Kant: dall’anarchia dello stato di natura alla libertà civile

1. Fondamenti antropologici della dottrina politica

La speculazione politica kantiana prende avvio da un’ipotesi antropologica che si fonda su due concetti: disposizioni naturali e germi. Questi, secondo un’impostazione teleologica, costituiscono il motore del processo naturale che conduce gli uomini all’instaurazione di una società civile. Nell’uomo e nelle creature in genere, la natura ha posto dei germi (Keime) e delle disposizioni naturali come cause del loro sviluppo:

Le cause di un determinato sviluppo che si trovano nella natura di un corpo organico (vegetale o animale) si chiamano germi se questo sviluppo riguarda parti specifiche; se invece riguarda solo la grandezza o il rapporto delle parti tra loro, allora le chiamo disposizioni naturali.1

Il discorso di Kant si fa più esplicito quando afferma che germi e disposizioni naturali manifestano la «previdenza della natura nel munire la sua creatura di nascoste predisposizioni interne per ogni futura circostanza, così che sopravviva e si adatti alla diversità del clima o del suolo».2 Secondo Kant, infatti, anche nell’uomo ci sono disposizioni e germi, cioè capacità che permettono di adattarsi al proprio ambiente; solo che questi, però, non si limiteranno ad un mero adattamento di tipo fisico-biologico, ma avranno dei risvolti anche di natura pratica, tali da qualificarli come «disposizioni morali che riguardano l’agire libero.3 Poste queste premesse, se ne deduce che Kant propone una visione teleologica della natura umana anche in senso morale.

Nella prima tesi dell’opera Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, Kant sostiene che «Tutte le disposizioni naturali di una creatura sono destinate a dispiegarsi un giorno in modo completo e conforme al fine, altrimenti la natura giocherebbe con l’uomo un gioco infantile, senza scopo».4

Il presupposto di fondo dell’antropologia kantiana poggia sulla convinzione che la natura abbia un disegno nascosto, un progetto che gli uomini, tramite la loro libertà, perseguono senza saperlo.5 La natura, però, per imporre il suo telos nascosto sulla storia umana, dovrà utilizzare la disposizione morale che, grazie alla libertà, permetterà all’uomo di svincolarsi dagli istinti e seguire la ragione.6 La visione teleologica che si fonda sui concetti di predisposizioni naturali e di scopo, però, non deve condurre a concludere che il pensiero kantiano sfoci nel determinismo. Kant, in realtà, sostiene che:

Se le disposizioni sembrano stabili nella loro costituzione e indistruttibili nel loro essere, non così il loro rapporto, che è dal punto di vista antropologico contingente, non predeterminato e, dal punto di vista morale, affidato alla libera responsabilità degli uomini.7

Ciò significa che le disposizioni fornite dalla natura non sono determinanti, poiché l’assetto socio — politico cui daranno vita, sarà determinato dalla causalità libera dell’uomo, secondo una libera interazione tra le varie disposizioni dei singoli individui. Insomma, se le disposizioni hanno una propria natura determinata, non è così il loro rapporto, il quale dipende dalla contingenza delle varie libertà che interagiscono fra loro.

Per mostrare come la predisposizione morale dell’uomo si costituisca attraverso l’interazione delle disposizioni naturali, Kant introduce il concetto di stato di natura del giusnaturalismo, nel quale le stesse inclinazioni naturali sono abbandonate all’anarchia della libertà selvaggia. Gli impulsi egoistici si scontrano tra loro in una condizione di convivenza pregiuridica, in cui i diritti naturali non possono essere garantiti nella loro realizzazione pratica. Da questa interazione emerge l’aspetto teleologico della natura la quale, facendo leva proprio sugli egoismi dei singoli, trae l’uomo fuori dall’arbitrio dello stato di natura, conducendolo verso la costituzione della società civile. Per raggiungere tale scopo essa fornisce all’uomo, oltre alla facoltà razionale, la disposizione fondamentale che costituirà il vero motore iniziale del progresso umano: l’insocievole socievolezza.

2. La insocievole socievolezza

Nello stato naturale l’uomo è mosso dall’egoismo verso l’appagamento dei propri bisogni, con qualunque strumento e senza curarsi degli altri. Nell’opera Antropologia Pragmatica Kant individua tre tipi di egoismo: logico, estetico, pratico o morale. Per ciò che concerne il nostro discorso, l’egoista morale:

È colui che restringe tutti i fini a se stesso, e non vede nessun utile fuorché in ciò che giova a lui, e anche come eudemonista ripone soltanto nell’utile e nella propria felicità, non nell’idea del dovere, il principio supremo di determinazione del volere. Dal momento che ogni uomo si fa un concetto diverso di quello che contribuisce alla felicità, è appunto l’egoismo quello che spinge la cosa più in là, da non aversi nessuna pietra di paragone del puro concetto del dovere, in quanto deve assolutamente essere un principio di validità universale.8

Se l’inclinazione egoistica fosse tradotta in una massima dell’azione, questa non potrebbe essere universalizzabile, poiché essa rispetta solo ed esclusivamente l’illimitata libertà del singolo; questo, dunque, è lo stato in cui ogni individuo obbedisce al proprio egoismo: è lo stato di anarchia della libertà selvaggia. Ma proprio quando sembrava non esservi via di uscita, Kant pone invece la base d’appoggio dello sviluppo del programma che la natura ha riservato agli uomini, cioè la costituzione della società civile. L’insocievole socievolezza, infatti, consiste al contempo, sia nella tendenza ad isolarsi dal proprio simile e sia in quella di avvicinarvisi. Nell’opera Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico Kant afferma:

Per antagonismo intendo qui la insocievole socievolezza degli uomini, vale a dire la loro tendenza ad unirsi in società che tuttavia è congiunta ad una continua resistenza la quale minaccia continuamente di sciogliere questa società. La disposizione a ciò sta con evidenza nella natura umana. L’uomo ha già una inclinazione ad associarsi: poiché in tale stato sente in maggior misura se stesso in quanto uomo, sente cioè lo sviluppo delle sue disposizioni naturali. Ha però una forte tendenza a isolarsi: perché trova in sé, allo stesso modo, la proprietà insocievole di voler condurre tutto secondo il proprio interesse, e perciò si aspetta resistenza da ogni lato, come sa di sé che egli, a sua volta, è inclinato a far resistenza verso gli altri. È questa resistenza che risveglia tutte le forze dell’uomo, che lo conduce così a superare la sua tendenza alla pigrizia e, spinto dal desiderio di onore, potere e ricchezza, a procurarsi un rango fra i suoi consoci, i quali non può sopportare, ma di cui non può fare a meno. Così si producono i primi veri passi dalla barbarie alla cultura […] . Senza quelle proprietà — in sé certo non degne di essere amate — dell’insocievolezza, dalla quale nasce la resistenza che ognuno deve necessariamente incontrare nelle sue pretese egoistiche, tutti i talenti rimarrebbero racchiusi nei loro germi, in un’arcadica vita pastorale di perfetta concordia, appagamento e amorevolezza: gli uomini, mansueti come le pecore che conducono al pascolo, non darebbero alla loro esistenza un valore superiore di quello che essa ha per questo animale domestico.9

L’antagonismo, insomma, è la molla che conduce allo sviluppo delle disposizioni naturali dell’uomo. Lo scontro con gli altri, la voglia di onori e l’esigenza di vincere la resistenza altrui, condurranno l’uomo al risveglio delle proprie forze, prima di tutto la ragione. Il desiderio egoistico di affermazione della propria libertà e la resistenza alla illimitata libertà dei consociati, genera una dinamica che, come in un meccanismo ad incastro, produrrà la consapevolezza del potere distruttivo dello scontro, tale da condurre gli uomini alla istituzione di una società retta dal diritto. Inoltre, la ragione fa comprendere all’uomo che per sviluppare disposizioni, talenti e scopi, è necessario entrare in un corpo associato; la stessa disposizione egoistica di voler realizzare se stessi ha, in ultima analisi, bisogno della convivenza con altri uomini: «Le passioni si riferiscono propriamente soltanto agli uomini, e inoltre possono essere soddisfatte soltanto per mezzo di essi. Queste passioni sono: ambizione, la sete di potere, l’avarizia».10

La natura, insomma, per costruire una società civile che sia condizione dello sviluppo morale, fa leva sullo scontro tra gli egoismi degli uomini:

I singoli uomini, ma anche i popoli interi, pensano poco al fatto che, mentre perseguono i loro scopi, ciascuno a proprio senno e spesso l’uno contro l’altro, procedono senza accorgersene verso lo scopo della natura, che pure è loro sconosciuto.11

Detto questo emergono due conclusioni. Innanzitutto la concezione della società, se dalla prospettiva universale della natura è teleologica, dal punto di vista dell’uomo è utilitaristica; in secondo luogo, l’egoismo dell’uomo ha tratti già di per sé sociali, poiché l’ambizione, il potere e l’avarizia possono costituirsi e realizzarsi, come abbiamo già visto, soltanto in un trama di relazione con altri uomini.

3. Doverosità del passaggio ad uno stato civile

Adesso dobbiamo mettere in chiaro il modo in cui, empiricamente, l’uomo esce dallo stato di natura e fonda la società civile.

La soluzione kantiana12 è riposta nel giusnaturalismo, dottrina secondo la quale vi sono dei diritti naturali che costituiscono il fondamento del diritto positivo. Infatti, già prima delle leggi che l’uomo costituisce nelle varie società, vi sono un mio e un tuo originari che vanno salvaguardati, cioè il diritto della proprietà privata. Il problema è che nello stato di natura la legge naturale non ha la forza coattiva capace di imporre il rispetto dei diritti naturali; l’egoismo e la selvaggia libertà, dunque, devono essere limitati dalle leggi civili, in maniera tale da rendere «perentorio ogni possesso che si incontra in uno stato civile realmente esistente».13 Proprio da tale esigenza proviene la doverosità14della fondazione di una «società civile che faccia valere universalmente il diritto».15 Il diritto di possesso, dunque, è il fondamento della doverosità della creazione di un sistema statale legale che abbia forza coattiva, poiché questo è l’unico modo di preservare la legge naturale: «avere qualcosa di esterno come suo è possibile soltanto in uno stato giuridico, sotto un potere legislativo pubblico, vale a dire nello stato civile».16 In uno stato civile vi è una regola generale del rapporto giuridico esterno secondo la quale i consociati lasciano inviolato il suo esterno degli altri, proprio perché a loro volta avranno la loro proprietà assicurata. Il diritto dello stato civile, così, renderà effettivi i diritti naturali attraverso leggi coattive in grado di armonizzare l’agire di ognuno con l’agire di ogni altro secondo una regola universale.

4. L’autocontraddizione della libertà selvaggia

Armonizzare l’agire di ognuno in accordo con l’agire degli altri significa limitare la libertà esterna di ognuno:

La limitazione della libertà di ognuno alla condizione dell’accordo di questa con la libertà di ogni altro, in quanto ciò sia possibile secondo una legge universale.17

Se ricostruiamo il discorso fatto fino ad ora, il problema che rende lo stato di natura invivibile è proprio l’esistenza della illimitata libertà, cioè di un agire basato sull’egoismo che rischia di distruggere la libertà del vicino, poiché l’assenza di limite implica l’invasione dello spazio di libertà altrui. Insomma, nello stato di natura è la stessa libertà che rischia di esser distrutta e, con essa, i diritti di proprietà e sicurezza personale. Per evitare che la stessa libertà si rivolga contro se stessa, quindi, si deve imporre una regola in maniera tale da armonizzare le libertà esterne dei membri della società civile:18

Solo sotto certe condizioni la libertà può trovare un accordo con se stessa, altrimenti essa entra in collisione con se stessa. Se in natura non vi fosse un ordine, ogni cosa giungerebbe al suo termine; lo stesso si deve dire anche di una libertà senza freni. Senza dubbio, nella natura, si trovano dei mali, ma il vero male morale, il vizio, si trova solo nella libertà […] . Il principio di ogni dovere è pertanto l’accordo dell’uso della libertà con i fini essenziali dell’umanità.19

Detto questo è chiaro che la libertà limitata da regole è l’unica possibile, poiché essa rappresenta la forma di convivenza in cui lo spazio d’azione di ognuno finisce laddove inizia lo spazio di libertà dei consociati.

Solo le regole, in ultima analisi, possono garantire la sopravvivenza della libertà; e tali regole sono frutto della ragione, facoltà che rende l’uomo consapevole dell’azione distruttiva della insocievolezza. Insomma, l’antagonismo conduce l’uomo a ragionare sulla convenienza di una società in cui la libertà può esprimere il suo potenziale entro delle regole comuni. Questo processo, però, si inscrive all’interno del piano teleologico della natura che, come abbiamo già visto, muove l’uomo per mezzo della ragione verso la società civile:

Ogni cultura ed arte che adorni l’umanità, l’ordine sociale più bello, sono frutto dell’insocievolezza, che è costretta da se stessa a disciplinarsi e, dunque, attraverso un’arte forzata, a sviluppare compiutamente i germi della natura.20

Fino ad ora è emerso con chiarezza l’aspetto opportunistico della fondazione della società, poiché essa giova alla conservazione dei diritti e all’esistenza di una libertà limitata; inoltre, come già detto, solo una trama di relazioni sociali è in grado di assicurare lo sviluppo delle proprie qualità e ambizioni personali. Tutto questo è, come già detto, progettato dal telos della natura, che ha previsto per l’uomo un motore egoistico per fondare una società che, alla fine, l’uomo stesso considererà come dovere morale, poiché essa è la condizione affinché l’uomo possa sviluppare la disposizione morale.21 È chiaro che il discorso kantiano, partito dall’antropologia, si muove adesso in direzione morale. L’insocievolezza creata dalla natura ha avuto, così, il fine di creare la disposizione morale; certo, pretendere una disposizione morale già presente nello stato di natura sarebbe stato difficile da giustificare; ma non appena l’uomo sviluppa la ragione pratica, egli seguirà le sue massime universalizzabili non per calcolo egoista, ma perché esse dettano una legge obbligante in quanto tale. A questo punto risulta evidente che Kant esprime il dovere di fondare la società civile con due punti di vista che sono una la condizione dell’altro: prima la doverosità proviene dall’interesse egoistico di salvaguardare la proprietà privata e la propria libertà; posta questa condizione, poi la doverosità dipenderà dal fatto che la società è imposta dalla ragione legislatrice. La fondazione di un corpo sociale comune si costituisce come dovere necessario della ragione:

L’unione riguardo ad ogni rapporto esterno degli uomini in generale, che non possono evitare di influire reciprocamente fra loro, è dovere primo e incondizionato: una tale unione si dà solo in una società che si trovi nello stato civile, vale a dire quando costituisca un corpo comune.22

Tale corpo comune, vista l’urgenza della difesa della libertà e dei diritti dei singoli, deve porre un argine alla illimitatezza della libertà tramite l’imposizione della coazione:

Dato che ogni limitazione della libertà attraverso l’arbitrio di un altro si chiama coazione, ne consegue che la costituzione civile è un rapporto di uomini liberi che […] sta sotto leggi coattive: poiché la ragione stessa lo vuole, e precisamente la ragione legislatrice pura a priori.23

La ragione legislatrice impone come dovere la fondazione della società, e tale imposizione è un dovere puro a priori, poiché legge emanata dalla ragione stessa. Il contrattualismo, come già nella filosofia precedente, trova il suo fondamento razionale e, assieme ad esso, anche ogni forma di potere vi troverà la propria legittimazione. È bene chiarire che la società civile che fa valere universalmente il diritto non rappresenta l’eliminazione dell’insocievolezza ma solo la sua regolazione, affinché la forza positiva insita in essa sia motore dello sviluppo della società:

Si rendano dunque grazie alla natura per l’intrattabilità, per la vanità suscitatrice di invidiosa rivalità, per l’invincibile brama di ricchezze o di dominio! Senza di esse tutte le disposizioni naturali innate nell’umanità giacerebbero in eterno non sviluppate.24

5. La coazione come fondamento della libertà civile

Per «dovere» Kant intende ciò che adempiuto per il fatto stesso di essere frutto del dettame della ragione pura pratica, fonte di massime universalizzabili necessarie al mantenimento della convivenza civile. La vita associata, in quanto promuove queste condizioni, diventa «doverosa». All’inizio, cioè prima della fondazione della società, il dovere non è sentito, però, in quanto tale, ma solo in quanto preserva la propria libertà e il proprio possesso. Se un uomo non vuole sottomettersi al corpo sociale, sarà la coazione a determinare l’universale a cui l’uomo dovrà adeguarsi; non appena, però, la disposizione morale sarà sviluppata, l’universale cui l’uomo dovrà adeguarsi sarà quello della propria ragione. Il motivo iniziale, dunque, è egoistico; ma quando la società sarà formata, l’uomo sentirà lo sviluppo della propria disposizione morale che gli permetterà di adeguarsi alla propria ragione in quanto pura a priori, in modo tale che l’uomo possa essere «libero dall’istinto, da se stesso, per mezzo della propria ragione».25 L’uomo raggiungerà così quella che per Kant è la virtù, la padronanza dei suoi istinti, verso i quali si deve capovolgere il rapporto di subordinazione: la vera libertà è il saper dominare le spinte della sensibilità, in modo che la volontà, quando decide un’azione, è in grado di prescindere da esse obbedendo solo ed esclusivamente alla ragione pura.

Posta la necessità della società civile, scaturisce l’obbligo incondizionato alle leggi del diritto, la cui forza determinante sarà la coazione. Questa consiste nell’uso della forza da parte della volontà riunita di tutti i componenti il corpo comune, ed essendo fonte di garanzia dei diritti dell’uomo, è allo stesso tempo il fondamento della libertà civile.

La prima e vera coazione che l’uomo compie, però, è quella verso se stesso, il quale impone a se stesso di entrare in un corpo comune e limitare la propria libertà selvaggia. Nell’imporre questa autocoazione, però, l’uomo è comunque libero, poiché non fa altro che obbedire al dettame della propria ragione: questo, paradossalmente, rappresenta quella autonomia normativa che rende l’uomo comunque libero, svincolato dalla eteronomia, cosicché l’uomo sia libero, nelle sue azioni, da motivi esterni a sé.26 L’uomo, così, si pone all’origine della propria società, delle sue leggi e della sua coazione; l’obbligare se stessi giova al mantenimento di un’equa libertà civile, l’unica forma di libertà possibile. Se la libertà fondata sulla coazione e sulle leggi può apparire un paradosso, sarà bene riflettere che è proprio il contrario, poiché è la libertà come anarchia che genera l’autocontraddizione delle libertà stessa, poiché dal suo fondo abissale non ci si può aspettare nessuna forma di garanzia, ma solo lotta, prevaricazione e morte. Insomma, è la natura della libertà stessa che chiede il limite, per poter essere effettiva nella pratica sociale, in maniera tale che ogni uomo possa costruire il progetto della propria vita senza ledere il consociato:

La libertà come uomo, il cui principio per la costituzione di un corpo comune io esprimo nella formula: nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (nel modo in cui questi pensa il benessere di altri uomini), ma ognuno deve poter cercare la sua felicità per la via che gli appare buona, purché non leda l’altrui libertà di tendere ad un analogo fine, libertà che possa accordarsi con la libertà di ognuno (ossia con questo diritto dell’altro) secondo una possibile legge universale.27

La ragione è il mezzo attraverso cui l’uomo può sfuggire al determinismo istintuale, ponendosi come signore dei suoi stessi comandi, oggetto e soggetto dei suoi obblighi:

La libertà dell’arbitrio è l’indipendenza della sua determinazione da ogni impulso sensibile, e questo è il concetto negativo della libertà. Ed ecco il concetto positivo: la libertà è la facoltà della ragion pura di essere per se stessa pratica.28

Kant rintraccia due aspetti della libertà, uno negativo e uno positivo. Sin dal momento in cui l’uomo, tramite la propria ragione, decide di svincolarsi dagli impulsi sensibili, mostra già di essere libero. Questa, però, è una libertà negativa, poiché è una libertà da qualcosa di esterno. Quando l’uomo pone a se stesso la norma per il proprio agire pratico, sarà di fronte all’accezione positiva della libertà. Possiamo notare che i due aspetti della libertà appena esposti appartengono a due sfere dell’esperienza umana: la libertà negativa è la libertà civile, quella positiva è la libertà morale, quella secondo cui l’uomo è fonte della propria legge, in maniera tale che l’uomo possa essere «libero dall’istinto, da se stesso, per mezzo della propria ragione».29

A questo punto è lecito domandarsi se tutti gli uomini agiranno nella medesima maniera; se, cioè, tutti obbligheranno se stessi ad abbandonare la libertà anarchica ed entrare in un corpo comune. Se qualcuno si rifiuta di entrare nello Stato di diritto, sarà comunque un uomo libero?

Secondo Kant, il soggetto che non vuole sottoporsi al diritto razionale

Mi lede già soltanto con l’essere in questo stato, in quanto si trova accanto a me; sebbene non di fatto (facto), ma appunto la mancanza di leggi del suo stato (stato ingiusto), per cui io sono costantemente minacciato da lui e lo posso costringere ad entrare con me in uno stato comune e legale, o a ritirarsi dalla mia vicinanza.30

Chi rifiuta l’ingresso in una società sottoposta a leggi, poiché la prossimità fisica è inevitabile, si pone come soggetto pericoloso nei confronti di quanti hanno scelto di autolimitare la propria libertà. Ciò comporta che anche un solo soggetto che non abbia obbligato se stesso a scegliere razionalmente di entrare nel corpo comune, dovrà essere costretto, coattivamente, ad entrare sotto una società di leggi. La libertà civile è, così, resa effettiva anche per questi soggetti: sotto una coazione che sentono come esterna, obbedendo ad un obbligo degli altri consociati, non possono che trar vantaggio da questo stato di cose, poiché anche per loro è stato scongiurato il pericolo dell’autocontraddizione della libertà selvaggia. La differenza risiede, però, nel fatto che costui non ha seguito la propria ragione, cioè la propria causalità libera.

Se tale causalità libera non si attua, deve intervenire una causalità esterna in vece di quella sua.31 È come se vi fosse un capovolgimento dei paradossi: è il non obbedire al dettame della propria ragione legislatrice che rende non liberi, soggetti sia alla coazione altrui, sia alla coazione dell’egoismo delle proprie inclinazioni: «La libertà, quando è in relazione alla legislazione interna della ragione, è propriamente soltanto un potere; la possibilità di deviare da questa è una impotenza».32

L’uomo che non obbedisce alla legge della propria ragione si lascia andare ad un forma di schiavitù che gli preclude la possibilità di autodeterminarsi al fine di sviluppare la disposizione morale. L’uomo ha una costituzione antropologica duplice, poiché oltre il fatto della ragion pratica, cioè la libertà, vi sono istinti e passioni che si assommano nell’egoismo antagonista di cui parlavamo prima:

L’esperienza anche dimostra che in lui c’è una tendenza a desiderare attivamente ciò che è illecito, pur sapendo che è illecito, cioè il male, tendenza questa che si manifesta immancabilmente, non appena l’uomo incomincia a far uso della propria libertà, onde può considerarsi come innata, così accade che l’uomo nel suo carattere sensibile si possa giudicare anche come cattivo (per natura).33

Se l’uomo fosse razionalità pura, senza l’ostacolo della sensibilità, la coazione (lo streben contro se stessi) non sarebbe necessaria, la volontà sarebbe in accordo con se stessa, e da essa spontaneamente sgorgherebbe il bene, senza necessità dell’imperativo morale. Insomma, laddove non agisce la libertà del singolo, l’autocoazione sarà sostituita dalla coazione esterna degli altri individui. Ciò non significa che la volontà dell’individuo sarà adeguata alla ragione, poiché, in verità, un tale adeguamento è una questione interiore (etica dell’intenzione); ciò che si adeguerà alla ragione legislatrice è il comportamento esterno (legalità), a prescindere dalla convinzione interna del soggetto. La natura ha previsto, per i casi in cui gli uomini intendano ribellarsi alla norma razionale, il legittimo utilizzo della forza ai fini della costituzione della società civile.

6. Il telos della natura: determinismo e la libertà

La concezione teleologica della natura propone, così, delle misure correttive; e questo proprio perché la volontà dell’uomo non sarà mai pura.34 Questo è il dato antropologico di partenza della filosofia kantiana, a partire dal quale la natura mette in atto le strategie per la fondazione della società civile, la ragione interna e la coazione esterna. Questa tesi comporta, però, che la teleologia naturale non riguarderà solo l’aspetto antropologico dell’uomo, ma anche la vita storica,35 dal momento che la ragione libera che costruisce la storia fa parte di un disegno della natura.36 La persuasione kantiana dell’esistenza di un progetto teleologico naturale proviene dal fatto della ragione pratica, cioè l’esistenza della libertà, che permette all’uomo, a differenza degli altri esseri viventi, di liberarsi dalle inclinazioni sensibili e decidere di seguire massine universalizzabili che tengono conto del fatto che le proprie azioni interagiscono con la sfera privata dei propri consociati. Se la natura ha dato agli animali l’istinto come guida delle proprie azioni, e all’uomo ha dato invece la causalità libera, vuol dire che essa ha voluto seguire un preciso scopo. La natura ha fatto in modo che l’uomo fosse autore della fondazione della società civile37 attraverso la sua causalità libera. L’Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico è forse l’opera in cui Kant esprime al meglio il punto di vista della dottrina teleologica, in cui sostiene che se a livello biologico esistono organi disposti secondo un determinato fine, anche le disposizioni interne dovranno «un giorno svilupparsi in modo completo e conforme al fine».38 Seguendo l’evoluzione delle nove tesi ivi esposte, si evince che il telos della natura è morale, poiché la società civile tanto voluta dalla natura servirà come condizione per lo sviluppo della disposizione39morale dell’uomo:

Si può considerare la storia del genere umano, in grande, come il compimento di un piano nascosto della natura volto ad instaurare una perfetta costituzione statale interna, e, a questo fine, anche esterna, in quanto unica condizione nella quale la natura possa completamente sviluppare nell’umanità tutte le sue disposizioni.40

I caratteri antropologici che la natura ha dato all’uomo vanno letti in chiave teleologica. L’antagonismo insito nella insocievole socievolezza, la conseguente resistenza verso i consociati, la paura che il proprio spazio di libertà venga invaso dall’anarchia del vicino, sono strumenti che la natura ha messo nell’uomo, alla fine, per il proprio fine morale. Questi caratteri generano un potenziale conflitto che, paradossalmente, genera l’esigenza di preservare se stessi. Come già abbiamo detto prima, l’uomo, al fine di evitare il pericolo della resistenza reciproca, e per garantirsi esistenza, libertà e proprietà, avrà interesse a costituire una società civile che faccia valere universalmente il diritto:

A costringere l’uomo, altrimenti così ben disposto ad una libertà incontrollata, ad entrare in questo stato di coazione, è la pena; e precisamente la massima fra tutte le pene, quella che reciprocamente si procurano gli uomini, le cui inclinazioni fanno sì che essi non possano stare a lungo l’uno accanto all’altro in selvaggia libertà.41

Ecco riaffacciarsi il paradosso: sarà proprio la natura insocievole dell’uomo a spingerlo verso le leggi, perché grazie ad esse si creano le condizioni affinché senta «in maggior misura se stesso in quanto uomo, sente cioè lo sviluppo delle sue disposizioni naturali».42 Di tutto ciò l’uomo non sarà consapevole fino allo sviluppo della sua disposizione morale. In prima istanza, infatti, nel perseguire il suo egoismo, non si renderà conto che sta agendo proprio seguendo il piano nascosto della natura:

I singoli uomini, ma anche i popoli interi, pensano poco al fatto che, mentre perseguono i loro scopi, ciascuno a proprio senno e spesso l’uno contro l’altro, procedono senza accorgersene verso lo scopo della natura, che pure è loro sconosciuto.43

La natura si serve del gioco della causalità libera umana e delle inclinazioni per attuare il suo scopo, cioè l’instaurazione della società civile. L’esistenza di un telos della natura, però, non implica il determinismo, poiché, come già anticipato precedentemente, le relazioni fra le disposizioni interagiranno in maniera libera e, inoltre, le regole empiriche che governeranno tali relazioni saranno stabilite empiricamente dall’uomo nella situazione concreta, sempre nel rispetto, però, della universalizzabilità delle massime scelte (imperativo categorico), cosa che può avvenire solo e soltanto se l’uomo è libero dagli istinti e padrone di imporsi la propria legge:

Quello che permette a Kant di non cadere in un determinismo naturalista è l’inserimento dell’idea di libertà. La storia, anche se è voluta dalla natura, è azione libera dell’uomo, dominio delle coscienze dotate di ragione, che liberamente obbediscono, eseguono, l’imperativo morale dettato dalla ragione stessa.44

Afferma, pertanto, Kant:

I fenomeni di questa libertà, le azioni umane, sono tuttavia determinati come ogni altro evento naturale da leggi universali della natura. La storia […] fa tuttavia sperare di sé che se il gioco della libertà del volere umano viene considerato in grande, essa possa scoprire un loro andamento regolare; e che in tal modo ciò che nei singoli soggetti appare ingarbugliato e senza regola, nell’intero genere possa essere riconosciuto come uno sviluppo costantemente in progresso, anche se lento, delle sue disposizioni originarie.45

A questo punto appare chiaro che ragione, libertà e antagonismo della insocievole socievolezza sono strumenti del telos della natura. La libertà che muove la storia esibisce una certa regolarità; ciò, però, serve ad assicurare il pieno sviluppo delle disposizioni umane. L’intenzione kantiana desso risulta chiara: trovare un ordine nel corso delle azioni umane, una regolarità che non può non sussistere in una natura saggia, la cui saggezza funga da modello per l’uomo. Se, infatti, la natura avesse un corso non regolare, contingente, non si potrebbe spiegare la fondazione, quasi certa, di un ordinamento civile; e per di più le stesse facoltà umane non avrebbero ragione di esistere, dal momento che così non ci sarebbero le condizioni per potersi sviluppare. Solo in tal caso si potrebbe affermare, come fa Kant, che la natura gioca con l’uomo un gioco infantile senza scopo. L’esistenza umana non avrebbe senso e la disposizione morale rimarrebbe una sorda voce.

Parlare di regolarità, però, non significa soffocare la libertà umana; al contrario, è la condizione della stessa libertà. Inoltre, tale regolarità è una auto imposizione della propria ragione libera, rendendo l’uomo autore del corso regolare della storia dell’umanità. Kant, così, riesce a salvare la libertà dell’uomo attraverso l’ancoraggio al concetto di ordine e la liberazione dal caos autodistruttivo. L’andamento generale dell’umanità volge verso il progresso, e tale cresciti esibisce la sua regolarità nello sviluppo storico. Non i risultati specifici, però, sono determinati, ma solo lo sviluppo generale. La previsione di un generico conflitto, ad esempio, non costituisce di per sé alcuna forma di determinismo, poiché soltanto un risultato ben preciso che nulla lascia all’azione libera umana46 possono rientrarvi. Il fatto che ci si possa opporre alla società, al disegno della natura dimostra, al contrario, che non vi è una strada tracciata che porti ad un’unica direzione ma vi sono delle forze contrarie: proprio in virtù di ciò è necessario il porsi della coazione (sia l’autocoazione interna, sia quella esterna); altrimenti l’uomo, senza bisogno della costrizione, avrebbe raggiunto lo scopo della natura, la società civile:

Quando si fosse sollevato dalla massima rozzezza alla massima abilità, alla perfezione interiore dell’atteggiamento di pensiero e con ciò (per quanto è possibile sulla terra) alla felicità, dovesse averne il merito esclusivo e ringraziare di tutto ciò solo se stesso; proprio come se essa [la natura] avesse mirato a che egli [l’uomo] ottenesse razionale stima di sé.47

La natura ha deciso, per l’uomo, un destino diverso dalle altre specie, in quanto ha voluto che egli si traesse tramite la sua ragione fuori dall’influsso dell’istinto, e tale libertà la natura ha voluto che l’uomo la guadagnasse da sé, attraverso l’uso della facoltà razionale. La stessa coazione che l’uomo s’impone, necessita della libertà come unico fondamento dell’azione morale, perché libera l’uomo dalle pulsioni egoistiche, per seguire le sole massime universalizzabili dettate dalla ragione. Ma essere autore di auto obbligazione e non essere soggetto alla legge altrui, significa essere eticamente autonomo, nel senso etimologico del termine, cioè del saper governare se stessi.

La rivoluzione etica kantiana, in realtà, è l’espressione di un’epoca in cui alla dissoluzione della cultura tradizionale, seguiva la necessità di rifondare l’esperienza pratica umana su basi più solide:

Con lo svanire dell’assolutismo teologico e l’inizio dell’autoaffermazione umana, da un lato, e la dissoluzione della concezione teologica della natura mediante il concetto di natura delle nuove scienze naturali, dall’altro, i tradizionali fondamenti di validità sono andati perduti. Perciò, l’obbligazione, dovette essere concepita nuovamente, nuovamente inventata; e la filosofia pratica considerò suo compito sviluppare questa nuova grammatica teoretica dell’obbligazione.48

La secolarizzazione e la fisicalizzazione49affermatesi durante l’Illuminismo, hanno comportato la dissoluzione dei fondamenti tradizionali dell’esperienza umana.

In questa rivoluzione si manifesta l’originalità del pensiero di Kant che pone la libertà come fondamento dell’azione morale, anche se, proprio per questo, la libertà paga il costo di essere necessaria. Infatti, essa è sì il «fatto della ragione pratica», ma in quanto tale si pone come postulato necessario affinché l’esperienza pratica sia possibile. Dato che l’uomo è oggettivamente capace di azioni universalizzabili, ciò significa che deve essere per forza libero. Una libertà che, se da un lato porta al male, dall’altro si pone come fonte inesauribile di diritto, nel senso che ogni legge, che ogni forma di diritto esistente, proviene dalla ragione umana:

La creazione di obbligazione morale dal nulla normativo è così autonoma e potente, che non c’è alcuna struttura di essere, comunque configurata, su cui la legislazione razionale possa basarsi.50

L’uomo kantiano è talmente libero da essere legge a ,51 libero anche dall’eteronomia di Dio. È proprio il nulla normativo, cioè il fatto che nell’abisso della libertà c’è il nulla della legge, a costituire la possibilità per la ragione di scoprirsi libera fonte di diritto.

7. Conclusioni

Il processo che ha portato l’uomo alla sua autonomia morale va collocato all’interno della visione teleologica della natura, il cui scopo è il progresso dell’umanità; tale progresso, però, esige l’esistenza della libertà del volere, pena la distruzione del piano nascosto della natura a causa delle inclinazioni naturali. La libertà si costituisce come postulato necessario, il solo in grado di spiegare il perché l’uomo riesce a svincolarsi dai suoi istinti. Inoltre, la libertà, coincidendo con la legge morale, non implica la sua dissoluzione in una legge qualunque, ma risorge come possibilità dell’uomo, possibilità di scelta: obbedire al determinismo naturale o riuscire a imporsi anche sopra la sua stessa natura.

La portata rivoluzionaria della morale kantiana si mostra in tutta la sua forza se consideriamo l’epoca nella quale avviene, l’età dello sviluppo delle scienze naturali, che proponevano una visione deterministica e necessitante. Poiché anche l’uomo rientrava nell’ordine naturale e poiché era caduta la metafisica tradizionale che faceva derivare l’etica dalla religione, era necessario rifondare l’etica su salde basi razionali, pena la dipendenza dell’etica umana dal determinismo naturale. Kant riesce a evitare questo rischio ponendo come fondamento dell’agire morale proprio l’opposto del determinismo: la libertà della ragione umana universale. Da qui la società, fondata sulla base di una ragione libera che si rende cosciente del danno delle inclinazioni naturali. Fuori da moralismi di ogni sorta, Kant riconosce quanto sia importante, nella costruzione della società civile, l’aspetto egoistico, quello della gloria personale. La leva dello scontro, con la consapevolezza della perdita di tutto, genererà l’esigenza di ricomprendere l’umanità sotto leggi universali, condizione di un corso regolare nello sviluppo dei caratteri umani. Ciò sarà possibile tramite la coazione interna di ogni uomo, che seguirà il dettame della ragione. Nel caso in cui alcuni non vogliano sottoporsi alle leggi, interverrà la coazione esterna, poiché questi, con questa scelta irragionevole, non stanno obbedendo alla ragione, ma solo alle inclinazioni. Il compromesso kantiano non risiede nella distruzione delle inclinazioni, ma solo nella creazione di una condizione legale in cui esse non possano distruggere il progetto della natura di far sviluppare le attitudini umane. Vivere dentro la società, con lo sviluppo della cultura, farà comprendere all’uomo quanto sia doverosa la costituzione della società civile. Col tempo, essa sarà doverosa in quanto contenuto di una legge di ragione, che deve essere obbedita in quanto tale. Come dire: dalla legalità (coazione) e dall’interesse, alla moralità (etica dell’intenzione). Quella di Kant è una visione realistica, poiché è difficile considerare ogni uomo pronto a sacrificare la propria felicità individuale per il rispetto della legge morale universale. Proprio per questo Kant ha intravisto il meccanismo che dalla mera legalità vigente nel contrattualismo, porterà alla consapevolezza dell’importanza e alla necessità dell’esistenza, per la vita dell’uomo, di una società civile e della vita in comune in genere.


  1. Immanuel Kant, Delle diverse razze di uomini, in Scritti di storia, politica e diritto, a cura di Filippo Gonnelli, Ed. Laterza, Bari, 1995, pag. 11. ↩︎

  2. Ivi, pag. 12. ↩︎

  3. Ivi, pag. XIII dell’introduzione. ↩︎

  4. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit. pag. 30/31 . ↩︎

  5. Ivi, pag. 30 ↩︎

  6. Cfr. Pietro Quattrocchi, Comunità religiosa e società civile nel pensiero di Kant, Firenze, Le Monnier, 1975, pag. 84. ↩︎

  7. Filippo Gonnelli, Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. XV. ↩︎

  8. Immanuel Kant, Antropologia pragmatica, Bari, Laterza, 1969, pag. 12. ↩︎

  9. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. 33 . ↩︎

  10. Ivi, pag. 161. ↩︎

  11. Ivi, pag. 29-30. ↩︎

  12. Faccio esclusivamente riferimento al fatto che sia Kant che i giusnaturalisti considerano diritti innati dell’umanità la libertà, la proprietà, la sicurezza personale. ↩︎

  13. Immanuel Kant, La metafisica dei costumi, Roma-Bari, Editori Laterza, 2001, pag. 69. ↩︎

  14. Cfr. Stefano Petrucciani, Modelli di filosofia politica, Einaudi, Torino, 2003, pag. 117. ↩︎

  15. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti di storia, politica e diritto, op cit., pag. 34. ↩︎

  16. Ivi, pag. 68. ↩︎

  17. Immanuel Kant, Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. 137. ↩︎

  18. Cfr. Wolfgang Kersting, Libertà e obbligazione in Kant, in La libertà nella filosofia classica tedesca, a cura di G. Duso e G. Rametta, Milano, Ed F. Angeli, 2000, pag. 47. ↩︎

  19. Immanuel Kant, Lezioni di etica, Roma-Bari Editori Laterza, 1998, pag. 142-143. ↩︎

  20. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. 35. ↩︎

  21. Cfr. Pietro Quattrocchi, Comunità religiosa e società civile nel pensiero di Kant, op. cit., pag. 91 . ↩︎

  22. I. Kant, Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi, op. citata, pag. 136. ↩︎

  23. I. Kant, Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi, op. citata, pag. 137. ↩︎

  24. Ivi, pag. 34. ↩︎

  25. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. 32. ↩︎

  26. Cfr. Wolfgang Kersting, Libertà e obbligazione in Kant, in La libertà nella filosofia classica tedesca, op. cit., pag. 44. ↩︎

  27. Immanuel Kant, Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. 137-138. ↩︎

  28. Immanuel Kant, La metafisica dei costumi, op. cit., pag. 14. ↩︎

  29. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. 32. ↩︎

  30. Immanuel Kant, Per la pace perpetua, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. 169. ↩︎

  31. Cfr. Wolfgang Kersting, Libertà e obbligazione in Kant, in La libertà nella filosofia classica tedesca, op. cit., pag. 57. ↩︎

  32. Immanuel Kant, La metafisica dei costumi, op. cit., pag. 30. ↩︎

  33. Immanuel Kant, Antropologia pragmatica, op. cit., pag. 219. ↩︎

  34. La purezza della volontà nel pensiero di Kant è irrealizzabile, ma deve essere una meta ideale da raggiungere, in modo che l’agire dell’uomo si adegui sempre più al dover essere↩︎

  35. Cfr. Pietro Quattrocchi, Comunità religiosa e società civile nel pensiero di Kant, op. cit., pag. 84. ↩︎

  36. Come abbiamo già detto la ragione è stata data all’uomo dalla natura per elevarlo ad un rango più alto di quello degli animali, infatti con questo mezzo può essere fondata la società civile per rispetto della dignità dell’uomo. Da questa condizione la natura ha voluto che l’uomo sviluppasse la disposizione morale. La stessa libertà fa parte del disegno della natura, infatti attraverso la sua presupposizione l’uomo può essere artefice di autobbligazione, condizione necessaria per la fondazione di una società civile. ↩︎

  37. Cfr. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. 34. ↩︎

  38. Ivi. pag. 30. ↩︎

  39. Ivi. pag. 34 . ↩︎

  40. Ivi, pag. 39. ↩︎

  41. Ivi, pag. 34-35. ↩︎

  42. Ivi, pag. 33. ↩︎

  43. Ivi, pag. 29-30. ↩︎

  44. Pietro Quattrocchi, Comunità religiosa e società civile nel pensiero di Kant, op. cit., pag. 90. ↩︎

  45. Immanuel Kant, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti di storia, politica e diritto, op. cit., pag. 29. ↩︎

  46. Ma si può opporre un’obbiezione: il risultato certo della costituzione della società civile non rappresenta forse il fatto che vi sia determinismo? Possiamo rispondere che tale risultato è realizzato dalla causalità libera umana. La natura ha fatto sì che l’uomo fosse libero artefice di tale risultato, svincolato dalle sorti di un automatismo sotto leggi meccanicistiche. Proprio per eliminare il determinismo la libertà kantiana paga il prezzo di essere necessaria. ↩︎

  47. Ibidem. ↩︎

  48. Wolfgang Kersting, Libertà e obbligazione in Kant, in La libertà nella filosofia classica tedesca, op. cit., pag. 41. ↩︎

  49. Ibidem. ↩︎

  50. Ivi. pag. 45. ↩︎

  51. E questo è un nuovo sé, indicante il della ragione e non il soggetto dello stato di natura. ↩︎