Libertà e diritto penale nella riflessione del pragmatismo analitico italiano

1. I Postulati della scienza positiva ed il diritto penale

Prosecuzione anonima e concretizzatrice della narrazione vailatiana su morale e diritto,1 la tesi di laurea di Mario Calderoni intitolata I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale (1901)2 introduce un’analisi culturale ricchissima di riferimenti al diritto e immersa nello scenario storico del conflitto ottocentesco tra determinismi ed indeterminismi. Il dibattito tra scuola classica italiana (classici) e Positivisti sulle condizioni teoretiche del diritto criminale evidenzia il tentativo «conciliazionista» calderoniano di mediare tra due diversi modi di intendere libertà, sanzione e metodo scientifico, ricorrendo ad un uso attento della ri-definizione3 tanto caro a Vailati e all’intera analitica novecentesca. Per G. Ponti — nell’interessante introduzione storica al suo Compendio di Criminologia4- scuola classica del diritto criminale (Carmignani; Rossi; Carrara) e Positivisti (Ferri; Lombroso; Garofalo) calcano nuclei teoretici alternativi: i classici italiani — rievocati dalle moderne tendenze neo-classiche del Justice Model for Corrections statunitense5- caratterizzano il loro point of view nei confronti del diritto criminale in base a a] riconoscimento del «libero arbitrio», b] considerazione della sanzione come «tutela» e c] rivendicazione del delitto come entità astratta; i Positivisti — sulla scia dell’antiformalismo tedesco (Jhering) e francese (Geny) o dei moderni ius-realismi statunitense e scandinavo6- investono su a] riconoscimento di un nesso di necessità causale tra delitto e circostanze ambientali, b] considerazione della sanzione come «difesa sociale» e c] rivendicazione del delitto come mero fatto (Durkheim). Pescando dalla metodica analitica lo strumento della ri-definizione — mutuato dal maestro Vailati7 e riassunto con estrema abilità nella recensione al volume I presupposti filosofici della nazione del diritto di Del Vecchio —,8 Calderoni avvia un tentativo di «conciliazione» tra scuola classica e Positivisti, in cui «la riflessione sul libero arbitrio e il diritto di punire costituisce la premessa per affrontare con un chiaro apparato concettuale l’ulteriore questione dei metodi di studio del diritto penale»,9 attraverso un’esaustiva ridiscussione dei binomi libertà/causazione (momento di attribuzione del delitto), tutela/difesa (momento di esecuzione della sanzione) e metodo astratto/concreto (momento di determinazione del delitto). Prima d’indicare distinzioni di contenuto tra i due contendenti dottrinari, il nostro autore riconosce:

Due sono i punti teorici fondamentali nei quali la scuola positiva si pone come avversaria alla classica. L’uno è rappresentato dalla questione del libero arbitrio, l’esistenza del quale la scuola “classica” postula come fondamento della imputabilità, mentre è dall’altra scuola negata. L’altro punto è la “giustificazione” del diritto di punire, che l’una pone nella giustizia, l’altra nell’utilità, nella necessità in cui si trova la società di difendersi dai suoi nemici.10

1.1. Libertà e causazione

Nei Postulati il nostro autore si accoda al cammino vailatiano sulla strada della definizione di «libero arbitrio»,11 riconnettendo in modo indissolubile i termini “libertà”, “volontà” e “causalità” nell’asserzione:

Se noi ricerchiamo qual è la ragione dell’interesse e della passione di cui la questione del libero arbitrio è stata in ogni tempo l’oggetto, non ci sarà difficile vedere ch’essa sta principalmente nell’enorme importanza pratica del problema della responsabilità. L’intima connessione fra questo e la libertà del volere è insieme un dato del senso comune, un risultato della riflessione filosofica, e un prodotto dell’evoluzione del diritto […] Una conveniente trattazione del tema della responsabilità non potrebbe quindi andar disgiunta da una discussione, per quanto sommaria, della celebre questione detta del “libero arbitrio”.12

Per Calderoni il binomio libertà/causazione è una delle matrici del conflitto culturale tra scuola classica e Positivisti13: mentre i secondi sembrano accostarsi ad una visione deterministica della società e del mondo, orientata a riconoscere l’annichilimento dell’autonomia individuale e dell’etica tradizionale, i classici avanzano una visione indeterministica, attenta ad individuare nell’azione umana una decisiva interruzione della catena causale. L’antitesi teoretica moderna tra determinismo14 ed indeterminismo15 trova radici storiche anche nel confronto ottocentesco sulla causalità tra scuola classica e Positivisti:

Si tratta infatti di sapere se “l’uomo possa determinarsi da sé ad agire in un modo piuttosto che in un altro, se possa scegliere liberamente il male ed il bene, e se perciò possa essere ritenuto responsabile dei propri atti” […] Secondo l’opinione più generale, la questione «se l’uomo possa determinarsi ad agire» si identifica con quella della causalità nelle umane azioni: se cioè all’uomo, in quanto è dotato della facoltà di volere, sia applicabile il principio di causalità;16

a detta del nostro autore è sostenuto dalla scuola classica un orientamento indeterministico secondo cui «l’uomo solo […] sfugge alla legge di necessità che governa tutti quanti gli altri esseri»,17 combattuto da coloro che «facendosi forti di tutto il movimento scientifico moderno ed asserendo l’impero della causalità anche nel campo delle umane azioni»18 comunicano una visione deterministica dell’azione. Poiché «il linguaggio ha un valore essenzialmente sociale, quasi direi pubblico, e a nessun singolo è lecito farlo variare arbitrariamente»,19 Calderoni mediante un’attenta analisi semantica nei confronti dei termini “libertà” e “causalità” arriva a sostenere l’insensatezza del binomio teorico libertà/causazione:

La fusione del problema del fatalismo con quello della “causalità delle umane azioni” è stata ed è prevalentemente favorita dalla non sufficiente accuratezza nell’accertare che cosa si intende dire colle parole causa, necessità, libertà.20

La vagueness del termine “libertà” ha derivazione storica, avendo assunto esso vocabolo accezioni diverse nell’evoluzione della cultura: a] libertà come volizione e b] libertà come volizione incausata.21 La cultura ellenica classica introduce una concezione rudimentale di volizione, indirizzata a connotare in senso indeterministico la nozione di libertà.22 Distaccandosi dalle discussioni antiche su bene e felicità,23 è la scolastica medioevale — a detta di Calderoni24- ad attribuire senso di volizione incausata al termine «libero arbitrio»; essa nuova definizione di libertà si convalida alla luce della necessità culturale di addurre motivazioni in merito all’esistenza del male. Calderoni scrive:

Per farsi un’idea di come sia sorta e si sia radicata l’opinione che alla possibilità di una imputazione morale sia necessaria una libertà consistente nell’indipendenza di ogni causalità, bisogna tener conto della parte importantissima rappresentata dal “problema del libero arbitrio” nella teologia cristiana […] La divinità è anzitutto concepita come “spiegazione” suprema dell’universo, come suprema verità, ed è considerata come la causa prima ed il sostrato essenziale di tutti i fenomeni […] la divinità personifica e rappresenta il principio e la sanzione morale suprema, il fine di ogni esistenza, la sua giustificazione;25

dove tutto derivi da Dio, ciascuna azione dannosa scaturirà in ultima istanza dalla natura divina, evidenziando una relazione diretta tra Dio e male. Per motivare l’esistenza del male nella realtà effettiva del mondo senza attribuirlo alla divinità, la scolastica medioevale riconverte l’ontologia di Platone all’uso di dimostrare come esistano diverse aree d’universo: una vicina a Dio, e caratterizzata dall’ordine ed armonia divine; un’altra distante da Dio, caratterizzata da disordine e casualità.26 Libertà è intesa come arbitrio incausato, nel tentativo umano di non ricondurre immoralità e male alla divinità:

Insomma, fu soprattutto la difficoltà di conciliare l’esistenza troppo evidente del male nel mondo, colla credenza, troppo preziosa, nella prescienza e nella giustizia divina, quella che rese necessaria l’introduzione di un’ipotesi che, come questa del libero arbitrio, sgravasse da una parte il creatore dalla taccia di aver creato un mondo imperfetto e pieno di miserie di ogni genere, e dall’altra attribuisse a queste il carattere di punizioni o espiazioni, provocate e rese necessarie dalle disubbidienze e dai peccati degli uomini.27

Dal rifiuto di attribuire validità alla nozione di volizione incausata e rilevando come ciascuna azione umana sia causata, la scienza moderna arriva a sostenere l’inesistenza del «libero arbitrio»; il nostro autore asserisce:

Per noi, che siamo oggi portati a vedere nella apparente assenza di cause determinanti piuttosto un segno della nostra ignoranza che non dell’irregolarità della natura, tale concetto di una irredimibile contingenza può non parere accettabile. La parola contingenza, se rimanesse nel nostro vocabolario filosofico, non designerebbe se non quei fatti che, per la complessità e il numero delle loro cause […] ci è impossibile, allo stato attuale delle nostre cognizioni, di prevedere […] In questo senso — nel senso di una maggior complessità di cause- si può dire, senza timore di sollevare contestazioni, che le azioni volontarie rientrano nella contingenza. Ma oggi in generale, per la nostra educazione scientifica, siamo poco disposti ad ammettere che vi sia una porzione dell’universo, ove la legge e l’ordine non estendano il loro dominio […],28

ravvisando una netta contraddizione tra volizione incausata della scolastica medioevale e totalitarismo causale delle moderne scienze naturali o sociali. Per descrivere i meccanismi storici d’irrimediabile intersecazione dei concetti di volontà e causalità nella definizione di «libero arbitrio», Calderoni ammette:

La parola volontà poteva […] connotare indifferentemente l’attributo della volontarietà e quello della mancanza di causalità. Ma quando cambiò il modo di considerar la natura dell’azione volontaria; quando si suppose o si credette dimostrato che anche di essa potevano rintracciarsi le cause; ne venne che chi al nome libertà faceva corrispondere soprattutto il secondo degli attributi si credette poter affermar legittimamente che l’uomo non fosse libero, e conseguentemente anche che non fosse neppur responsabile delle proprie azioni.29

Il senso del termine “causalità” — come nel caso della “libertà”- non è univoco nella storia della scienza; tale nozione sottende due accezioni in momenti storici diversi: a] misteriosa costrizione dell’antecedente sul successivo e b] successione uniforme tra accadimenti. L’intendere “causazione” come misteriosa costrizione esercitata dall’antecedente sul successivo, senza tenere conto delle intuizioni humeiane30 e milliane,31 è — insieme all’ammissione dell’identificazione scolastica tra libertà e volizione incausata- motivo del dissenso della scienza moderna meno accorta nei confronti della nozione di «libero arbitrio». Nella sua difesa del «libero arbitrio» Calderoni aderisce alla celebre definizione milliana — contenuta nel System of Logic — della causazione come mera successione tra accadimenti:

Molti non credono affatto — egli dice — e pochissimi sentono praticamente che non v’è nella causalità nulla oltre ad una invariabile, certa ed incondizionale successione. Pochi sono coloro ai quali la semplice costanza di successione appaia un vincolo di unione abbastanza stringente per un rapporto di natura così speciale come quello di causa ed effetto. Anche se la ragione lo ripudia, l’immaginazione conserva il sentimento di una connessione più intima, di un qualche strano legame o misteriosa costrizione esercitata dall’antecedente sul conseguente;32

nella trattazione culturale di costui, si conciliano accostamento alla concezione aristotelica di volizione e visione accorta della causalità.33 La diatriba tra scuola classica e Positivisti viene ridimensionata. Nella loro critica alla versione scolastica di libertà come volizione incausata, i Positivisti non intaccano la reale concezione della scuola classica, orientata all’accettazione della visione aristotelica di libertà (volizione causata da stati interni); Calderoni si incammina sulla strada corretta scrivendo:

Quando si scopre l’errore, cioè si riconosce che una data proprietà non è affatto caratteristica di un dato oggetto, una scelta si impone: o si mantiene il nome di prima a quel gruppo di oggetti, rifiutando d’ora innanzi la definizione che se ne dava mediante quella proprietà; o si seguita a ritenere quella proprietà essenziale all’applicabilità del nome, affermando così che il tal gruppo di oggetti non merita più tal nome.34

Perché non continuare a ritenere essenziale l’attributo dell’incausazione, nel caso del «libero arbitrio»? Perché nell’everyday life la distinzione scientifica tra atti liberi e non liberi è da considerarsi irrinunciabile:

La distinzione fra atti liberi e non liberi è una distinzione che ci serve continuamente nelle vicissitudini quotidiane. Tutti noi profferiamo continuamente giudizi sulla libertà nostra o l’altrui, valutiamo l’innocenza o la colpevolezza di questo o di quell’individuo, ne ricerchiamo le scuse, le attenuanti o le aggravanti, senza mai aver ragionato se le nostre affermazioni implichino la negazione della causalità […] Sarebbe assurdo il pensare che tali giudizi siano privi di senso, e che i termini corrispondenti meritino addirittura di essere cancellati dal nostro vocabolario scientifico.35

Prendendo in considerazione una connotazione inconsistente di libertà, i diktat della scienza moderna meno accorta in merito all’inesistenza del «libero arbitrio» smarriscono validità teoretica sul cammino della critica nei confronti della scuola classica; Calderoni — sulle orme del James di The Dilemma of Determinism- rimarca la necessità di un tentativo di riconciliazione tra determinismo ed indeterminismo idoneo a neutralizzare eventuali obiezioni alla nozione classica di libertà come volizione causata, salvando il valore del «libero arbitrio» nella distinzione tra atti volontari ed involontari caratteristica dell’everyday life.

1.2. Libertà e sanzione

La diatriba tra Positivisti e scuola classica trova una seconda radice teoretica nel binomio tutela/ difesa sociale (momento di esecuzione della sanzione). Mentre i classici attribuiscono enorme valore alla nozione di «tutela» dell’offeso e dell’offensore nell’ordinamento,36 è introdotta dai Positivisti un’innovativa definizione di sanzione come «difesa sociale».37 Nel tentativo di dimostrare che «molte controversie si potrebbero evitare, se chi combatte una dottrina si proponesse sul serio di comprenderla completamente, e se, anziché scegliere questa o quell’affermazione staccata di questo o di quell’autore, per avere facile giuoco di demolirla, si curasse di considerare la teoria avversa nella sua coerenza logica e nella sua forma più accettabile»,38 Calderoni subordina i termini “difesa sociale” ad esaustiva analisi:

La posizione assunta dalla scuola positivistica di fronte a quella classica […] è nettamente utilitaria. Essa pretende bandire dalle proprie considerazioni ogni idea di merito o di demerito, si propone di fare astrazione da ogni fine etico, e pretende di fondare la necessità della pena nel solo criterio della pericolosità del delinquente, convertendo quindi il diritto di punire nella semplice necessità o utilità per la società, simile in questo a qualsiasi organismo vivente nella natura, di difendersi da chi ne minaccia l’esistenza o il benessere,39

smascherando i fondamenti utilitaristici della concezione etica del Positivismo. Pur se tacciata di invalidità teoretica, la nozione di «difesa sociale» dei Positivisti — a detta del nostro autore — nasconde sensi molto simili al concetto di «tutela» caratteristico della scuola classica italiana del diritto criminale; «difesa sociale» e «tutela» condividono caratteristiche semantiche comuni. Benché nasca da decise istanze di rifiuto del «libero arbitrio», l’idea di «difesa sociale» nel suo utilitarismo riconosce a ciascun individuo idoneità e volontà a determinare coerenti orientamenti d’azione; Calderoni asserisce:

La negazione del libero arbitrio lascia impregiudicata ogni questione di morale umana e sociale. Ma anche se ciò non fosse […] avverrebbe ad ogni modo per essere stato dimostrato che sia per l’uomo impossibile proporsi qualunque fine ed attuarlo; non soltanto i fini morali in particolare. Non solo il bene morale, ma anche l’utile dovrebbe essere bandito dal campo delle giustificazioni; la parola stessa giustificazione cesserebbe anzi di aver qualsiasi significato,40

scindendo con cura utilitarismo e determinismo, nel momento in cui esistenza di attività umane orientate sia condizione necessaria all’utilità della «difesa sociale». Entrambi i concetti non riescono a rinunziare all’ideale del «libero arbitrio», identificando unicamente nell’individuo colui che determini i fini (retti o utili) dell’azione. Poiché «la società negli organi che la rappresentano o sono creduti rappresentarla, si difende contro l’azione che viola quei principi ch’essa ritiene indispensabile siano rispettati»,41 «tutela» e «difesa sociale» sono entrambe reazioni della società contro chi abbia violato il diritto in via antecedente; e, infine, coi medesimi sistemi di motivazione, sono entrambe critiche nei confronti delle ulteriori tradizionali teorie della sanzione nel moderno diritto criminale (retribuzione morale; intimidazione mediante esecuzione; emenda). Contro chi desideri restituire male (sanzione) a male (delitto) nell’enunciazione di una concezione retributivista del diritto criminale,42 è comune a scuola classica e Positivisti una critica di discrezionalità.

Ma un tal giudizio richiede un giudice onniveggente ed infallibile […] Nel fatto, siccome la giustizia terrena è amministrata da uomini atti ad ingannarsi ed a peccare, la teoria del perfetto adattamento del castigo al demerito è stata la fonte dei peggiori abusi. Essa è quella, che, abbandonando al giudice una discrezione illimitata, è stata uno dei più validi sostegni del sistema inquisitorio di procedura,43

condivisa dalla cultura del novecento.44 Nei confronti di chi consideri l’esecuzione della sanzione come unico incentivo all’astensione dal delitto nell’enunciazione di una visione intimidativo-esecutiva del diritto criminale45 («teoria dell’esemplarità della pena»), è viva in entrambi i casi un’accusa di assurdità:

la teoria della esemplarità potrebbe legittimare anche la condanna del pazzo e di chi ha agito per forza maggiore, e perfino quei giudizi contro gli animali e le cose che furono comuni nel Medio Evo,46

senza contare ch’essa rischierebbe d’introdurre il valore della condanna dell’innocente47 come incentivo verso la comunità a non commettere reati. Contro chi desideri rieducare il reo allontanandolo dalla vita criminale nell’enucleazione di una concezione emendativa,48 è condivisa da «tutela» / «difesa sociale» una critica d’incertezza:

L’emenda del reo […] viola l’esigenza che la pena sia certa, nonché l’altra ch’essa sia spiacevole e dolorosa. L’emenda non potrebbe ottenersi se non coi buoni trattamenti […],49

non ritenuta tuttavia valida dai valori accolti dall’articolo 27 della Costituzione italiana, che recita «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».50 Calderoni converte tali affinità di contenuti tra «tutela» e «difesa sociale» in adiacenza semantica, sostenendo:

Nel fatto, se la difesa della società come giustificazione del diritto di punire si presenta come un aspetto così plausibile, è appunto in grazia alla sua grande elasticità. Se interpretata con sufficiente larghezza, tutti, compresi i classici, si possono trovare d’accordo nell’accettarla. Ma la dottrina classica ci offre, a mio avviso, una concezione assai più maturata […] ;51

in base alla c. d. norma di economicità delle teorie,52 una minore indeterminatezza assicura massima desiderabilità alla concezione della scuola classica. La scelta calderoniana di sostenere i valori della «tutela» classica non sminuisce interessi e istanze di riforma sociale dei Positivisti:

il movimento positivistico deve piuttosto considerarsi come un tentativo di completare ed integrare l’indirizzo fin qui prevalente nel diritto penale, di spingerlo più velocemente in una direzione già presa, di additarne certe lacune e di colmarle, senza per questo rinunciare ai benefizi dall’indirizzo prevalente presi più specialmente di mira […] Ciò può portare una trasformazione, nella legge stessa, nel senso di darle una maggior specializzazione, nonché nell’ufficio del giudice, aumentando la sua discrezione, perché egli possa tener conto di quella relatività che tutti i fenomeni posseggono.53

Pur nel tentativo di riconciliazione tra «tutela» e «difesa sociale», il nostro autore introduce nei Postulati una interessante motivazione della sanzione criminale, asserendo:

Ma la difesa della società, se così chiamar si vuole, non si esercita contro un uomo libero (dotato di volontà) allo stesso modo con cui si eserciterebbe contro un pericolo naturale, un animale furioso, un pazzo infrenabile. Contro questi agenti (un animale furioso; un malato mentale) la sola maniera di provvedere è di porre impedimenti fisici all’effettuazione del danno. Ma sull’uomo libero, suscettibile di essere influenzato da motivi, capace pertanto di astenersi da una azione in vista delle conseguenze che questa porterà su di lui o su altri, è possibile agire per via morale. Nuovi motivi possono essere presentati od imposti alla sua considerazione… Questi motivi […] possono anche consistere nella minaccia di un male effettivo per l’agente, la quale chiami a raccolta, ove i sentimenti socievoli ed altruistici non bastino, anche i sentimenti egoistici a distogliere l’individuo dalla violazione del diritto. Così nasce la necessità della pena […] definita […] come quel complesso di conseguenze dolorose artificialmente annesse a date azioni volontarie dalla legge o dalla pubblica opinione allo scopo di diminuirne il numero e di tranquillare la coscienza sociale.54

La «volontarietà» come atto causato da credenze entra di diritto nella definizione di delitto e sanzione: minaccia di una sanzione altro non sarebbe che motivo di inibizione dell’azione criminosa o incentivo a non violare il diritto criminale, agendo come credenza atta ad incidere sulla volontà individuale.55 La concezione di Calderoni è molto vicina alla teoria dell’intimidazione mediante minaccia normativa diffusa nel mondo tedesco da Feuerbach56 e accolta in Italia da Romagnosi.57

1.3. Libertà e metodo

La terza radice teoretica del conflitto tra scuola classica e Positivisti consiste nell’esistenza di una netta diversità in merito alle modalità di intendere i metodi della scienza criminale. Il binomio astratto/ concreto tradotto, in termini ottocenteschi, nel binomio deduzione/ induzione nasconde un dilemma di classificazione delle scienze, nella costituzione della tradizionale distinzione tra scienze descrittive e normative.58 I Positivisti condividono una concezione di metodo59 mutuata dalle scienze naturali, orientata al riferimento concreto (attenzione ai fatti) e incentrata su attività induttive (osservazione e controllo di fatti) ;60 i classici si richiamano invece ad una concezione di metodo61 mutuata dalla morale, orientata all’astrazione (attenzione ai simboli) e incentrata su attività deduttive (sistematizzazione e schematizzazione di concetti).62 Per dimostrare come tale distinzione tra astrattezza e concretezza scientifiche si inserisca nel novero dei «falsi dilemmi» della cultura umana, Calderoni — su orme vailatiane63 — mette sotto esame il metodo delle scienze naturali adottato dai Positivisti; costoro — a detta del nostro autore — attuano nei confronti della scienza criminale un eversivo riduzionismo metodologico, assimilando metodo delle scienze criminali e metodo delle scienze naturali nella loro descrizione delle attività svolte dall’uomo di diritto. Calderoni scrive:

Il metodo di cui i positivisti propugnano l’adozione anche nelle discipline penali è, com’è noto, quello stesso delle scienze naturali, “positive”; cioè l’osservazione e, entro certi limiti del possibile, lo sperimento […] ,64

assumendo come costoro — a differenza dei classici — considerino osservazione e controllo come momenti centrali nell’attività dello scienziato criminale, senza accennare a momenti connessi ad attività d’astrazione. Ma nel momento in cui sia necessario valutare e indirizzare condotte umane, osservazione e controllo non si mostrano sufficienti a caratterizzare l’attività dello scienziato:

Se una cosa debba o non debba essere, è questione in cui la scienza non ha nulla che fare. Se una pena sia o no conveniente, giusta, opportuna, è cosa che solo il nostro “sentimento” può decidere […] In altre parole, anche dopo che la scienza, l’uso del metodo positivo, ci ha mostrati i mezzi necessari ove si voglia raggiungere il fine, resta sempre adito al giudizio etico se valga la pena di adottarli in vista del medesimo;65

nel diritto criminale osservazione e controllo non riescono a rinunziare ad attività valutative, immettendo nello strumentario dello scienziato meccanismi di astrazione come constatazione di affinità/differenze e elaborazione di medie:66

E le scienze stesse che hanno per oggetti i fatti procedono per due vie principali: la constatazione delle somiglianze e la determinazione di medie: processi nei quali l’astrazione si trova continuamente implicata.67

Entra nuovamente in azione l’istanza riconciliatrice di Calderoni, in base a cui non vi sarebbe alcuna diversità teoretica insanabile tra concezione astratta (scuola classica) e concreta (Positivismo) del metodo della scienza criminale. La distinzione tra scienze naturali e scienze normative, incentrata sull’ammissione della validità teoretica dei binomi descrizione/valutazione e concretezza/astrazione, viene a cadere nella definizione calderoniana di scienza criminale; secondo Vailati e Calderoni: a] v’è valutazione nelle scienze naturali («arbitrario») e b] v’è astrazione nelle scienze naturali (affinità/differenze e medie). La moderna scienza criminale nasconde un metodo misto induttivo/ deduttivo, caratterizzato dal ricorso dominante allo strumentario delle c. d. scienze normative (astrazione / deduzione / valutazione) e da un uso meramente accessorio del metodo delle scienze naturali (concretezza / induzione / descrizione): nella scienza osservazione e controllo sono condizioni teoretiche di sistematizzazione e schematizzazione.68 L’errore dei Positivisti consiste nel non esser riusciti a discernere natura e carattere misti del metodo delle scienze criminali:

Crediamo che se i positivisti forse non hanno recato tutto il vantaggio che possono recare, se si sono attirata da parte dei classici un’antipatia e una ripulsione eccessiva, ciò è dovuto al fatto ch’essi non hanno saputo sempre discernere la parte sana delle loro dottrine, ch’essi hanno interpretato il positivismo in modo troppo angusto e parziale, traendone conseguenze affrettate ed estreme e mancando di quello spirito conciliativo ed equanime, senza il quale ogni collaborazione scientifica è impossibile;69

ed è un errore ricostruttivo connesso al rischio temibile che

i seguaci della nuova scuola, col voler ridurre senz’altro il giudizio penale ad un libero esame della temibilità dell’individuo, tolgono senza essere forse abbastanza consci della gravità di ciò che propongono, una delle più valide garanzie di libertà individuale […] essi tendono in pratica a rinnovare le forme più schiette del procedimento inquisitorio, col subbiettivismo, coll’arbitrio eccessivo del giudice, colla pena indeterminata e straordinaria e la confusione delle parti in giudizio.70

Pur se tale analisi minuziosa del binomio astratto/concreto non bastasse, sarebbe l’esistenza di un sovra-valore connaturato alla tradizione continentale del diritto (certezza) a dirimere il conflitto tra valori d’astrattezza e valori di concretezza; Calderoni asserisce infatti:

Il diritto, come disse Vico, ha bisogno anzitutto del certo; ora il certo non si può ottenere se non fissando dei limiti e delle categorie generali ed astratte,71

senza dimenticare come aderire ai metodi della scuola classica moderata non coincida col rifiutare in blocco istanze e intuizioni dei Positivisti.72

2. Conclusioni

Calderoni scrive i suoi Postulati in scia al manifesto analitico vailatiano73 dello scritto Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia della scienza e della cultura:

Anzitutto non è raro il caso di importanti e decisivi progressi scientifici che ci appariscono come determinati o, a ogni modo, provocati, dall’esplicarsi di controversie che a noi sembrano riferirsi soltanto al significato che si doveva o no dare a una determinata frase o parola, di controversie cioè che non avrebbero potuto aver luogo, o sarebbero state immediatamente risolte, se quelli che vi presero parte si fossero dati fin dal principio la pena di ben definire i termini di cui si servivano, in modo da rendere impossibile ogni equivoco sulla portata reale delle loro rispettive asserzioni.74

Per Vailati analisi è analisi semantica, indirizzata a smascherare i récits culturali dai c. d. «falsi dilemmi» scaturenti dalla naturale vagueness dei discorsi umani (ordinari e tecnici) e a combattere ciò che di metafisico è in essi contenuto; e criterio d’analisi è la c. d. norma di Peirce, moderata dalle conclusioni anti-atomistiche dell’epistemology francese. L’antitesi teoretica sul diritto criminale tra scuola classica e Positivisti è edificata su una serie di «falsi dilemmi»:

a] distinzione libertà/causazione (momento di attribuzione del delitto): nella loro critica alla versione scolastica di libertà come volizione incausata, i Positivisti non intaccano la reale concezione della scuola classica, orientata all’accettazione della visione aristotelica di libertà (volizione causata da stati interni).

b] distinzione tutela/difesa (momento di esecuzione della sanzione): i termini «difesa sociale» dei Positivisti nascondono sensi molto simili al concetto di «tutela» caratteristico della scuola classica, condividendo «difesa sociale» e «tutela» caratteristiche semantiche e affinità di contenuto.

c] distinzione astratto/concreto (momento di determinazione del delitto): i tentativi ottocenteschi di suddivisione tra scienze naturali e scienze normative, incentrati sull’ammissione della validità teoretica dei binomi descrizione/ valutazione e concretezza/astrazione, vanno a cadere se si introduca una definizione di scienza criminale atta ad ammettere che vi siano valutazione e astrazione nelle scienze naturali.

Questa moderna visione di analisi come therapy, indirizzata a curare i «bernoccoli che l’intelletto si è fatto cozzando contro i limiti del linguaggio»75 instrada i tentativi riconciliazionisti di Calderoni sul cammino dell’introduzione di innovative intuizioni su scienza e diritto criminali. Nel rifiuto della distinzione tra determinismo e indeterminismo covano un incontrollato desiderio di salvare la validità del ricorso all’everyday life (distinzione tra atti volontari e atti involontari) come corte di cassazione nei confronti dei tribunali di sensazione, emozione e razionalità, che avvicina i due analitici italiani all’Ox-bridge Philosophy di Ryle,76 e un tentativo — anacronistico — di mettere sotto accusa i non voluti assists teoretici concessi dalle istanze di riforma dei Positivisti ottocenteschi alla c. d. teoria dei due binari77 introdotta dal codice Rocco del 1930, invisa e minacciata di correzione a e da un numero infinito di Commissioni ministeriali create ad hoc nell’arco di un sessantennio. Nel rifiuto della distinzione tra tutela (retribuzione “tecnica”) e difesa sociale si nasconde un tentativo di mantenere continuità storica con razionalismo e illuminismo italiani del Settecento, nella rielaborazione di una teoria dell’intimidazione mediante minaccia normativa idonea ad assicurare massima devozione ai valori classici continentali della certezza del diritto criminale (nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege), ostacolando derive verso modelli estremi di retributivismo o difesa sociale.78 Nel rifiuto della distinzione tra astratto e concreto vive l’intuizione della necessaria valutatività della scienza criminale,79 confermata in maniera abile da Nino nell’asserzione della «non insularità» del diritto;80 e, sullo sfondo, l’adesione ad un metodo misto che contribuisca a dare il senso della non ultimatività di induzione o deduzione nella costituzione delle attività umane. Oltre a tali obiettivi meno “vistosi”, la tendenza calderoniana alla riconciliazione sottende il fine ben determinato di tutelare il nascere di una sorta di concordia ordinum culturale, molto simile all’ideale collaborativo civile esaltato in relazione alla situazione nazionale,81 atta ad introdurre un nuovo concetto di «responsabilità», dinamico e articolato:

Il negatore del libero arbitrio che non sia vittima di equivoci sul valore di tal negazione, sarà portato invece a vedere nella libertà e responsabilità, qualità esistenti nell’uomo, ma analoghe alle altre, atte cioè ad essere studiate nella loro genesi e nella loro evoluzione, suscettibili di gradazioni infinite, e subordinate alla presenza di certe condizioni concomitanti, a concepire in altri termini la responsabilità piuttosto dinamicamente ed evoluzionisticamente, che staticamente.82


  1. La tesi della manchevolezza storiografica di una ricostruzione delle Weltanschauungen vailatiane scisse dall’attività continuatrice e concretizzatrice di Calderoni è sostenuta con estrema chiarezza nell’articolo I. Pozzoni, Calderoni erede e continuatore della tradizione di ricerca vailatiana, in “Annuario del centro Studi Giovanni Vailati”, Crema, Centro Studi Giovanni Vailati,2003, 55-78. ↩︎

  2. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, tesi di laurea, Firenze, Ramelli 1901, [vol.I, 33-167]. D’ora in avanti i riferimenti testuali a Calderoni saranno indicati in base a M. Calderoni, Scritti, Firenze, La Voce, 1924, voll. I e II; e i riferimenti testuali a Vailati saranno indicati - a meno di avviso contrario- in base all’edizione curata da M.Quaranta G. Vailati, Scritti, Bologna, Forni, 1987, voll. I-II-III. ↩︎

  3. Per un’esaustiva analisi della semiotica calderoniana si consulti il mio I. Pozzoni, Pragmatismo logico, senso e contesto. I dilemmi linguistici nella riflessione filosofica calderoniana, in “Información Filosófica”, Roma, fasc. 2 (2006), 5-28. ↩︎

  4. Cfr. G. Ponti, Compendio di criminologia, Milano, Cortina, 1999, 81-84 e 95-99. ↩︎

  5. Per un esame riassuntivo del neo-classicismo americano si consulti S. Ciappi — A. Coluccia, Giustizia criminale, Milano, Franco Angeli, 1997, 17-29; in A. von Hirsch, Doing Justice: the choice of punishments, New York, Hill & Wang, 1976 v’è di esso una ricostruzione diretta e minuziosa. ↩︎

  6. Cfr. A. Tanzi (a cura di), L’antiformalismo giuridico, Milano, Cortina, 1999. ↩︎

  7. Cfr. M. Calderoni, Il Pragmatismo e i vari modi di non dir niente, in “Rivista di Psicologia applicata”, V, 4, Luglio-Agosto 1909 (in collaborazione con G. Vailati), [II, 160]; costui scrive: «E invece appunto perché il non senso, come l’errore, tendono a rinascere continuamente come le erbe nei campi, che il pensatore e lo scienziato, simili in questo a falciatori, sentono ad intervalli il bisogno di sospendere il loro lavoro per rispianare e riaffilare i loro strumenti che, dal lavoro stesso, sono resi di tanto in tanto incapaci di servir al loro scopo». ↩︎

  8. Cfr. M. Calderoni, La filosofia e il diritto, in “Leonardo”, III, 2, Ottobre- Dicembre 1905, [vol.I, 277-278]; Calderoni sostiene che «molte questioni si aggirano appunto nel sapere se, dati certi caratteri comuni o divergenti fra certi oggetti e certi altri, convenga far rientrare gli uni e gli altri nella classe designata dal concetto, o mutare, mediante opportuni processi di generalizzazione o restrizione, il concetto stesso. Varie volte, nel cammino della scienza, si sono scoperti casi nuovi, che presentavano solo una parte dei caratteri comuni agli oggetti fin qui denotati dal concetto, o possedendoli tutti, ne possedevano altri fin allora esclusi: onde la necessità […] di precisare il contenuto dei concetti e il significato delle parole, sia estendendolo, sia restringendolo». ↩︎

  9. Cfr. P. Borsellino, Libertà, giustificazione della pena e metodo delle discipline penali in Calderoni, in “Rivista critica di storia della filosofia”, Firenze, La Nuova Italia, Luglio-Settembre, 1979, 318. ↩︎

  10. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol.I, 41-42]. ↩︎

  11. Due sono i testi dell’autore cremasco atti ad influenzare in maniera sensibile idee e intuizioni calderoniane in merito alla nozione di «libero arbitrio»: G. Vailati, Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia della scienza e della cultura, Torino, Bocca, 1899, [vol.II, 49-74] e G. Vailati, “M.J. Monrad. Die menschliche Willensfreiheit und das Böse” Leipzig, Jamasen, 1898, in “Archivio di Psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale”, XIX, 5/6, 1898, [vol.I, 181-182]. ↩︎

  12. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 44]. ↩︎

  13. Cfr. ivi, cit., [vol.I, 39]; Calderoni scrive: «La scienza tende a concepire i fenomeni come svolgentisi gli uni dagli altri secondo leggi fisse e costanti, fornite dal carattere della necessità; mentre la morale e il diritto li considerano come atti a mutarsi e trasformarsi docilmente sotto la mano dell’uomo, dotato di volontà e libertà. Di qui un dissidio che, apparente o reale che sia, ha ad ogni modo fatto credere esservi fra i risultati della scienza ed i postulati della morale un’insanabile contraddizione, ogni progresso dell’una dovendo segnare una restrizione ed un abbassamento dell’altra». ↩︎

  14. La definizione tayloriana secondo cui una situazione di “determinismo” si abbia nel momento che «in the case of everything that exists, there are antecedent conditions, known or unknown, given wich that thing could not be other than it is» (R. Taylor, Metaphysics, Englewood Cliffs, Prentice Hall, 1974, 39) è riadattata nei termini delle conclusioni einsteiniane dalla formula «all events in the phisical world have causes except those subatomic events falling within the realm of quantum mechanics» (D. J. O’Connor, Free will, New York, Anchor Books, 1971, 55). ↩︎

  15. Per O’Connor è libertario chi sostiene che «certain features of my conscious states, in particular my choices, do not have such an invariant association with brain states» (D. J. O’Connor, Free will, cit., 102). La matrice storica dell’indeterminismo moderno è rintracciabile nella definizione aristotelica «volontario è ciò il cui principio risiede nel soggetto, il quale conosce le condizioni particolari in cui si svolge l’azione» (Aristotele, Etica Nicomachea, Milano, Rizzoli, 1996, 135). ↩︎

  16. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 45]. Le citazioni calderoniane sono mutuate dal monumentale Cours de l’histoire de la philosophie di Victor Cousin. ↩︎

  17. Cfr. ibidem, cit., [vol.I, 45]. ↩︎

  18. Cfr. ibidem, cit., [vol.I, 45]. ↩︎

  19. Cfr. ivi, cit., [vol.I, 51]. ↩︎

  20. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 60-61]. ↩︎

  21. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 63]; costui sostiene che «la nostra opinione è che il problema della libertà è uno solo. Ed è il problema della volontarietà». ↩︎

  22. Nell’Etica Nicomachea di Aristotele è scritto: «costretto è ciò la cui norma è fuori del soggetto, tale essendo l’azione in cui chi introduce una attività o chi la subisce non ha alcun concorso: è il caso del vento che lo trascini o di uomini che lo subordinino al loro controllo» (Aristotele, Etica Nicomachea, cit., 131). ↩︎

  23. Per alcuni studiosi l’etica antica è eterno ritorno — attraverso città e individuo — alla divinità, sulla strada del bene (M. Ivaldo, Storia della filosofia morale, Roma, Editori Riuniti, 2006, 9-45); secondo altri è cammino incentrato sull’antitesi tra «vita buona» ed eudaimonismo (A. Da Re, Filosofia Morale, Milano, Mondadori, 2003, 1-33; M. Onfray, Le sagesses antiques (2006), trad.it. Le saggezze antiche, Roma, Fazi, 2006); altri ancora ne sottolineano il carattere di «democraticità» nelle relazioni statali storiche (J. Rohls, Geschichte der Ethik (1991) trad.it. Storia dell’etica, Bologna, Il Mulino, 1995, 33-99). Più che nel mondo antico, i temi dell’autonomia e della volontà rimediano massimo interesse nel medioevo cristiano. ↩︎

  24. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 62]; il nostro autore sostiene: «per comprender […] occorre considerare che per lungo tempo, specialmente sotto l’influsso del pensiero teologico, fu creduto che l’indipendenza dalla causalità costituisse effettivamente l’“essenza” dell’atto volontario […] La parola libertà poteva dunque per tutto questo tempo “connotare” indifferentemente l’attributo della volontarietà e quello della mancanza di causalità». ↩︎

  25. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 60-61]. ↩︎

  26. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 80]. Calderoni scrive: «Il dualismo […] si fa manifesto: da una parte Dio e la “natura” che […] aspira alla perfezione; dall’altra una potenza avversa, sia essa il caso, la materia, la volontà umana od uno spirito maligno, il demonio». ↩︎

  27. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 82]. ↩︎

  28. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 78-79]; Vailati — nella recensione al Monrad del 1899 — sostiene: «Fu soprattutto la difficoltà di conciliare l’esistenza, troppo evidente, del male nel mondo, colla credenza, troppo preziosa, nella prescienza e nella giustizia divina, che rese necessaria l’introduzione di un’ipotesi che, come questa del libero arbitrio, sgravasse da una parte il creatore dalla taccia di aver creato di motu proprio un mondo imperfetto e pieno di miserie d’ogni genere, e dall’altra attribuisse a queste il carattere di “punizioni” o “espiazioni” provocate e rese necessarie dalle disobbedienze e dai peccati degli uomini» (G. Vailati, “M.J. Monrad. Die menschliche Willensfreiheit und das Böse” Leipzig, Jamasen, 1898, cit., [vol.I, 181]. ↩︎

  29. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 62]. ↩︎

  30. Hume asserisce: «it is universally allowed that matter, in all its operations, is actuated by a necessary force and that every natural effect is so precisely determined by the energy of its cause, that no other effect, in such particular circumstances, could possibly have resulted from it […] beyond the constant conjunction of similar objects and the consequent inference from on to the other, we have no notion of any necessity or connection» (D. Hume, An Enquiry Concerning Human Understanding, in T.H.Green — T.H.Grose (a cura di), The Philosophical Works / David Hume, Aalen, Scientia, 1964, IV, 67). ↩︎

  31. J.S.Mill scrive sulla nozione di “causazione”: «Crediamo che ciascuno stato attuale dell’intero universo ad ogni istante sia effetto dello stato di esso all’istante antecedente; cosicché chi conosca tutti gli agenti che esistano al momento attuale […] potrebbe predire l’intera storia successiva dell’universo, a meno che non si manifestasse una nuova decisione idonea a controllare l’universo stesso» (J.S. Mill, System of Logic, Longmans, London, VIII, 1904, 226-227). ↩︎

  32. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 67]. ↩︎

  33. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 65], dove è scritto «Se ora interroghiamo l’uso popolare, se ci domandiamo che cosa vogliamo dire quando diciamo di essere liberi di scegliere questo piuttosto che quel corso d’azioni, vediamo che in ogni caso ci riferiamo alla nostra facoltà di volere una cosa piuttosto che un’altra, e di eseguire la nostra determinazione volontaria». ↩︎

  34. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 59]. Per Calderoni, tra mantenere il nome rifiutando la definizione e continuare a ritenere l’attributo essenziale, è raccomandabile decidere in funzione del mantenere il nome rifiutando la definizione. ↩︎

  35. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 63-64]. ↩︎

  36. Cfr. F. Carrara, Programma del corso di diritto criminale, Bologna, Il Mulino, 1993, § 611, 404: «io ravviso il principio fondamentale del giure punitivo nella necessità di difendere i diritti dell’uomo: ravviso nella giustizia il limite del suo esercizio; nella pubblica opinione il moderatore della sua forma»; e in nota «La tutela giuridica è evidentemente una formula essenzialmente diversa dalla formula della tutela sociale […] la formula difesa sociale dà alla punizione un principio tutto materiale, e lo pone in balia delle fluttuanti e spesso esorbitanti esigenze dell’utile. Ma nella formula della tutela giuridica, il limite della giustizia è congenito, intrinseco, inseparabile, perché quando l’autorità deve difendere il diritto, si dice che lo deve difendere così nell’offeso come nell’offensore». Mario Cattaneo - successivamente ad un’attenta analisi della letteratura secondaria su Carrara- scrive: « il significato più autentico del ragionamento svolto da Carrara sulla funzione della pena, e riassunto nella formula tutela giuridica, consiste nell’attribuire a questo istituto giuridico il carattere di sanzione, consistente in una perdita o menomazione dei propri diritti, rivolta a chi ha violato i diritti altrui […] la tutela giuridica non è tutela o difesa purchessia, ma ha il compito di tutelare i diritti individuali, sia nell’offeso, sia nell’offensore» (M.A. Cattaneo, Francesco Carrara e la filosofia del Diritto Penale, Giappichelli, Torino, 1988, 151). ↩︎

  37. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol.I, 136]. Calderoni riassume i tratti della teoria della «difesa sociale» nella visione del Florian (Trattato di Diritto Penale): «gli scopi della pena sono tre: a) porre il delinquente nella impossibilità materiale di nuocere; b) cercare che il delinquente non ricada nel delitto […]; c) trattenere gli altri dal delitto mediante la minaccia e l’intimidazione. Nella dottrina però dei positivisti è notevole la sfiducia rispetto a quest’ultimo fine […]»; Enrico Ferri, scrive «E noi, invece, partendo dalla osservazione dei fatti, siamo giunti alla conclusione ben diversa e ben più feconda di risultati, che la prevenzione, anziché essere l’accessorio, deve diventare il principale presidio dell’ordine sociale, data la minima efficacia delle pene ad impedire i delitti […] pur scendendo nel campo dei fatti ed assorgendo pure al concetto di prevenzione sociale, trascurarono in gran parte quelle leggi fisio-psicologiche sui fattori naturali del delitto, che sole possono dar modo di regolare efficacemente l’attività umana e ritennero pur sempre, in definitiva, come principale mezzo di prevenzione le pene stesse» (E. Ferri, Sociologia criminale, Torino, UTET, vol.I, 1929, 545-548). ↩︎

  38. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol.I, 138-139]. ↩︎

  39. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 125]. Per un’esaustiva trattazione dell’utilitarismo da Bentham ad Harsanyi si consulti l’ottimo contributo C.A. Viano, L’utilitarismo, in C.A.Viano (a cura di), Teorie etiche contemporanee, Torino, Bollati, 1990, 34-58. ↩︎

  40. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 126]. ↩︎

  41. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 130]. ↩︎

  42. Cfr. I. Kant, Metaphysik der Sitten, Hamburg, Meiner, 1922, 161; Kant arriva a sostenere che è dovere di una comunità in via di scioglimento uccidere tutti i rimanenti condannati a morte, scrivendo in un celebre brano della sua Metafisica dei Costumi: «Selbst wenn sich die bürgerliche Gesellschaft mit aller Glieder Einstimmung auflöste […] müsste der letze in Gefängnis befindliche Mörder vorher hingerichtet werden, damit jedermann das widerfahre, was seine Taten wert sind». Sull’asse retributivista Platone/Kant/Hegel si instradano tra Ottocento e Novecento rilevanti uomini di diritto italiani: Rossi (P. Rossi, Traité de droit penal, trad.it. Trattato di diritto penale, Milano, Borroni e Scotti, 1852, 159), Filomusi Guelfi (F. Filomusi Guelfi, Enciclopedia giuridica, Napoli, Jovene, VI, 1910, 65) e Bettiol (G. Bettiol, Diritto Penale - Parte Generale, Padova, CEDAM, XII, 1986, 803. ↩︎

  43. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 133]. ↩︎

  44. Pur se «even the most faithful adherents of utilitarian doctrine must have felt tempted at times to acknowledge the simple claim that it is right or just that on who has intentionally inflicted sufference on others shold himself be made to suffer. I doubt if anyone, reading the records of Auschwitz or Buchenwald, has failed to feel the powerful appeal of this principle» (H.L.A. Hart, Law, Liberty and Morality, London, Oxford University Press, 1963, 59), dall’intellettualismo socratico alla modernità sono assestate dure critiche razionalistiche all’idea di retribuzione morale: nel nome della brutalità irrazionale della vendetta (Hommel, Grolman, Schopenhauer, Del Vecchio) o nel nome della natura meramente umana della retribuzione (Barth, Rahner, Noll, Martini). ↩︎

  45. Cfr. T. Hobbes, Leviathan, London, Everyman’s Library, XXVI, 1957, 164; Hobbes scrive «a punishment, is an evill inflicted by publique authority on him that hath done, or omitted that which is judged by the same authority to be a transgression of the law: to the end that the will of men may there by the better be disposed to obedience». E Pufendorf — nel De jure naturae et gentium — sostiene: «Ceterum genuinus poenarum finis est praecautio laessionum; quae provenit, si vel in melius emendetur, qui peccavit, aut alii ejus exemplo, ne deinceps velint peccare, vel si ita coerceatur qui peccavit, ut non possit deinceps peccare» (S. Pufendorf, De Jure Naturae et Gentium, Francofurti & Lipsiae, Officina Knochiana, III, § IX, 1759, 173). Questa concezione è accolta in maniera moderata in Italia dal Cattaneo: «Se la pena oltrepassa il limite richiesto all’esempio, diviene inutile strazio […] E l’ideale modello sarebbe una pena che apparisse alli occhi della moltitudine con tutti li orrori d’un inferno, quantunque nel secreto della realtà riservasse pure al paziente un paradiso» (C. Cattaneo, Alcuni scritti del dottor Carlo Cattaneo, Milano, Borroni e Scotti, 1846, 129). ↩︎

  46. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 134]. ↩︎

  47. Benché nel mondo britannico ed americano vi sia un recente ritorno di stima nei confronti della deterrence (Benn e Peters, Hart, Rawls), nella cultura continentale la seconda massima del kategorischer Imperativ kantiano introdotta dalla Metaphysische Anfangsgründe der Rechtslehre conduce un autore secondario come Mancini a sottoscriverne validità e correttezza contro i rischi della condanna dell’innocente: «Tutte le pene […] per le quali l’uomo cessa di essere uomo, quelle che distruggono interamente la personalità fisica o morale dell’uomo, van dalla ragione riprovate. Ne vale contrapporre a questo argomentare la considerazione del bene pubblico […]» (P.S. Mancini, Lettera seconda, in T. Mamiani — P.S. Mancini, Fondamenti della filosofia del diritto e singolarmente del diritto di punire, Torino, Cassona, 1853, 152-153). ↩︎

  48. Cfr. K. Roeder, Sul fondamento e sullo scopo della pena in riguardo alla teoria dell’emenda, in “Rivista Penale”, II, 4, 1875. L’autore tedesco — contro Carrara — inizia sostenendo «noi ci siamo sforzati di sradicare […] l’infelice idea che la pena debba essere, per sua natura, un male» (274), e continua scrivendo «vien fatto del bene laddove si offrano al colpevole i mezzi esterni per la trasformazione fondamentale della sua opinione contraria al diritto» (278). La «scuola correzionista» tedesca trova echi neoidealistici nella nostra nazione, nel momento in cui si ammetta che «Difendere il diritto vuol dire difenderlo là dove soltanto può realizzarsi e cioè nella coscienza umana: punire significa instaurare nella coscienza del reo un livello superiore, renderlo consapevole del suo errore, fargli riconoscere la superiorità del diritto da lui violato. Punire significa redimere» (U. Spirito, Storia del diritto penale italiano da Cesare Beccaria ai giorni nostri, Firenze, Sansoni, III, 1974, 30-31). ↩︎

  49. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 135]. ↩︎

  50. La dottrina sottolinea come esistano tentativi moderni indirizzati a circoscrivere tale carica rivoluzionaria dell’art. 27 com. 3 (G. Fiandaca — E. Musco, Diritto penale- Parte generale, Bologna, Zanichelli, 1995, 634); e come «seppure tra non poche resistenze e grazie anche al sostegno prestatole dalla dottrina più sensibile» [641] essa concezione sia riuscita ad incidere in senso riformistico su diversi istituti del diritto criminale italiano: carcere a vita; sospensione condizionale; riforma dell’ordinamento penitenziario; sanzioni sostitutive; nuova normazione sull’ammenda. ↩︎

  51. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 127]; il nostro autore continua scrivendo: «Il giustificare quindi la pena colla difesa della società può anche non implicare un errore; ma a condizione di non significare se non ciò che altri, con locuzione più precisa, chiamano tutela giuridica» (ivi, cit., [vol. I, 132]). ↩︎

  52. Calderoni fornisce una definizione chiara del termine economicità: «Come il valore d’ogni strumento, così anche quello delle teorie è da misurarsi dal servigio che esse ci rendono, dalla fatica che ci risparmiano, dalla sicurezza, dall’estensione e dalla rapidità dei loro risultati; è il loro massimo rendimento nell’adempimento di tale funzione, e la loro totale subordinazione ad essa, ciò che viene affermato quando parliamo di “economia”» (M. Calderoni, L’arbitrario nel funzionamento della vita psichica, in “Rivista di Psicologia applicata”, VII, 2, Gennaio- Aprile 1910, [vol.II, 288]). Questa idea è strettamente connessa alla tesi vailatiana della strumentalità delle teorie, introdotta nell’anno 1896 da Vailati con una certa sistematicità nei lavori: G. Vailati, “E. Mach Populär-Wissenschaftliche Vorlesungen” Leipzig, Barth, 1896, in “Rivista di Studi Psichici”, Novembre, 1896, [vol.I, 147] e G. Vailati, Sull’importanza delle ricerche relative alla Storia delle Scienze, (Prolusione a un corso sulla Storia della Meccanica), Torino, Roux Frassati, 1897, [vol.II, 17]. Tesi calderoniana dell’economicità e tesi vailatiana della strumentalità delle teorie hanno come chiaro riferimento l’intera anteriore ricerca meta-teorica di Mach [G. Gembillo, Vailati-Croce: quasi un confronto, in M. Quaranta (a cura di), Giovanni Vailati nella cultura del ’900, Bologna, Forni, 1989, 123-124]. ↩︎

  53. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 155]; senza dimenticare che idee e concetti di costoro abbiano introdotto all’interno della storia del diritto italiano del secolo scorso istituti e tendenze concreti come l’istituto della misura di sicurezza e le tendenze alla riforma carceraria e alla sostituzione di misure curative alle sanzioni nei confronti dei malati di mente. ↩︎

  54. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 131-132]. Calderoni ricorda — in nota — come sia stato Juvalta nei Prolegomeni ad una morale distinta dalla metafisica del 1901 ad introdurre la distinzione tra fase fondazionale (minaccia) e fase esecutiva della sanzione nel contesto culturale italiano. ↩︎

  55. Per Calderoni «La pena accompagna il precetto giuridico come sua sanzione, precede quindi la violazione del precetto medesimo e non può pertanto non essere astrattamente commisurata […] È necessario che ogni cittadino conosca che cosa lo attende ov’egli commetta questa o quella azione lesiva del diritto […] La pena quindi deve essere eseguita quale fu stabilita dalla legge, e non in base ad una presunta temibilità del reo» (ivi, cit., [vol.I, 148-149]). ↩︎

  56. Cfr. P.J.A. Feuerbach, Anti-Hobbes, oder über die Grenzen der Höchsten Gewalt und das Zwangsrecht der Bürger gegen den Oberherrn, trad.it. Anti-Hobbes, ovvero i limiti del potere supremo e il diritto coattivo dei cittadini contro il sovrano, Milano, Giuffrè, 1972, 112; in Feuerbach ruolo della sanzione è essere minaccia di un male fisico (Androhung von physischen Übeln) idonea a dissuadere i cittadini dal commettere atti illeciti. Mario Cattaneo scrive in merito all’autore tedesco: «Secondo Feuerbach, infatti, la rappresentazione del male penale minacciato dalla legge provoca nell’animo dei consociati una coazione psicologica […] la quale li distoglie dal commettere il delitto che a quel male è connesso; la funzione penale di prevenzione opera quindi prima dell’eventuale commissione di un delitto, ed è dunque un mezzo efficace per la difesa e la conservazione dei diritti» (Cfr. M.A. Cattaneo, Pena diritto e dignità umana, Torino, Giappichelli, 1998, 129). ↩︎

  57. Romagnosi — nel suo Genesi del Diritto Penale (1791) — scrive: «[funzione della sanzione] non è di tormentare o affliggere un essere sensibile; non di soddisfare un sentimento di vendetta; non di rivocare dall’ordine delle cose un delitto già commesso, ed espiarlo; ma bensì incutere timore ad ogni facinoroso, onde in futuro non offenda la società» (G.D. Romagnosi, Opere, Milano, Perelli e Mariani, 1841, vol.IV/I, §§ 1469-1472, 392). ↩︎

  58. Cfr. A. Quadrio — M. Castiglioni, Interazioni concettuali fra psicologia e diritto, in A. Quadrio — G. De Leo (a cura di), Manuale di psicologia giuridica, Milano, LED, 1995, 34, con una esauriente classificazione delle scienze introdotta da Galvan nel 1993 (scienze teoretiche vs. scienze normative); Calderoni riconduce tale moderna distinzione alla distinzione sette-ottocentesca tra natura e morale (scienze naturali vs. etica). ↩︎

  59. Benché non emergano nei discorsi dei maestri del Positivismo francese e britannico, tant’è che nel Comte è scritto: «Si può anche dire generalmente che la scienza è essenzialmente destinata a dispensare, sino al punto in cui i diversi fenomeni lo comportano, da ogni osservazione diretta, permettendo di dedurre dal più piccolo numero possibile di dati immediati il più grande numero possibile di risultati» (Cfr. A. Comte, Cours de Philosophie Positive, trad.it. Corso di Filosofia Positiva, Torino, UTET, 1967, I, 99), i miti della concretezza/induzione sono coltivati da studiosi di minore notorietà. Per Cattaneo cultura dev’essere «sperimentale» in via totalitaria (C. Cattaneo, Scritti filosofici, Firenze, Le Monnier, 1960, 35 e 308); G. Ferrari scrive: «Non possiamo tollerare la logica, che comandi o gareggi con la natura […] L’esperienza c’insegna che la logica non era predestinata a comandare; essa non precede i fenomeni, li séguita» (G. Ferrari, Scritti politici, Torino, UTET, 1973, I, 226-227); il medico francese Bernard asserisce «Il metodo sperimentale, in quanto metodo scientifico, poggia interamente sulla verifica sperimentale d’una ipotesi scientifica. Questa verifica può essere ottenuta sia con l’aiuto di una nuova osservazione (scienza d’osservazione) sia con l’aiuto di un’esperienza (scienza sperimentale)» (C. Bernard, Introduction à l’étude de la médecine expérimentale, trad.it. Introduzione alla medicina sperimentale, Milano, Feltrinelli, 1973, III, IV, § 4). ↩︎

  60. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 42]; costui scrive: «A questo fine, unico mezzo è lo studio accurato dei precedenti del colpevole, la ricerca di tutti i coefficienti che cooperarono alla produzione necessaria del male, e ciò col duplice intento di rimuovere le cause individuali e sociali del delitto, di curare nell’individuo l’irresistibile impulso a commetterlo; nonché di mettere […] il reo nella pratica impossibilità di tradurlo in atto […] Il metodo da adottarsi, secondo i positivisti, non è diverso da quello invalso per lo studio dei fenomeni naturali: mediante l’osservazione e lo sperimento, acquistare una conoscenza chiara del modo di prodursi e di svolgersi dei fenomeni, delle leggi fatali che li governano: allo scopo di poter poi agire». ↩︎

  61. Nella Prefazione alla ed. V del suo Programma del corso di diritto criminale Carrara — sulla scia della c.d. sistematica tedesca del diritto (Leibniz, Wolff, scuola wolffiana) — sostiene come «il delitto non è un ente di fatto, ma un ente giuridico»; e, nella coscienza della validità teoretica del trinomio morale/ astratto/ deduzione, il nostro autore continua scrivendo «Con siffatta proporzione mi parve si schiudessero le porte alla spontanea evoluzione di tutto il diritto criminale per virtù di un ordine logico e impreteribile. E questo fu il mio programma […]. Così, per primo postulato, la scienza del giure criminale viene a riconoscersi come un ordine di ragione che emana dalla legge morale giuridica, ed è preesistente a tutte le leggi umane, e che impera agli stessi legislatori» (F. Carrara, Programma del corso di diritto criminale, cit., 32-33). Per un esauriente esame della sistematica tedesca sino alla c.d. Pandettistica ottocentesca si consulti G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna, Bologna, Il Mulino, 1976, 133-156. ↩︎

  62. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 40]; Calderoni asserisce «L’indirizzo prevalente del diritto penale […] si attiene tuttora, ad un metodo essenzialmente astratto […] il reato stesso è l’oggetto del diritto penale […] considerato […] come ente astratto». Per Carrara «ente giuridico» è «rapporto contraddittorio tra il fatto dell’uomo e la legge» (F. Carrara, Programma del corso di diritto criminale, cit., § 35). ↩︎

  63. Cfr. M. Calderoni, Il Pragmatismo e i vari modi di non dir niente, cit., [II, 160]. L’idea è di derivazione vailatiana, dove si consideri una antecedente e altrettanto straordinaria intuizione dello studioso cremasco: «Se vi è infatti un carattere che distingua la scienza in genere dalla filosofia, mi pare che esso appunto consista in ciò, che compito di quest’ultima non è tanto di fare delle scoperte quanto piuttosto di prepararle, di provocarle, di farle fare, contribuendo con l’analisi, colla critica, colla discussione a sgomberare la via che ad esse conduce, e fornendo i mezzi o gli strumenti (organa) richiesti per superare gli ostacoli che rendono difficile progredire in essa» (G. Vailati, “L. Stein. An der Wende des Jahrhunderts, Versuch einer Kulturphilosophie. Freiburg, Mohr, 1899”, in “Rivista filosofica”, 2, Marzo- aprile, 1901, [vol.I, 251]). ↩︎

  64. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 140-141]. ↩︎

  65. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 142]. ↩︎

  66. Cfr. M. Calderoni, L’arbitrario nel funzionamento della vita psichica, cit., [vol.II, 225-226]. Il nostro autore scrive «Ciò che contraddistingue i “concetti” […] così dalle “sensazioni” come dalle “rappresentazioni” o “immagini” è appunto questo: che, fra i molteplici elementi che sono, o possono diventar presenti alla nostra coscienza in una data sensazione o rappresentazione, noi, nell’atto di concepire […] dirigiamo la nostra attenzione su alcuni di essi […] e ad essi soltanto, intenzionalmente, ci riferiamo per quelle operazioni che compiamo, o stiamo per compiere mediante il concetto stesso […] Mentre cioè le sensazioni o rappresentazioni sono qualche cosa di puramente passivo o recettivo, i concetti sono essenzialmente un prodotto della nostra attività (o reattività) selezionatrice e costruttrice, risultando da quel processo di astrazione, o, […] di estrazione e d’eliminazione, a cui, osservando e penando allo scopo di conoscere, assoggettiamo il materiale inizialmente indistinto ed amorfo dell’esperienza», accostandosi in maniera molto moderna a due temi caratteristici delle scienze della mente: attenzione e schematizzazione. Il riconoscimento della selettività dell’attenzione umana ha condotto inizialmente ad introdurre una distinzione all’interno delle attività umane tra attività automatiche e controllate [R.M. Shiffrin — W. Schneider, Controlled and automatic human information processing. II: Perceptual learning, automatic attending, and a general theory, in “Psychological Review”, 84, 1977, 127-190 rivisto in R.M. Shiffrin — W. Schneider, Automatic and controlled processing revisited, in “Psychological Review”, 9, 1984, 269-276]. Mentre le attività automatiche non richiederebbero l’utilizzazione di risorse attentive, le attività controllate ne richiederebbero l’uso. Questa caratterizzazione si estenderebbe alle attività conoscitive [J. Jonides — M. Naveh-Benjamin — J. Palmer, Assessing automaticity, in “Acta Psychologica”, 60, 1985, 157-171]. La tendenza attuale è di rinunciare a tale distinzione considerando tutte le attività umane come subordinate ad una certa dose di risorsa attentiva [D. Kahneman — A. Treisman, Changing views of attention and automaticity, in R. Parasuraman — D.R. Davies (a cura di), Varieties of Attention, New York, Academic Press, 1884, 29-61]. ↩︎

  67. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 143], con riferimento in nota allo scritto A. Naville, Nouvelle classification des sciences, Paris, Alcan, 1901. ↩︎

  68. Calderoni sostiene: «il movimento positivistico deve piuttosto considerarsi come un tentativo di completare ed integrare l’indirizzo fin qui prevalente nel diritto penale, di spingerlo più velocemente in una direzione già presa, di additarne certe lacune e di colmarle, senza per questo rinunciare ai benefizi dall’indirizzo prevalente […] Esso non può propugnare la sostituzione assoluta del “metodo positivo” al metodo astratto» (M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 155]). ↩︎

  69. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 151]. ↩︎

  70. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 150]. ↩︎

  71. Cfr. ivi, cit., [vol. I, 148]; il nostro autore continua scrivendo «La pena accompagna il precetto giuridico come sua sanzione, precede quindi la violazione del precetto medesimo e non può pertanto non essere astrattamente commisurata […] È necessario che ogni cittadino conosca che cosa lo attende ov’egli commetta questa o quella azione lesiva del diritto […] La pena quindi deve essere eseguita quale fu stabilita dalla legge, e non in base ad una presunta temibilità del reo». ↩︎

  72. Calderoni scrive «La “individualizzazione della pena” non è l’aspirazione esclusiva di nessuna scuola speciale, ma la tendenza naturale del progresso, la sola questione da discutersi essendo fino a qual punto essa si possa conciliare con garanzie essenziali di libertà contro gli arbitrii di qualunque specie» (ivi, cit., [vol. I, 154]). ↩︎

  73. Per la tesi dell’adiacenza teoretica tra trattazione vailatiana e tradizione di ricerca analitica novecentesca si consultino i miei I. Pozzoni, Giovanni Vailati e Mario Calderoni tra meta-etica, etica descrittiva e normativa, in “Foedus”, Padova, Grafimade, n.16/III (2007), 44-57 e I. Pozzoni, L’analitica moderata di Giovanni Vailati, in A.Di Giovanni (a cura di), Ricerche sul pensiero italiano del Novecento, Bonanno, Roma, 2007, 15-46. ↩︎

  74. Cfr. G. Vailati, Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia della scienza e della cultura, cit., [vol.II, 49]. Per Vailati i c.d. «falsi dilemmi» instradano l’uomo sul cammino di una deleteria metafisica, unico rimedio umano alla natura stressante del mistero (G. Vailati, La ricerca dell’impossibile, in “Leonardo”, III, Ottobre- Dicembre 1905, [I, 59-66]). ↩︎

  75. Cfr. L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen (1967), trad.it. Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi, 1999, § 119. ↩︎

  76. Cfr. F. D’Agostini, Filosofia Analitica, Paravia, Torino, 1997, 105-115. ↩︎

  77. Partendo dalla storica ricerca di A.Rocco (A. Rocco, Le misure di sicurezza e gli altri mezzi di tutela giuridica, in “Rivista di Diritto Penitenziario”, 1, 1930, 1245 ss.), molti altri autori della moderna dottrina criminalistica si sono accostati all’analisi della c.d. teoria dei due binari: Antolisei (1933), Delitala (1935), De Marsico (1933/1935), Bettiol (1941), Guarneri (1964), Vassalli (1967), Nuvolone (1976), Musco (1974/1978) e Fornari (1993). ↩︎

  78. Prescindendo dall’Hart di Punishment and Responsability in merito al neo-retributivismo, è necessario sottolineare come molti aspetti della teoria della difesa sociale del Ferri si siano riversati nella dottrina della nouvelle défense sociale di M.Ancel consistente in una dura «reazione contro gli eccessi del tecnicismo giuridico neoclassico» volta alla «degiuridicizzazione di diversi concetti» (M. Ancel, La defense sociale nouvelle (1954), trad.it. La nuova difesa sociale, Milano, Giuffrè, 1966, 111-113) e nelle concezioni estreme del Gramatica, antecessóre italiano delle conclusioni radicali del moderno labelling approach americano (F. Gramatica, Principi di difesa sociale, Padova, CEDAM, 1961). ↩︎

  79. La Borsellino — riferendosi a U.Scarpelli — scrive «La debolezza dell’operazione chirurgica e riduttiva proposta sul piano metodologico dai penalisti positivi […] scaturisce, secondo Calderoni, dal fatto che essi hanno trascurato due punti […] Essi conducono rispettivamente l’uno a comprendere che non solo a livello di produzione e di applicazione, ma anche a livello di interpretazione del diritto hanno luogo scelte etiche e politiche […] L’altro ad intendere che solo ponendosi risolutamente sul piano delle scelte di politica del diritto si potrà valutare al di fuori di fraintendimenti la preferibilità di sistemi etici e giuridici» (P. Borsellino, Libertà, giustificazione della pena e metodo delle discipline penali in Calderoni, in “Rivista critica di storia della filosofia”, cit., 347). Recente interessante esito della discussione analitica milanese sull’attività dell’uomo di diritto è C. Luzzati, La politica della legalità, Bologna, Il Mulino, 2005. ↩︎

  80. Cfr. C.S. Nino, Derecho, moral y política (1992), trad.it. Diritto come morale applicata, Milano, Giuffrè, 1999, 156-157; Nino conclude: «Se ammettiamo le connessioni giustificatorie ed interpretative tra il diritto e la morale, se adottiamo una visione collettivista della conoscenza morale e se, infine, accettiamo una concezione morale della politica democratica, finiamo per vincolare il diritto alla politica attraverso la morale, il che si somma alla connessione diretta che esiste tra il diritto — concepito come pratica sociale — e la politica. Il diritto appare, così, come un fenomeno politicizzato». ↩︎

  81. Cfr. M. Calderoni, La necessità del capitale, in “Il Regno”, II, 2, 1905, [vol.I, 235-236]; Calderoni sostiene: «Si sa che l’interesse del capitale è la rimunerazione di un’attività che è socialmente altrettanto necessaria quanto quella che si spiega nel lavoro diretto e materiale. E questa attività […] non è che l’astensione al consumo». L’ideale della relazione tra industriale e lavoratori è nel nostro autore un ideale di collaborazione interna alla nazione; la teoria scientifica marxista non fa altro che ostacolare la corretta evoluzione economica dell’interesse nazionale, introducendo concetti come “lotta di classe” o “conflitto di classe”. ↩︎

  82. Cfr. M. Calderoni, I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, cit., [vol. I, 156]. ↩︎