Prometeo e l’amore generoso per l’uomo. L’antropologia della rivolta in Albert Camus

Tu non temesti Zeus. Nel tuo pensiero profondo adori gli uomini, Prometeo.

— Eschilo

«Che cos’è l’uomo?»,1 si chiede Camus. «È questa forza che finisce sempre per scuotere i tiranni e gli dei».2 L’uomo è, nella sua essenza, un uomo in rivolta: è «la sola creatura che rifiuti di essere ciò che è».3 In questa prospettiva Prometeo, «prima incarnazione della rivolta»,4 rappresenta la figura emblematica della concezione antropologica di Camus. Nelle pagine seguenti esamineremo il rapporto di Prometeo con la cultura greca e gnostica, e delineeremo le caratteristiche di questo rivoltoso; tra di esse spicca l’amore generoso per l’uomo che, secondo Camus, è il primo ed unico dovere morale. Nei Taccuini, infatti, annota: «Dovessi scrivere io un trattato di morale, avrebbe cento pagine, novantanove delle quali assolutamente bianche. Sull’ultima, poi, scriverei: “Conosco un solo dovere ed è quello di amare”».5

Questo lavoro prende le mosse dall’analisi dell’idea di uomo presente ne Il mito di Sisifo: le caratteristiche dell’uomo assurdo verranno illustrate mettendone in luce la profonda distanza dal pensiero di S. Agostino, filosofo che Camus ben conosce e per il quale nutre una sincera ammirazione, ma che non segue nella conversione al Cristianesimo. Tale analisi costituisce la premessa teorica per il successivo approfondimento sul concetto di rivolta e sull’«eroe che amò tanto gli uomini da dare loro al tempo stesso il fuoco e la libertà, le tecniche e le arti».6

1. L’antiagostinismo dell’uomo assurdo

Esiste una «singolare trinità»,7 ben diversa da quella divina di cui Camus ha parlato nella sua tesi di laurea:8 è quella che unisce l’uomo, il mondo e l’assurdo. Si tratta di una trinità assolutamente indivisibile, all’interno della quale l’assurdo costituisce il legame di contraddizione che fa coesistere l’istanza di chiarezza dell’uomo con l’irrazionalità del mondo. L’uomo assurdo rifiuta di escludere uno dei termini della contraddizione, e perciò rimane su quella «cresta vertiginosa»9 in cui il suo desiderio di chiara comprensione urta contro l’oscura incomprensibilità del mondo. «Pascal: l’errore viene dall’esclusione»,10 annota Camus nei Taccuini: l’uomo assurdo è colui che ha fatto proprio questo insegnamento. Camus condanna la pretesa di cancellare le contraddizioni che segnano la condizione umana,11 ed indica all’uomo il compito di vivere con coraggio e lucida consapevolezza il suo «divorzio»12 con il mondo.

Una coerente conseguenza dell’assurdo è la rivolta, «che è esigenza di una trasparenza impossibile, e che mette in dubbio il mondo ad ogni istante»;13 il suicidio, invece, tradisce l’assurdo che è, nella sua essenza, «coscienza e rifiuto della morte».14 L’uomo assurdo vuole infatti mantenere vivo quel dialogo impossibile tra il suo incessante domandare ed il cielo muto, e per farlo deve respingere il suicidio, riconoscendo nella vita il valore che gli consente di rimanere fedele all’assurdo: «Per dire che la vita è assurda, bisogna che la coscienza viva».15 Se la rivolta conserva ed esalta il valore della vita, il suicidio lo nega: ecco la radicale differenza. Oltre al suicidio l’uomo assurdo rifiuta anche il salto della fede in Dio, e Camus ne chiarisce dettagliatamente le ragioni.

Egli, appunto, non vuol fare quello che non capisce. Lo si assicura che è peccato di orgoglio (ma egli non afferra la nozione di peccato); che forse, alla fine, c’è l’inferno (ma egli non ha sufficiente immaginazione per raffigurarsi questo strano avvenire); che perderà la vita immortale (ma questo gli sembra futile). Si vorrebbe fargli riconoscere la sua colpevolezza, ma egli si sente innocente. A dire il vero egli non sente che questo: la propria innocenza irreparabile.16

La ragione assurda ritiene che sia un atto di onestà intellettuale orientare la condotta verso scelte che non superino la sua capacità di conoscere e capire; per questo rifiuta orgogliosamente di inchinarsi alla fede, gettandosi tra le braccia di una trascendenza che non riesce a concepire. La sola cosa che comprende è quella straziante contraddizione a cui si mantiene tenacemente fedele. La ragione assurda sa di essere limitata ed accetta il suo potere relativo; sa di trovarsi nell’orizzonte di finitezza tracciato dalla morte, e non ha abbastanza immaginazione per pensare ad una vita ultraterrena. La morte è la più terribile delle realtà con cui si confronta la ragione; di essa — come Camus già afferma in Nozze17 e ribadisce ne Il mito di Sisifo18 — noi non abbiamo che un’esperienza indiretta: non possiamo vedere la nostra morte, ma solo e sempre quella altrui. Ma l’orrore che attanaglia l’uomo non dipende tanto da quest’esperienza indiretta, bensì dal «lato matematico»19 della morte, ovvero dalla scoperta della sua certezza ed ineluttabilità. Alla luce del destino che ci attende, ogni cosa sprofonda nel non senso, mostrando la sua inutilità: la scoperta della morte è la scoperta dell’assurdo.

Il concetto di innocenza umana è particolarmente interessante se messo in relazione con quello di morte: l’uomo assurdo non comprende perché debba morire dal momento che è innocente. Secondo S. Agostino il male fisico non è altro che la conseguenza del male morale: il corpo dell’uomo, infatti, «perfetto nel suo genere prima del peccato»,20 dopo di esso diventa debole e mortale. «E questo è tutto quel che si dice male: ovvero il peccato e la pena del peccato»:21 per l’uomo assurdo queste parole sono assolutamente incomprensibili. Secondo lui la morte non ha nessuna ragione e nessuna causa, ed è proprio in virtù della sua innocenza che essa gli appare scandalosamente ingiustificata ed ingiusta: è «l’estremo sopruso».22

Camus si sente accomunato al vescovo d’Ippona dall’inquietante interrogativo circa l’enigmatica origine del male;23 a questo proposito, è interessante ricordare quanto afferma nella conferenza del 1948 tenuta presso il convento dei domenicani di Latour-Maubourg: «Ci troviamo di fronte al male; ed è vero, per quanto mi riguarda, che mi sento un po’ come dice Agostino a proposito di se stesso prima della conversione: “cercavo l’origine del male e non ne venivo a capo”».24 Dunque Camus come Agostino prima della conversione, di quell’Agostino che in Metafisica cristiana e neoplatonismo diceva ossessionato dal problema del male e «perseguitato dall’idea della morte».25 Sottolineiamo il prima, perché dopo la conversione le loro strade si dividono: nei Taccuini leggiamo che «Il solo grande spirito cristiano che abbia guardato in faccia il problema del male, è stato sant’Agostino. Ne ha ricavato il terribile “Nemo bonus”»;26 ma — afferma Camus nella stessa conferenza che abbiamo prima ricordato — «io non ho pronunciato quel Nemo bonus, o la dannazione dei fanciulli non battezzati».27 In Metafisica cristiana e neoplatonismo, a proposito del problema del male e della libertà in S. Agostino, Camus scrive:

Dio ci ha lasciato il libero arbitrio di Adamo, ma la nostra volontà ha conquistato il desiderio di servirsene male. E noi siamo così profondamente pervertiti che è solo da Dio che viene qualsiasi buon uso del libero arbitrio. Lasciato a se stesso l’uomo non possiederebbe che malvagità, menzogna e peccato: «Nemo habet de suo nisi mendacia atque peccatum».28

Inizialmente Adamo aveva il libero arbitrio, consistente nel posse non peccare; dopo il peccato, però, il libero arbitrio a niente vale se non a peccare (non posse non peccare). L’uomo ha quindi bisogno del soccorso divino — la grazia — la cui essenziale caratteristica è la gratuità; ne La Trinità S. Agostino scrive infatti che essa «non è data in ricompensa ai nostri meriti ma concessa gratuitamente e per questo si chiama grazia: ce l’ha accordata infatti non perché ne fossimo degni, ma perché così gli è piaciuto».29 È la grazia che dà all’uomo la stabilità e la fermezza nella scelta del bene, ovvero la libertà del non posse peccare, la sola autentica, la più grande.

Ne Il mito di Sisifo il problema della libertà in rapporto a Dio e al male si pone nei termini di un radicale aut-aut; scrive infatti Camus: «Conosciamo l’alternativa: o non siamo liberi, e Dio onnipotente è responsabile del male; o siamo liberi e responsabili, ma Dio non è onnipotente».30 Già nella sua tesi di laurea Camus si chiedeva: «Come ha potuto Dio dotarci d’un libero arbitrio, vale a dire di una volontà capace di fare il male?»31 In altre parole: Dio deve forse essere considerato responsabile del male, visto che il potere di nuocere deriva da Lui? Se sapeva che l’uomo avrebbe peccato, perché non lo ha impedito?

Secondo S. Agostino Dio permette il male perché ritiene più importante che l’uomo sia libero;32 nella sua prescienza non ignorava neanche la ribellione di Lucifero, ma già aveva preordinato come usare il male: egli, infatti, sa orientare al bene anche le volontà più malvagie perché, se queste usano male i beni, egli usa bene anche i mali.33 L’onnipotenza e la bontà di Dio, quindi, si rivela nel far rientrare il male nell’ordine del bene e nella bellezza del creato, più che nell’impedirlo.

La libertà dell’uomo e l’onnipotenza di Dio coesistono in una verità di fede che l’uomo assurdo respinge, perché supera i limiti della ragione: «Non posso capire che cosa sia una libertà che mi verrebbe data da un essere superiore».34 La «sola libertà ragionevole»,35 l’unica che l’uomo assurdo conosce e comprende, non oltrepassa i confini della sua concreta esperienza individuale, ed è quindi sciolta dai legami con l’eternità e la trascendenza di Dio; è una libertà finita che sa di finire, come tutte le cose, con la morte. Questa libertà senza domani mantiene viva l’evidenza dell’assurdo e conduce «proprio in seno alle fiamme appassionate della rivolta umana»:36 l’universo assurdo si apre a quello della rivolta. Anche quest’ultimo è fortemente antiagostiniano:37 l’uomo che compie il salto nella fede trova in essa tutte le risposte ma, fuori dall’orizzonte religioso, «l’uomo è interrogazione e rivolta»,38 ribellione e sfida prometeica lanciata a quel cielo silenzioso sotto il quale, inspiegabilmente, gli uomini soffrono e muoiono.

2. Prometeo e la rivolta metafisica nel mondo greco

Quando l’uomo rivolge lo sguardo al di là della sua limitata esperienza individuale, accede alla dimensione dell’universale che caratterizza l’universo del rivoltoso: universalità della condizione umana segnata dal dolore e dalla morte, ma anche universalità del valore che accomuna ogni uomo, e che costituisce il fondamento metafisico della rivolta. L’idea che «esista una natura umana, come pensavano i Greci»,39 è l’anima della solidarietà metafisica capace di liberare l’uomo assurdo dall’isolamento e dalla solitudine: l’uomo in rivolta non si sente solo nel suo dolore e, soprattutto, comprende che occorrono tutti gli uomini per costituire quel valore che intende difendere. È in nome di ogni uomo che insorge lo schiavo quando ritiene che un determinato ordine nega un «qualche cosa che non gli appartiene esclusivamente»;40 in ogni rivolta c’è un «io» che si riconosce in un «tu», c’è un atto di solidarietà in virtù del quale si afferma l’evidenza del «Mi rivolto, dunque siamo».41

Soffermeremo ora la nostra attenzione sulla rivolta metafisica,42 il «movimento»43 che «contesta i fini dell’uomo e della creazione»:44 l’insorto metafisico non accetta la condizione umana, più precisamente non accetta che l’uomo debba soffrire e morire senza comprenderne la ragione, e quindi insorge per rivendicare il senso che renda accettabile e razionalmente giustificabile il lato oscuro dell’esistenza. La rivolta metafisica è inscindibile dal rapporto dell’uomo con il divino: l’insorto protesta contro l’ingiustizia di Colui che lo fa vivere in una condizione che sente di non meritare; Dio, il «padre della morte»,45 viene interrogato e sfidato.

Nella ricostruzione della storia della rivolta metafisica Camus prende le mosse dai Greci, i quali, con Prometeo, «ci hanno lasciato il più grande mito dell’intelletto in rivolta».46 Prometeo è il figlio di una civiltà che, secondo la lettura di Nietzsche, ha scrutato l’abisso tenebroso del male ed ha cercato conforto nella luminosa serenità d’Apollo. Camus ha letto La nascita della tragedia, e quindi sa bene che la bellezza è per la Grecia lo specchio di cui si arma per lottare contro la saggezza del dolore,47 sa cosa Sileno, educatore di Dioniso, è costretto a rivelare al re Mida: «Ciò che è per te la cosa migliore di tutte, ti è affatto irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma, dopo questa, la cosa migliore per te è morir subito».48 Prometeo conosce questa verità dionisiaca, conosce la misera condizione umana, e cerca di migliorarla con il dono del fuoco; comprende che gli uomini sono angustiati dalla paura della morte, e regala loro la speranza per rendere sopportabile la visione del destino che li attende. La sua rivolta contro Zeus è animata dall’amore per l’uomo, il solo essere che ha senso — secondo Camus — perché «è il solo essere vivente che esige di averlo».49

Le prime teogonie ci mostrano Prometeo incatenato a una colonna, ai confini del mondo, martire eterno per sempre escluso da un perdono che egli rifiuta di sollecitare. Eschilo accresce ancora la statura dell’eroe, lo crea lucido («non esiste sventura che possa giungermi imprevista»), lo fa gridare il suo odio a tutti gli dèi e, sprofondandolo in «un procelloso mare di fatali affanni», l’offre infine ai lampi e alla folgore: «Ah, vedete quale ingiustizia sopporto!» […] Indubbiamente alcuni caratteri prometeici rivivono ancora nella storia di rivolta che stiamo vivendo: la lotta contro la morte («Ho liberato gli uomini dall’ossessione della morte»), l’idea messianica («Ho posto in loro le cieche speranze»), la filantropia («Nemico di Zeus… per aver troppo amato gli uomini»).50

Prometeo possiede quindi i tratti salienti dell’insorto metafisico, ne costituisce la figura emblematica ed archetipica. Naturalmente — osserva Camus ne L’estate — «I miti non hanno vita per se stessi. Attendono che noi li incarniamo»:51 Prometeo ha aperto la strada, ha indicato la via da seguire, ed ogni uomo, seguendo il suo esempio, è chiamato a combattere il male testimoniando lo stesso amore generoso per l’umanità. La rivolta, infatti, «non può fare a meno di uno strano amore»:52 il rivoltoso vuole liberare ogni uomo dall’ingiustizia e dalla sofferenza, e rendere tutti partecipi della felicità. «Il movimento più puro della rivolta si corona allora del grido lacerante di Karamazov: “Se non sono salvi tutti, a che serve la salvezza di uno solo!”»53 Analogamente Lambert, uno dei personaggi de La peste, ritiene che «ci può essere vergogna nell’esser felici da soli».54

Un importante aspetto da ricordare è che la rivolta greca si mantiene circoscritta: Prometeo, egli stesso un semidio, insorge solo contro uno degli dei, cioè Zeus, e non contro l’intero Olimpo. D’altra parte è anche bene ricordare che «il “Prometeo apportatore del fuoco”, ultimo termine della trilogia eschilea, annunciava il regno del ribelle perdonato».55 La rivolta dei Greci è conciliatrice, anche perché secondo loro non esiste una separazione netta tra l’innocenza e la colpevolezza, e tra gli uomini e gli dei: essi non hanno una «visione semplificata della creazione»,56 presupposto e fondamento di ogni vera rivolta metafisica, perché essa, «dopo tutto, non s’immagina se non sia contro qualcuno. Solo il concetto di un dio personale, creatore e dunque responsabile di ogni cosa, dà senso alla protesta umana».57 Ecco perché secondo Camus la storia della rivolta metafisica non può prescindere da quella del Cristianesimo. Inizialmente, però, è il Dio dell’Antico Testamento a suscitare movimenti di rivolta: la sua arbitraria preferenza per Abele invece che per Caino fa sì che questi, invidioso del fratello, lo uccida. Il Nuovo Testamento si può considerare come «un tentativo di rispondere in anticipo a tutti i Caini del mondo, mitigando la figura di Dio, e suscitando un intercessore tra lui e l’uomo».58 Nelle prime pagine della sezione dedicata alla rivolta storica Camus ricorda la rivolta degli schiavi guidata da Spartaco, la cui repressione, per opera di Crasso, è durissima: seimila croci a cui sono appesi gli insorti vengono disposte lungo la strada da Capua a Roma; in seguito, la croce è anche il supplizio di Cristo: si può pensare «che quest’ultimo non abbia scelto, pochi anni dopo, il castigo dello schiavo, se non per ridurre la terribile distanza che ormai separa la creatura umiliata dal volto implacabile del Signore».59 Se il dolore raggiunge anche il cielo l’uomo non può più imprecare contro di esso: Cristo ha fatto sì che «la rivolta non scinda il mondo in due».60

Ma dacché il cristianesimo, all’uscire dal suo periodo trionfante, s’è trovato sottomesso alla critica della ragione, nella misura esatta in cui la divinità di Cristo è stata negata, il dolore è ridivenuto appannaggio degli uomini. Gesù ucciso è solo un innocente in più, che i rappresentanti del Dio d’Abramo hanno suppliziato in forma spettacolare.61

A questo punto si riapre l’abisso che il Mediatore ha cercato di colmare, e riappare la figura del Dio crudele dell’Antico Testamento, contro il quale continua a gridare la protesta umana.

3. Prometeo e la Gnosi

Nel ripercorrere la storia della rivolta metafisica Camus ricorda la Gnosi: essa, come già si legge in Metafisica cristiana e neoplatonismo, è «frutto di una collaborazione greco-cristiana»;62 i numerosi intercessori di Valentino, il Dio crudele e bellicoso di Marcione rappresentano il tentativo di colmare la distanza tra l’uomo e Dio, diminuendo la violenza di un loro diretto scontro. La Gnosi, date le sue origini greche, è, nella sua essenza, conciliatrice; per questo «tende a distruggere nel cristianesimo l’eredità giudaica»:63 essa si è sforzata di «rendere più accessibile il mondo cristiano, e privare delle sue ragioni una rivolta che l’ellenismo considerava il peggiore dei mali».64 Basilide, Marcione, Valentino: nella sezione dedicata alla rivolta metafisica tornano i nomi degli gnostici trattati in Metafisica cristiana e neoplatonismo; ne L’uomo in rivolta, com’è ovvio, l’approccio è diverso, poiché qui Camus fa intervenire il suo giudizio: la Gnosi diventa l’emblema di una rivolta che, in virtù della sua eredità greca, non degenera nella negazione assoluta dell’uomo e del mondo.

Soffermiamoci ora su Basilide: sul problema della sofferenza umana, assolutamente centrale per il rivoltoso, egli giunge ad una conclusione piuttosto singolare: non esistono sofferenze gratuite e senza senso, perché ogni sofferenza è la punizione per un peccato, quindi essa è sempre un mezzo di espiazione e di riscatto;65 il suo tentativo, in altre parole, è quello di trovare una giustificazione alla sofferenza, privandola così del suo carattere d’ingiustizia. L’uomo assurdo di Camus però prende nettamente le distanze da questa posizione: il fatto che — per dirla con Caligola — «Gli uomini muoiono e non sono felici»66 gli appare scandalosamente ingiustificato e contro quest’assenza di senso si erge la protesta dell’insorto metafisico. Basilide, come ricorda Camus, fornisce anche una spiegazione della sofferenza di Cristo: se ha patito il supplizio della croce è perché doveva essere punito per qualche peccato, quindi neanche lui è innocente.67 Ne La caduta riaffiora il pensiero di questo gnostico nelle parole che Camus fa pronunciare al narratore-protagonista Jean-Baptiste Clamence: «sa perché l’hanno crocifisso quello a cui forse sta pensando? […] La vera ragione è che lui sapeva di non essere completamente innocente. […] I bambini di Giudea massacrati mentre i suoi genitori lo portavano al sicuro, perché erano morti, se non per causa sua?»68

Quanto a Marcione,69 Camus ci appare affascinato da questo gnostico in cui individua — come si legge in Metafisica cristiana e neoplatonismo — «una sensibilità tutta moderna»,70 consistente in un «orgoglioso rifiuto d’accettare».71 La concezione etica di Marcione è conseguente alla sua teologia basata sull’antitesi72 tra due dei: uno è il demiurgo creatore del mondo, l’altro è il Dio totalmente estraneo dal creato; il primo è il Dio crudele dell’Antico Testamento, il secondo è il Dio buono del Vangelo. Se il mondo è malvagio l’uomo deve contaminarsi con esso il meno possibile, e disprezzare i suoi beni; inoltre, visto che il Dio dell’Antico Testamento dice: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra» (Gn. 1, 28), Marcione, opponendosi al suo invito, predica l’astensione dal matrimonio e dal sesso, perché la riproduzione non è altro che l’ingegnoso ed ingannevole strumento demiurgico per tener ancorato l’uomo al mondo. L’ascetismo di Marcione ha un forte carattere metafisico: esso non è volto a promuovere la santificazione dell’uomo, ma è la componente essenziale dell’atto di rivolta contro il mondo, e quindi contro il suo Creatore. L’eredità greca presente nel pensiero di Marcione è dunque ravvisabile nel carattere circoscritto della rivolta: essa è diretta contro un solo Dio, proprio come quella di Prometeo.

Veniamo infine a Valentino: con il suo sistema la Gnosi assume tutto il fascino di «un’immensa tragedia che si recita dal cielo alla terra»;73 il protagonista è il Primo Principio, detto anche Progenitore ed Abisso. A differenza di Marcione, che sostiene l’originarietà di due principi contrapposti, per Valentino, che si rifà alla tradizione gnostica di tipo siro-egiziano, il principio è unico; di conseguenza la frattura dualistica non è originaria, ma derivata da un processo interno all’unica divinità. Ma come ha inizio la tragedia divina? «Il Dio di Valentino» — spiega Camus — «è un Dio increato e intemporale. Ma solitario e perfetto, grazie alla sua perfezione, sovrabbonda. Così crea una Diade, quella dello Spirito e della Verità. A sua volta questa coppia genera il Verbo e la Vita le quali producono l’Uomo e la Chiesa».74 Questi eoni producono altri eoni: Spirito e Verità ne creano dieci (la decade); Verbo e Vita ne producono dodici (la dodecade), metà maschi, metà femmine, disposti in coppie. Secondo Camus la funzione di questa «fiera metafisica»75 posta tra l’uomo e Dio è quella di attutire la violenza dello scontro tra cielo e terra; in quest’ottica assume una notevole rilevanza il concetto di limite, eredità greca del pensiero valentiniano. Tale nozione chiama in causa Sophia, l’eone nato per ultimo, che ha l’ardire di aspirare a conoscere più di quanto le è consentito, poiché vuole vedere Dio; così facendo turba l’armonia del pleroma, fondata sull’osservanza ed il rispetto, da parte di ogni eone, dei propri limiti. Il superamento del limite è fonte di sofferenza per Sophia, e a questo proposito Camus avvicina l’eone valentiniano a Prometeo: «Se Prometeo ha sofferto è perché è uscito dalla sua natura di uomo, Sophia ha fatto lo stesso ed è ritornando nel limite al quale Prometeo era stato designato che ella ritrova la pace».76 La vicenda dei due trasgressori insegna l’importanza della fedeltà alla misura, concetto tanto caro ai Greci, che per Camus è indissolubilmente legato a quello di rivolta.

4. Il limite della rivolta: Prometeo e Nemesi

Inizialmente l’insorto metafisico non nega Dio, ma lo sfida; poi però la sua ribellione sfocia, quasi ineluttabilmente, in rivoluzione metafisica, perché ad un certo punto l’uomo rivendica la sovranità, sente il bisogno di dominare, di sostituirsi a Dio, proprio come Sophia, che «tentò di creare da sola».77

Rovesciato il trono divino […] comincerà uno sforzo disperato per fondare, a prezzo del delitto se occorre, l’impero degli uomini. Ciò non avverrà senza terribili conseguenze, delle quali soltanto alcune ci sono note finora. Ma queste conseguenze non sono affatto dovute alla rivolta stessa o, almeno, vengono alla luce solo in quanto l’insorto dimentichi le proprie origini, si stanchi della dura tensione tra il sì e il no, e s’abbandoni infine alla negazione di tutto o alla sottomissione totale.78

Quando la rivolta pronuncia il sì assoluto essa uccide, e la stessa cosa avviene quando grida il no assoluto: l’odio contro il creatore può quindi trasformarsi in amore ed accettazione incondizionati del mondo, o nel rifiuto totale di esso. Negato il regno divino della grazia, il rivoltoso intende edificare il regno umano della giustizia; quando la rivolta diventa omicida, però, essa tradisce se stessa, in quanto dimentica che, nella sua origine, era una protesta contro la morte: allora anche il regno della giustizia crollerà, perché la negazione, che ha investito Dio, sommergerà anche l’uomo.

La vera rivolta è dunque in equilibrio tra il sì ed il no, e rimane sempre fedele a «quel limite che sembra inseparabile dalla natura umana».79 Camus prende le distanze dalle filosofie storicistiche per le quali «i valori non sono, divengono, e li conosceremo interamente solo al compiersi della storia».80 Secondo lui, al contrario, il valore della natura umana è, non diviene; negare la sua preesistenza all’azione come anche la sua funzione di limite dell’azione stessa significa cancellare l’argine metafisico che impedisce di essere sommersi ed uccisi dal nichilismo. Su questo punto Camus è perentorio: «o si servirà quel valore che il limite per se stesso costituisce, oppure la dismisura contemporanea non troverà regola e pace se non nella distruzione universale».81 Se ogni azione che superi un certo limite nega se stessa, significa che esiste una misura nelle cose e nell’uomo; essa, per i Greci, è simboleggiata da Nemesi, dea «fatale ai dismisurati»:82 chi oltrepassa il limite viene punito senza pietà.

Dopo il ciclo dell’assurdo e della rivolta, Camus ne aveva in mente uno dedicato a Nemesi;83 nei Taccuini annota così: «I. Il Mito di Sisifo (assurdo). — II. Il Mito di Prometeo (rivolta). — III. Il Mito di Nemesi».84 Questo terzo ciclo non sarebbe stato altro che la logica prosecuzione del secondo, visto che «la rivolta è essa stessa misura»;85 quest’ultima è la «pura tensione»86 che non nega la contraddizione, ma la afferma, mantenendo l’equilibrio tra il sì ed il no. Come l’assurdo e la rivolta, quindi, anche la misura si fonda sulla contraddizione, ovvero sulla volontà di non escludere nulla: sembra che Camus non abbia mai dimenticato l’insegnamento di Pascal. Non a caso, in epigrafe alle Lettere a un amico tedesco, troviamo questa sua significativa frase: «On ne montre pas sa grandeur pour être à une extrémité, mais bien en touchant les deux à la fois».87 Prometeo è colui che ha toccato le due estremità.

L’eroe incatenato conserva nel fulmine e nel tuono divini la sua fede tranquilla nell’uomo. In questo modo egli è più duro della roccia e più paziente dell’avvoltoio. Per noi, più della ribellione contro gli dei, ha un senso quella sua lunga ostinazione. E quella ammirevole volontà di non separare né escludere nulla, che ha sempre riconciliato e riconcilierà ancora il cuore doloroso degli uomini con le primavere del mondo.88

Immaginiamo questo eroe legato ad una rupe, spettatore coraggioso ed inerme dell’ira di Zeus. Osserviamo il suo volto: è evidente l’espressione sofferente ma, esaminandolo con più attenzione, riusciremo a scorgere anche la luce di una gioia senza voce. Prometeo, il preveggente, conosceva bene il supplizio a cui sarebbe andato incontro, ma non ha rinunciato al suo gesto generoso e ribelle. L’amore che nutre per l’uomo è più forte del tormento che lo affligge; la lucida consapevolezza del suo destino fa di lui il padrone delle catene che lo inchiodano alla roccia.

Bisogna immaginare Prometeo felice.89


  1. A. Camus, Lettere a un amico tedesco, trad. it. di M. Vasta Dazzi, in Opere. Romanzi, racconti, saggi, a cura e con introduzione di R. Grenier, apparati di M. T. Giaveri e R. Grenier, Bompiani, Milano 2000, p. 353. ↩︎

  2. Ibidem. ↩︎

  3. A. Camus, L’uomo in rivolta, trad. it. di L. Magrini, in Opere, cit., p. 630. ↩︎

  4. Ivi, p. 880. ↩︎

  5. A. Camus, Taccuini 1935-1942, prefazione di R. Grenier, trad. it. di E. Capriolo, Bompiani, Milano 1992, p. 51. Queste righe ricordano le famose parole di S. Agostino: “Ama e fai ciò che vuoi”. In occasione dell’assegnazione del Nobel, Camus disse: «Avevo un piano preciso quando ho cominciato la mia opera: volevo prima di tutto esprimere la negazione. Sotto tre forme. Romanzesca: e fu Lo straniero. Drammatica: Caligola, Il malinteso. Ideologica: Il mito di Sisifo. Prevedevo il positivo sempre sotto tre forme. Romanzesca: La peste. Drammatica: Lo stato d’assedio e I giusti. Ideologica: L’uomo in rivolta. Intravedevo già un terzo strato di questo piano relativamente al tema dell’amore» (citato in R. Grenier Introduzione a: A. Camus, Opere, cit., pp. VIII s.). Nel romanzo incompiuto Il primo uomo troviamo una significativa affermazione su questo tema: «Quelli che suscitano amore, anche decaduti, regnano sul mondo e lo giustificano» (A. Camus, Il primo uomo, a cura di C. Camus, trad. it. di E. Capriolo, Bompiani, Milano 2001, p. 259). Anche nei Taccuini Camus scrive delle parole degne di nota a proposito dell’amore: «Arriva un momento in cui gli individui cessano di lottare e di dilaniarsi, accettano finalmente di amarsi per ciò che sono. È il regno dei cieli» (A. Camus, Taccuini 1942-1951, prefazione di R. Grenier, trad. it. di E. Capriolo, Bompiani, Milano 1992, p. 274). ↩︎

  6. A. Camus, L’estate, trad. it. di S. Morando, in Opere, cit., p. 982. ↩︎

  7. A. Camus, Il mito di Sisifo, trad. it. di A. Borelli, in Opere, cit., p. 229. ↩︎

  8. Cfr. A. Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, a cura di L. Chiuchiù, traduzione di G. Chiuchiù, Diabasis, Reggio Emilia 2004, pp. 104-107. Metafisica cristiana e neoplatonismo è la tesi con cui Camus consegue nel 1936 il Diploma di Studi Superiori in Filosofia all’Università d’Algeri; essa è dedicata al rapporto tra Ellenismo e Cristianesimo ed all’influenza esercitata da Plotino sul pensiero agostiniano. ↩︎

  9. A. Camus, Il mito di Sisifo, cit., p. 245. ↩︎

  10. A. Camus, Taccuini 1942-1951, cit., p. 50. J. Onimus definisce Camus come «le fils sécularisé d’Augustin et de Pascal» (J. Onimus, Un grand amour manqué, in AA., Les critiques de notre temps et Camus, Garnier, Paris 1970, p. 114). L’ammirazione che Camus ebbe per Agostino e Pascal è da lui palesemente dimostrata in un’intervista: all’intervistatore che insinua che la fede costituisca per un cristiano una sottomissione della ragione all’ingiustizia più scandalosa, nonché un atto di fuga dalla realtà, Camus risponde: «Mais je réfléchirais avant de dire comme vous que la foi chrétienne est une démission. Peut-on écrire ce mot pour un saint Augustin ou un Pascal? L’honnêteté consiste à juger une doctrine par ses sommets, non pas ses sous-produits» (A. Camus, Trois interviews, Actuelles I, in Essais, introduction par R. Quillot, édition établie et annotée par R. Quillot et L. Faucon, Gallimard, Paris 1965, p. 380). ↩︎

  11. «Un uomo contempla e l’altro scava la propria tomba: come separarli? Gli uomini e la loro assurdità? Ma ecco il sorriso del cielo. […] Tra questo diritto e questo rovescio del mondo non voglio scegliere, non mi piace che si scelga» (A. Camus, Il rovescio e il diritto, trad. it. di S. Morando, in Opere, cit.,p. 51). ↩︎

  12. A. Camus, Il mito di Sisifo, cit., p. 245. ↩︎

  13. Ivi, p. 248. ↩︎

  14. Ivi, p. 249. ↩︎

  15. A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., p. 626. ↩︎

  16. A. Camus, Il mito di Sisifo, cit., p. 248. «La confessione di Agostino era attraversata dal Verbum che faceva riconoscere all’uomo la propria colpevolezza inestinguibile. La confessione dell’uomo assurdo parte invece dalla “propria innocenza irreparabile”. È da innocenti che ci si può risolvere al suicidio, confessando “che non vale la pena”; il verme nel cuore dell’uomo è il rilevare l’inutilità dell’innocenza al cospetto di un’assurdità che si è voluta chiamare colpa. Sarebbe troppo facile dire che se non esiste colpa non esiste nemmeno l’innocenza e che quindi Camus può parlarne solo equivocamente. Camus scrive “innocenza irreparabile”: è irreparabile perché in rapporto all’assurdo, e non in opposizione alla colpa. L’uomo è essenzialmente innocente. Cosa si può imputare a un essere destinato al nulla? Non c’è bisogno del peccato per spiegare la morte e, anzi, per l’uomo assurdo deve restare, come per Ivan Karamazov, scandalosamente ingiustificabile» (L. Chiuchiù, Metafisica della rivolta, in A. Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, cit., p. 184). ↩︎

  17. «Mi dico: io devo morire, ma non vuol dire nulla, perché non arrivo a crederlo e non posso avere altro che l’esperienza della morte altrui» (A. Camus, Nozze, trad. it. di S. Morando, in Opere, cit., p. 70). ↩︎

  18. Cfr. A. Camus, Il mito di Sisifo, cit., p. 216. ↩︎

  19. Ibidem. ↩︎

  20. Agostino, La vera religione — De vera religione, introduzione, traduzione e note di M. Vannini, edizione integrale bilingue, Mursia, Milano 1992, XV, 29, p. 67. ↩︎

  21. Ivi, XII, 23, p. 61. ↩︎

  22. A. Camus, Il mito di Sisifo, cit., p. 282. ↩︎

  23. Il problema del male - ricorda Moeller - lasciò una ferita profonda ed inguaribile nella sensibilità dell’adolescente Camus: «Max-Pol Fouchet ha raccontato che un giorno, avevano 15-16 anni, lui e Camus passeggiavano lungo il mare, quando furono fermati da un assembramento. Per terra giaceva il corpo di un ragazzino arabo schiacciato da un autobus. La madre gridava, il padre taceva, mentre la folla, ottusa, stava a guardare. Camus poco dopo, allontanatosi dal gruppo, aveva indicato all’amico il cielo azzurro, poi il cadavere e aveva detto: “Vedi, il cielo non risponde”. In questa semplice frase c’è tutto il dramma di una sensibilità ferita da uno degli enigmi più dolorosi» (C. Moeller, Albert Camus o l’onestà disperata, in Letteratura moderna e Cristianesimo, vol. I, trad. it. di L. Bortolon, M. Luchsinger, Vita e Pensiero, Milano 1973, p. 38). Quindi l’assurdo fu per Camus un «trauma esistenziale», non un’astratta scoperta filosofica. ↩︎

  24. A. Camus, Il non credente e i cristiani, trad. it. di R. Perini, in Esistenza e storia, Università degli studi di Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia 1981, p. 117. Rigobello scrive che «la posizione di Camus si potrebbe idealmente situare nel processo formativo di S. Agostino interrompendolo ad un certo momento del suo sviluppo ed ipostatizzando, quasi, tale momento cruciale, ossia il momento che precede la conversione» (A. Rigobello, Camus tra la miseria e il sole, Il Tripode, Napoli 1976, p. 114). Sul rapporto tra Camus ed Agostino si vedano anche: P. Archambault, Augustin et Camus, in «Recherches Augustiniennes», n. 6, Insitut des Études Augustiniennes, Paris 1969, pp. 195-221; M. Borghesi, «La caduta» e la grazia. Camus e Agostino, in «30 Giorni», n. 9, Roma 2004, pp. 82-87; A. J. Clayton, Note sur Augustin et Camus, in AA. VV., Journalisme et politique. L’entrée dans l’histoire (1938-1940), textes réunis par A. Abbou et J. Lévi-Valensi, «Revue de Lettres Modernes», numéros 315-322, Minard, Paris 1972, pp. 267-270; V. Pacioni, La presenza di sant’Agostino nell’opera letteraria e filosofica di Albert Camus, in AA. VV., Congresso internazionale su sant’Agostino nel XVI centenario della conversione, vol. III, Institutum Patristicum «Augustinianum», Roma 1987, pp. 369-379; A. Pieretti, Albert Camus. Unde malum?, in Esistenza e libertà. Agostino nella filosofia del Novecento, vol. I, a cura di L. Alici, R. Piccolomini, A. Pieretti, Città Nuova, Roma 2000, pp. 225-247; E. C. Rava, La ricerca di Dio: Albert Camus e Agostino a confronto, in «Lateranum» n. 55, Lateran University Press, Roma 1989, pp. 69-133; G. Ricciardi, La presenza di S. Agostino in Albert Camus, in AA. VV., Agostino non è (il) male, a cura di G. Fidelibus, De Luca, Chieti 1998, pp. 77-86. ↩︎

  25. A. Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, cit., p. 96. ↩︎

  26. A. Camus, Taccuini 1942-1951, cit., p. 154. ↩︎

  27. A. Camus, Il non credente e i cristiani, cit., p. 116. ↩︎

  28. A. Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, cit., p. 99. Nel commento a Metafisica cristiana e neoplatonismo L. Chiuchiù mette in luce la radicale antitesi esistente tra la concezione di libertà di Camus e quella di S. Agostino (cfr. L. Chiuchiù, Metafisica della rivolta, cit., pp. 164-167 e pp. 184-186). ↩︎

  29. Agostino, La Trinità, introduzione di A. Trapè e M. F. Sciacca, traduzione e note di G. Beschin, indici di F. Monteverde, Città nuova, Roma 2002, IV, 1, 2, p. 137. Agostino non fa che ribadire quanto scrisse Paolo: «Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene» (Ef. 2, 8-9). ↩︎

  30. A. Camus, Il mito di Sisifo, cit., p. 250. ↩︎

  31. A. Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, cit., p. 99. ↩︎

  32. «Infatti Dio ha giudicato che i suoi servi fossero migliori se lo servissero liberamente; e ciò non potrebbe avvenire se servissero per necessità e non per volontà» (Agostino, La vera religione, cit., XIV, 27, p. 67). ↩︎

  33. Cfr. G. Santi, Agostino d’Ippona Filosofo, Lateran University Press, Roma 2003, p. 166. ↩︎

  34. A. Camus, Il mito di Sisifo, cit., p. 250. ↩︎

  35. Ivi, p 253. ↩︎

  36. Ivi, p 257. ↩︎

  37. «Sarebbe possibile mostrare come non vi possano essere per uno spirito umano che due soli universi possibili, l’universo religioso (o per parlare il linguaggio cristiano, della grazia), e quello della rivolta. La scomparsa dell’uno equivale alla comparsa dell’altro, sebbene questa comparsa possa avvenire in forme sconcertanti» (A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., p. 641). ↩︎

  38. A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., p. 641. ↩︎

  39. Ivi, p. 636. ↩︎

  40. Ivi, p. 636. ↩︎

  41. Ivi, p. 643. ↩︎

  42. Rigobello osserva che «In analogia al concetto agostiniano di male metafisico, Camus chiama metafisica la rivolta che di quel male intende essere l’attiva protesta» (A. Rigobello, Camus tra la miseria e il sole, cit., p. 80). ↩︎

  43. A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., p. 647. ↩︎

  44. Ibidem. ↩︎

  45. Ivi, p. 648. ↩︎

  46. Ivi, p. 651. ↩︎

  47. Cfr. Nietzsche, La nascita della tragedia,edizione italiana a cura di P. Chiarini, con la collaborazione di R. Venuti, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 36. ↩︎

  48. Ivi, pp. 33 s. ↩︎

  49. A. Camus, Lettere a un amico tedesco, cit., p. 365. ↩︎

  50. A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., pp. 651 s. ↩︎

  51. A. Camus, L’estate, cit., p. 985. ↩︎

  52. A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., p. 950. ↩︎

  53. Ibidem. ↩︎

  54. A. Camus, La peste, trad. it. di B. Dal Fabbro, in Opere, cit., p. 535. Secondo Camus anche l’arte è alimentata da un sentimento di solidarietà e d’amore per l’uomo; nel discorso pronunciato al termine del banchetto che concludeva la cerimonia per l’assegnazione del Premio Nobel Camus afferma: «L’arte non è ai miei occhi una gioia solitaria: è invece un mezzo per commuovere il maggior numero di uomini offrendo loro un’immagine privilegiata delle sofferenze e delle gioie di tutti» (A. Camus, Discorsi di Svezia, trad. di A. Sensini, in Opere, cit., p. 1240). ↩︎

  55. A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., p. 652. ↩︎

  56. Ivi, p. 653. ↩︎

  57. Ibidem. ↩︎

  58. Ivi, p. 657. ↩︎

  59. Ivi, pp. 742 s. Nei Taccuini troviamo una diversa interpretazione della morte di Cristo: «Per gelosia del nostro dolore Dio è venuto a morire sulla Croce» (A. Camus, Taccuini 1942-1951, cit., p. 241). ↩︎

  60. A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., p. 743. ↩︎

  61. Ivi, p. 660. ↩︎

  62. Ivi, p. 658. La Gnosi si nutre di apporti greci e cristiani. Camus vi individua una serie di tematiche legate alla tradizione facente capo a Platone: «Emanazioni delle intelligenze dal seno della Divinità, smarrimento e sofferenza degli spiriti separati da Dio e imprigionati nella materia, ansietà dell’anima pura legata all’anima irrazionale negli psichici, rigenerazione per il ritorno alle fonti originarie, tutto questo è puramente greco» (A. Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, cit., pp. 60s.). Eminentemente greca è anche la nozione di Limite, il cui superamento sovverte l’ordine del Tutto, ed è fonte di dolore per il trasgressore. Cristiani sono il pessimismo rispetto al mondo, l’ossessione del male, la necessità e la centralità di una Redenzione; il solo mezzo per salvarsi, però, non è la fede, bensì la conoscenza: ciò che la Gnosi elabora è «una teoria greca della Grazia» (ivi, p. 64), scrive Camus. P. Archambault dedica un saggio al capitolo della tesi di Camus riguardante la Gnosi, ed analizza l’influenza che il pensiero gnostico esercitò sulle sue successive opere (cfr. P. Archambault, Camus : le problème du mal et ses « solutions » gnostiques, in AA. VV., La pensée de Camus, textes réunis par R. Gay-Croisier, «Revue de Lettres Modernes», numéros 565-569, Minard, Paris 1979, pp. 27-42). Sul rapporto tra Camus e la Gnosi cfr. anche L. Chiuchiù, Metafisica della rivolta, cit., pp. 171-176. ↩︎

  63. A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., p. 658. ↩︎

  64. Ibidem. ↩︎

  65. Cfr. A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., p. 658; A. Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, cit., p. 45. ↩︎

  66. A. Camus, Caligola, traduzione di F. Cuomo, in Tutto il teatro, introduzione di G. Davico Bonino, Bompiani, Milano 2000, p. 56. ↩︎

  67. Secondo Basilide «Cristo non sfugge alla legge universale del peccato» (A. Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, cit., p. 45). ↩︎

  68. A. Camus, La caduta, trad. it. di S. Morando, in Opere, cit., pp. 1084 s. Anche il protagonista del racconto Il rinnegato o una mente confusa mette in dubbio l’innocenza di Cristo: «l’hanno trafitto di chiodi fin nella testa, la sua povera testa, come la mia ora, che guazzabuglio, come sono stanco, e la terra non ha tremato, ne son certo, non avevano ucciso un giusto, mi rifiuto di crederlo» (A. Camus, L’esilio e il regno, trad. it. di S. Morando, in Opere, cit., p. 1139). ↩︎

  69. Nelle opere di Camus è possibile individuare alcune influenze del pensiero di Marcione. Ad esempio, è interessante notare che per Caligola — protagonista dell’omonimo dramma di Camus — come per Marcione «Si tratta niente di meno che della distruzione completa di una creazione» (A. Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, cit., p. 50; cfr. P. Archambault, Camus : le problème du mal et ses « solutions » gnostiques, cit., p. 30). Dopo la morte di Drusilla Caligola acquisisce la lucida consapevolezza della misera condizione umana, tragicamente segnata dal dolore e dalla morte, ed il suo rifiuto di questo stato di cose si traduce in una folle quanto disperata «mania distruttiva»: «Io vivo, io uccido, io esercito il potere delirante del distruttore, al confronto del quale il potere del creatore non è che una pallida imitazione» (A. Camus, Caligola, cit., p. 112). Nel racconto Il rinnegato o una mente confusa sembra rivivere la teologia marcioniana dell’antitesi tra i due dei illustrata da Camus nella sua tesi di laurea. Il protagonista, sostenuto da un’incrollabile fede in Cristo, decide di andare in una città selvaggia per insegnare la dolcezza, la carità ed il perdono; poi, però, fatto prigioniero da quegli stessi uomini che aveva intenzione di convertire, dopo aver subito orrende torture, inizia ad adorare nel loro feticcio «il malvagio principio del mondo» (A. Camus, L’esilio e il regno, cit., p. 1138), il cui «regno visibile» (ivi, p. 1139) è il solo possibile su questa terra: ci torna in mente il demiurgo di Marcione, nemico giurato del Dio buono che regna nel mondo invisibile. C’è anche chi ha notato, infine, come alcuni passi dei Taccuini sembrino valorizzare quell’ascetismo di rifiuto che caratterizza l’etica di Marcione (cfr. P. Archambault, Camus : le problème du mal et ses « solutions » gnostiques, cit., p. 30); questa tesi sembrerebbe suffragata leggendo, ad esempio, che «Forse la vita sessuale è stata data all’uomo per distoglierlo dalla sua vera via. È il suo oppio. In essa tutto s’addormenta. Fuori di essa le cose riprendono a vivere. Al tempo stesso, la castità estingue la specie, che forse è la verità» (A. Camus, Taccuini 1942-1951, cit., p. 42). ↩︎

  70. A. Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, cit., pp. 49 s. ↩︎

  71. Ivi, p. 49. Ne L’uomo in rivolta viene ribadito il carattere orgoglioso e ribelle della sua ascesi, volta a distruggere la creazione del malvagio demiurgo (cfr. A. Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, cit., p. 658). ↩︎

  72. Antitesi era il titolo di uno dei libri di Marcione andati perduti. ↩︎

  73. A. Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, cit., p. 52. ↩︎

  74. Ibidem. ↩︎

  75. A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., p. 658 ↩︎

  76. A. Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, cit., p. 61. ↩︎

  77. Ivi, p. 54. ↩︎

  78. A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., pp. 649 s. ↩︎

  79. Ivi, p. 939. «Questa natura umana, concepita a modo di essenza-valore, non è, come per certe filosofie esistenzialistiche e storicistiche, un valore che si raggiunge al termine dell’azione: esso preesiste ad ogni azione e ne è il suo fondamento» (E. C. Rava, Il paradosso della rivolta. Saggio su Albert Camus,Vita e Pensiero, Milano 1980, p. 123). F. Meyer, nel ricordare Camus due anni dopo la sua morte, scrive che c’era in lui «“un senso inalienabile del Valore, come protesta dell’uomo davanti al mondo e davanti alla storia. Non è eccessivo dire che per C. il profondo dell’uomo, questa profondità senza fondo identificabile, era fuori del tempo e dello spazio e come metafisica, era una specie di nostalgia dell’uomo abbandonato nel mondo”» (testo tratto dalla rivista Letture, anno XVII, n. 1, gennaio 1962, e riportato in V. Passeri Pignoni, Albert Camus, uomo in rivolta: saggio critico, Cappelli, Imola 1965, p. 409). ↩︎

  80. A. Camus, L’estate, cit., pp. 993 s. ↩︎

  81. A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., p. 941. ↩︎

  82. Ibidem. ↩︎

  83. Cfr. R. Grenier, Introduzione a: A. Camus, Opere, cit., p. XIX. ↩︎

  84. A. Camus, Taccuini 1942-1951, cit., p. 278. ↩︎

  85. A. Camus, L’uomo in rivolta, cit., p. 947. ↩︎

  86. Ivi, p. 946. ↩︎

  87. A. Camus, Lettere a un amico tedesco, cit., p. 341. ↩︎

  88. A. Camus, L’estate, cit., p. 985. ↩︎

  89. Cfr. «Bisogna immaginare Sisifo felice» (A. Camus, Il mito di Sisifo, cit., p. 319). Sisifo e Prometeo sono uniti da una stretta parentela: essi sono gli eroi che non chiudono gli occhi di fronte alle contraddizioni dell’esistenza, e che hanno una lucida consapevolezza del loro destino. ↩︎