Recensione a Reinhard Lauth, Dostoevskij e la Verità

Reinhard Lauth, Dostoevskij e la Verità, a cura di M. Ivaldo, Il ramo, Rapallo 2005, 72 pp.

Il volume presenta il testo originale e la traduzione di una conferenza tenuta da Reinhard Lauth nel marzo 1989 a Mosca, presso l’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica. Si era alla svolta di un’epoca, e urgenti apparivano, allora come oggi e sempre, le richieste di una parola di senso. Questo senso ultimo viene mostrato dall’opera di Dostoevskij, ricostruita da Lauth nel suo significato filosofico, come affermazione vigorosa del fatto che Dio risiede nella verità, non sta con il potere. Questo è il leitmotiv identificato da Lauth sin dal suo scritto di abilitazione del 1950: La filosofia di Dostoevskij. Presentazione sistematica. Come viene affermato da Ivaldo nella sua densa introduzione, lungo il corso della sua ricerca Lauth ha ricostruito due linee portanti dello spirito moderno. La linea Descartes-Kant-Fichte è la prospettica sistematica della comprensione trascendentale della realtà pratico-teoretica, nel suo costituirsi a partire dall’indipendenza libera dell’io e dalla destinazione morale del mondo e delle persone comprese in questo trovarsi. La prospettica Rousseau-Jacobi-Dostoevskij rappresenta invece l’incarnazione presentata da Lauth come esigenza radicale per l’esistenza storica dell’umanità. Il concetto di incarnazione, che Ivaldo ha approfondito nei termini della necessità di una “incarnazione del concetto” a partire dall’ultima dottrina morale di Fichte, si accompagna sempre all’esigenza omoiotetica nella filosofia di Lauth. L’omoiotesi è delineata da Lauth a partire dall’analisi filosofica dei Demoni di Dostoevskij, e si può descrivere come la “comprensione esemplare di una determinata posizione spirituale in una figura concreta e nella configurazione che da essa deriva”. L’omoiotesi è quindi l’esemplificazione di un’esistenza, dell’incarnazione di un destino in una figura, in un personaggio che la rende classica, nel senso che Italo Calvino associava al termine “classico”. L’omoiotesi è sempre doxica e pratica insieme, esprime la visione del mondo di un personaggio in maniera inscindibilmente connessa con le decisioni che tale personaggio ha intenzione di prendere nei confronti del mondo stesso. I tre pensatori e romanzieri che costituiscono la prospettiva che culmina in Dostoevskij sono infatti accomunati dalla comune fiducia nel darsi di un mondo non statico e morto, ma vivo e vitale nel suo profondo, con-costituito dal soggetto. Come affermava Philonenko nei confronti della filosofia di Fichte, il pensatore che più d’ogni altro ha ispirato Lauth, si può ritenere che l’idealismo di Fichte sia semantico, cioè il punto di partenza della sua filosofia non è il fatto che l’io sia il creatore del mondo, ma che l’io doni al mondo il suo senso.

Questa donazione di senso è la ricerca di una determinazione, che però non è originaria dell’io medesimo, ma è percepita dall’io come un invito, una vocazione. Tale vocazione arriva dall’altro soggetto, ma primariamente muove dal garante della verità del mondo, che è anche il creatore della verità nel mondo, cioè viene da Dio. Dio dona al mondo la sua verità e anche la sua veracità, come già affermato da Descartes, la sua capacità di coniugare la verità con la vita, nell’agire storico. Tra i referenti di questa concezione lauthiana della storia menzioniamo ad esempio la prospettiva dei Prolegomeni alla Storiosofia di August von Ciezkovski. La storia è il campo di applicazione di quella Sofia che da oriente torna sempre a interrogare la scienza occidentale: mentre la scienza pretende di avere già individuato i suoi fini ultimi, la Sofia interroga sempre il filosofo nei riguardi della domanda di senso, della domanda di verità. Dostoevskij si qualifica, come si afferma a p. 59 dell’opera, come qualcosa di più di uno scrittore, con questi infatti “entra nell’esistenza una dimensione interamente nuova”. Egli ha riconosciuto il male nella sua espressione interamente satanica, e la rimozione di questa dimensione si manifesta come il suo maggior trionfo nella modernità. In questo senso la lettura di Lauth si illumina reciprocamente con la lettura di Pareyson del grande russo. I due filosofi infatti condividevano l’amore per l’autore in questione, compagno di viaggio nelle loro investigazioni sul darsi veritativo della libertà, nella prospettiva sistematica di Lauth o ontologico-abissale di Pareyson.

In questo scritto breve si realizza un abbozzo dell’applicazione del metodo prospettivista alla letteratura più elevata. Tale metodo, come spiegato di recente da Radrizzani, è stato praticato da Lauth e dai suoi allievi migliori in riferimento al costituirsi della filosofia trascendentale, vera sistematica della modernità. Qui il prospettivismo si applica invece alla Sofia e alla sua incarnazione omoiotetica in alcuni personaggi resi immortali dal loro riconoscersi nella drammatica storica, teatro della rappresentazione della verità di Dio.