimanga un uomo del suo tempo e benché talvolta assuma delle posizioni che oggi sono insostenibili, da un punto di vista storico e politico, indica i principi affinché la società civile si mantenga come una comunità di persone e non si trasformi in una signoria che misconosce i cittadini più deboli o coloro che non fanno parte della sua cerchia. Egli, pertanto, ponendo precisi limiti alla società civile, poiché qualcosa sempre la precede, le attribuisce il giusto valore in relazione al valore primario della persona umana.

Il secondo risultato che ricaviamo è il concetto stesso di cittadinanza. L’insieme dei cittadini per il Roveretano non ha nulla a che vedere con la classe degli hòmoioi spartani: la cittadinanza non è per il nostro autore la cerchia chiusa degli uguali che si impone dispoticamente su coloro che non ne fanno parte.

Ed egli è pur chiaro che il Diritto sociale quand’è confuso col signorile non può che sofferirne continuamente, giacché una sola risoluzione non può soddisfare alle esigenze de’ due Diritti. Il sociale adunque se non è appurato dal signorile, rimane da questo impedito, e come còlto da paralisi.108

Questo porta, quindi, Rosmini a chiedersi fino a che punto possa essere inclusiva una società civile, ossia quando e come uno straniero può ottenere in pieno il diritto alla cittadinanza, fermo restando che essa è sempre connessa ad un territorio e ad una nazione. La risposta del Roveretano è che la società deve permettere la libera concorrenza di tutti gli uomini alla cittadinanza e gli unici limiti che il Governo deve imporre sono quello del rispetto del diritto e il pagamento dei contributi. Detto ciò, Rosmini stesso è certo del fatto che la realizzazione piena di questa società civile, intesa come unione dei padri di famiglia, priva di qualsiasi progetto dispotico – sia intestino, dunque tra cittadini abbienti e poveri, sia tra cittadini e stranieri – è ben al di là di questo tempo presente:

La civile società […] rimane a perfezionarsi, ingradendosi, coll’amicarsi alla società universale, alla società teocratica perfetta, onde solo attingerà la compiuta giustizia e si purgherà d’ogni spirito d’ingiustizia. A fare la via ad un sì felice ringiovenimento delle nazioni, noi togliemmo a determinare con precisione il fine, entro cui dee tenersi, col suo governo la civil società «il regolamento della modalità de’ diritti» [È un piccolo seme, ma noi consegniamo questo seme alla logica del tempo, ed alla carità de’ cristiani; quello lo svolgerà inaffiato da questa, non ne dubitiamo punto: gli avvenire ne godranno i frutti.109

Sicuramente, ciò che lo porta a mantenere salda questa sua visione politica, oltre che la sua prospettiva teologica e di credente, è anche la sua prospettiva filosofica basata sulla distinzione tra essere reale ed essere ideale. Nella realtà storica, in cui viveva Rosmini e in cui viviamo ancora oggi, attorno alla questione della cittadinanza avvengono continuamente forme di chiusura, violenza sui più deboli e giochi di potere. Questo non significa che l’ideale di una comunità politica, che non sia esclusiva e dove i diritti di tutti siano considerati, sia in sé meno vero.


  1. Antonio Rosmini, Filosofia del diritto, vol. 27/A, n. 49, a cura di Michele Nicoletti e Francesco Ghia, voll. 27 – 28/A dell’edizione critica nazionale, Istituto di studi filosofici, Centro di studi Rosminiani – Stresa, Città Nuova editrice, Roma 2013, (d’ora in poi Filos Dir). ↩︎

  2. Rosmini, Filos Dir, vol. 27/A, n. 51. ↩︎

  3. Rosmini, Filos Dir, vol. 28, n. 131: «Dove ciascuno mette insieme la medesima quantità di corpo, si formano società in cui tutt’i sozi sono eguali, hanno uguali diritti; e noi chiameremo queste società uniquote: dove all’incontro i sozi mettono quantità diverse di corpo si formano società, in cui i sozi sono disuguali, competendo loro diversa quantità di diritti e d’aspettazione; e noi chiameremo queste società poliquote». Si veda anche Rosmini, Filos Dir, vol. 39, n. 1696: «Composta di membri che mettono in comune un fondo maggiore o minore, e che ne ricavano più o meno di vantaggio, è una società poliquota». ↩︎

  4. Antonio Rosmini, La Società e il suo fine in Filosofia della politica, a cura di Mario D’Addio, vol. 33 dell’edizione critica nazionale, Istituto di studi filosofici, Centro di studi Rosminiani – Stresa, Città Nuova, Roma 1997 (d’ora in oi Soc s Fine). ↩︎

  5. Antonio Rosmini, Filosofia della Politica. Della Naturale costituzione della società civile, a cura di F. Paoli, Grigoletti, Rovereto 1887. ↩︎

  6. Antonio Rosmini, La Costituzione secondo la giustizia sociale in Scritti Politici, II ed accresciuta, a cura di Umberto Muratore, Edizioni Rosminiane Sodalitas, Stresa 2010 (d’ora in poi Costit Giust Soc). ↩︎

  7. Sull’adesione di Rosmini all’unità di Italia e sulla sua partecipazione al dibattito risorgimentale si consiglia la seguente bibliografia: Antonio Rosmini Sull’unità d’Italia in Scritti politici. Tra le varie opere critiche che si sono interessate alla questione ricordiamo: Luciano Malusa, Antonio Rosmini per l’unità d’Italia: tra aspirazione nazionale e fede cristiana, Franco Angeli, Milano 2011; A A.VV. Rosmini e Roma, a cura di Luciano Malusa e Paolo De Lucia, Centro internazionale di Studi rosminiani, Stresa 2000; Evandro Botto, La «Missione a Roma» nel quadro del pensiero politico rosminiano in Evandro Botto, Modernità in questione: studi su Rosmini, Franco Angeli Editore, Milano 2008, pp.79-105; Michele Nicoletti, Federalismo e costituzionalismo nel pensiero di Antonio Rosmini in AA.VV. Stato unitario e federalismo nel pensiero cattolico del risorgimento. Atti del XXVII Corso della “Cattedra Rosmini” a cura di G. Pellegrino, Sodalitas – Spes, Stresa-Milazzo 1993. Per un approfondimento sul rapporto tra diritto positivo e diritto razionale e quindi sull’applicabilità storica del pensiero politico e costituzionale di Rosmini segnaliamo il seguente lo studio: Giuseppe Bonvegna, Politica, Religione, Risorgimento. L’eredità di Antonio Rosmini in Svizzera, Mimesis, Milano-Udine 2012. ↩︎

  8. Carlo Gray, Introduzione a Rosmini, Costit. Giust. Soc, pp. XXVIII-XXXVII. ↩︎

  9. Pietro Addante, Antonio Rosmini: la persona umana, malessere, diagnosi e terapia dell’amore, Laruffa, Reggio Calabria 2008. ↩︎

  10. Mario Cioffi, Il diritto come giustizia e amore nella filosofia di Rosmini, Edizioni rosminiane Sodalitas, Stresa 2012. ↩︎

  11. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 243. ↩︎

  12. Rosmini, Soc s Fine, cit., p. 154: «Il vincolo sociale è opposto al vincolo di signori Antonio La società dunque di sua natura esclude la servitù. Tutte le persone associate sono parti di un solo corpo, e però sono fine, come è fine il corpo stesso al quale appartiene il bene che s’intende di procacciare mediante l’associazione. Dunque la società suppone la libertà: le persone in quanto sono sozie sono libere». Il Roveretano aggiunge poi che le persone che vivono in società arrivano a vivere la completa libertà sociale, che consiste nel fatto che ciascun associato viene riconosciuto come persona, ossia come individuo dotato di un fine supremo. Antonio Rosmini, Compendio di Etica, a cura di Marco Manganelli, vol. 29 dell’edizione critica nazionale, Istituto di studi filosofici, Centro di studi Rosminiani – Stresa, Città Nuova editrice, Roma 1998, n. 455: «Tutti i sozi indistintamente mantengono la ragione di fine, e nessuno di essi viene considerato come un semplice mezzo al bene degli altri». ↩︎

  13. I cittadini sono chiamati a mantenere la società con i loro sforzi e le loro proprietà materiali. Rosmini, Soc s Fine, p. 154: «Si piglierebbe un errore strabocchevole da chi pensasse che la libertà sociale consistesse nell’essere il sozio scarico da qualsivoglia obbligazione e da qualsiasivoglia travaglio. La natura della società è quella di un’unione che si stringe fra più individui a fine di conseguire un dato bene: ed è pur manifesto, che ciascuno di quelli che entrano in essa, si sottomette ed obbliga a tutte quelle leggi che derivano dalla natura dell’associazione». ↩︎

  14. Per un approfondimento della questione del fine ultimo della società civile, ossia l’appagamento dei suoi cittadini, Mario D’Addio, Libertà e appagamento: politica e dinamica sociale in Rosmini, Studium, Roma 2000. ↩︎

  15. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 47. ↩︎

  16. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., pp. 209-210. ↩︎

  17. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., pp. 209-213. ↩︎

  18. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 110. ↩︎

  19. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 122. ↩︎

  20. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 196. ↩︎

  21. La proprietà dichiara Rosmini è «tutto ciò che la persona ha seco congiunto come parte di sé ossia come suo». Rosmini, Filos Dir, cit. vol. 27, p. 234. Dichiarando ciò egli fa riferimento ad una nozione di proprietà non limitata al dominio dell’uomo sulle cose, ma ne ricerca la radice ontologica, la «sua estensione originaria e nativa». Motivo per cui di seguito afferma che la proprietà costituisce «Una sfera intorno alla persona, di cui la persona è il centro; nella quale sfera niuno altro può entrare; niuno potendo staccare dalla persona ciò che le congiunto della detta congiunzione; giacché questo distacco cagionerebbe dolore alla persona; e ogni dolore cagionato ad una persona, per se stesso considerato, è proibito dalla legge morale come un male». Ibidem. Pietro Piovani che al tema della giustificazione della proprietà ha dedicato un intero capitolo della sua Teodicea sociale commenta con le seguenti parole il rapporto tra persona e res: «La persona si realizza nella res, si oggettivizza negli oggetti che domina per quel tanto che riesce ad espandersi: tutta la lotta sociale, lato sensu intesa, culmina in questa capacità di espansione». P. Piovani, La Teodicea sociale in Rosmini, Morcelliana, Brescia 1997, p. 181. ↩︎

  22. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., pp. 116-117. ↩︎

  23. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 117. ↩︎

  24. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 117. ↩︎

  25. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 90. ↩︎

  26. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 40, n. 2182. ↩︎

  27. Rosmini, Costit Giust Soc, cit. p. 91. ↩︎

  28. Rosmini, Filos Dir, vol. 40, n. 2183. ↩︎

  29. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 91. ↩︎

  30. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 91. Per un approfondimento sul tema del rapporto tra Rosmini e comunismo, in primis i saintsimoniani rimandiamo ai seguenti scritti: Francesco Mercadante, Il Regolamento della modalità dei diritti, pp. 218-222; P. Pagani, Rosmini critico ante litteram del modernismo? in P. Pagani, Ricerche di antropologia filosofica, Orthotes, Napoli 2012. ↩︎

  31. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 177. ↩︎

  32. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 62. ↩︎

  33. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 63. ↩︎

  34. Rosmini dimostra questo punto facendo un conto matematico: «Nel sistema del voto universale gli elettori in Francia si possono calcolare a 10 milioni. Fra questi, 150.000 appartengono ai maggiori proprietari possessori della quarta parte del suolo, e però contribuenti il quarto di tutta l’imposta territoriali. […] Se i 150.000 elettori che pagano un quarto dell’imposta complessiva avessero un quarto d’influenza nel decretarla, e gli altri 9.850.000 che pagano tre quarti, vi avessero un’influenza pari a tre quarti, allora si verificherebbe sempre che ogni qual volta è decretata la contribuzione, la maggior parte di questa verrebbe acconsentita da quelli stessi che la pagano e così si potrebbe dire che la nazione impone se stessa». Rosmini, Costit Giust Soc, cit., pp. 111-112. ↩︎

  35. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., nota 61 p. 190; p. 230; p. 244. ↩︎

  36. Rosmini indica dieci caratteri propri della società civile che sono: universalità, supremazia, perpetuità, prevalenza della forza, tendenza continua al pareggiamento della quota parte di utilità, il fine della società civile è anche il bene pubblico se ordinato al bene comune, il fine della società è anche il bene privato se la concorrenza a questo è aperta a tutti, è una società esterna, non ha un potere signorile né lucrativo ma benefico, è una società poliquota. Rosmini, Filos Dir, vol. 39, nn. 1615-1699. Per una lettura di tutti e dieci i caratteri Mercadante, Il regolamento, cit., pp. 122-242. ↩︎

  37. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 39, p. 1643. ↩︎

  38. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 39, n. 1653. ↩︎

  39. La polemica tra i due interpreti rosminiani ebbe inizio con un’opera di Bulferetti, Bulferetti, Socialismo risorgimentale, Einaudi, Torino, 1949; in risposta della quale Piovani scrisse l’opera che di seguito citiamo: Pietro Piovani, Rosmini e il socialismo risorgimentale, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, anno XXVIII, serie III, Gennaio- Marzo 1951, fasc. I, pp. 76-93. ↩︎

  40. Mercadante, Il regolamento, cit., p. 301, nota 23. ↩︎

  41. Mercadante, Il regolamento, cit., p. 302, nota 23. ↩︎

  42. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 39, n. 1655. ↩︎

  43. Secondo Rosmini, vi è infatti un circolo virtuoso tra educazione personale dei cittadini e il Governo che favorisce la cultura e l’istruzione: quanto più i singoli cittadini sono educati e tanto più approfondiscono la loro natura personale, tanto più anche migliora in qualità il loro contributo nei confronti dell’intera società civile; lo Stato, stimolato dalle nuove idee e dalle nuove motivazioni che muovono i suoi cittadini, sarà più forte e più credibile; inoltre, quest’ultimo favorendo lo sviluppo della scuola, in primo luogo, favorirà la loro crescita personale, indirizzandosi verso il suo fine remoto (l’appagamento delle singole persone) in secondo luogo, il Governo ricambierà i suoi cittadini per il loro contributo, rimettendo in moto il circolo virtuoso. Rosmini, però, è molto attento a non ridurre mai l’istruzione e la cultura a mezzo per la crescita delle istituzioni politiche, anzi cerca sempre di salvaguardarle come attività libere delle persone. Per un approfondimento della complessa questione consigliamo la lettura del testo rosminiano Della libertà d’insegnamento in Rosmini, Opuscoli Politici, a cura di G. Marconi, n. 37 delle Opere edite e inedite di Antonio Rosmini, Città Nuova, Stresa-Roma 1978, pp. 183-244. In quest’opera Rosmini definisce il diritto al libero esercizio dell’insegnamento, notando che esso è legatissimo al diritto ad imparare, e indica sei persone giuridiche che possono muovere, a livelli diversi, diverse pretese su questo diritto. Queste ultime sono per Rosmini: 1) la Chiesa Cattolica 2) i Dotti, 3) i padri fi famiglia, 4) i benefattori delle scuole, 5) i comuni e le province, 6) il Governo. ↩︎

  44. Mercadante, Il regolamento, cit., p. 304, nota 23. ↩︎

  45. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 197. ↩︎

  46. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 198. ↩︎

  47. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 199. ↩︎

  48. Rosmini, nell’opera Costituzioni dell’Istituto della Carità, distingue tre generi di atti di carità: carità temporale, carità intellettuale e spirituale. La prima indica tutti quelli atti di beneficenza finalizzati a salvaguardare la vita fisica dei propri beneficiari. Il secondo è il genere di atti che giovano all’intelletto e allo sviluppo delle facoltà individuali delle altre persone. Infine la carità morale o spirituale è a beneficio delle anime degli uomini disponendoli a compiere i doveri morali e, in un senso soprannaturale, a cercare Dio. Rosmini ricorda che tutte e tre le forme di carità hanno valore e che è giusto che ciascun uomo ricerchi il proprio genere di servizio, in base alla propria personalità e alle proprie capacità, tuttavia egli specificatamente sottolinea la pregnanza dell’ultimo genere. Antonio Rosmini, Costituzioni dell’Istituto della Carità, a cura di D. Sartori, vol. 50 dell’edizione critica nazionale, Istituto di studi filosofici, Centro di studi Rosminiani – Stresa, Città Nuova editrice, Roma, 1996, nn. 593-596. ↩︎

  49. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., pp. 114-115. ↩︎

  50. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 1896. ↩︎

  51. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p.198: «Né si dica che i nullatenenti, benché non contribuiscano col danaro, contribuiscono coll’opera loro: perché coll’opera contribuiscono in diversi modi tutti ugualmente i cittadini, ma questo contribuire non è sufficiente a far sussistere la società, e d’altra parte la società civile per esistere non ha rigorosamente bisogno dell’opera di quelli che niente mettono nel suo tesoro». Rosmini afferma questo non perché ritiene che la società si fondi sulla proprietà privata – come può sussistere il comune se esso si fondasse solo su ciò che è esclusivamente personale? Rosmini stesso riconosce l’evidenza di questo asserto. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., pp. 147-148 – ma perché osserva molto realisticamente che tutti gli uffici statali sono possibili fino a quando vi è il denaro sufficiente per mantenerli e questo denaro può provenire solo dalle tasse versate dai privati: «il danaro nella società sviluppata è il rappresentante di tutto: nella società non isviluppata né venuta a civiltà è ancora la proprietà quella condizione a cui l’uomo può vivere, educarsi, operare. […] Dunque influire sulle proprietà è il medesimo che influire su tutti gli altri beni che alla proprietà sono legati e condizionati. Tutti gl’interessi adunque anche i più cari e i più nobili si riducono a quello della proprietà come alla condizione ad alla causa di tutti». Rosmini, Costit Giust Soc, cit., pp. 194-195. ↩︎

  52. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 159: «Tutti i cittadini possono aspirare alle cariche dello Stato secondo la loro idoneità. L’articolo 41 chiama indistintamente tutte le capacità al servizio pubblico, e così apre la via anche ai nullatenenti di migliorare la loro condizione economica»; Rosmini, Costit Giust Soc, cit., pp. 202-203: «Chi nulla possiede può essere eletto Deputato … e divenire Ministro, se è più capace d’altri che posseggono» ↩︎

  53. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 84 ↩︎

  54. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 40, nn. 2433-2442. ↩︎

  55. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 39, n. 1754. ↩︎

  56. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 28, n. 311. ↩︎

  57. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 28, n. 311. ↩︎

  58. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 77. ↩︎

  59. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 77. ↩︎

  60. A proposito del rapporto tra forza militare e il potere statale, Rosmini scrive ne La Costituzione a servizio della giustizia sociale che «È uopo rappresentarsi che il militare, come tale, non rappresenta che la forza bruta, la quale non può avere il primo posto ne’ Governi ben ordinati, ma conviene che operi in forza della forza morale, e che ubbidisca alla sapienza governativa» Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 161. Rosmini intende sottolineare che un amministratore civile se fa uso della forza per imporre la propria autorità non agisce più per diritto, ma rischia di dar inizio alla lotta violenta. L’uso della forza, può essere permesso solo in casi di eccezionale pericolo, non può diventare il mezzo dell’ordinaria amministrazione di una nazione. Per questo motivo, il nostro autore in un’opera precedente, La società e il suo fine, scrive che vi deve necessariamente essere una distinzione tra il capo della forza, l’amministratore e il giudice. Rosmini, Soc s Fine, libro I, § VIII, pp. 155-156. ↩︎

  61. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., pp. 101-105. ↩︎

  62. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 169. ↩︎

  63. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., pp. 190-191. ↩︎

  64. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 193. ↩︎

  65. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 144. Vedi anche Rosmini, Costit Giust Soc, cit., pp. 142-145 e pp. 165-168. ↩︎

  66. «Nel sistema costituzionale il popolo non è già il Sovrano, espressione in se stessa assurda. Ma il popolo tuttavia gode d’una parte della sovranità che consiste unicamente nel diritto di eleggere i procuratori de’ suoi interessi. Eletti questi, il popolo non esercita alcun atto di sovranità se non per mezzo de’ procuratori da lui eletti». Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 227. ↩︎

  67. Rosmini già nell’opera la Società e il suo fine evidenziava una separazione tra la politica, che è l’ambito della Prudenza, e il Diritto, che amministra la Giustizi Antonio Inoltre, nell’opera La Costituzione secondo la giustizia sociale leggiamo che «per rimuovere il pericolo che il potere politico influisca sull’amministrazione della giustizia e v’introduca l’accettazione di persone, è stabilita altresì l’indipendenza dell’ordine giudiciale dal politico (art. 80) e l’inamovibilità dei giudici (art. 91)» Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 93. ↩︎

  68. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 40, n. 2673. ↩︎

  69. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 144. ↩︎

  70. Luciano Malusa, Antonio Rosmini per l’unità d’Itali Antonio Tra aspirazione nazionale e fede cristiana, Franco Angeli, Milano 2011, pp. 184-185. ↩︎

  71. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 146. ↩︎

  72. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 147. ↩︎

  73. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 152. ↩︎

  74. Antonio Rosmini, Le principali questioni politico-religiose della giornata in Opuscoli Politici, pp. 147-154. ↩︎

  75. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 143. ↩︎

  76. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 230. ↩︎

  77. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 200. ↩︎

  78. Mercadante, Il regolamento, cit., pp. 207-208. ↩︎

  79. Mercadante, Il regolamento, cit., p. 210. ↩︎

  80. Malusa, Antonio Rosmini per l’unità d’Italia, cit., cit., pp. 191-192. ↩︎

  81. Malusa, Antonio Rosmini per l’unità d’Italia, cit., pp. 194-195. ↩︎

  82. Malusa, Antonio Rosmini per l’unità d’Italia, cit., p. 195. ↩︎

  83. Danilo Zolo, Il personalismo rosminiano. Studio sul pensiero politico di Rosmini, Morcelliana, Brescia 1963, p. 261. ↩︎

  84. Antonio Rosmini, La Costituente del Regno dell’Alta Italia, in Scritti Politici, II ed accresciuta, a cura di Umberto Muratore, Edizioni Rosminiane Sodalitas, Stresa 2010 (d’ora in poi Costit. Alta Italia). Quest’ultimo testo è una raccolta di articoli composti da Rosmini tra il maggio e il luglio del 1848. Venezia e Milano erano da poco riusciti a rendersi autonomi, dunque in quel periodo così concitato incominciò a farsi strada il progetto di un’unione tra il regno di Sardegna e quello Lombardo Veneto, “L’Alta Italia” appunto. ↩︎

  85. Rosmini, Costit. Alta Italia, cit., p. 303. ↩︎

  86. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 39, n. 2064. ↩︎

  87. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 1701. ↩︎

  88. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 1701. ↩︎

  89. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 40, n. 2274. ↩︎

  90. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 40, n. 2277. ↩︎

  91. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 40, n. 2279. ↩︎

  92. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 40, n. 2281. ↩︎

  93. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 40, n. 2271. ↩︎

  94. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 40, nn. 2272-2300. ↩︎

  95. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27, p. 193. ↩︎

  96. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 1648. ↩︎

  97. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 39, n. 1677. ↩︎

  98. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 1660: «Perisca adunque, cioè si sciolga la società civile, s’egli è bisogno, acciocché si salvino gl’individui e non periscano gl’individui, acciocché non si sciolga la società civile». ↩︎

  99. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 1681: «La società non ha il diritto di torre la vita a nessun innocente, e né pure di lederlo nel suo corpo, contro la sua volontà […] quand’anco ella potesse con tali lesioni salvar dall’esterminio l’intiera nazione». ↩︎

  100. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 39, n. 1679. ↩︎

  101. Rosmini, Costit Giust Soc, cit., p. 62. ↩︎

  102. Rosmini affronta il caso in cui si debba difendere la propria religione dall’ateismo o da un’altra religione violenta: «Se una persona o più […] vedessero pericolare la propria religione o quella dei loro correligionarj, per attentato di una o più persone che vuole o vogliono spogliarle della propria religione e sostituire alla medesima un’altra pretesa religione immorale, o l’ateismo, né avessero altra via di difendere il loro diritto; esse potrebbero difendersene con una guerra religiosa giusta» Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 175. Sottolineiamo che Rosmini non considera affatto tutte le religioni su di uno stesso piano, ma individua quattro classi di religioni dalla meno perfetta alla più perfetta e identifica quest’ultima con la Chiesa Cristiana Cattolica. Per gli altri casi di guerra religiosa giusta ma anche ingiusta Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, nn. 167-238. ↩︎

  103. «Dopo la difesa della verità religioso-morale, il Diritto razionale non riconosce più giusta causa di violenza e di guerra, di quella che tende a difendersi dalla minacciata schiavitù (presa questa in senso stretto), o a liberarsi da un tale stato obbrobrioso all’umana natura». Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 239. Rosmini in questo passo e in quelli seguenti riconosce che la libertà è «un bene naturale», Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 244, ma contemporaneamente afferma che non tutti gli uomini possono giungere alla piena libertà. Il nostro autore nota, infatti, che oltre ad una schiavitù fisica esiste anche una schiavitù morale, a causa della quale si finisce per compiere atti immorali se sia ha la piena libertà. Secondo Rosmini, nei casi di persone sottoposte ad una simile schiavitù è meglio che vi sia una carenza di libertà fisica piuttosto che una piena libertà sfrenata, Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 240. Viceversa può darsi il caso di una persona che, pur essendo nella schiavitù fisica, aderisce pienamente al bene morale, divenendo pienamente libera. Dunque Rosmini non è sempre d’accordo sull’uso della violenza per ottenere la liberazione, anzi, spererebbe di più in una rivoluzione culturale compiuta attraverso l’evangelizzazione (Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 243). ↩︎

  104. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 1861. ↩︎

  105. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, nn. 1864-1868. ↩︎

  106. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 1875. ↩︎

  107. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 27/A, n. 1685. ↩︎

  108. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 40, n. 2289. ↩︎

  109. Rosmini, Filos Dir, cit., vol. 40, n. 2683. ↩︎