Aesthetica iuris. L’estetica trascendentale di Fichte come presupposto di una fenomenologia del diritto

Il domandare fenomenologico è un domandare trascendentale.1

1. L’immaginazione produttiva: il ruolo mediatore dell’estetica

La filosofia del diritto di Fichte può essere interpretata come una specificazione di un pensiero che, in quanto tale, riguarda la realtà esistenziale di ognuno, e dunque non consente di relegare il diritto all’esterno di questa stessa realtà.2 Come è stato osservato, infatti, «la filosofia per Fichte — riguardando l’uomo tutto intero e l’insieme delle sue facoltà, ove ognuna è nel rinvio all’altra, in una continua circolarità — richiede, al pari dell’arte, inventività e figuratività, in un essere-insieme di invenzione, quale reperimento di quelle regole, in cui la verità si costituisce, e di immaginazione, quale capacità di sensibilizzare il soprasensibile».3 L’unitarietà del pensiero fichtiano, provenendo dalla consapevolezza di una impossibile, quanto arbitraria, frammentazione della struttura dell’esistenza,4 si condensa nella descrizione di quanto costituisce l’io. Tale struttura mantiene come pensabile la realtà dell’io, in una analitica distinzione dei suoi elementi costitutivi che, tuttavia, sono comprensibili, appunto, solo a partire dalla sua unità individuale, non scomponibile. Secondo Fichte, l’io viene a costituirsi secondo la principalità di tre impulsi (Triebe),5 da intendersi come sue qualità essenziali: il teoretico, il pratico e l’estetico.6 Una successiva specificazione analitica consente di concepire, rispettivamente, una filosofia teoretica,7 la dottrina morale8 e l’estetica,9 tuttavia sempre da considerarsi come la manifestazione di un unico pensiero sull’uomo e sulla sua condizione di ‘essere ragionevole finito’. Il tratto unitivo degli impulsi dell’io, cioè delle sue qualità essenziali, e dunque anche delle manifestazioni del pensiero che ne conseguono, secondo Fichte è rinvenibile nell’elemento estetico.10 In uno studio sull’estetica di Fichte, Pareyson11 rileva nella sua filosofia una parte generale e due scienze speciali. La parte generale contiene i fondamenti della dottrina della scienza12 «la quale ha lo scopo di dedurre la coscienza e di ricostruirla nella sua completezza, come determinazione reciproca d’un regno di cose sensibili ed un regno di cose ragionevoli».13 Dunque, la preoccupazione di Fichte, secondo Pareyson, rimane in primo luogo quella di descrivere la realtà esistenziale, non tralasciando la dialettica, pure presente, tra momento conoscitivo, o teoretico, e mondo dell’agire, morale o pratico. La filosofia teoretica viene pertanto descritta come scienza della conoscenza del mondo sensibile, la dottrina morale, invece, si presenta come filosofia pratica,14 e riguarda il regno degli esseri ragionevoli, cioè l’ambito dell’agire umano. A questo punto, Fichte propone una filosofia dei postulati — o dottrina dei primi principi,15 come comprensione delle condizioni di possibilità (trascendentali)16 — che renda concepibile la realtà delle relazioni tra i diversi momenti dell’io, alla luce della loro unità costitutiva. I rapporti tra filosofia teoretica e filosofia pratica, dunque il coordinamento tra conoscenza e azione, si postulano come possibilità della coesistenza di uomini liberi, su cui è anche possibile costruire la dottrina del diritto.17 Come si vede, la dimensione estetica non ha, in tale complessa sistemazione, un ruolo mediatore, che appartiene alla filosofia dei postulati. Tuttavia, la stessa filosofia dei postulati, come comprensione delle condizioni di possibilità dell’esperienza soggettiva, è a sua volta pensabile solo a partire dall’estetica, che segna il passaggio dal punto di vista comune al punto di vista filosofico-trascendentale.18

Dunque, l’estetica, intesa come scienza filosofica, fonda la possibilità della stessa filosofia,19 da intendersi, appunto, come realizzazione del passaggio dal punto di vista comune a quello trascendentale.20 Dal punto di vista dell’io, che è l’unico indagabile secondo la prospettiva critica di Fichte, l’impulso estetico non media tra l’impulso alla conoscenza (teoretico) e l’impulso all’azione (pratico), ma si pone quale originario discrimine tra conoscenza comune e filosofia. La realtà del pensiero filosofico, inteso come indagine sulle condizioni di possibilità (trascendentali) del pensare stesso, ma anche della coesistenza libera, dunque, si manifesta quale una specificazione della sfera estetica. Anche la dottrina morale, dedicata all’analisi delle ragioni dell’agire, in quanto scienza filosofica, è pensabile solo a partire dall’originarietà dell’elemento estetico dell’io.21 Occorre, a questo punto, chiarire cosa Fichte intenda per impulso estetico. Nell’io l’impulso estetico si esperisce come produttività dell’immaginazione,22 che si pone come il mezzo per spiegare «la possibilità della stessa praticità cosciente dello spirito, e cioè la possibilità di una causalità della libertà nel mondo sensibile».23 La produttività dell’immaginazione non va intesa dunque come capacità fantastica,24 com’è nella direzione dei romantici in polemica con le posizioni di Fichte, che si mantiene nell’ambito critico della filosofia. Il collegamento è invece con la sfera estetica che, come visto, rappresenta il passaggio necessario per la comprensione dell’esperienza, dunque, dal pensiero comune alla riflessione trascendentale. L’elemento pratico, implicito nella produttività dell’immaginazione, si esprime nell’impulso estetico all’agire, rivelandosi nella sua struttura a-teoretica, che coinvolge l’essenza stessa dell’io: infatti «la conoscenza è attività periferica dello spirito, la cui intima essenza è invece la praticità. La sfera estetica si afferma come la condizione stessa della filosofia, nel senso che la prepara e la rende possibile».25

L’attività pratica, cioè l’agire dell’uomo, costituisce l’essenza dell’io, oltre la sua capacità conoscitiva. Questo segna la rilevanza della sfera estetica nel realizzare la pensabilità della coesistenza di individui liberi: la dottrina del diritto, come scienza filosofica che si occupa in modo specifico della coesistenza tra individui liberi, è dunque possibile nel suo riferimento alla sfera estetica, elemento unitivo dell’io agente.26 Come coglie anche Ricœur, «Fichte oppone la Tathandlung alla Tatsache, l’atto al fatto. Questa distinzione tra atto e fatto fornisce il terreno filosofico per ogni teoria dell’azione»,27 dunque anche di ogni compiuta filosofia del diritto.28 La realtà del diritto risulta pertanto indagabile nella coesistenza tra individui liberi, con la preoccupazione primaria di verificare la qualità della norma che l’agire comporta. Lo scopo dell’azione, data l’ateoreticità della sfera estetica, si misura così a partire dall’impulso pratico, che è l’impulso all’agire, nel medio dell’impulso estetico che, attraverso l’immaginazione produttiva,29 lo rende possibile. È questo, secondo Pareyson, il problema fondamentale posto da Fichte e ripreso dall’idealismo,30 cioè «quello dell’unione di sensibile e sovrasensibile, attraverso la funzione fondamentalissima dell’immaginazione produttiva. Questa funzione mediatrice fra sensibile e sovrasensibile attribuita all’immaginazione ha un’origine schiettamente kantiana, e si richiama non certo al Kant della prima Critica, e nemmeno al Kant della seconda: l’ispirazione risale indiscutibilmente alla Critica del Giudizio, ove, come si vedrà, all’immaginazione, unita con lo ‘spirito’, è appunto attribuita quella funzione mediatrice fra sensibilità e ragione. Nella terza Critica Kant va ben oltre il primato della ragion pratica quale affermazione d’una penetrazione nel sovrasensibile, dato che giunge, invece, al concetto d’un ‘sostrato sovrasensibile di tutti i fenomeni in generale’, e d’una sensibilizzazione delle idee: la funzione da lui assegnata all’immaginazione produttiva non deriva tanto dalla dottrina kantiana dell’immaginazione produttiva teoretica, quale si trova nello schematismo della prima Critica, quanto dalla dottrina kantiana dell’immaginazione produttiva [31] libera: al centro della filosofia fichtiana c’è una concezione estetico-metafisica, la quale proviene da uno sviluppo della concezione kantiana dell’immaginazione produttiva libera quale si riscontra nella terza Critica, concezione il cui carattere centrale consiste già nell’unire sensibile e sovrasensibile, seppure non ancora dal punto di vista metafisico, bensì soltanto dal punto di vita critico. Si può dire perciò che la Critica del Giudizio imposta quello che sarà il problema fondamentale di tutto l’idealismo tedesco: l’unione di sensibile e sovrasensibile».32

2. La rappresentazione estetica dell’azione

All’interno della filosofia di Fichte, l’impulso pratico assolve nell’io alla funzione di realizzatore, cioè mira alla costituzione della cosa per la costituzione stessa. La natura della cosa è altresì conoscibile, come osservato, ad opera dell’impulso teoretico. Tuttavia, la conoscenza dell’oggetto costituito alimenta inesauribilmente nell’io l’impulso all’azione, diretto alla trasformazione dell’oggetto conoscibile. Va allora osservato che, in questa analisi condotta da Fichte, e ripresa da Pareyson, l’impulso all’agire risulterebbe indirizzato ad una produzione fine a se stessa, sarebbe cioè strutturato secondo i modi di un «agire per l’agire»,33 senza possibilità di una rappresentazione che guidi l’azione dell’io, comunque spinto ad agire dall’impulso pratico, non illuminato in questo dalla possibilità della conoscenza intervenuta come impulso teoretico. La rappresentazione dell’azione,34 pertanto, costituisce il nucleo che intenziona e qualifica l’azione stessa, sottraendola all’immediatezza non misurabile dell’agire per l’agire. Il contenuto dell’impulso estetico, donde la sua importanza centrale per l’agire dell’io all’interno della coesistenza, consiste appunto nella rappresentazione. La rappresentazione estetica35 alimenta l’agire dell’io ad uno scopo che si esprime all’interno della coesistenza e che, pertanto, viene misurato dal diritto. L’intento pratico proprio dell’io si perfeziona attraverso la mediazione estetica, che rende possibile la rappresentazione creativa dello scopo,36 grazie alla sua opera di immaginazione produttiva, operando come precetto.37 Queste considerazioni portano a concludere che la possibilità della coesistenza di individui liberi è fondata sul diritto. La possibilità, cioè la condizione trascendentale della coesistenza, si rivela come condizione giuridica, pratica perché estetica.

L’importanza dell’estetica assume quindi in Fichte un ruolo paradigmatico, quale possibilità stessa della filosofia del diritto. In questa direzione resta centrale il problema dell’azione espressa nella coesistenza, che, se non mediata dalla rappresentazione estetica e non misurata dal diritto, rimane relegata in una condizione istintuale di matrice naturalistica, dunque indifferente nella sua genesi e nei suoi esiti, eventualmente indagabili solo da un punto di visto meramente teoretico oggettuale. L’ipotesi della natura istintuale dell’azione, tuttavia, non si concilia con le manifestazioni unitarie della ragione umana e della libertà che la caratterizza,38 emergendo quindi la realtà di uno stato spirituale che ambienta l’agire dell’uomo. La dimensione estetica, dunque, rende possibile il pensiero filosofico sul diritto, come ragione interna alla relazione tra i singoli, una ragione che può nominarsi estetico-giuridica. Infatti, se è vero che il punto di vista estetico, come chiarito, si pone quale condizione del passaggio al punto di vista trascendentale, consentendo l’introduzione allo stesso filosofare, come «suprema riflessione con cui lo spirito addirittura ricostruisce se stesso prendendo coscienza della propria struttura necessaria»,39 allora unicamente una filosofia del diritto, alimentata dall’estetica trascendentale, può fenomenologicamente giungere alla struttura della ragione giuridica,40 che regola e regge i rapporti tra individui liberi: è dunque necessario il potere figurativo41 dell’estetica, «capace di cogliere l’idea assoluta e renderla nel mondo sensibile»,42 per penetrare lo spirito del diritto nel medio della sua forma.

3. Il diritto oltre l’arte

L’elemento estetico che accomuna l’esecuzione artistica e l’esperienza giuridica, rende possibile comprendere la realtà del diritto, che, tuttavia, si differenzia dall’arte43 per la forma di precetto che gli è propria. L’esperienza giuridica, infatti, appartiene agli uomini come un’opera continua di intepretazione della realtà sociale, che in quanto tale, si manifesta come condizione dialogica ed infinitamente discorsiva. La leggibilità della norma giuridica, come regola sociale da eseguire personalmente, si struttura come «l’opera d’arte [che] si dà a riconoscere come tale solo a chi la fa vivere della sua vita, e cioè l’esegue: la sua riconoscibilità è la sua stessa eseguibilità».44 L’esecuzione rappresenta, quindi, il momento essenziale alla realtà del diritto come dell’arte, in quanto la validità del precetto normativo viene colta nella sua giuridicità, così come «l’opera d’arte viene sperimentata nella sua qualità estetica proprio attraverso la sua concretizzazione e costituzione».45 Nella direzione di Pareyson, con riferimento a Fichte, può dirsi che l’estetica si specifica come arte privilegiando il momento formativo, in vista di un effetto non valutabile secondo un criterio di giustizia. Dunque, l’arte, possibile solo nel mondo spirituale degli uomini,46 e pensabile a partire dall’estetica trascendentale, non si misura completamente con la realtà della ragione sociale, che invece riguarda il diritto, realizzandosi piuttosto come rappresentazione per la rappresentazione, cioè come rappresentazione del bello:47 il bello è la rappresentazione che corrisponde alla rappresentazione,48 e per tale motivo è possibile definire l’arte nei termini di estetica pura.49 Come l’arte, anche il diritto è pensabile con riferimento all’estetica trascendentale, ma, a differnza dell’arte, il diritto opera come misura dell’agire sociale,50 dunque come rappresentazione per l’azione,51 cioè come rappresentazione del giusto: il giusto è la rappresentazione che corrisponde alla misura dell’azione, e per questa via il diritto si specifica come estetica giuridica. In questa differenza si coglie la separazione tra arte e diritto, peraltro accomunati dalla dimensione estetica.52 Va osservato con Romano che, «come l’artista, anche il giurista […] imprime una formatività agli atti coesistenziali del fare umano, ma, diversamente dall’artista dell’arte pura, il giurista non opera con una forma che è legge a se stessa, sino a poter assumere qualsiasi contenuto e qualsiasi direzione. Il giurista opera invece con una forma che ha la sua legge nella specificità della differenziazione del fenomeno diritto dagli altri fenomeni sociali; è quella forma che custodisce una precisa qualità del relazionarsi: libera dal dominio di ciò che è fattualmente più ed istituisce la coesistenza nel riconoscimento dell’uomo in quanto uomo».53 Come notato da Pareyson, nella stessa direzione, Fichte scrive: «Non c’è alcun individuo, se non ce ne sono almeno due. Le condizioni dell’individualità si chiamano diritti. È assolutamente impossibile che io mi attribuisca un diritto senza attribuirne uno anche ad un essere fuori di me, perché è assolutamente impossibile che io mi ponga come individuo senza porre come individuo un essere fuori di me».54 Può ancora osservarsi che, «attraverso la relazione intersoggettiva Fichte può, così, realizzare la conciliazione teoretica tra libertà e finitezza: se infatti, la traccia della sua finitezza è costituita dall’appello dell’altro ad essere libero, ne consegue che solo in quanto finito l’io potrà guadagnare la propria libertà. Per la filosofia fichtiana, la dimensione finita assume un senso proprio in quanto si esprime innanzitutto in un mondo di uomini che comunicano e che si invitano reciprocamente ad essere liberi».55 Può concludersi che la regola della vita in società è rappresentata dal diritto, coevo all’uomo, come soggetto libero in senso relativo all’altro: «Se si chiedesse secondo quali princìpi possa essere istituita una comunità di esseri liberi in quanto tali […] si dovrebbe rispondere: secondo il concetto del diritto»56: il diritto originario è quello assoluto della persona ad essere soggetto giuridico, cioè principio di causalità delle proprie azioni. Il diritto custodisce57, nella relazione, questa soggettività originaria.

Da quanto descritto discende anche la qualità del valore giuridico, che diverge dal valore artistico,58 misurabile secondo il bello e non il giusto. Questo significa che il diritto conserva una specificazione estetica ulteriore rispetto all’arte, per due ragioni essenziali: la prima è che se è vero che nell’arte la misura è data dal bello,59 come rappresentazione per la rappresentazione, resta escluso ogni riferimento al giusto, che è stato nominato come rappresentazione per l’azione.60 Dovrebbe chiarirsi che il giusto come rappresentazione estetica presenta sempre anche il bello,61 in quanto ogni rappresentazione si misura con il bello, e però, rivolgendosi all’azione, mira al giusto. Può dirsi che il diritto manifesta con maggiore pienezza l’esperienza veritativa dell’essere, perché rispetto all’arte che si mantiene sempre come esperienza rappresentativa del singolo per la qualità dell’opera artistica,62 non necessariamente comprensibile dall’altro,63 il diritto invece guadagna una consistenza universale perché si riferisce alla qualità dell’azione che è sempre rivolta all’altro. La verità del diritto che è il giusto, comprende la verità dell’arte,64 nella direzione della verità dell’essere, che è il bene.65 La verità del diritto che è il giusto si presenta come misura dell’azione, dunque è il giudizio66 sul suo valore, che viene tutelato se si mantiene nel riferimento all’essere presentato come il bene.

Nella realtà delle condizioni normative occorre anche considerare l’incontro tra la norma ed il suo destinatario, che ne è anche il primo interprete ed esecutore. Pertanto, l’interpretazione della norma è possibile solo a condizione di una sua intelligibilità originaria, che la riveli come autenticamente giuridica e, dunque, eseguibile perché esigibile, valida. Unicamente la norma conforme al diritto, infatti, «esige e reclama di essere eseguita proprio in virtù della sua compiutezza e perfezione originaria, ed è precisamente tale compiutezza quella che suscita e sollecita l’esecuzione del lettore, ed anzi la guida e la regola nell’atto stesso che la richiede e l’avvia».67

Ogni esecuzione, implicando l’opera imprescindibile dell’interprete, rinvia ad una personalità che non consente soluzioni univoche. L’esecuzione della norma giuridica tuttavia, assume una qualificazione specifica, non individuabile da un punto di vista meramente oggettivo.68 La qualificazione giuridica dell’esecuzione, infatti, permette una pluralità di interpretazioni, tutte però accomunate dall’essere una realizzazione del diritto, cioè della ragione giuridica. Il diritto, l’operare giuridico, l’unico che si realizza interamente secondo interpretazione e giustizia, si pone quindi come criterio valutativo delle altre forme dell’operare umano. Infatti, oltre ogni valutazione in ordine alla giustezza nell’esecuzione dell’opera, quanto qualifica la valutazione giuridica si presenta secondo il criterio del giusto, cioè conforme al diritto come ragione giuridica della relazione, così da essere garantita nella sua esecuzione controfattuale, oppure mostrandosi priva di quel carattere di giustizia che le impedisce di dover essere eseguita, strutturalmete difettando della «forma della legge, il precetto».69


  1. E. Fink, Prossimità e distanza. Saggi e discorsi fenomenologici, Pisa, 2006, p. 56. ↩︎

  2. Cfr. A. Punzi, L’intersoggettività originaria. La fondazione filosofica del diritto nel primo Fichte, Torino, 2000. ↩︎

  3. C. Amadio, Introduzione, in L. Pareyson, L’estetica di Fichte, Milano, 1997, p. 10. Sul ruolo dell’immaginazione, centrale nella filosofia di Fichte, cfr. anche A. Punzi, L’intersoggettività originaria, cit., p. 65 ss., che cita sull’argomento G. Di Tommaso, L’immaginazione trascendentale nel primo Fichte, in Il pensiero, 1985, n. 1, pp. 71-95, e P. Salvucci, Fichte: immaginazione e dialettica, in Bollettino di storia della filosofia dell’Università di Lecce, 1975, pp. 120-141. ↩︎

  4. Nella stessa direzione cfr. J.G. Hamann, Aesthetica in nuce, Milano, 2001, pp. 331-332. ↩︎

  5. Sul punto cfr. anche H. Maldiney, Della transpassibilità, Milano, 2004, p.58 ss., che traduce Trieb con pulsion. Secondo Maldiney il concetto fichtiano di Trieb è ripreso da M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica. Mondo - finitezza - solitudine, Genova, 1992, p. 325. È appena il caso di notare la distanza con il luogo classico della psicanalisi freudiana della pulsione istintuale. Per Freud, infatti, il Trieb rinvia a «pulsioni di natura elementare, simili in tutti gli uomini, che mirano a soddisfare determinati bisogni primari», S. Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, in id., Opere, vol. VIII, Torino, 1968-1993, p. 129. In senso critico sugli argomenti di Freud, che compirebbe un’arbitraria riduzione «dei fenomeni della vita psichica a processi energetico-pulsionali», cfr. K. Jaspers, Psicopatologia generale, Roma, 2000, p. 574. ↩︎

  6. Cfr. L. Pareyson, L’estetica di Fichte, cit., p. 104 ss.; J. G. Fichte, Dottrina della scienza, Milano, 1995, p. 235 ss.; id., Sullo spirito e la lettera, Torino, 1989; C.Amadio, Fichte e la dimensione estetica della politica, Milano, 1994, p. 58 ss. ↩︎

  7. Cfr. L. Pareyson, Fichte, Torino, 1950, p. 59 ss. ↩︎

  8. Cfr. ivi, p. 160 ss. ↩︎

  9. Per il rapporto tra etica ed estetica in Pareyson cfr. A. Di Chiara, L’iniziativa. Il pensiero etico di Luigi Pareyson, Genova, 1999, p. 49 ss. Cfr. anche C. Caneva, Bellezza e persona. L’esperienza estetica come epifania dell’umano in Luigi Pareyson, Roma, 2008. ↩︎

  10. Cfr. L. Pareyson, Fichte, cit., p. 147 ss.; F. Vercellone, Morfologie del moderno, Genova, 2006, pp. 39-60. ↩︎

  11. Secondo Gadamer è «merito del lavoro di L. Pareyson su L’estetica dell’idealismo tedesco, Torino 1952, l’aver messo in luce il significato di Fichte per l’estetica idealistica», H.G. Gadamer, Verità e metodo, Milano, 1999, p. 86n. ↩︎

  12. Cfr. L. Pareyson, Fichte, cit., pp. 59-110. ↩︎

  13. L. Pareyson, L’estetica di Fichte, cit., p. 105. ↩︎

  14. Cfr. L. Pareyson, Fichte, cit., p. 80 ss. ↩︎

  15. Cfr. ivi, pp. 89-96. ↩︎

  16. Cfr. M. Ivaldo, I principi del sapere. La visione trascendentale di Fichte, Napoli, 1987. ↩︎

  17. Cfr. L. Pareyson, Fichte, cit., p. 162 ss. ↩︎

  18. Cfr. ivi, p. LIX. ↩︎

  19. Cfr. ivi, p. 40 ss. ↩︎

  20. Cfr. R. Lauth, La filosofia trascendentale di J.G. Fichte, Napoli, 1986 (la prefazione è di Pareyson). ↩︎

  21. Cfr. C. Amadio, Fichte e la dimensione estetica della politica, cit., p.43 ss. ↩︎

  22. Come scrive Punzi: «La facoltà dell’immaginazione svolge un ruolo centrale nello sviluppo dell’opera fichtiana, in particolare nel passaggio dalla parte teoretica alla parte pratica», A. Punzi, L’intersoggettività originaria, cit., p. 66. ↩︎

  23. L. Pareyson, L’estetica di Fichte, cit., p. 106. ↩︎

  24. Cfr. M. Theunissen, Produktive Innerlichkeit, in Frankfurter Hefte, 6, 1984, pp. 103-110. ↩︎

  25. L. Pareyson, L’estetica di Fichte, cit., p. 106. ↩︎

  26. Cfr. B. Romano, Ortonomia della relazione giuridica, Roma, 1997, pp. 257-260. ↩︎

  27. P. Ricœur, Kierkegaard, Brescia, 1996, p. 52. ↩︎

  28. Su questo tema cfr. B. Romano, Nietzsche e Pirandello. Il nichilismo mistifica gli atti nei fatti, Torino, 2008. ↩︎

  29. Cfr. L. Pareyson, Fichte, cit., p. 41 ss.; R. Lauth, L’origine della dialettica nella filosofia di Fichte, in Annuario Filosofico, 3, 1987, p. 89 ss. ↩︎

  30. Cfr. N. Hartmann, La filosofia dell’idealismo tedesco, Milano, 1973. ↩︎

  31. Come nota P. Ricœur, Il Giusto, I, Torino, 2005, p. 37, «l’invenzione della soluzione appropriata alla situazione singola dipende da quella che, dopo Kant, chiamiamo immaginazione produttiva». Cfr. anche H.G. Gadamer, Verità e metodo, cit., p. 67 ss. ↩︎

  32. L. Pareyson, Estetica dell’idealismo tedesco. I. Kant e Schiller, Milano, 2005, pp. 23-24. ↩︎

  33. J.-L. Nancy, L’imperativo categorico, Nardò, 2007, p. 29. ↩︎

  34. L’aspetto della rappresentazione dell’azione proprio del diritto è colto da Carnelutti. Tuttavia, per questo autore, la legge giuridica consisterebbe nella rappresentazione della legge morale: cfr. F. Carnelutti, Arte del diritto, Padova, 1949, p. 36 ss. ↩︎

  35. Sia pure pensate in altro contesto, sono da segnalare le considerazioni sul problema della rappresentazione in P. Godani, L’informale. Arte e politica, Pisa, 2005, cap. I. ↩︎

  36. Cfr. B. Romano, Ortonomia della relazione giuridica, cit., pp. 249-257, che opera un efficacie confronto tra le opposte direzioni di N. Luhmann, Die Kunst der Gesellschaft, Frankfurt a.M, 1966, ed il pensiero di Fichte sul diritto e sull’arte. ↩︎

  37. Sulla forma del precetto, propria del diritto cfr. J. G. Fichte, Fichtes Werke, II, Lipsia, 1908-1912, p. 457-63. ↩︎

  38. Cfr. F. Schiller, Sul sublime, in id., Sulla poesia ingenua e sentimentale. Del sublime, Milano, 2001, p. 177 ss.; L. Pareyson, Etica ed estetica in Schiller, Milano, 1983, spec. cap. II (ora anche in L. Pareyson, Estetica dell’idealismo tedesco, I. Kant e Schiller, Milano, 2005, spec., pp. 187-275); M. Heidegger, Introduzione all’estetica. Le Lettere sull’educazione estetica dell’uomo di Schiller, Roma, 2008. ↩︎

  39. L. Pareyson, L’estetica di Fichte, cit., p. 121. ↩︎

  40. Cfr. B. Romano, Ragione giuridica e terzietà della relazione, Roma, 1998. ↩︎

  41. Cfr. M. Ivaldo, L’interpersonalità nella visione trascendentale: costituzione, confronti, prospettive, in Aa.Vv., Soggetto e Persona, a cura di A. Rigobello, Roma, 1988, pp. 27-52. ↩︎

  42. L. Pareyson, L’estetica di Fichte, cit., p. 122. ↩︎

  43. Cfr. V. Jankélévitch, Corso di filosofia morale. 1962-1963, Milano, 2007, p. 7 ss. ↩︎

  44. L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, Milano, 2002, p. 223. ↩︎

  45. H.G. Gadamer, Verità e metodo, cit., p. 151n. Con tale affermazione, Gadamer esplicitamente dichiara di concordare «pienamente con le posizioni di L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, Torino 1954» (ibid.), in opposizione a R. Ingarden, Bemerkungen zum Problem des ästhetischen Wertulteils, in Rivista di estetica, III, 1958. ↩︎

  46. Cfr. G.W.F. Hegel, Estetica, Torino, 1997, I, p. 6. ↩︎

  47. Cfr. I. Kant, Kritik der Urteilskraft, in Werkausgabe, Frankfurt a.M., 1968, vol. X, § 17. Com’è noto, il luogo classico della filosofia in cui è questionata la realtà della ‘Bellezza in sé’ è Platone, Fedro, Milano, 1997. ↩︎

  48. Cfr. I. Aimonetto, Saggio di una teoria generale della bellezza, in Rivista di filosofia, vol. V, 1944, pp. 110-144. ↩︎

  49. Cfr. L. Pareyson, Problemi dell’estetica, I. Teoria, Milano, 2009. ↩︎

  50. Interessanti considerazioni al riguardo si trovano in M. Stockhammer, Il concetto estetico del Diritto, in Rivista internazionale di filosofia del dirtto, VI, 1935, pp. 629-638. ↩︎

  51. Zimmermann, riconducendosi ad Herbat, parla a tale proposito di ‘immagine della volontà’: cfr. R. Zimmermann, Allgemeine Aesthetik als Formwissenschaft, Wien, 1865, p. 181, citato da M. Stockhammer, Il concetto estetico del Diritto, cit., p. 635. ↩︎

  52. In tale prospettiva, ma con riferimento specifico all’etica, cfr. L. Zoja, Giustizia e bellezza, Torino, 2007. ↩︎

  53. B. Romano, Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo ‘perfetto’, Torino, 2006, p. 35. ↩︎

  54. J.G. Fichte, Gesamtausgabe, III. 2, p. 387. ↩︎

  55. A. Punzi, L’intersoggettività originaria, cit., p.108. Cfr. anche R. Lauth, Le problème de l’interpersonalité chez I. G. Fichte, in Archives de Philosophie, 1962, pp.325-344. ↩︎

  56. J.G. Fichte, Fondamento del diritto naturale secondo i principi della dottrina della scienza, Roma-Bari, 1994, p.10. ↩︎

  57. Cfr. M. Heidegger, La cosa, in id., Saggi e discorsi, Milano, 2007, p. 123. ↩︎

  58. Cfr. D. von Hildebrand, Estetica, Milano, 2006, p. 415 ss. ↩︎

  59. Cfr. M. Perniola, Del sentire, Torino, 2002, p. 64 ss. ↩︎

  60. Cfr. le osservazioni di F. Vercellone, Oltre la bellezza, Bologna, 2008, spec. pp. 7-29. ↩︎

  61. Cfr. Plotino, Enneadi, Milano, 2002, I, 6, §§ 7 e 9. ↩︎

  62. In questo senso cfr. L. Binswanger, Henrik Ibsen. La realizzazione di sé nell’arte, Macerata, 2008, p. 3 ss. ↩︎

  63. «Non è forse vero che, in materia di gusto, è così difficile comunicare che non si può nemmeno discuterne?», H. Arendt, Teoria del giudizio politico, Genova, 2005, p. 99. A questa affermazione non è di ostacolo l’aspirazione ideale al raggiungimento di un significato universale dell’arte: cfr. V.S. Solov’ëv, Sulla bellezza, Milano, 2006, p. 87 ss. ↩︎

  64. Sul rapporto tra arte e verità cfr. M. Heidegger, Der Ursprung des Kunstwerkes, Stuttgart, 2008, pp. 56-81; D. von Hildebrand, Estetica, cit., p. 463 ss. ↩︎

  65. Cfr. Tommaso, De veritate, q. I, art. 1. Su argomenti che interessano in questo contesto cfr. anche P. Zambruno Santiago, La bellezza che salva. L’estetica in Tommaso D’Aquino, Napoli, 2008; U. Eco, Il problema estetico in Tommaso D’Aquino, Milano, 1998. ↩︎

  66. Cfr. P. Montani, Bioestetica, Roma, 2007, p. 19 ss. ↩︎

  67. L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, cit., p. 224. ↩︎

  68. Per una visione generale, ma accurata, delle questioni proprie dell’interpretazione, cfr. R.E. Palmer, Cosa significa ermeneutica? La teoria dell’interpretazione in Scheiermacher, Dilthey, Heidegger e Gadamer, Nardò, 2008. In questo lavoro, l’Autore discute, tra le altre, anche le posizioni di Emilio Betti, soprattutto in opposizione a Gadamer. Rimane invece taciuta la figura di Luigi Pareyson, autore dell’impotante saggio Verità e interpretazione, Milano, 2005. ↩︎

  69. Fichtes Werke, cit., II, p. 457-63. ↩︎