Recensione a René Girard, Violenza e religione

René Girard, Violenza e religione, Raffaello Cortina, Milano 2011, 85 pp., 11 €.

Entrare nel mondo di René Girard significa attraversare un campo di pensieri suggestivo e affascinante. Data la copiosa fecondità dell’autore, non c’è niente di meglio di questo libretto appena pubblicato che, come un Virgilio, conduca il lettore, in maniera sintetica ed efficace, ad esplorare i temi centrali degli studi dell’autore. Una guida, quindi, sia per chi voglia conoscere l’autore che per chi voglia fare semplicemente il punto. Il primo saggio di Girard, che dà il titolo al volume è, come ci ricorda il curatore del volume Wolfganfg Palaver nella Postfazione, una conferenza tenutasi nel novembre 2003 presso l’Università della Virginia. Qui sono contenute tutte le parti della sua teoria mimetica: il desiderio mimetico, il meccanismo del capro espiatorio e la differenza essenziale tra la religione arcaica e la rivelazione ebraico-cristiana. Secondo Girard la violenza umana è di natura diversa da quella animale perché viene scatenata non tanto dall’istinto aggressivo quanto dal desiderio mimetico, in quanto l’uomo tende ad imitare i desideri dei modelli che ammira. Le rivalità imitative o mimetiche che scatenano la violenza degli uomini si ritrovano alla base dei miti fondatori delle religioni arcaiche. Ognuno di essi ha inizio con una crisi mimetica che segue più o meno lo stesso schema: una «vittima viene uccisa dall’intera comunità, e poi divinizzata». (p. 11) Le comunità arcaiche trovano dunque la loro coesione e riappacificazione nell’illusione di aver individuato un criminale autentico scaricando su di lui la colpa. Si giunge così al meccanismo, già trattato da Girard nei suoi studi principali, del capro espiatorio. In questo modo la comunità raggiunge la katharsis, la purificazione che sposta la violenza di tutti contro tutti della comunità verso la violenza rivolta dall’intera comunità contro uno solo, il colpevole. Il sacrificio rituale fu un’invenzione delle religioni arcaiche allo scopo di prevenire i cosiddetti conflitti mimetici all’interno della comunità. Girard applica le sue ricerche sulla teoria mimetica anche al rapporto tra religione, cultura e violenza, mettendo in luce l’emergenza del meccanismo mimetico del vittimismo costituito fin dalle origini da particolari forme di divieti e sacrifici rituali. In questo modo le religioni arcaiche permisero all’umanità di usare in modo positivo il potere mimetico (che era appunto il motivo scatenante la violenza all’interno della comunità). Quindi «le religioni arcaiche non costituiscono affatto la causa della violenza, bensì sono (o piuttosto erano) in primo luogo una conseguenza di questa violenza e in secondo luogo la protezione primaria contro di essa». (p. 16) La vittima era dunque ritenuta responsabile dei conflitti mimetici all’interno della comunità e delle loro conclusioni, e quindi era prima demonizzata e poi divinizzata. Il merito principale degli studi di Girard si può senz’altro ascrivere alla sua originale e storicamente documentata interpretazione della Bibbia ebraica e dei Vangeli cristiani, che, a suo avviso, rovesciano esattamente questo schema mitico. La folla (o la comunità) è sempre la stessa protagonista dell’azione in entrambi i casi, ma quello che viene qui rovesciato è il significato da attribuire alla vittima. Nel mito arcaico, infatti, essa è realmente colpevole dei crimini di cui è accusata, mentre nella Scrittura ebraica e cristiana la vittima è innocente e la folla viene accusata dell’ingiusta persecuzione. Gli esempi non mancano: la storia di Giuseppe, Giobbe, la passione del Servo del profeta Isaia (che anticipa Gesù), lo stesso Gesù. Qui dunque la vittima è innocente, e la folla è colpevole, per cui i testi biblici e cristiani «sono in netto contrasto con lo spirito mitico e sacrificale delle religioni arcaiche». (p. 21) La teoria mimetica della religione proposta da Girard è davvero un punto di svolta nell’interpretazione delle religioni arcaiche e della Scrittura ebraica e cristiana: le prime non avevano come scopo principale di dare una qualche interpretazione (errata) del mondo, ma volevano mantenere la pace all’interno della comunità con il meccanismo della vittima composto di divieti e sacrifici. La seconda invece ha compreso bene le ragioni di questo meccanismo rovesciandone il significato (e la vittima innocente per eccellenza può essere identificata in Gesù Cristo).

Il curatore del libro, Wolfgang Palaver, inserisce nel libro anche due conversazioni personali con Girard, e nella Postfazione, che spiega le ragioni della pubblicazione di questo libro, ci informa che la prima si è tenuta a margine di una conferenza tenuta presso il Boston College del Massachussetts nel giugno del 2000, mentre la seconda si svolse nel 2006 presso la Saint Paul University di Ottawa. Nella prima conversazione si parla liberamente del rapporto di Girard con la letteratura tedesca, in particolare di Goethe di cui non si è occupato mai direttamente (i suoi interessi si sono rivolti soprattutto a Hölderlin nel libro Portando Clausewitz all’estremo e ne La violenza e il sacro, in particolare con la lettera di Hölderlin a Schiller citata e ripresa in questo libro) in quanto, sin dal suo primo libro del 1961, Menzogna romantica e verità romanzesca, ha preferito affrontare autori di altre letterature (in questo libro la teoria chiave del suo pensiero, l’uomo come essere mimetico (imitativo) emerge dallo studio di Cervantes, Flaubert, Proust e Dostoevskij). Oltre che a Goethe e Hölderlin (di cui in questa conversazione cita in particolare gli scritti sulla tragedia greca e La morte di Empedocle) , dedica alcune considerazioni anche a Virginia Woolf, al Don Chisciotte (il desiderio mimetico così come emerge nella novella intitolata El curioso impertinente), ad una novella de L’eterno marito di Dostoevskij, e poi anche a Joyce e a Racine. Cita anche un autore a lui molto caro, Shakespeare (si riferisce in particolare a I due gentiluomini di Verona e Coriolano), oggetto di un suo studio appassionato e interessante nel libro Shakespeare e il teatro dell’invidia. Ma il punto centrale di questa conversazione è la spiegazione che Girard fa di uno dei suoi temi più famosi, che si collega strettamente al saggio Violenza e religione trattato sopra, cioè il meccanismo del capro espiatorio affrontato nel suo celebre libro La violenza e il sacro. Il capro espiatorio scatta quando la comunità scarica, in una specie di transfert, la brama di violenza su un singolo che raccoglie su di sé il rancore collettivo. La vittima placa quindi con il sacrificio la conflittualità sociale che a un certo punto sparisce insieme al capro espiatorio (per poi riapparire successivamente allo scatenarsi di nuovi conflitti). Interessante è il rapporto che Girard ha con Nietzsche, di cui non condivide la teoria del cristianesimo ma prende molto sul serio la sua interpretazione del mito e il suo rapporto con la religione. È Nietzsche infatti ad aver visto per primo, nella concezione di Dioniso e di Cristo, la differenza fondamentale tra la concezione della vittima come colpevole nella mitologia e la vittima innocente del cristianesimo. Nel primo caso tutti accettano il sacrificio della vittima per purificare la società dai «fannulloni» (seguendo il linguaggio nietzscheano), mentre il cristianesimo si erge a difensore dei deboli, delle vittime. Ma è proprio su quest’ultimo aspetto che Girard si discosta nettamente da Nietzsche: «Nietzsche pensa che, nella misura in cui il cristianesimo previene il diretto scatenarsi della vendetta, cresce la vendetta repressa, che è il risentimento. Tuttavia, la vendetta e lo spirito di vendetta non sono invenzioni del cristianesimo». (p. 66) Parlando di Nietzsche, in merito allo sviluppo del neopaganesimo odierno, Girard fa riferimento a Heidegger e alla coniugazione di religione e politica con il suo interesse per il nazismo, concludendo così l’ excursus letterario e storico di questo dialogo.

Anche la seconda conversazione con Palaver riprende e approfondisce lo stesso tema del saggio Violenza e religione, e cioè la differenza tra le religioni arcaiche e pagane e la Scrittura ebraica e cristiana. Come abbiamo visto sopra, è il punto di vista sulla vittima o capro espiatorio che cambia (nel primo caso prevale il punto di vista della folla e la vittima è colpevole, nel secondo caso prevale quello della vittima che è innocente). I Salmi sono il primo testo biblico che contiene il punto di vista della vittima che protesta in nome della sua innocenza. La scoperta degli antropologi della sostanziale equivalenza della struttura mitica tra mito e vangeli, con la sola differenza della concezione della vittima (colpevole o innocente) trattata sopra, secondo Girard, va presa sul serio. Secondo la sua teoria mimetica, quasi tutte le forme di religione si spiegano con il meccanismo del capro espiatorio che si compie definitivamente con la passione di Cristo. Qui emerge in modo chiaro la fede dell’uomo oltre al punto di vista dello studioso: «L’incipit dei Vangeli non è un inizio qualsiasi, bensì l’offerta del Regno di Dio: dobbiamo scegliere tra un mondo di violenza che ci porterà alla distruzione finale e la pace che Gesù definisce “Regno di Dio”. Solo Gesù accetta l’offerta che noi rifiutiamo, sceglie l’alternativa che cancella la violenza, e alla fine viene ucciso. Gesù non è solo il figlio di Dio, ma incarna anche l’intero processo: è l’unico che può farlo, perché è figlio di Dio. E, allo stesso tempo, per l’umanità la sua morte è indispensabile perché Dio vuole salvare il mondo e deve esserci qualcuno che merita di ottenere la salvezza per tutti noi». (p. 64) A questo proposito, è importante ma non decisivo il contributo dato da Elias Canetti che in Massa e potere ha introdotto la religione del lamento: secondo Girard questo aspetto è sicuramente presente nella Scrittura ebraica e cristiana, in cui si manifesta nell’uccisione di una vittima innocente, ma non nelle religioni arcaiche dove le vittime sono ritenute colpevoli.

Le domande più incisive di Palaver sono sicuramente due: nella prima conversazione riprende una citazione del libro Vedo Satana cadere nella folgore, in cui Girard parla del “nuovo totalitarismo” della sinistra, che sta effettuando una battaglia a tutto campo contro la morale ebraico-cristiana impegnandosi per le vittime in modo più radicale dei cristiani. Risponde Girard: «La formula principale di quello che ho chiamato il “nuovo totalitarismo” della sinistra è dichiarare vittime della società tutte le persone i cui comportamenti, le cui convinzioni e azioni sarebbero, secondo i principi della Chiesa, peccato». (p. 50) Il lettore scrupoloso e curioso (compreso il recensore che consiglia di leggere un libro) non deve semplicemente rispecchiarsi nelle idee dell’autore sentendosi ripetere quello che vuole sentirsi dire, ma spesso ha più bisogno di attraversare un labirinto in cui è proprio la presa di posizione scomoda dell’autore (e al limite non condivisibile) che può stimolare all’estremo la riflessione e il confronto critico per chiarificare meglio il proprio personale pensiero. È quello che si ottiene con le posizioni nette di Girard (in questo come nei suoi libri più importanti), compreso il ruolo che assegna alla religione cristiana accentuandone la visione apocalittica del mondo (e la conseguente violenza che proviene dagli uomini e non da Dio). Non è Dio che bisogna accusare se la violenza dilaga, ma le proprie coscienze, per questo bisogna accettare gli scenari apocalittici (che, a suo avviso, sono il cuore del pensiero ebraico e cristiano) evitando la fiducia incondizionata nella ragione e nella razionalità tipica del nostro tempo.

La seconda domanda provocatoria di Palaver, nella seconda conversazione, riguarda l’Islam, e la risposta di Girard, un sostanziale rifiuto avulso da ogni forma di fanatismo, è che l’Islam è una religione che contraddice tutte le religioni arcaiche e bibliche, in quanto manca la vittima e il punto di vista su di essa che stabilisca la colpevolezza o l’innocenza. L’Islam non può accettare in nessun modo la sofferenza di Dio e pertanto, mancando del meccanismo che egli ritiene fondamentale per lo sviluppo comune delle religioni, cioè il capro espiatorio, non può essere oggetto dei suoi studi. Con garbo ed eleganza Girard fa capire tra le righe che condivide, nel suo caso però da un punto di vista scientifico prima che morale, il punto di vista di molti cristiani e cioè che l’Islam oltre ad essere una religione anomala è probabilmente non rivelata. Condivisibile o meno, la sua analisi suscita comunque una riflessione stimolante di cui è arbitro il lettore che può metterci dentro il suo punto di vista, purchè accetti la sfida di comprendere andando a fondo nelle questioni fondamentali della vita umana.