Recensione a Mario Toso, Democrazia e libertà. Laicità oltre il neoilluminismo postmoderno

Mario Toso, Democrazia e libertà. Laicità oltre il neoilluminismo postmoderno, LAS, Roma 2006, 248 pp.

Il volume del professor Toso, Ordinario di Filosofia politica e Rettore Magnifico della Pontificia Università Salesiana di Roma, si pone all’attenzione del lettore come tentativo di riflessione circa i rapporti tra democrazia e libertà; con la consapevolezza della complessità delle questioni in gioco, l’autore intravede, tra le cause della crisi della democrazia attuale, una profonda crisi antropologica ed etica.

Oggi si pensa, dunque, di salvare e globalizzare la democrazia intendendola soprattutto come un insieme di regole procedurali, associandola ad un concetto di libertà riduttivo, soggettivistico, appiattito su visioni meccanicistiche della vita (p. 6).

Il volume, ravvisando uno svuotamento etico delle società civili e quindi dell’idea di democrazia, avverte dell’impossibilità di un suo vero rinnovamento se si investono tutte le proprie energie nel riformare e nell’esportare la democrazia solo mediante un’opera di ingegneria istituzionale supportata dal relativismo etico e operativo.

Nell’intento dell’autore, il volume non propone una riflessione sistematica sul tema della democrazia, ma ne assume alcuni problemi cruciali, per individuarne le aporie ereditate dal pensiero moderno e per offrire linee guida per il loro superamento, alla luce di una ragione speculativa e pratica, illuminata e potenziata dalla fede, che la purifica e la rende retta. Solo un’antropologia concepita in termini trinitari, grazie ad una ragione globale più che sperimentale, può portare la rivoluzione di Dio nelle comunità politiche.

Utile, interessante e significativa dal punto di vista filosofico è la struttura del testo che si mostra anche come un’indicazione di metodo. Essa muove dalla consapevolezza dell’autore di affrontare il tema della democrazia con strumenti intellettuali e teoretici, e intende evitare di insabbiarsi in territori ideali che si rifanno a una teoria della politica senza un aggancio alla realtà concreta in cui l’umano si attualizza e realizza.

L’ambito della democrazia non può esaurirsi in quello della politica. Essa lo trascende, immagliandosi nella famiglia, nella società civile, nell’economia nell’ethos dei popoli. Per questo, le riflessioni che la riguardano devono essere condotte non ignorando le realtà sociali che ne evidenziano ambiti di realizzazione, di estensione e di alimentazione dal basso. Qui si prendono in considerazione la famiglia e il sindacato come soggetti della società civile, l’etica pubblica e la giustizia sociale, l’amministrazione pubblica, l’economia sociale e la cooperazione di solidarietà, la laicità dello Stato di diritto (p. 8).

Così, nei primi due capitoli l’autore propone, evidenziandone le specificità, da una parte, un’analisi (attualissima) della famiglia (nel primo capitolo) considerandola nel suo contesto vitale che è il territorio, e facendone emergere la funzione di tessuto vitale della democrazia. Solo ripensando la famiglia non esclusivamente per i suoi problemi ma soprattutto per le sue ricchezze etiche e culturali, per le sue imprescindibili funzioni sociali, si potrà attuare una seria riforma dello Stato sociale. Dall’altra parte, invece, si avverte del pericolo di una democrazia che molte volte esclude i soggetti sociali intermedi come i sindacati, rischiando di impoverirsi e di divenire verticista. Così nel secondo capitolo si propone un ripensamento del ruolo politico e sociale del sindacato in vista di una maggiore rappresentanza democratica.

la perdita degli strumenti cognitivi e critici che permettono di accedere alla realtà integrale delle persone e dei problemi. Ciò che manca è un quadro culturale capace di germinare e di suscitare la rinascita ella vita politica (p. 54).

Nel terzo capitolo si propone a rimedio di una tale crisi valoriale della democrazia la dottrina sociale della Chiesa come una vera e propria bussola orientatrice. Nel prosieguo del lavoro, l’autore si richiama sovente a questo filone del pensiero sociale, indicandolo non solo come indispensabile per il discernimento del credente e degli uomini di buona volontà, ma come capace di offrire alcune piste per una provvida sintesi culturale per l’attuale contesto di frammentazione dei saperi.

Così l’autore, in maniera ricorsiva, muovendo da istanze “pratiche” (la famiglia e il sindacato nei due primi capitoli) passa per una congiuntura filosofica vitale che è la fondazione antropologico-etica del discorso democratico, per poi ritornare, dopo questo approfondimento teoretico, nuovamente a considerare alcune aspetti della realtà sociale quali: la globalizzazione, il bene comune mondiale, l’etica pubblica, la pubblica amministrazione, l’economia, la solidarietà. In questo modo, nei capitoli che vanno dal quarto all’ottavo, l’autore, considerando le dimensioni sociali summenzionate, propone accanto a delle analisi puntuali anche delle prospettive per il futuro.

In sintesi, in questi capitoli si mostra che se vengono ignorati l’essere delle persone e la legge morale che le guida, difficilmente la democrazia potrà rappresentare un segno di speranza per il futuro e un’attuazione a misura d’uomo. La democrazia, infatti,

potrà essere realmente strumento di liberazione, partecipazione, emancipazione e rappresentare un futuro di pienezza umano-politica, qualora permetta ai cittadini di vivere da soggetti capaci di vero e di bene. Al di fuori di un umanesimo plenario, comunitario e relazionale, aperto alla Trascendenza in termini di teocentricità, la democrazia svilupperà il suo potenziale di libertà con grande affanno (pp. 6-7).

Nella parte finale del volume (nei capitoli nove e dieci), l’autore, a conclusione ormai del suo studio, sostiene che per una rinascita della democrazia sanamente laica (in chiave partecipativa e solidale) occorre passare necessariamente attraverso la rivisitazione storico-culturale e la riappropriazione delle sue radici umane e cristiane.

Nell’ottica della strutturazione del lavoro, la mossa dell’autore sembra alquanto significativa. Ritorna di nuovo, dopo i diversi capitoli centrali, a considerazioni teoretiche sul senso e il valore della laicità e sulla rifondazione stessa della filosofia morale e pratica. Così, a partire dalla crisi della laicità, l’autore individua le cause del suo indebolimento e le condizioni del suo consolidamento (sulla base di una nuova risemantizzazione) in vista di un nuovo umanesimo e di un ethos aperti alla legge naturale e alla Trascendenza e considerando la funzione pubblica della religione.

Ma è soprattutto nell’ultimo capitolo che l’autore offre quella che lui stesso chiama una via antica e nuova per la risemantizzazione della laicità, e cioè la via filosofica che va dal fenomeno al fondamento. Rilevando come la morale secolarizzata e laica non sembrano offrire un fondamento incontrovertibile alla regola morale, ne dimostra l’incapacità a vincolare l’uomo dall’interno e ripropone il problema del fondamento, “senza il quale la legge morale non è riconoscibile universalmente, i valori e i diritti sono controvertibili, finiscono per essere meri residui della coscienza, tronchi divelti, alla deriva nella corrente delle mode” (p. 215).

Così il lettore, quasi travolto dai pensieri e dalle movenze avvincenti della trama (filosofica in questo caso), come nei migliori capolavori della letteratura, è posto dinanzi ad un bivio: o accetta la deriva nichilista cui conduce molta parte della filosofia moderna e postmoderna o procede alla ricerca di un fondamento radicale certo per le norme morali.

L’autore, riprendendo la metafora letteraria, quasi disvelando i suoi intenti teoretici solo alla fine (ma pregiudizialmente presenti fin dall’inizio e disseminati lungo tutto il volume) analizza il fondamento delle norme morali facendo ricorso al personalismo comunitario e alle nuove acquisizioni sul pensiero tomista.

Mi pare che questo intento metodologico, esplicitato soprattutto nei due capitoli finali, con l’invito a passare dal fenomeno al fondamento, costituisca in realtà la trama stessa di tutto il volume e della sua architettura e la sua finalità centrale, come ho cercato di mostrare nel corso di queste pagine.

Pertanto, l’opera, con uno stile piano e armonioso, sempre in dialogo con le istanze filosofiche contemporanee, s’impone per la lucidità con cui legge i fenomeni sociali e democratici in modo particolare, ma soprattutto per l’originalità strutturale (che poi è anche contenutistica e metodologica): aiutare il lettore a passare dal fenomeno al fondamento evitando di perdersi nelle paludi del relativismo.