Le Pluralità delle vie: Raimon Panikkar

1. La «fecondazione reciporoca» delle cuture

Raimon Panikkar è stato sofofilo, un «amante della sapienza che è sapienza dell’amore». Lo ascoltai la prima volta a St Jacques, dove era stato invitato da don Michele Do, scrutatore fine e intenso di una «immagine creativa e sorgiva del cristianesimo». Era il 18 ottobre 1992. Nel prefabbricato pieno di tanti amici, Panikkar fece una conversazione su «Dopo il cristianesimo, Cristo». Ne scrissi un’ampia relazione su il foglio n. 195, dicembre 1992. Mi sembra che la visione cosmoteandrica di Panikkar sia stata ripresa nella sostanza da papa Francesco nella Laudato si’ là dove si afferma che “tutto è in relazione”. Occorre infatti distinguere tra un relativismo negativo, che riduce tutto in scetticismo e dispersione, ed un relativismo comunicante: nessuna realtà, nessuna visione è sola e autosufficiente, nulla è senza rapporto vitale con tutto il resto. Questo vale per l’umanità, per il cosmo, per Dio. Quanto alle religioni e le culture, Panikkar vede che la loro relazione non è di esclusione né di inclusione, ma di «fecondazione reciproca». Perciò, per lui, la necessaria operazione culturale è il «disarmo culturale», che non significa, ovviamente, culture senza forza ideale e operativa, ma culture non armate, non ossessionate dal prevalere sulle altre, dal sequestrare la verità tutta (o quasi) solo per sé. «Il compito della filosofia nel momento attuale […] consisterebbe, a mio parere, nel disarmare la ragione armata».1

Il non-dualismo e non-monismo di tutte le cose riguarda dunque anche le religioni. Scriveva Arturo Paoli: dire che una religione è vera e le altre false «è una dichiarazione di guerra». Oggi questa ricerca della pace tra le culture e dell’incontro pacifico tra le diverse religioni è la condizione della universale sopravvivenza. Gli spiriti più attenti lavorano a vedere le radici di questa «pluralità delle vie»: nessuna delle grandi vie spirituali dell’umanità ha diritto di ergersi sulle altre, o di disprezzarle e addirittura combatterle. Anche la teologia cristiana delle religioni sta accogliendo il pluralismo non contraddittorio con la fede nella specificità unica di Gesù Cristo.2 Simone Weil affermava: «Ogni religione è l’unica vera». Come ogni madre è l’unica madre per ciascuno, mentre non è unica, ma una delle infinite madri che trasmettono vita e sapienza ad ogni generazione, nella impresa di diventare umani.

È così, infatti, per chi in una specifica tradizione spirituale, che è come sua madre, incontra «la luce che illumina ogni uomo» (Vangelo di Giovanni 1,9). Quella è per ogni animo religioso tutta la verità ricevuta, sebbene sia da accogliere sempre più e sempre meglio. Noi cristiani l’abbiamo incontrata in Gesù, il Cristo. Ma altre luci di Dio, in altri illuminati da Dio, comunque lo chiamassero, hanno guidato e guidano a lui grandi famiglie umane, che sicuramente Dio non ha amato meno dei cristiani. Anche nel Corano, nella sura della mensa (l’ultima delle rivelazioni ricevute da Mohammed), si legge chiara questa affermazione: «Ad ognuno di voi abbiamo assegnato una via e un percorso. Se Allah avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Vi ha voluto però provare con quel che vi ha dato. Gareggiate in opere buone: tutti ritornerete ad Allah ed Egli vi informerà a proposito delle cose sulle quali siete discordi». (Corano 5, 48).

2. Pier Cesare Bori con Pico della Mirandola: la «pluralità delle vie»

Vedo un continuatore, a proprio modo, dello spirito di Panikkar in uno studioso piemontese, di Casale Monferrato, che ha insegnato nell’Università di Bologna: Pier Cesare Bori, morto nel 2012 a 75 anni. Sono stato suo amico per 50 anni, ho seguito il suo cammino di ricerca. Conosco alcuni dei suoi affezionati allievi. Si può partire, per conoscerlo come merita, dalla sua intensa e precisa autobiografia, scritta negli ultimissimi mesi di vita.3 Bori aderì alla Società degli Amici, i quaccheri, studiandone le origini largamente malintese in Italia e praticandone la spiritualità, ma senza rinnegare la maternità della chiesa cattolica e della Bibbia ebraica, relativizzata e confrontata con le grandi sapienze e profezie della storia umana. Una larga conoscenza delle lingue originali gli permetteva di leggere i grandi maestri universali, sia nelle lezioni in Università, con centinaia di studenti, sia nella scuola in carcere, con detenuti immigrati. Pier Cesare Bori, studiando molti autori, da Tolstoj (che leggeva in russo e di cui fu conoscitore di livello internazionale), alle minoranze cristiane, a Pico della Mirandola, e tracciando un percorso e un consenso etico tra le culture di ogni tempo, scoprì e valorizzò, in tutti i maestri di umanità, gli elementi spirituali di valore universale. Mostrò in Pico più di quel che già si sapeva: la «pluralità delle vie». Leggeva questa realtà, che promette una possibile profonda pace tra gli umani, sulla base di alcune parole cristiane essenziali: «la luce che illumina ogni uomo» (Giovanni 1,9); adorare Dio né su questo monte né su quello, ma «in spirito e verità», interiormente e coi fatti (Giovanni 4, 24).

3. Philosophia pacis in Panikkar

In questa linea che fonda e promette pace, consiglierei ai giovani, per conoscere Panikkar e acquisire profonde basi di una cultura di pace, di partire dal libro divulgativo La torre di Babele. Pace e pluralismo.4. Particolarmente importanti sono le ultime pagine dedicate ai Nove Sutras sulla pace che lascio in appendice al testo di questa comunicazione.5 «Torre di Babele» vuol dire l’impero, l’unificazione monistica, in forma di massificazione globale, negazione della pluralità e dunque falsa unità. La pace invece è pluralismo e armonia. In questo libro Panikkar intende Philosophia pacis, in senso non oggettivo (pensare la pace), ma soggettivo: «lasciar dispiegare la filosofia contenuta nella realtà stessa della pace». Mentre gran parte della filosofia occidentale è interpretata come «la ricerca della verità con il fucile della ragione, anche se spessissimo è solo una caccia alla chiarezza con la pistola di Calculus», un’altra nozione di filosofia è presente nel mondo e non assente anche in occidente: la cultura animi. «Una filosofia che è più di una filosofia pacifica. È una filosofia che riflette, e allo stesso tempo effettua, l’armonia della Realtà». Non solo amore della sapienza, ma sapienza dell’amore. Il presupposto è che la struttura ultima della Realtà sia armoniosa. Non abbiamo un criterio esterno che postuli un Dover Essere supertrascendente da dettare alla Realtà. Violenza e divisione possono turbare l’armonia dolorosamente, ma non ne distruggono il senso. Anche per Gandhi le violenze non sono la legge della vita, ma solo uno strappo nel tessuto della vita, che rimane teso e si può riparare. Filosofia di pace non è soltanto argomentazione intellettuale, ma partecipazione vitale all’armonia, è teoria e prassi, come per Gandhi.

4. Le religioni umili e relative

Con questi stimoli di spiritualità e di cultura amante dell’umanità, credo che le religioni istituzionali e dottrinarie oggi debbano lasciarsi toccare beneficamente dall’universalismo di Panikkar, di Küng, di Balducci, di Bori, di Galtung, e di altri maestri su questa via. Le culture-religioni strutturate si facciano umili e relative, si lascino contestare e limitare e modificare (ogni vero dialogo ci modifica) da altre diverse luci, osservate con lo aguardo più ampio possibile. Sappiano le religioni, se sono grate al dono ricevuto, che questo dono non si perde se si accosta e se collabora con altri doni di Dio. E non è proprio il caso di fare classifiche e vanti di superiorità, nel piano religioso, che è soltanto luogo di umile gratitudine. Del resto, oggi le condizioni del tutto nuove di mescolanza dei popoli rendono il pluralismo religioso, nella reciproca stima e pace, non solo condizione di sopravvivenza, ma opportunità preziosa di crescita della intera spiritualità umana. Ernesto Balducci scriveva che, la «necessità morale della pace» assume la forza di un «imperativo assoluto da cui dipende la stessa sopravvivenza dell’umanità»; di fronte a questo assoluto «lo stesso discorso su Dio» risente del limite gravissimo di essere un «nome particolare, interno ai molti codici linguistici in uso nelle tradizioni culturali».6 Assoluta è la pace tra le culture, non una particolare teologia. È vero, come afferma papa Francesco: oggi è guerra capitalistica e non di religioni, ma il volto assolutista delle religioni è l’arma più forte a disposizione dei poteri bellicosi: arma assoluta, come la bomba atomica, e come il terrorista sui-omicida, perché toglie la vita spirituale, la dignità, prima della vita fisica: piega Dio a giudicare come vogliamo noi. Quando si fa guerra dicendo: «Dio lo vuole». «Uccidete: Dio distinguerà i suoi». «Allah è grande», detto nel senso che chi adora Dio con ogni altro nome è da colpire: tutto ciò è farsi diavoli condannatori usurpando il giudizio che è solo di Dio. L’inferno teologico è fatto, nelle teorie e nelle prassi, non da Dio, ma dagli uomini «religiosi» (tra molte virgolette) sradicati dall’umanità. Tutte le religioni, specialmente le più diffuse e istituzionalmente forti, hanno commesso questo peccato sacrilego. La Società degli Amici è l’unico filone cristiano che non abbia le mani sporche di sangue, come ricordava Pier Cesare Bori: una piccola tradizione cristiana che fin dall’inizio ha obiettato alle armi, e ha avviato nella storia diversi movimenti per la pace.

5. Le religioni tradiscano la guerra

Le religioni hanno da tradire la guerra che abusa di loro, devono farsi armi spuntate, commettere il reato di «intelligenza col nemico» per il quale nel 15-18 si veniva fucilati dalla propria patria; hanno da fare amico il nemico, nell’umiltà della «luce che illumina ogni uomo». Gesù percorse questa via aperta all’universale e fu ucciso dal potere-dominio alleato alla religione. Chiunque crede che egli vive in Dio e in noi, e chiunque lo riconosce come uno dei massimi profeti di vita più umana, sa che Gesù sta non contro, ma fortemente insieme a tutte le luci spirituali e morali che possono illuminare il cammino umano. Come conclusione, ci sembra opportuno riferire due brevi poesie di Luca Sassetti scritte nello spirito di Raimon Panikkar:

Religioni

Ad ogni valle il suo torrente vengono tutti dalle stesse nevi e le nevi dall’unico cielo. Corrono tutti ad un solo mare e il mare evapora nell’unico cielo. Così le religioni dal cielo irrigano la terra in varia bellezza dall’unica origine all’unico ritorno.

Saint Jacques, 25 aprile 2016

Molte religioni, una sola luce

La verità dai molti raggi tocca ciascuno con un raggio appena. Io sarò fedele a questo mio che sia piccolo o grande. Se invidiassi il tuo raggio e lasciassi questo forse cadrei nel buio. Solamente salendo sulla scala di luce nella mia verità incontrerò la tua. Vedi quanta pace con milioni di raggi stende il sole sul prato e nessun fiore offende l’altro.

26 marzo 1992

(dal mensile il foglio, n. 190, maggio 1992)

6. Nove sutras sulla pace

(sviluppati nel libro di Panikkar, La torre di Babele. Pace e pluralismo, pp. 166-176)

  1. La pace è partecipazione nell’armonia del ritmo dell’Essere.

  2. È difficile vivere senza pace esterna; è impossibile vivere senza pace interna.

    La relazione [tra le due paci] è non-dualistica (advaitica).

  3. La pace non è né conquistata per se stessi né imposta agli altri.

    È sia ricevuta, scoperta, che creata. È un dono (dello Spirito).

  4. La vittoria non conduce mai alla pace.

  5. Il disarmo militare richiede un disarmo culturale.

    “Pace e disarmo culturale” (pace è deporre la violenza culturale – p. es. antropologia competitiva, non collaborativa; legge universale della violenza – che è la più profonda negazione della pace).

    Violenza culturale non è solo “lavaggio del cervello”, costrizione, disinformazione; ma è filosofia-cosmologia (Weltanschauung) della violenza

    Compito della filosofia è “disarmare la ragione armata” (Torre di Babele, p. 47)

    Torre di Babele = impero, unificazione, massificazione globale, negazione della pluralità

  6. Nessuna cultura, religione o tradizione presa isolatamente può risolvere i problemi del mondo.

  7. La pace appartiene soprattutto all’ordine del mythos, non del logos.

    Mito diverso da logos. Mito (non è racconto, favola, mistificazione) è l’orizzonte e il presupposto pre-concettuale; definito in Ecosofia, p. 15: «ciò in cui si crede talmente che non si crede nemmeno di crederci: lo si prende come naturale, ovvio, evidente» (p. es: per tutto l’Occidente questo è la storia) ; logos è il pensiero riflesso concettuale.

    La pace è un mito, non un concetto. Parola polisemica.

    La pace richiede il pluralismo delle visioni della vita, perché nessuna visione è tutto.

  8. La religione è un sentiero verso la pace.

  9. Solo il perdono, la riconciliazione e il dialogo continuo portano alla pace, interrompono la legge del karma (cioè gli effetti delle azioni che impediscono la liberazione).


  1. Questa affermazione è sviluppata nel libro La torre di Babele. Pace e pluralismo (Edizioni Cultura della Pace, Fiesole 1990, p. 47, 51, 71, 163, 171). ↩︎

  2. Segnalo il chiaro libro di C. Molari, Teologia del pluralismo religioso, Pazzini Verucchio (Rn) 2013. ↩︎

  3. Cf. P. Cesare Bori, CV, curriculum vitae, 1937-2012, Il Mulino, Bologna 2012. ↩︎

  4. R. Panikkar, La torre di Babele. Pace e pluralismo, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole 1990 (curato da Ernesto Balducci). ↩︎

  5. Cf. Ibid., 166-176. ↩︎

  6. E. Balducci, L’uomo planetario, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole 1990, p. 24; 2a Edizione Camunia, Milano 1985. ↩︎