Le radici italiane dell’analitica moderna: Giovanni Vailati

Pur non essendo interamente innovativa all’interno del dibattito culturale moderno, avendo come condizione storica un cammino continuo che conduce, attraverso l’Illuminismo, dalla tradizione sassone-scozzese (asse Berkeley / Locke / Hume) al Positivismo britannico ottocentesco (S. Mill), la tesi vailatiana1 secondo cui filosofia non sarebbe altro che meta-discorso (analitico) su senso comune e conclusioni scientifiche è comune all’orientamento meta-filosofico del Wiener Kreis; tale concezione vailatiana della meta-discorsività sottende l’ulteriore tesi accessoria della multi-culturalità della ricerca: il fine reale della filosofia — a detta di Vailati- vive sul riconoscimento della necessità di limitare le nefaste influenze dei tecnicismi culturali di matrice umanista o scientista. È orizzonte storico d’incontro tra istanze meta-discorsive e multi-culturali della filosofia vailatiana un’innovativa mozione di riforma universitaria sostenuta nell’articolo Scienza e filosofia del 1902, sulla scia di alcune interessanti osservazioni del Paulsen considerate dal nostro autore in una recensione del 1900.2 Vailati asserisce:

La facoltà di filosofia sarebbe messa sulla via di diventare, come è suo vero còmpito, un anello di congiunzione fra le Scienze e le Lettere, impedendo che queste formino dei campi chiusi senza comunicazione fra di loro con grave danno del sapere e della cultura generale. La filosofia potrebbe allora cooperare […] ad impedire che gli specialisti, siano essi scienziati o letterati, si rinchiudano nelle loro ricerche particolari perdendo di vista l’universalità e l’unità del sapere e i rapporti delle scienze fisiche colle morali,3

in direzione dell’ideale dell’unità della conoscenza; il monito sulla necessità della non chiusura tra aree conoscitive diverse introdotto da Durand nel suo volume Aperçus de taxinomie générale rimane vivo in Vailati:

Il soggetto [teoria della classificazione] […] ha ciò di comune cogli altri soggetti di cui la logica si occupa o si dovrebbe occupare, di esigere, per la sua trattazione completa e proficua, una cultura scientifica che si estenda al di là dei limiti entro i quali è racchiuso d’ordinario l’orizzonte mentale degli specialisti di ciascun singolo ramo di indagini, e di richiedere inoltre anche una conoscenza non superficiale delle vicende storiche e delle varie fasi di sviluppo delle scienze stesse […],4

con riformulazione della medesima intuizione a commento di uno studio di Guastella sulla teoria della conoscenza.5 La conoscenza, intesa à la Peirce come coerenza unitaria di una comunità trans-storica di ricercatori, si mantiene fenomeno inclusivo (non chiuso) in tre maniere:

L’aver tagliato ogni rapporto tra lo studio delle discipline filosofiche e quello delle scienze positive, prescrivendo che non si possa arrivare alla laurea in Filosofia se non per la via degli studi letterari e filologici, è quanto vi può essere di più contrario alle esigenze della cultura filosofica moderna, la cui aspirazione è appunto quella di riattaccarsi direttamente ai risultati delle scienze speciali, coordinandoli, comparando i metodi coi quali essi sono stati ottenuti, e sottoponendo ad analisi critica i concetti fondamentali in essi implicati.6

La relazione tra area umanistica e area scientifica, o tra meta-discorso e discorsi scientifici, è nesso di coordinamento, confronto e analisi critica; Mario Calderoni7 — in linea con la tradizione britannica- estende tale intuizione vailatiana all’ambito del senso comune.8 Nella riflessione del pragmatismo analitico italiano filosofia è meta-discorso su scienze e senso comune, caratterizzato dai tre obiettivi del coordinamento tra risultati delle scienze o conclusioni del senso comune, confronto tra metodi scientifici o meccanismi mentali e analisi critica di termini enunciazioni e discorsi delle scienze e del senso comune. La vicinanza culturale tra tradizione di ricerca analitica e narrazione culturale vailatiana è, infine, adiacenza stilistica, ove Vailati scriva:

È alla mancanza di solida educazione scientifica e di qualsiasi «allenamento» a quelle argomentazioni precise e a quell’ordine rigoroso che le ricerche positive esigono, che va attribuita quella caratteristica verbosità e quella singolare imprecisione di linguaggio e di pensiero che tanto spesso i critici stranieri rimproverano ai nostri scrittori di Filosofia.9

Precisione («argomentazioni precise») e minuziosità («ordine rigoroso») sono connotati stilistici dell’analitica vailatiana; l’inclusione del modello retorico delle scienze moderne nello strumentario analitico del pragmatismo è indiscutibile:

Pragmatisti e matematici si trovano pure d’accordo nella ricerca della massima concisione e della massima rapidità di espressione, nella tendenza ad eliminare ogni superfluità e ridondanza, tanto di parole che di concetti.10

Orientamento meta-filosofico vailatiano e movimento analitico novecentesco sono accomunati da a] interesse alla multi-culturalità, b] stile e c] istanze meta-discorsive. Il nostro autore è un analitico ante litteram? L’orientamento meta-filosofico dell’analitica novecentesca è descritto in maniera efficace dalle osservazioni, contenute nell’introduzione ad uno scritto rortyiano, di uno studioso italiano moderno:

Dopo la svolta linguistica quella che si usa chiamare filosofia analitica non si caratterizza per l’adesione a tesi filosofiche sostantive, ma per uno stile, in cui hanno gran parte definizioni e argomentazioni esplicite, l’uso di controesempi per invalidare proposte di soluzione, il ricorso […] alle assunzioni del senso comune e ai risultati delle scienze naturali e della matematica.11

Questa definizione storiografica indica l’esistenza di un nucleo di attribuzioni comuni all’intera tradizione analitica: a] un riferirsi ad aree conoscitive diverse, b] uno stile vicino alle tecniche retoriche delle scienze e c] un’analisi intesa come attività meta-discorsiva. Per l’interesse alla multi-culturalità (a) è sintomatica un’intuizione dell’ottima F. D’Agostini:

i pensatori analitici si occupano dei più svariati argomenti, dal diritto all’etica, all’estetica e all’arte; l’aspetto comune è che tali tematiche vengono sviluppate per lo più servendosi di un’indagine argomentativamente “rigorosa” dei significati e dei concetti in gioco, e che l’interesse di tipo “teoretico” o cognitivo appare dominante;12

le ricerche di tale tradizione si estendono con tecnica minuziosa a discorsi d’interesse universale da tutte le aree della conoscenza umana, intersecandosi e combinandosi senza limiti,13 i «modernissimi» dell’analitica (Chomsky / Rawls / Dworkin / Fodor) sembrando nascere dall’invito vailatiano a non limitarsi ad essere studioso «[…] il cui orizzonte intellettuale è strettamente limitato dai confini del particolare ramo di scienza che egli coltiva o professa, e nel quale nessun interesse o curiosità è destata da qualunque fatto o questione che da tali confini esca […]».14 La multi-culturalità è un tratto comune a tradizione di ricerca vailatiana e analitica. Lo stile (b) dell’analitica novecentesca si uniforma all’orientamento vailatiano verso «argomentazioni precise» e «ordine rigoroso». Per la dottrina recente

Le qualità distintive di tale stile sarebbero, principalmente: la scelta di argomenti molto limitati e circoscritti; un programmatico sforzo di chiarezza e di rigore argomentativo; l’umile convincimento, da parte del teorizzante, di appartenere a un’impresa comune […],15

e, nel caso concreto, tratti differenziali di tale tradizione sono un’attenzione intensa verso la «pratica razionale di problem solving»,16 un incedere «in base a definizioni, tesi ed esempi»17 e un ricorso radicale all’«immaginazione» («esperimenti mentali o di pensiero»; «condizionali controfattuali»; «ipotesi scettiche»);18 paradossalità, ricorso alla metafora come exemplum, amore verso condizionali controfattuali o attività euristica e interesse verso la risoluzione / dissoluzione di «falsi dilemmi» culturali sono tratti distintivi anche della tradizione vailatiana e calderoniana. Formulazione dell’ideale della minuziosità e della serietà dello stile della discussione filosofica coeva all’ultima riflessione di Vailati si osserva, aldilà di alcune asistematiche intuizioni brentaniane e husserliane, in un articolo russelliano. Russell scrive:

[…] vi sono state eccessive soluzioni eroiche in filosofia; un lavoro minuzioso è stato raramente introdotto, non si è avuta meticolosità […] il vero metodo, in filosofia come in scienza, sarà induttivo, meticoloso e non crederà che sia dovere del filosofo riuscire a risolvere da sé tutti i dilemmi filosofici;19

tale ideale accettato sia nel Manifesto (1929) del Wiener Kreis dove si ammette che «[…] meticolosità e chiarezza vengono perseguite, le oscure lontananze e le profondità impenetrabili respinte»20 sia, in maniera circoscritta, nell’attività culturale di Wittgenstein,21 sfuma all’interno dell’Ox-bridge Philosophy e cade con le critiche rortyiane o sulla scia delle conclusioni del volume collettivo Post-analytic Philosophy22 del 1985. L’orientamento stilistico verso «argomentazioni precise» e «ordine rigoroso» è secondo tratto comune a tradizione vailatiana e movimento analitico novecentesco. La trattazione del carattere della meta-discorsività (c) dell’analisi richiama alla nozione tugendhatiana di riflessività immanente. L’autore ceco asserisce:

Entro particolari condizioni si evidenzia così una difficoltà che la filosofia ha sempre dovuto affrontare quando ha cercato di definire se stessa: il problema di come essa debba determinare il suo rapporto con le scienze […] Questa particolare collisione con una determinata scienza empirica deriva per la filosofia moderna da ciò che è stato definito il suo carattere riflessivo. Essa concepisce le sue problematiche non nella diretta tematizzazione dei loro rispettivi oggetti, ma nella riflessione su come essi possono venir dati e diventare a noi accessibili,23

mettendo in stretta correlazione analisi come «procedura […] che consiste nello svolgere, esplicitare e scomporre ciò di cui si dispone»24 e dati (conclusioni, risultati, teorie) delle scienze e del senso comune. La riflessività dell’analisi è storicamente esito diretto del suo relazionarsi ad altri discorsi, o addirittura — con la recente svolta dell’analitica attuale verso cognitivism neisseriano e informatics chomskyiane- ad altri momenti comunicativi: la struttura stessa del Cours de Philosophie Positive di Comte mostra una Filosofia Positiva indirizzata ad ordinare metodi e contenuti delle varie scienze e a coordinarne i risultati; sulle orme della tradizione sassone-scozzese in Mill filosofia è «logic» intesa come analisi critica dei risultati di senso comune e scienze; essa tendenza rimane nel Neo-Positivismo viennese,25 venendo a scemare con Ox-bridge Philosophy e Quine. L’istanza meta-discorsiva è terzo, e ultimo, tratto comune a tradizione vailatiana e movimento analitico novecentesco. Pur essendo senz’ombra di dubbio analitico ante litteram, Vailati non è analitico senza riserve. Qualora si consideri il tema delle finalità dell’analisi, dall’analiticità vailatiana si otterrà una visione moderata meno vicina alla versione tradizionale dell’analitica moderna (analitica britannica e neo-Positivismo viennese) che alle riconsiderazioni del metodo analitico caratteristiche della seconda metà del secolo scorso: nelle versioni britannica e austriaca meta-discorso analitico è obiettivo unico della ricerca; in Vailati domina un deciso invito alla moderazione. Prima di tutto — a differenza di Calderoni26- analisi critica non è modello esaustivo di accostamento ai risultati delle scienze e del senso comune, ad ogni riflessione culturale concorrendo, in maniera simile, analisi, «coordinamento» e «comparazione»; e, in seconda battuta, l’analisi critica nel nostro autore si mostra mera tecnica introduttiva ad ulteriori attività conoscitive. La tesi assai attuale secondo cui l’analisi sarebbe unicamente strumento introduttivo ad una forma di ricerca meno circoscritta è contenuta in maniera indiscutibile in una straordinaria metafora calderoniana di tono vailatiano:

E invece appunto perché il non senso, come l’errore, tendono a rinascere continuamente come le erbe nei campi, che il pensatore e lo scienziato, simili in questo a falciatori, sentono ad intervalli il bisogno di sospendere il loro lavoro per rispianare e riaffilare i loro strumenti che, dal lavoro stesso, sono resi di tanto in tanto incapaci di servir al loro scopo.27

La tesi vailatiana ritorna nei contributi di molti critici moderni: rinasce con Austin,28 ed è viva in un buon numero di altri autori vicini a correnti non ortodosse del movimento analitico;29 non distante dalle conclusioni della Post-analytical Philosophy (introduttività della tecnica analitica) e della new epistemology (rilevanza del coordinamento tra teorie o del confronto tra metodi; ricorso alla storia delle scienze), l’analitica del pragmatismo italiano è da considerare radice moderata dell’analitica novecentesca tradizionale.

La vista di Vailati è orientata verso l’estero e verso il futuro: in direzione del fuori, creando e consolidando strette relazioni culturali con tradizioni di ricerca a matrice austro-tedesca (Mach e Brentano), francese (convenzionalismo), britannica (Russell e Welby) e americana (Peirce e James); in direzione del domani, affrontando e dominando materie o introducendo soluzioni caratteristiche dei successivi movimento analitico, Post-analytic Philosophy, new epistemology, ermeneutica, contestualismo americano e teoria critica tedesca. La sensibilità verso tematiche e interessi assai recenti rende Vailati uomo del Novecento e autore assai vicino al movimento analitico novecentesco; trait d’union tra Positivismi e neo-Positivismo, costui è un analitico ante litteram: adesione ad un accostamento multi-culturale alle domande dell’uomo, ricerca di modalità retoriche vicine allo stile delle scienze, riconoscimento della riflessività del discorso filosofico, intuizione della valenza clinica dell’analisi, idea della in-aleticità delle enunciazioni morali e dell’inesistenza dei disaccordi morali, attribuzione di valore emotivo ai discorsi morali mostrano d’essere tratti teoretici atti ad includere il nostro autore nel nucleo teorico della successiva tradizione di ricerca analitica. Tuttavia Vailati metabolizza con estrema immediatezza ciò che il movimento analitico arriverà a consumare unicamente nella seconda metà del Novecento: ammissione della mera introduttività della tecnica analitica, ricorso alla storia delle scienze o al raffronto tra metodi diversi, attenzione verso contesto storico e tradizione, e curiosità verso etica descrittiva e normativa sono invece tratti teoretici atti ad inserirlo nella rilettura critica introdotta dal movimento recente contro idee e nozioni dell’analitica esordiente. Poco fortunata in Italia, la tradizione del pragmatismo analitico assume ruolo di trait d’union — oltre che tra Positivismi e neo-Positivismo- tra cultura americana e ante-analitica ottocentesche; in una sorta di contaminazione tra tradizioni diverse continuata nel secolo scorso con l’International Encyclopaedia of Unified Science, tra strumentalismo americano (Dewey) e analitica (Wiener Kreis), o con la successiva riflessione rortyiana, tra neo-strumentalismo americano (Goodman; Putnam) e analitica contestualista (Quine; Davidson; Sellars). Vailati, come Morris o Rorty, si scopre abile e innovativo moderatore della tradizione analitica novecentesca.


  1. Giovanni Vailati nasce a Crema nel 1863. Di nobili natali, studia con i Padri Barnabiti inizialmente a Monza e successivamente a Lodi; sostiene l’esame di licenza liceale a Lodi e si iscrive alla facoltà di matematica dell’università di Torino. Laureatosi in matematica, collabora nel 1891 alla Rivista di matematica diretta da Peano e l’anno successivo diviene assistente di Calcolo infinitesimale all’Università di Torino; tra il 1896 ed il 1899 tiene tre corsi di storia della meccanica. Nel 1899, volendo dedicarsi con massima libertà ai suoi vasti interessi culturali, abbandona la carriera universitaria e chiede di entrare nella scuola secondaria; è docente nel liceo di Pinerolo (1899), a Siracusa (1899), a Bari (1900), a Como (1901-1904) e a Firenze. In Toscana inizia a collaborare assiduamente al Leonardo e nel novembre del 1905 è nominato, su richiesta di Salvemini, membro di una Commissione reale destinata alla riforma delle scuole secondarie. Nel 1908, mentre è a Firenze, si ammala; trasferitosi a Roma, vi muore la sera del 14 Maggio 1909. Per una minuziosa ricostruzione della vita di Giovanni Vailati si consulti M. De Zan, La formazione di Giovanni Vailati, Lecce, Congedo, 2009; in merito alle concezioni teoretiche si veda il mio recentissimo I. Pozzoni (a cura di), Cent’anni di Giovanni Vailati, Villasanta, Liminamentis Editore, 2009. D’ora in avanti i riferimenti testuali a Calderoni saranno indicati in base a M. Calderoni, Scritti, Firenze, La Voce, 1924, voll. I e II; e i riferimenti testuali a Vailati saranno indicati — a meno di avviso contrario- in base all’edizione curata da M.Quaranta G. Vailati, Scritti, Bologna, Forni, 1987, voll. I-II-III. ↩︎

  2. Cfr. G. Vailati, “F.Paulsen. Einleitung in die Philosophie” V Ediz., Berlin, W.Hertz, in “Rivista di Filosofia, Pedagogia e scienze affini”, I/II, n.2, Febbraio 1900, [vol.I, 224]. Il nostro autore scrive: «L’A. combatte come due errori egualmente dannosi tanto la credenza che le scienze possano durevolmente prosperare e progredire all’infuori di ogni impulso filosofico, quanto l’altra, che la filosofia possa essere coltivata con profitto e con decoro da chi non sia stato prima assoggettato a una severa disciplina scientifica e non si sia personalmente esercitato in qualche speciale indagine positiva». ↩︎

  3. Cfr. G. Vailati, Scienza e filosofia, in “Rivista Popolare di Politica Lettere e Scienze Sociali”, 15, anno VIII, Aprile, 1902, [vol.I, 4]. ↩︎

  4. Cfr. G. Vailati, “J.P. Durand (De Gros). Aperçus de taxinomie générale” Paris, Alcan, 1899, in “Rivista di Scienze Biologiche”, fasc. 1-2, Gennaio- Febbraio 1900, [vol.I, 212]. ↩︎

  5. Cfr. G. Vailati, “C.Guastella. Saggi sulla teoria della conoscenza” Palermo, Sandron, 1898, in “Rivista di Studi Psichici”, anno V, Novembre- Dicembre 1899, [vol.I, 172]. Funzione della filosofia è «[…] di impedire agli scienziati di rinchiudersi in concezioni troppo ristrette e di perdere coscienza della inevitabile precarietà e provvisorietà della maggior parte delle loro ipotesi fondamentali, non escluse quelle che furono, o sono temporaneamente, della più grande fecondità e utilità, predisponendoli ad accogliere con meno prevenzioni e disdegno, e con maggiore imparzialità, le nuove idee o suggestioni, quando anche esse sembrassero a tutta prima in contraddizione colle cognizioni o teorie più universalmente accettate». ↩︎

  6. Cfr. G. Vailati, Scienza e filosofia, cit., [vol.I, 3]. Questo articolo vailatiano non è assolutamente considerato nell’interessante scritto M.P. Negri, La storia delle scienze nelle ricerche di Giovanni Vailati, in M.De Zan (a cura di), I mondi di carta di Giovanni Vailati, Milano, FrancoAngeli, 2000, 192-222. Più riscontri ha lo scritto A. Quarta, Valore della scienza e compiti della filosofia secondo Vailati, in M.Quaranta (a cura di), Giovanni Vailati nella cultura del ’900, Bologna, Forni, 1989, 37-44. ↩︎

  7. Mario Calderoni nasce a Ferrara nel 1879. Fino alle scuole secondarie studia a Firenze e si laurea in Diritto nel 1901 all’Università di Pisa; collabora alle riviste Regno e Leonardo. Nel 1909 ottiene la libera docenza in morale a Bologna e nel 1914 si ritrasferisce a Firenze, dove tiene un corso sulla Teoria Generale dei valori. A causa di un drammatico esaurimento mentale, il nostro autore non termina il corso, e, abbandonata la docenza, trascorre a Rimini l’estate del 1914; tornato in autunno a Firenze e annunciata una continuazione del corso muore a soli 35 anni, ad Imola, il 14 Dicembre del 1914. Su Calderoni si consulti il mio volume I. Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano di Mario Calderoni, Roma, IF Press, 2009. ↩︎

  8. Calderoni considera senso comune come base di tutte le attività di ricerca della cultura umana; costui scrive: «Quando [i ricercatori] investigano, scoprono, dimostrano, essi trattano delle cose quali risultano dalla nostra sperienza, degli oggetti delle nostre percezioni: percezioni sono quindi tutti i loro dati […]» (M. Calderoni, Vediamo gli oggetti diritti o capovolti? , in “Rivista di Scienze Biologiche”, I, 7, Luglio 1899, [vol.I, 3- 4]). ↩︎

  9. Cfr. G. Vailati, Scienza e filosofia, cit., [vol.I, 3]. ↩︎

  10. Cfr. G. Vailati, Pragmatismo e logica matematica, in “Leonardo”, IV, Febbraio 1906, [vol.I, 72]. Procede l’autore cremasco: «Per gli uni e per gli altri il valore delle teorie e delle dottrine non va ricercato soltanto in ciò che esse dicono ma anche in ciò che esse tacciono e in ciò che esse si rifiutano di esprimere o di prendere in considerazione». ↩︎

  11. Cfr. R. Rorty, La volta linguistica, Milano, Garzanti, 1994, 9. Il volume contiene determinati studi rortyiani tra cui Metaphysical difficulties of linguistic philosophy, Why does language matter to philosophy e Twenty-five years after; l’Introduzione è a cura di D.Marconi. ↩︎

  12. Cfr. F. D’Agostini, Analitici e continentali, Milano, Cortina, 1997, 212-213. ↩︎

  13. Ne è ottimo documento il volume collettivo F. D’Agostini- N. Vassallo (a cura di), Storia della filosofia analitica, Torino, Einaudi, 2002. ↩︎

  14. Cfr. G. Vailati, “F.Paulsen. Einleitung in die Philosophie” V Ediz., Berlin, W.Hertz, cit., [vol.I, 224]. ↩︎

  15. Cfr. F. D’Agostini, Che cos’è la filosofia analitica?, in F.D’Agostini- N.Vassallo (a cura di), Storia della filosofia analitica, cit., 16. ↩︎

  16. Cfr. ivi, 19. Precisa successivamente l’autrice: «In effetti, il lavoro di Wittgenstein e di tutti i filosofi analitici è consistito essenzialmente nell’esame approfondito di problemi più o meno tradizionali della filosofia, in vista della loro soluzione o dissoluzione». ↩︎

  17. Ibidem↩︎

  18. Cfr. ivi, 19-20. ↩︎

  19. Cfr. B. Russell, Le réalisme analytique, in “Bulletin de la société française de philosophie”, II, 1911, 53-82. ↩︎

  20. Cfr. H. Hahn- R. Carnap- O. Neurath, La concezione scientifica del mondo, Laterza, Bari, 1979, 74. ↩︎

  21. Costui esclama: «[…] al posto delle congetture turbolente e delle spiegazioni forniamo pacate esposizioni» (L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus (1918), trad.it. Trattato logico-filosofico, Torino, Einaudi, 1968, 98). ↩︎

  22. Cfr. J. Rajchman- C. West, Post-analytic philosophy, New York, Columbia University Press, 1985. ↩︎

  23. Cfr. E. Tugendhat, Vorlesungen zur Einfuhrung in die sprachanalytische Philosophie (1976), trad. it. Introduzione alla filosofia analitica, Genova, Marietti, 1989, 12. ↩︎

  24. Cfr. F. D’Agostini, Filosofia Analitica, Paravia, Torino, 1997, 43. ↩︎

  25. È il caso di Carnap che, sottolineando una netta subordinazione della filosofia alle scienze, scrive «Questo filosofare si svolge in stretta connessione con la scienza empirica […] non viene più riconosciuta una filosofia come particolare settore di conoscenza, aldilà della scienza empirica» (R. Carnap, Die alte und die neue Logik, trad.it. La vecchia e la nuova logica, in “La filosofia della scienza”, La Scuola, Brescia, 1964, 3); è anche il caso di Schlick che, difendendo la tesi contraria, riconosce la filosofia come «[…] die Koenigin der Wissenschaften […]» (M. Schlick, Die Wende der Philosophie, trad.it. Tra realismo e neoPositivismo, in A.Pasquinelli (a cura di), Il neoempirismo, Bologna, Il Mulino, 1974, 56). ↩︎

  26. Cfr. M. Calderoni, La filosofia ed il diritto, in “Leonardo”, III, Ottobre- Dicembre 1905, [vol.I, 279]. Non di rado accade che l’autore ferrarese introduca uno dei cardini del suo orientamento meta-filosofico all’interno di una riflessione sul diritto: «Parole possono trovarsi a significare esattamente il contrario di quello che anticamente significavano […] o che ancor oggi, in taluni contesti, significano. Lo stesso, in una certa misura, può dirsi delle parole diritto e giustizia. Il diritto ora significa puramente le leggi, ora tutte quante le norme, tacite od espresse, che governano la vita di un popolo, ora invece quelle che dovrebbero governarle: talora la semplice aspirazione di un singolo, talora la volontà di un principe, di una classe dirigente, di un parlamento». ↩︎

  27. Cfr. M. Calderoni, Il Pragmatismo e i vari modi di non dir niente, in “Rivista di Psicologia applicata”, V, 4, Luglio- Agosto 1909 in collaborazione con G. Vailati, [II, 160]. L’idea è di derivazione vailatiana, dove si consideri una antecedente e altrettanto straordinaria intuizione dello studioso cremasco: «Se vi è infatti un carattere che distingua la scienza in genere dalla filosofia, mi pare che esso appunto consista in ciò, che compito di quest’ultima non è tanto di fare delle scoperte quanto piuttosto di prepararle, di provocarle, di farle fare, contribuendo con l’analisi, colla critica, colla discussione a sgomberare la via che ad esse conduce, e fornendo i mezzi o gli strumenti (organa) richiesti per superare gli ostacoli che rendono difficile progredire in essa» (G. Vailati, “L. Stein. An der Wende des Jahrhunderts, Versuch einer Kulturphilosophie. Freiburg, Mohr, 1899”, in “Rivista filosofica”, 2, Marzo- aprile, 1901, [vol.I, 251]). ↩︎

  28. Cfr. J.L. Austin, Philosophical Papers (1971), trad.it. Saggi filosofici, Milano, Guerini, 1990, 175. L’autore scrive: «Le parole sono i nostri strumenti, e, come minimo, dovremmo usare strumenti puliti: dovremmo sapere che cosa significano e cosa non significano, e dovremmo premunirci contro le trappole che il linguaggio ci prepara»; l’articolo austiniano A plea for excuses trova scarsa continuazione nelle successive riflessioni culturali di Searle e Strawson. ↩︎

  29. È il caso di Frankena che in etica sostiene «[…] assumeremo che l’etica si occupi primariamente di fornire le linee generali di una teoria normativa che ci aiuti nella soluzione dei problemi in merito a ciò che è giusto o si deve fare, e che sia interessata ai problemi meta-etici e soprattutto perché sembra sia necessario risolvere tali problemi prima di poter essere completamente soddisfatti della propria teoria normativa» [W. Frankena, Ethics (1973), trad.it. Etica, Segrate, Ed. Comunità, 1996, 50/51]; e ciò avviene anche in un autore caratterizzato da un sentimento di amore / odio nei confronti del movimento analitico come Mackie che, in J.L. Mackie, Truth, probability and paradox, Oxford, Clarendon Press, 1973, VII, asserisce «la filosofia, se vuole rimanere efficace, deve essere analitica; ma l’analisi concettuale non esaurisce l’intera ricerca filosofica […] il fine ultimo è di progredire in questioni concrete, di rendere effettivi i nostri concetti di fronte alla realtà o di vedere come essi possano divenire effettivi, e non solo di analizzare o chiarire i concetti». ↩︎