Nota critica a Wilhelm Schapp, Nachlass Bd. 1, Auf dem Weg einer Philosophie der Geschichten

Wilhelm Schapp, Nachlass Bd. 1, Auf dem Weg einer Philosophie der Geschichten

In Germania è in fase di pubblicazione il lascito scritto del filosofo e avvocato Wilhelm Schapp (1884-1965), allievo di Husserl a Gottinga e riconosciuto come uno dei maggiori esponenti di quella «primavera fenomenologica» che ha segnato così profondamente la cultura tedesca dei primi decenni del secolo scorso. Il titolo del primo volume del Nachlass: Sulla strada di una filosofia delle storie;1 apparso negli ultimi mesi del 2016, è indicativo della posizione teorica che esso occupa nel panorama della filosofia dell’autore. W. Schapp è universalmente noto per aver intrapreso, agli inizi degli anni Cinquanta, il tentativo di fondazione di una “filosofia delle storie” la cui particella basilare è la Verstrickung, il cosiddetto “irretimento” dell’uomo in storie. Questo tentativo ha condotto alla pubblicazione di una trilogia2 nella quale il tema dell’irretimento viene declinato in diversi modi e applicato a diversi campi del sapere. Il primo volume della trilogia è una sorta di manifesto programmatico: uscito nel 1953 con il titolo di In Geschichten verstrickt. Zum Sein vom Mensch und Ding (Reti di storie. L’essere dell’uomo e della cosa)3 esso costituisce una sorta di risemantizzazione dell’apparato teorico husserliano sotto la lente focale delle storie. L’opera ruota attorno all’assunto fondamentale secondo cui ogni uomo sta per la sua storia: l’uomo è strutturalmente irretito in delle storie di cui è il centro dinamico, il punto di coesione. Le storie rappresentano la trama contestuale in cui il mondo prende forma. Di questa trama fanno parte gli altri uomini, in quanto irretiti in storie “altrui” o co-irretiti nelle stesse storie, e le cose in quanto strumenti, oggetti d’uso (“cose-per” nel linguaggio dell’autore) ognuna delle quali ha una propria storia, la quale, a sua volta, si inserisce nell’orizzonte narrativo delle storie degli uomini che ne usufruiscono e di quelli che le producono.

Il plesso teorico dell’irretimento convoglia e media molte istanze di pensiero che avevano caratterizzato la formazione accademica e culturale di W. Schapp, dallo storicismo di Dilthey, suo maestro a Berlino, alla fenomenologia di Husserl e si propone, a tutti gli effetti, come una reinterpretazione della teoria ermeneutico-fenomenologica dei primi capitoli di Essere e Tempo.

Sulla strada di una fenomenologia delle storie raccoglie tutti gli appunti e gli stralci, dettati o scritti a mano dall’autore tra il 1953, anno dell’uscita di Reti di storie, e il 1959, anno di uscita di Filosofia delle storie, secondo volume della trilogia. Come riporta il curatore e figlio Jan Schapp, il volume raccoglie tutto il materiale contenuto in un manoscritto facente parte di un lascito di più di 20.000 pagine custodito nell’archivio della Bayerischen Staatsbibliothek di Monaco sul quale campeggia il titolo: In Geschichten verstrickt. Fortsetzung (Reti di storie. Prosecuzione). Al di là di ogni catalogazione di sorta, le varie parti dello scritto mostrano in realtà una serie ininterrotta di riferimenti che gettano luce sia sul passato dell’opera schappiana – dai Contributi alla fenomenologia della percezione (1910) alla Nuova scienza del diritto (1930) – sia sul suo futuro, ossia sulla Filosofia delle storie e sul terzo volume della trilogia: Metafisica della scienza della natura (1965).

Il riferimento del titolo al carattere itinerante del Nachlass, oltre che mettere in luce una volta di più la centralità dell’opera Reti di storie, suggerisce anche di leggere il volume come una sorta di laboratorio teorico in cui prende vita, senza soluzione di continuità, una riconfigurazione in chiave narrativo-istoriale di tutto il bagaglio di sapere del pensatore, sulla strada di una risistemazione definitiva della sua filosofia delle storie. Come prenda forma questa risistemazione è ciò che cercheremo di tratteggiare brevemente in seguito.

Sin dalle prime pagine del volume si notano due vie fondamentali del percorso teoretico di W. Schapp che corrono parallele. La prima via conduce ad una vera e propria decostruzione degli impianti teorici di matrice fenomenologica e neo-kantiana, imperanti nella Germania del periodo, a favore di una costruzione ontologica dell’irretimento dell’uomo in storie. La seconda si impegna a dare una collocazione storica alla filosofia delle storie e a rileggere alcune tappe fondamentali della storia della filosofia sotto la lente focale dell’irretimento.

I risultati più concreti del confronto con il panorama della filosofia contemporaneo al suo pensiero, si possono individuare in due assunti fondamentali del suo edificio concettuale: l’indissolubilità e la conseguente indistinguibilità del concetto di Leben da quello di “esser-irretito”; la riconduzione di qualsiasi valutazione logico-veritativa al piano delle storie che contraddistinguono l’irretimento. Queste due posizioni teoriche ruotano attorno all’assunto che ogni storia costituisce un grande intero nel quale verità e falsità non sono altro che i casi limiti di una serie di possibilità contestuali all’evolversi della storia. Storia e irretimento sono, da questo punto di vista, gli elementi dinamici di una Zusammenwirkung tra agire umano e autopoiesi della storia nella quale ogni parametro logico o etico assume il suo senso ultimo nel contesto narrativo-istoriale in cui si colloca. Tutte queste tematiche rappresentano il nucleo centrale delle annotazioni immediatamente successive alla pubblicazione di Reti di Storie e ne costituiscono la prosecuzione fisiologica. Dell’interazione reciproca tra agire umano e storia si trattava già nel capitolo 15 di In Geschichten verstrickt. In esso si rinviava alla vicenda di Ulisse e Polifemo evidenziando come in essa operi, da un lato, l’ingegno di Ulisse e dunque la sua capacità di decidere sul da farsi per uscire da una situazione di morte sicura, e come, dall’altro, proprio questa capacità tragga alimento dalle storie che configurano i diversi orizzonti possibili che si prospettano all’eroe a seconda che decida per un’azione o per un’altra.

La storia, come si legge nel punto 2 di una pagina programmatica del Nachlass redatta il 7 Agosto del 1953: «non si risolve negli atti degli uomini in essa irretiti e non si lascia suddividere secondo questi atti» (p. 23). Questa considerazione è alla base di una serie di riflessioni molto importanti che di lì a qualche mese disegneranno un altro aspetto fondamentale della geografia dell’irretimento e della pervasività delle storie in ogni ambito del vivere e dell’agire umano. In una complessa annotazione del 9 Novembre 1953 (p. 137) Schapp indaga il rapporto tra gli atti psichici e le storie chiamando in causa il modello interpretativo di stampo realista di M. Geiger, esposto nel contributo apparso sullo Jahrbuch nel 1921 con il titolo di Frammento sul concetto di inconscio e di realtà psichica.4 La questione che interessa lo studio della coscienza di Geiger si gioca, come noto, sulla duplice natura dell’atto cosciente, quella aggettivale e quella verbale. Nel concetto verbale di coscienza rifluiscono tutti gli atteggiamenti direzionati all’oggetto, mentre in quello aggettivale rifluiscono le caratteristiche dell’oggetto grazie alle quali si può dire che esso sia cosciente. In questo modo Geiger cerca di costruisce una psicologia della realtà dell’atto psichico che si allacci immediatamente agli avvenimenti della vita psichica considerata nella sua totalità strutturale. L’atto viene visto come un “caso”, l’involucro di un contenuto cosciente del tutto circoscritto, di cui si deve ricercare l’essenza. Schapp contrappone a questa visione la sua concezione dinamica e relazionale della storia: ogni storia si agita su un mare di altre storie, ognuna legata simbioticamente all’altra in un flusso indissolubile. La ricerca d’essenza dell’atto è dunque, partendo dal presupposto della natura connettivale delle storie, un tentativo di irrigidimento della dinamica dell’esser-irretito, poiché essa persegue il tentativo di circoscrivere ciò che, per essenza, è relazionale. Il tentativo di liberarsi da una concezione strutturalista della vita psichica e del vissuto, tradisce già l’abbandono da parte di Schapp del modello fenomenologico di vocazione coscienzialistico-trascendentale e rimanda ad un altro argomento fondamentale di carattere prettamente ontologico presente in Reti di storie. L’autore nel capitolo 8 dell’opera, richiamando il saggio di J. Hering Osservazioni sull’essenza, l’essenzialità e l’idea5 comparso anch’esso sullo Jahrbuch nel 1921, sferra un attacco deciso alla ricerca d’essenza di stampo husserliano. Ciò che per Husserl era l’intuizione categoriale, per Schapp si fluidifica nel movimento di emersione delle storie, all’interno del quale solo è possibile una qualsiasi forma di datità. Non si dà nulla di perfettamente purificato dal rimando alla particolarità individuale e alla fatticità che la contraddistingue, così come non si danno singole individualità o momenti del reale senza che si affaccino all’orizzonte i contesti istoriali in cui esse si collocano. Rifacendosi alla concezione del “caso” in ambito giuridico, Schapp, nel capitolo 19 di Reti di storie, ci spiega che qualsiasi tentativo di applicare una legge ad un modello standard quale quello che il “caso” riveste non è altro che una reiterazione del modello metafisico di ipostatizzazione dell’universale a partire dal particolare. Per lo stesso motivo per cui non si possono analizzare in singolo né gli atti psichici né i casi giuridici, poiché anelli di una catena istoriale non parcellizzabile, allo stesso modo non si possono isolare, nel campo dell’intuizione, caratteristiche universali che raggruppino concettualmente stati di cose od oggetti. Emblematica al riguardo l’analisi dell’autore sulla differenza tra Gattung, “specie” in senso classico, termine che i biologi utilizzano per evidenziare l’appartenenza di più individui ad una stessa “categoria”, e Geschlecht, termine con il quale l’autore intende la “stirpe”, la progenie, ossia il numero sconfinato di singole entità animali che si presentano nella storia della comparsa di una specie sulla terra e che acquisiscono la loro identificabilità soltanto nel susseguirsi delle generazioni all’interno dell’orizzonte di questa storia comune. La stessa cosa si dica per la cosiddetta Serie, ossia la somma delle cose prodotte in serie le quali, nonostante all’uscita dalla fabbrica, sembrino tra di loro assolutamente identiche, contengono già ognuna una propria storia. In Sulla strada di una filosofia delle storie queste considerazioni vengono ampliate e messe a confronto con il pensiero dell’homo mensura di Protagora. La vettura che Socrate incontra ad Atene si propone come antenato nella storia della produzione di veicoli da parte dell’intera umanità e co-irretisce Socrate e tutti gli uomini che utilizzano e utilizzeranno una vettura in una piccola parte di Kulturgeschichte ai cui vertici si trova, di volta in volta, il rapporto dell’uomo con le cosa-per vettura (p. 160).

Il ventaglio di analisi che avevano preso vita nell’opera più conosciuta di Schapp e le annotazioni coeve alla sua stesura, convergono nel Nachlass, così come già accadeva nella prima, sul plesso “proposizione-stato di cose” ritenuto da Schapp non solo il vero marchio di fabbrica delle ricerche fenomenologiche del tempo, ma anche il punto d’arrivo dell’intera speculazione occidentale (p. 86; p. 287). È su questo tema e attorno alla rispondenza tra stati di cose e proposizioni che il lascito si fa teoreticamente incontro a Reti di storie e ne diviene in ampi tratti quasi un commentario, prima di intraprendere una via indipendente e del tutto problematica e di proiettarsi su Filosofia delle storie.

Nel capitolo 17 di Reti di storie, Schapp delinea un problema fondamentale riguardante la possibilità di legare direttamente una proposizione ad uno stato di cose. L’autore nell’opera riporta l’esempio di un’affermazione quale «la regina è malata». Un’affermazione del genere contiene evidentemente uno stato di cose, ma, per fare in modo che emerga in tutta la sua pienezza e fatticità il contenuto oggettuale, e che si possa in tal modo dare avvio a qualsiasi valutazione di carattere logico-veritativa, essa deve essere inserita in un contesto più ampio. Tale contesto è per Schapp la storia. Solo la storia può darci le coordinate per restituire una forma cogente allo stato di cose cui la proposizione si riferisce e farci capire di che regina si tratti, quale malattia la opprima e quali conseguenze tutto questo abbia per il suo regno e per il suo popolo. La scommessa della teoria delle storie schappiana si gioca in ampia parte dunque sul rapporto tra proposizione e storia. Alcuni passi fondamentali delle annotazioni gettano una nuova luce su questo problema e ne chiariscono l’origine schiettamente fenomenologica. In alcune annotazioni del 27 Settembre del 1954, Schapp riassume il tema in questi termini: «O l’una o l’altra: ci si trova all’interno della storia viva è così si perde di vista la proposizione, o si ha davanti agli occhi la proposizione e si perde la connessione viva con la storia, senza che si possa dire cosa realmente ci troviamo per le mani» (p. 288). Questa considerazione è complementare ad un’altra del 18 Agosto del 1953 nella quale egli affermava: «Si può essere irretiti in storie ma non si può essere irretiti in stati di cose» (p. 62). L’atteggiamento fondamentale della fenomenologia è quello di individuare uno stato di cose e di epurarlo da qualsiasi forma di dubbio, in questo avanzando la pretesa di scienza esatta. Così procedendo essa rischia di perdere di vista, tuttavia, quello che secondo Schapp è il fondamento basilare di qualsiasi conoscenza: l’irretimento. Il plesso gnoseologico di matrice fenomenologica proposizione-stato di cose è funzionale all’osservazione istantanea dell’oggetto e alla sua preservazione dal dubbio scettico, ma sembra imporre, secondo il punto di vista dell’autore, una frammentazione del reale in istantanee del tutto slegate dal contesto di senso da cui vengono, in questo modo, macchinalmente ricavate. È a questo punto che il Nachlass illumina una parte del confronto teorico con Husserl finora rimasta celata. Nonostante nelle annotazioni dell’agosto del ’53 Schapp individuasse nella teoria dell’Hier und Jetzt di Husserl il punto di maggiore vicinanza con la sua teoria delle storie, nelle annotazioni del settembre del ’54 egli giunge ad escludere definitivamente qualsiasi forma di complementarietà tra le medesime (p. 289). Se esiste qualcosa come un hic et nunc esso dev’essere lasciato al di fuori della storia. Ogni valutazione sul “qui e ora” non intrattiene alcun rapporto con la storia come non possono intrattenere alcun rapporto con essa le proposizioni universali. La tessitura narrativo-istoriale esclude sia astrazioni che segregazioni concettuali. Quando si cerca di cogliere l’irretito nella sua attualità non si deve perdere di vista la rete di storie precedenti e future che si gettano all’indietro e in avanti sulla sua vicenda individuale e su quella delle diverse collettività di cui fa parte. Nel momento in cui si enuncia una proposizione che descrive uno stato presente che coinvolge un soggetto, se si vuole verificarne l’esattezza, non si può dunque, prescindere dal contesto, da ciò che la precede e la circonda, vale a dire dalla storia (o dalle storie) che ne accompagna e direziona il senso.

Su questo svincolo concettuale, come abbiamo modo di vedere oggi più chiaramente grazie a questo volume, convergono diverse istanze concettuali che verranno sviluppate diffusamente in alcune sezioni di Filosofia delle storie.

Nella seconda opera della trilogia l’autore sembra ricostruire, attraverso il suo apparato teorico, la nascita della cultura occidentale, sia dal punto di vista del mythos che dal punto di vista del logos. Il percorso all’indietro nelle tappe del logos parte, come abbiamo avuto modo di vedere, dallo studio del rapporto tra linguaggio e fenomeno. Centrale in questo itinerario è la figura di Platone. Le pagine 39-52 del Nachlass, verranno in gran parte riportate in Filosofia delle storie arricchite di alcune connessioni concettuali per lo più irrilevanti. Nella datazione di queste pagine presente nel Nachlass abbiamo modo di vedere come l’interesse per Platone si ravvivi già dal ’53 a partire dalla lettura di alcune pagine del Cratilo, e si concentri nello stesso periodo, sul celebre dialogo tra Teeteto e lo straniero di Elea presente nel Sofista (262e-263b) in cui si pone a tema il problema di decidere della falsità o della verità delle due affermazioni su Teeteto: «Teeteto siede» «Teeteto vola». Per Schapp entrambe le affermazioni sono solo proposizioni esemplari e, per questo motivo, non passibili di alcuna parametrazione logica. Esse possono comparire nei contesti più disparati ed assumere di volte in volta un senso diverso. Possono essere parte di una novella, di un romanzo, o possono essere enunciate da un attore in uno spettacolo teatrale. Le uniche costanti che le caratterizzano sono il fatto di avere un soggetto e di poter essere inserite in una storia. Come possiamo notare dalle annotazioni del 31 Luglio del ’56 (p. 49) questa considerazione porterà Schapp ad un tentativo di indagare l’irretimento a partire dalla costituzione grammaticale di proposizioni semplici come «la regina è malata», «Teeteto siede» «Teeteto vola». Questo tentativo assumerà una forma concreta nella quarta parte di Filosofia delle storie (pp. 285-340) e rappresenterà a tutti gli effetti la risposta ultima del filosofo al problema del rapporto tra parola, proposizione e storia, laddove tutte queste istanze convergono sulla particella basilare di qualsiasi costruzione linguistica: il soggetto, identificato tout court dall’autore con la figura dell’irretito.

Come abbiamo accennato in precedenza, lo studio strutturale delle storie e dell’irretimento rappresenta solo una parte della filosofia delle storie. Alle considerazioni di carattere gnoseologico e ontologico riguardanti la struttura dell’irretimento e l’essere delle storie si accompagna, nel periodo circoscritto dal primo volume del Nachlass, uno studio sull’importanza del mito per la costruzione di una teoria universale del co-irretimento che attraversi trasversalmente l’intera storia dell’occidente e ponga le storie alla base di qualsiasi forma di accesso al mondo del passato, sia dal punto di vista dell’identità culturale che religiosa. Grazie ad uno studio approfondito sull’opera omerica e quella esiodea, Schapp individua nelle storie l’unica chiave d’accesso per la comprensione di quel mondo archetipico che precede la nascita della filosofia. Un mondo in cui non si danno stati di cose o oggettualità, non corpi o leggi fisiche, ma storie di dei e uomini, di antenati e di stirpi, di morte e di vita. Solo accostandoci alla storia di Achille, di Agamennone e di Menelao e agli antefatti che le hanno portate ad incrociarsi, possiamo accedere al mondo che Omero ci offre attraverso la sua opera (p. 48). Solo penetrando nel mondo per come ce lo rappresentano i grandi poemi epici possiamo giungere al concetto di “irretimento nella storia universale”.

In Filosofia delle storie la dicotomia tra logos e mythos si risolverà nella dicotomia tra stato di cose e storia. In un paragrafo fondamentale dell’opera l’autore giungerà a dire «in Omero non c’è alcuno spazio per il conoscere, mentre nei filosofi presocratici non c’è alcuno spazio per l’esser-irretito».6 La terza parte dell’opera7 è dedicata completamente a questo argomento. Il modello narrativo di Omero è portato da Schapp come esempio per descrivere la dinamica del co-irretimento di più individui o entità (dei, semi-dei, defunti) in una storia collettiva, nella quale ogni singola percezione o descrizione della vicenda individuale è già installata in un orizzonte pre-comprensivo del divenire storico, in cui collettività e individualità si co-implicano. Nel mondo omerico la storia universale della guerra di Troia si muove sullo sfondo di ogni singola storia così come nel caso delle grandi religioni si muovono, sullo sfondo delle vicende individuali dei credenti, la storia di Maometto, di Buddha o di Gesù Cristo. Queste grandi storie co-irretiscono l’uomo e Dio, e tutti gli uomini tra di loro in un noi che attraversa i confini e i secoli e che traccia un infinito orizzonte istoriale. Un orizzonte ricolmo di un numero incalcolabile di storie, le quali, affastellandosi attorno ad un io-irretito o ad un noi-irretito, vale a dire ad un uomo o ad una collettività, legandosi a storie passate o a storie future tracciano una connessione onniestensiva tra noi e chi ci ha preceduto e disegnano la trama ontologica nella quale può ravvivarsi ogni forma di comprensione del mondo, che sia di tipo storico, scientifico o religioso, che investa presente, passato o futuro.

L’uscita del primo volume del Nachlass di W. Schapp fa seguito ad un’operazione di recupero dell’intera opera dell’autore iniziata nel 2007 da K. Joisten, in collaborazione col figlio J. Schapp, che ha portato alla riedizione da parte della Klostermann di tutte le sue opere fondamentali. Esso riporta la scansione temporale, oltre che alcuni contenuti inediti, del complesso processo di elaborazione teorica che ha caratterizzato la speculazione schappiana negli ultimi anni della sua produzione filosofica. In quegli anni, non va dimenticato, il suo studio di Aurich era frequentato da studenti provenienti da tutte le facoltà del nord-est della Germania tra i quali si annoverano H. Lübbe e O. Marquard, pensatori di fama internazionale la cui opera porta indelebile il marchio di quel fortunato incontro.

L’uscita del secondo volume del Nachlass, intitolato Geschichtenphänomenologie. Ergänzungen und Skizzen, è prevista per la seconda metà del 2017.


  1. W. Schapp, Nachlass Bd. 1, Auf dem Weg einer Philosophie der Geschichten, Karl Alber, Freiburg/München 2016 (AdW). ↩︎

  2. W. Schapp, Philosophie der Geschichten, Klostermann, Frankfurt am Main 2015 (PdG); W. Schapp, Methaphysik der Naturwissenschaft, Klostermann, Frankfurt am Main 2009 (MdN). ↩︎

  3. W. Schapp, Reti di storie. L’essere dell’uomo e della cosa, (a cura di D. Nuccilli), Mimesis, Milano 2017. ↩︎

  4. M. Geiger, Frammento sul concetto di inconscio e sulla realtà psichica, tr. it. di L. Feroldi in R. De Monticelli, (a cura di), La persona,: tra apparenza e realtà, Raffaello Cortina, Milano 2000. ↩︎

  5. J. Hering, Osservazioni sull’essenza, l’essenzialità e l’idea in D. De Santis, Di idee ed essenze, Mimesis, Milano 2014. ↩︎

  6. PdG p. 235-238. ↩︎

  7. PdG p. 213-285. ↩︎