Dieter Henrich, l’Assoluto post-metafisico. In margine a Metafisica e Modernità

Dieter Henrich, Metafisica e Modernità, Rosenberg & Sellier, Torino 2008

Il libro che presentiamo raccoglie le lezioni tenute nel marzo del 2007 da Dieter Henrich presso la Scuola di Alta Formazione Filosofica «Luigi Pareyson» diretta da Ugo Perone, e si inserisce nella collana «Dubbio e Speranza» dell’editore Rosenberg & Sellier, nella quale già figurano i testi dei seminari di Marion e Larmore.

Cercare di sintetizzare il percorso filosofico di Dieter Henrich non è un compito facile, nemmeno per chi si ponga dinanzi ad un’opera come quella in questione che appunto intende riassumerne la parabola speculativa. La sterminata produzione storico-critica dell’autore, notissimo e apprezzatissimo studioso dell’idealismo tedesco, oltreché l’originale pensiero sistematico che egli va sviluppando in dialogo con la tradizione analitica a partire da un problema che la filosofia sembrava aver bandito, ossia dalla Soggettività, inducono ad appuntare l’analisi sugli aspetti cruciali che il libro presenta, poiché essi dischiudono il procedere dialettico che li ha determinati unitamente alla ricchezza di sviluppi che essi promettono. In particolar modo ritengo che un’analisi del testo della conferenza «Autocoscienza e pensiero di Dio», posta come capitolo conclusivo di Metafisica e Modernità, vuoi per l’oggetto che il tema affronta, vuoi per gli esiti che determina, possa contribuire a illuminare la «costellazione» che fa da sfondo al pensiero di Henrich, e la prospettiva lungo la quale procede la sua speculazione sempre aperta a nuove revisioni e integrazioni.

La necessità di considerare assieme l’Autocoscienza e il pensiero di Dio dipende essenzialmente dal fatto che nella filosofia di Henrich il problema della Soggettività deve precedere ogni possibile argomentare, giacché essa si offre come il presupposto ultimo (das Prinzip) del conoscere, non come Grund metafisico, bensì come principio mobile e post-metafisico del pensiero

1. Autocoscienza e pensiero di Dio

Nella prospettiva proposta da Dieter Henrich, Selbstbewusstsein e Gottesgedanke si presentano entrambi come pensieri generali: se infatti l’Autocoscienza, in quanto derivante dall’immediato Wissen-von-mir (sapere-di-me), precede ogni altro possibile pensiero, Dio costituisce, almeno concettualmente, il Grund di tutte le cose e di tutti i cogitata ad esse connessi. Se l’uomo è il soggetto di ogni pensiero, Dio viene pensato come il Grund di tutto ciò che è reale. È chiaro che il piano è differente: anche se non si può dare per immediata la corrispondenza di piano logico e piano ontologico, tuttavia comune all’Autocoscienza e al pensiero di Dio è la Relazione (Beziehung) che essi intrattengono con il Tutto, sia esso reale, sia esso pensato.

La comune aspirazione alla Allgemeinheit conduce però, nella storia della filosofia, ad una contesa fra il pensiero di Dio e l’Autocoscienza per il primato ontologico.

Nell’ottica di Henrich, pensare la Soggettività come Principio non significa attribuire ad essa le caratteristiche di un Grund metafisico da cui discenda l’intero Essere — come la filosofia Idealistica pretendeva di dimostrare —, significa piuttosto intendere il Principio come Presupposto depotenziato che si offre nella funzione esplicativa del Wissen-von-sich (sapere-di-sè) dell’Io: una funzione meramente strategica che sorge in vista dell’esplicazione delle ‘relazioni’ (Beziehungen) interne al Soggetto.

Als Prinzip kann Subjektivität nur dann gelten und fungieren, wenn sich an unser elementares Wissen von uns selbst vielerlei Folgerungen anknüpfen lassen, die grundlegende Sachverhalte besser erklären und Probleme überzeugender lösen lassen als im Ausgang von irgendeinem anderen Prinzip. Doch das heisst nicht, dass sich im Gang solcher Folgerungen ein System von der Verfassung ausbildet, in der die Subjektphilosophen von ehedem ihre Meisterschaft erwiesen und über die sie sich zugleich auf am Ende uneinlösbare Versprechen einliessen.1

La Soggettività non si può dedurre logicamente come il risultato di una dimostrazione, né va considerata come il ‘residuo’ di una qualche intuizione intellettuale, essa costituisce piuttosto un ‘fatto’ della coscienza (Bewusstsein) che, in quanto tale, si presenta complesso e irriducibile.

La conoscenza della Soggettività è peculiare poiché non è evidentemente possibile comprenderla in maniera comune senza cadere nei circoli paradossali in cui la filosofia è spesso incappata.

La particolare conoscenza che noi abbiamo di noi stessi, la nostra wissende Selbstbeziehung (’Autorelazione conoscitiva’) si esplicita, e dunque si apre al di là di se stessa, solo a partire dalla ‘posizione’ di un Grund, che non ha il carattere definitivo e assoluto di un fondamento metafisico, ma che anzi si presenta come un’ipotesi (Hypothese) in grado di ‘funzionare’ nel processo esplicativo dell’Autocoscienza.

È bene chiarire che nell’interpretazione di Henrich il Grund, nel doppio significato di ‘fondamento’ e ‘ragione’, non coincide con il Principio (come per esempio accade in Schelling). Il Grund non è un principio ontologico né un immediato rapporto con il Wissen-von-sich, esso semplicemente rende possibile e garantisce nel suo esplicarsi il bewusstes Leben (Vita cosciente) del Soggetto.

Dunque, il Wissen (sapere) del Soggetto parte dal Wissen-von-mir e si apre alla conoscenza di se stesso in quanto Io (e, quindi, alla conoscenza degli oggetti in generale) attraverso un Grund che rende esplicita la relazione con se stessi: la wissende Selbst-Beziehung. Secondo Henrich, la Soggettività, già nella sua ineffabilità, segnala la presenza di un Grund mediante cui essa può essere ‘colta’ non certo in maniera esauriente, ma quanto meno approssimativa.

Se la Soggettività si presenta come inaccessibile alla conoscenza oggettiva, altrettanto si deve dire di Dio, il cui Essere infinito non può venire pensato e compreso a partire dalla finitezza della Soggettività umana. «Nessuno ha mai visto Dio» scriveva l’evangelista Giovanni, mentre però già prospettava una possibile relazione che ne garantisse l’esistenza: «chi vive nell’Amore, vive in Dio e Dio vive in lui». In questo speciale rapporto che intercorre fra gli uomini si esperisce l’esistenza del Divino, nello sforzo di porsi in questo Amore e di rimanervi attraverso l’agire morale che lo vivifica.

2. La prova ontologica

Il primo filosofo della Modernità che ha considerato contestualmente l’Autocoscienza e il pensiero di Dio quali presupposti e garanti del Sapere e della Realtà in generale, è stato René Descartes.

Se per l’Io la correlazione con il piano di realtà è immediatamente evidente come Wissen-von-mir (sapere-di-me), per la realtà di Dio la questione si presenta in maniera più problematica. All’assoluta evidenza dell’Io si contrappone la prova razionale dell’esistenza di Dio, una prova che, per la sua particolare articolazione e per il particolare oggetto preso in considerazione, costituisce un momento fondamentale della storia della filosofia. Si tratta della riproposizione della prova ontologica già fondata da Anselmo d’Aosta.2

Essa segue una doppia articolazione a seconda dell’attribuzione divina che si sceglie di considerare: 1) se ad esser presa in considerazione è la perfezione divina, ad essa perfezione non può mancare l’esistenza; ma già qui è presupposto che la perfezione appartenga al reale e non solo all’ideale. Inoltre, ammettendo nel ragionamento (nell’ideale) l’esistenza quale attributo da far derivare dalla ‘perfezione’, non si passa al Reale se non dopo aver premesso il preminente valore ontologico del Reale sull’Ideale. 2) Se ad essere presa in considerazione è poi l’autosufficienza divina, non si può pensare che la realtà di Dio provenga da una causa esterna, per la qual cosa la Realtà divina dipende da Dio stesso. Ma anche in questo caso l’autosufficienza implica arbitrariamente l’attribuzione di Realtà: non è infatti scontato che l’autosufficienza sia attributo anzitutto del Reale. Più in generale la prova ontologica pone l’esistenza di Dio come Essere Necessario nella formulazione di un concetto-limite (Grenzbegriff).

Essenzialmente la prova ontologica si basa sugli attributi che di Dio vengono predicati, ma tali attributi devono essere pensati come concetti-limite, ossia come attributi che l’uomo (l’essere finito) utilizza per se stesso e che pretende di attribuire all’Infinito (Dio) con approssimazione.

Alla critica che una tale prova al più dimostra l’esistenza di Dio nel pensiero, Descartes risponde che, come non è possibile concepire un triangolo che non abbia gli angoli interni uguali a due retti, così non è possibile concepire Dio non esistente. L’essere sovranamente perfetto non può essere pensato privo di quella perfezione che è l’esistenza: l’esistenza gli appartiene dunque con la stessa necessità con cui una proprietà del triangolo appartiene al triangolo.

Spostando sul piano quasi matematico il Gottesbeweis (prova di Dio), Descartes tuttavia non può aggirare il fatto che la prova ontologica, comunque la si argomenti, prima di dimostrare la realtà di Dio già la presuppone e, inoltre, che si ragiona del divino con concetti che si avvicinano a Dio senza poterlo ‘includere’, risultando così la ‘dimostrazione’ solo approssimativa. Di Dio, infatti, al più si giunge a ragionare tramite concetti-limite (Grenzbegriffe) e si dimostra l’esistenza di un Dio il cui pensiero (Gottesgedanke) può venire esso stesso definito un concetto-limite.

La prova dell’esistenza di Descartes conduce ad un puro pensiero di Dio, quale notwendiges Wesen, Essenza Necessaria, che non rappresenta però un chiaro concetto di Dio, bensì, essendo fondato sulla ‘ragione’ umana, dimostra solo l’esistenza di un intimo legame fra il pensiero di Dio e il pensare dell’uomo: un comune Grund del bewusstes Leben (Vita cosciente) che guida l’uomo nel suo ‘costituirsi’ e nel suo pensare e argomentare.

Il Denken si presenta, per Henrich, da un lato come l’esplorazioni delle condizioni di possibilità del Pensare stesso, dall’altro lato il pensiero, ottenuta l’unità della Ragione, si proietta verso gli Abschlussgedanken, verso le Idee. In virtù di ciò, ogni comprensione intorno al Pensiero Speculativo deve in primo luogo rendere chiaro il suo Grund e di questo suo Grund anche la costruzione e il tracciato che segue.3

Come si è detto, Descartes cerca di fondare l’affidabilità del Sapere sull’Autocoscienza e sul pensiero di Dio, ed Henrich sottolinea l’intrinseco legame esistente fra questi due pensieri nella formulazione della prova ontologica. Necessariamente la priorità ricade sull’evidenza dell’Autocoscienza la cui esistenza già sempre presupponiamo quando diciamo Io e sulla quale fondiamo la possibilità di formulare la prova dell’esistenza di Dio quale Grund di ogni ente possibile, e quale esito del Pensiero Speculativo.

Sebbene la prova ontologica così come viene articolata da Descartes abbia un approccio di tipo matematico che sembra fuggire il legame con la Soggettività, il suo Beweis (prova) deve senz’altro avere qualcosa in comune con la Gottesgewissheit, se l’esistenza divina può risultare in qualche modo comprensibile (verständlich) alla Soggettività umana.

3. Un mistico legame intercorre fra l’Io e Dio

Der Mystiker findet Gott im Grunde seiner Seele, il mistico trova Dio nel fondo della sua Anima; il particolare legame fra gli uomini e Dio è descritto come una sorta di ‘Dipendenza’ dalla quale l’uomo si emancipa per il tramite dell’attività spontanea con cui produce le Idee. L’Autocoscienza, secondo Henrich, risulta essere il punto centrale che definisce l’uomo non nella sua Abhängigkeit, ‘Dipendenza’, bensì nella sua Aktivität e quindi nella sua Libertà. Essa ci appare Incondizionata è può essere ‘data’ solo là dove viene agita da un rapporto verso se stessi, ovvero in un’autorelazione conoscitiva.4

Per l’esplicitazione dell’Autocoscienza è necessaria la posizione di un Grund neanch’esso deducibile razionalmente; la riflessione umana parte dunque da un Grund che non può essere dimostrato e che si rivolge alle Idee di Soggettività e di Mondo (Welt), fondandole e garantendole nel loro svilupparsi. Le idee di Soggettività e di Mondo sono idee di Unità, ovvero determinano una Unificazione, sia perché die Welt (il Mondo) è una solamente, sia perché il Wissen-von-mir (sapere-di-me) riunifica tutte le ‘autorelazioni’ in un unico Soggetto.

Tale pensiero che unifica la Soggettività e il pensiero del Mondo è il Grund, come Incondizionato su cui si fonda la Vita cosciente (bewusstes Leben), e sul quale è possibile in definitiva fondare il pensiero di Dio.

Così come assicura l’ordinamento (Verfassung) interno delle Selbstbeziehungen (’autorelazioni’) in un’unica Soggettività cosciente, ugualmente il Grund fonda l’esterno della Welt. In questo modo la Vergewisserung (assicurazione) dell’esistenza del mondo esterno richiede di pensare una mediazione fra Dio e Autocoscienza che in nessun modo può essere derivata dalla sola esperienza nella Welt.

Il pensiero di Dio va considerato dunque assieme al Pensiero di un Grund che rende possibile lo sviluppo dell’Autocoscienza (Gang des spekulativen Denkens), così che si abbia una Fondazione razionale della mediazione fra Dio e l’essere dell’uomo (il Da-sein), mediazione che la Mistica può ottenere solo nell’attimo dell’Intuizione estatica.

In quanto il Grund non solo produce il procedere-svilupparsi della Vita cosciente (bewusstes Leben), bensì entra anche in tale ‘svilupparsi’ accompagnandolo fino al pensiero di Dio, il Finito risulta compreso nell’Infinito stesso di Dio. Per Henrich si giunge così ‘razionalmente’ all’integrazione della Vita cosciente e del pensiero di Dio nell’idea di Assoluto in cui il Finito dell’uomo si confonde con l’Infinito di Dio.

4. L’Assoluto post-metafisico

La possibilità da parte di Henrich di giungere ad un’idea di Assoluto svincolata da un lato dal razionalismo dell’Idealismo tedesco e dall’altro lato dall’Abbandono mistico all’irrazionalità, è garantita dal punto di partenza del suo argomentare filosofico.

La filosofia di Henrich si presenta certamente come un «ritorno alla Metafisica» come Habermas in uno scritto polemico la definì,5 se intendiamo con il termine Metafisica, come mi pare lecito (e debito) dopo Heidegger, ogni speculazione che pensi l’essere a partire dal Fondamento e in vista di un pensiero onnicomprensivo. Sebbene Henrich parta dall’Autocoscienza, tuttavia essa non è tematizzata come un punto saldo e incontrovertibile, come un Presupposto metafisico. L’Autocoscienza si presenta anzi come Principio ‘debole’, depotenziato, che si offre nella funzione esplicativa dell’immediato rapporto con se stessi: si tratta di un’Autocoscienza che ha fatto i conti con la ‘crisi dei fondamenti’, che ha esperito la ‘morte di Dio’ (e dunque del Soggetto), e che si presenta nella sua funzione pragmatica di esplicitazione delle relazioni interne e di connessione al mondo esterno. In ciò consiste il superamento da parte di Henrich della Metafisica ‘fondazionistica’: il Principio dell’Autocoscienza è infatti sciolto dal Grund, non coincide con questo e ciò libera Henrich dalle ricadute metafisiche che un tale Ausgangpunkt (punto di partenza) presenterebbe.

Il concetto di Assoluto a cui perviene è solo il risultato provvisorio di una filosofia che procede per piccoli passi, senza stabilire certezze perentorie e definitive: l’Assoluto a cui giunge Henrich non costituisce un ritorno all’Idealismo, è piuttosto un recupero delle tematiche sviluppate in quell’epoca filosofica, alla luce degli esiti della Modernità.6

È nell’Idealismo tedesco che l’Assoluto viene a occupare un posto centrale nel dibattito speculativo. Se Fichte mantiene il significato di Incondizionato, così come era pensato da Kant nelle tre idee di Anima, Mondo e Dio, riferito in primo luogo all’Io puro e in seguito a Dio, il primo Schelling attribuisce l’assolutezza, sempre nel senso originario di incondizionatezza, all’Identità dell’Io e della natura. Hegel, da parte sua, elabora la propria concezione in opposizione a Schelling e si propone di determinare la struttura dell’Assoluto attraverso una nuova logica. Con Hegel si apre la prospettiva di un sapere assoluto, ossia di un superamento della dualità di soggettività e oggettività nel suo procedere dialettico. La filosofia diviene, per Hegel, sapere assoluto realizzato: egli si oppone ad un Assoluto quale mera origine; al contrario, l’Assoluto è piuttosto un risultato che implica il proprio divenire.

Anche per Henrich l’Assoluto coincide con il risultato di un processo piuttosto che con l’origine del medesimo. Tuttavia il punto di partenza è differente. L’Autocoscienza si avvale di un Grund per l’esplicitazione delle sue autorelazioni, ma questo Grund, principio debole e post-metafisico, immanente alla Soggettività, si proietta verso il trascendente assicurando il pensiero di Dio quale fondamento ultimo di tutte le cose.

Il doppio ruolo giocato dal Grund costituisce il legame tra Finito e Infinito proprio in virtù delle sue caratteristiche peculiari. Nel saggio Subjektivität als Prinzip,7 Henrich descrive le caratteristiche proprie del suo Grund che determinano lo sviluppo della propria speculazione filosofica: in primo luogo, esso è essenzialmente sottratto (entzogen) al sapere del Soggetto; infatti, l’accesso al Grund non è possibile immediatamente, ma solo attraverso una forma di mediazione, ossia nello sviluppo della Vita cosciente che il Grund stesso rende possibile e custodisce.

In secondo luogo, il Grund in quanto Ausgangpunkt del Soggetto è intimamente connesso alla Libertà, quale Principio di tutte le riflessioni. Si evince dunque come la Freiheit, nell’ottica di Henrich, sia strettamente legata al processo epistemologico e debba dunque essere compresa in unione con la Soggettività e con l’idea di Mondo, a partire dalle quali il Soggetto si orienta.

La Spontaneità con la quale il Soggetto produce Idee è la Libertà di una Soggettività che prende le mosse da un Grund immanente, che si proietta nella sola trascendenza possibile: quella prospettata dall’Assoluto.

«Nessuno ha mai visto Dio», dunque nessuno può dimostrare con certezza l’esistenza dell’Assoluto, tuttavia è possibile una qualche Verità per questo Assoluto allorquando il Dasein, che sa di se stesso nel Wissen-von-mir (saper-di-me) e che, tramite il Grund, diviene certo di sé nella Vita cosciente, riconosce questa sua Vita (bewusstes Leben) come Amore; quell’Amore di cui parlava il giovane Hegel e ancor prima di lui l’evangelista Giovanni: «chi vive nell’Amore, vive in Dio e Dio vive in lui».

La trascendenza proposta da Henrich è quindi il procedere di una Vita cosciente che si sa libera e che agisce liberamente, nella direzione di quell’Amore che unisce gli individui e li orienta verso l’Assoluto. Il pensiero speculativo risulta così il tracciato (Gang) lungo il quale i Pensieri (le Idee) sono guidati, con Libertà e Amore, alla Einheit, un’Unità che in ultima istanza è l’Assoluto post-metafisico suggerito da Henrich.


  1. D. Henrich, Bewusstes Leben. Untersuchungen zum Verhältnis von Subjektivität und Metaphysik, Reclam, Stuttgart 1999, p. 51 ↩︎

  2. D. Henrich, Der ontologiche Gottesbeweis, Tübingen, 1960 ↩︎

  3. L’argomento è sviluppato nel capitolo Grund und Gang spekulativen Denkens di Bewusstes Leben, op. cit. ↩︎

  4. D. Henrich, «…und verstehe ich die Freiheit«, conferenza per il conferimento del Dottorato in Teologia presso l’Università cottolico-teologica di Münster nell’anno 2000 ↩︎

  5. Allo scritto di Habermas Rückkehr zur Metaphysik — Eine Tendenz in der Deutschen Philosophie? Comparso nel numero di 10 di Mercur del 1985, Henrich risponde con il saggio Was ist Metaphysik? — was Moderne?, pubblicato in Konzepte, Suhrkamp, Frankfurt 1987. Qui Henrich si propone di esporre un concetto di Metafisica legata alla Modernità a partire dalla risposta alla domanda centrale per ogni filosofia: was ist der Mensch? ↩︎

  6. Si veda a tal proposito D. Henrich, Die Philosophie im Prozess der Kultur, Suhrkamp, Frankfurt, 2006 ↩︎

  7. Pubblicato sulla « Deutsche Zeitschrift fuer Philosophie», I (1098), pp. 31-44, e di cui si parla in particolar modo nel cap. 3 di Metafisica e Modernità↩︎