Breve ricordo di Hans-Georg Gadamer

In occasione della morte di Hans-Georg Gadamer nel marzo di quest’anno i discepoli hanno onorato il defunto, in giornali e periodici, con elogi sui meriti della filosofia ermeneutica che egli ha sviluppato nel suo insegnamento e nelle sue opere. Forse giova anche sentire la voce di qualcuno che, pur non essendo discepolo di Gadamer, lo ha conosciuto per molti anni. Infatti Gadamer veniva spesso a Monaco di Baviera, dove io ero docente, e così potevo ascoltare le sue brillanti conferenze che cominciavano spesso con il suo curriculum filosofico per affrontare poi problemi attuali ermeneutici e anche esistenzialistici heideggeriani. Mi interessava particolarmente il suo confronto con la filosofia tradizionale, soprattutto dell’antichità, in chiave ermeneutica. A questo riguardo vorrei condividere alcune riflessioni in ricordo di Gadamer.

Egli condivide con Wilhelm Dilthey il merito di aver elaborato lo speciale modo di conoscenza e di verità delle scienze umane a differenza delle scienze naturali. Ambedue i pensatori caratterizzano i campi diversi delle due forme di scienze nella prospettiva storico-ermeneutica in questo modo: mentre le scienze naturali si occupano dei fatti oggettivi, dei quali si acquisiscono conoscenze astratte universali, per subordinarle sotto leggi permanenti, le scienze umane, quali psicologia, antropologia, pedagogia, scienze della letteratura, della lingua, della storia ed altre, si dedicano al contrario alla soggettività dell’uomo, al suo modo di vivere il mondo, di sperimentarlo con sentimenti, pensieri ed interessi, laddove l’uomo è l’autore creativo. Perciò tale ambiente della soggettività richiede un altro modo di conoscenza, che corrisponde all’individualità concreta degli uomini e al loro sviluppo storico dinamico, a differenza di leggi universali immutabili. Partendo da questo metodo Gadamer arriva alla sua posizione ermeneutica storica come filosofia globale del mondo e della vita.

Nel suo noto libro Wahrheit und Methode (Verità e metodo, Tubinga 1960), l’Autore per trattare la questione della verità parte dall’estetica, specie dall’interpretazione di opere d’arte letterarie, e si riallaccia al giudizio del gusto estetico di Immanuel Kant. Tuttavia, andando oltre Kant, riconosce al sentimento estetico una propria verità, cioè quella storico-ermeneutica (op. cit., 1a parte). Poi elabora una «ontologia dell’opera di arte» nel senso ermeneutico (2a parte) e la fonda nelle attività storiche e culturali dello spirito umano, espresse soprattutto nella lingua. Per intenderle nella loro verità, Gadamer sviluppa un metodo che egli stesso chiama «teoria dell’esperienza ermeneutica», evidenziando, in ultima analisi, la lingua come «orizzonte di un’ontologia ermeneutica» (3a parte).

Su questa posizione di Gadamer vorrei offrire alcune riflessioni a partire dalla prospettiva della filosofia tradizionale metafisica:

  1. Certamente è necessaria una ermeneutica — che originariamente era un metodo dell’interpretazione — per spiegare le opere di arte, incluse anche quelle letterarie, il cui creatore è l’uomo. Tale metodo, però, che in questo campo è adatto, non può essere il modello da applicare a tutti i campi della realtà, laddove l’uomo non è più creatore. Ciò vale non solo per le scienze naturali, il cui oggetto sono le cose della natura, ma anche per le discipline filosofiche che si dedicano a tutte le cose in quanto enti, e pure per le scienze umane che si occupano dell’uomo, il quale è una realtà già data, non un’autocreazione come le opere d’arte. Da questo punto di vista, anche i testi tramandati, i quali — come per esempio i testi biblici, teologici e filosofici — non hanno un contenuto o uno scopo artistico, non possono essere considerati come opere d’arte o come monumenti storici, per interpretarli come tali in maniera ermeneutica. Infatti, questi testi contengono conoscenze su Dio, sull’uomo e sul mondo come realtà già data oggettivamente, la quale è ben diversa dalla realtà della cultura e della storia e dal mondo della soggettività. Perciò non bisogna applicare a tali testi i metodi ermeneutici, i quali sono piuttosto adatti per intendere la creatività e la soggettività dell’uomo, cioè per viverla di nuovo con sentimenti di compartecipazione. Questo è però ciò che fa Gadamer quando ritiene per esempio i testi filosofici di Platone e di Aristotele creazioni della soggettività umana e cerca di intenderli ermeneuticamente “vivendoli” con compartecipazione. In tal modo va perduto proprio il contenuto oggettivo di quei testi per la conoscenza filosofico-scientifica.

  2. Certo si può consentire al fatto che l’esistenza umana ha una dimensione storica, che richiede un’analisi storica per rintracciare gli sviluppi di individui e di popoli secondo determinate epoche; per essa l’ermeneutica offre uno strumento valido, usando categorie adatte. Categorie dell’ontologia / metafisica tradizionale sarebbero inadatte, come rileva Gadamer giustamente. Tuttavia non si deve trascurare che la storicità non copre tutta la realtà, ma è soltanto una dimensione di essa, la quale ci mostra diverse dimensioni, e proprio anche quella dimensione metafisica fondamentale che si comprende con categorie ontologiche / metafisiche; qui categorie ermeneutiche sarebbero inadatte.

La realtà è pluridimensionale e ad essa corrisponde una capacità pluriforme dell’intelletto umano. Infatti, esso è capace di comprendere non solo la dimensione storica temporale delle cose e dell’uomo, ma anche quella ontologica. Tommaso d’Aquino (seguendo una tradizione millenaria) costata che l’intelletto è anche superiore al tempo (intellectus est supra tempus) e dunque alla storicità. Giustamente: altrimenti non potremmo neppure avere la concezione di storia, che richiede un punto di vista sovrastorico. Infatti la nostra coscienza corrisponde all’essere delle cose e dell’uomo, non ai movimenti temporali o al processo storico. Se essa fosse una «coscienza storica» — geschichtliches Bewußtsein, come dice Gadamer — non potremmo avere una comprensione della storia. Tuttavia l’abbiamo, come testimonia pure la Bibbia, la quale abbraccia già l’intera storia del genere umano dal suo inizio fino alla sua fine. Ciò implica la dimensione metafisica: questa non può essere sostituita da quella ermeneutica.

Gadamer è annoiato dalla considerazione ontologica delle cose «in quanto enti», e una volta dichiarò che non si può sempre «auf das Seiende als solches hinstarren» (guardare con occhi fissi vuoti all’ente). Tale dichiarazione deriva da un atteggiamento interessato solo alla storicità delle cose e degli uomini, il quale certamente non può essere soddisfatto dall’ontologia tradizionale. La conseguenza, però, non deve essere di sostituire questa disciplina con quella ermeneutica, bensì di riconoscere diverse considerazioni della realtà pluridimensionale: fra le altre, quella ermeneutica per la dimensione storica, e quella metafisica per la dimensione ontologica della realtà.

  1. Certamente è giusto che nell’ambito dell’agire storico dell’uomo e dei suoi sviluppi dinamici non si arriva ad una scienza del tipo delle scienze naturali, come hanno pure costatato J. Burckhardt, Yorck v. Wartenburg, W. Dilthey ed altri. Ma da questo non occorre concludere che le conoscenze umane possano essere soltanto ermeneutiche e storiche. Infatti alla base dell’agire storico è la vita umana come modo dell’essere umano, che è ben diverso dall’agire e da ogni processo storico. Secondo la classica tradizione l’agire segue l’essere dell’uomo (agere sequitur esse). Altrimenti la conseguenza sarebbe il pragmatismo e lo storicismo.

Inoltre Gadamer, separando decisamente le conoscenze delle scienze naturali, che sono oggettive, universali e astratte, dalle conoscenze delle scienze umane, che si dedicano alla soggettività e all’individualità storica concreta, limita queste ultime alle «esperienze ermeneutiche». Tuttavia, facendo così, egli non soddisfa più pienamente l’essere e l’essenza umana che sorpassa il livello empirico, come mostra l’antropologia filosofica tradizionale. Infatti questa, concentrandosi sull’essere e l’essenza dell’uomo, rileva qualcosa di oggettivo e intelligibile a priori nella sua soggettività stessa, che deve rimanere il fondamento anche per le ricerche ermeneutiche della vita umana. A tale fondamento ontologico corrisponde l’autocoscienza naturale di ogni uomo per cui il suo spirito è con sé stesso nella sua identità ontologica transempirica, necessaria per riferire l’immensa molteplicità delle esperienze storiche all’unità interna dello spirito, in modo che esso possa appropriarsene. Diversamente lo spirito potrebbe disperdersi in mille esperienze e perdere la sua unità interiore, e alla fine pure se stesso.

  1. Alla superiorità dello spirito umano sulla storia appartiene anche una superiorità sulla lingua; infatti l’uomo ha sempre già compreso del reale più di ciò che egli esprima soltanto imperfettamente nella lingua. Proprio l’arte poetica può darne un esempio, perché soltanto per accenni lascia intendere (quasi tra le righe) più di ciò che le parole indicano. Gadamer ha messo come motto all’inizio del suo libro Wahrheit und Methode una citazione tratta da R.M. Rilke:

Solang du Selbstgeworfenes fängst, ist alles Geschicklichkleit und läßlicher Gewinn —; erst wenn du plötzlich Fänger wirst des Balles, den eine ewige Mitspielerin dir zuwarf, deiner Mitte, in genau gekonntem Schwunge, in einem jener Bögen aus Gottes großem Brückenbau: erst dann ist Fangen-können ein Vermögen, nicht deines, einer Welt.

Finché prendi a volo ciò che hai gettato tu stesso, tutto questo è abilità e un guadagno trascurabile —; solo quando d’improvviso tu diventi colui che prende il pallone che una compagna giocatrice eterna gettò a te, al tuo centro, con un preciso lancio magistrale, in uno di quegli archi che originano dalla costruzione di ponti di Dio: solo allora il poter prendere a volo è una capacità, non la tua, di un mondo.

Questa poesia non prova ciò che Gadamer intende provare citandola. Come si vede, essa rivela un contenuto filosofico-metafisico e religioso-teologico, che sorpassa il comprendere ermeneutico-storico, e si riferisce a quel centro ontologico nel sé dell’uomo che riguarda il suo essere e la sua essenza, nonché alla sua origine metafisica, che religiosamente parlando è Dio.