Recensione a Martin Heidegger, Quaderni neri 1931-38 \[Riflessioni II-IV\], a cura di P. Trawny, trad. di A. Iadicicco, Bompiani, Milano 2015

Martin Heidegger, Quaderni neri 1931-38 [Riflessioni II-IV], a cura di Peter Trawny, trad. di Alessandra Iadicicco, Bompiani, Milano 2015

Il primo dei quattro volumi dei Quaderni neri sinora pubblicati dalla Klostermann, sui nove inclusi nella Gesamtausbage (GA 94-102), raccoglie le cosiddette «Überlegungen», le riflessioni trasposte da Heidegger su carta nel privato del suo studio in un periodo che intercorre tra il 1931 e il 1938. Sono gli anni dell’insediamento a Friburgo e del rettorato, della Kehre e della nascita del pensiero dell’evento, ma sono soprattutto gli anni del consolidamento ideologico e politico della Germania nazista, pronta ad accendere per prima le già roventi polveri di guerra.

Storia e storicità, essere ed esserci sono i termini paradigmatici che disposti in forma chiastica restituiscono le coordinate del cammino filosofico heideggeriano di quegli anni, di cui i Quaderni rappresentano, come evidenziato dalla traduttrice italiana Alessandra Iadicicco, una sorta di «laboratorio speculativo» (p. V).

Costante nelle «riflessioni» il riferimento del filosofo ad Essere e Tempo e all’importanza che in quella sede assumeva il domandare, un gesto che nella svolta subisce una torsione, un cambio di direzione fondamentale di cui si può seguire l’evoluzione lungo tutto lo scorrere del primo quaderno. Il punto focale del domandare viene spostato da Heidegger dalla dimensione centrale che l’esserci assumeva nell’analitica esistenziale ad una posizione periferica, ad un lasciarsi richiamare dell’esserci nella lontananza (Ferne). In questo modo l’intenzionalità del domandare si trasforma in questionante ricettività per «l’assalto dell’essere» (Angriff):

Comprendere l’essere, vale a dire non avere conoscenza di un “concetto” — bensì comprendere ciò che è colto nel concetto, cioè restare consapevolmente esposti all’assalto dell’essere. In che modo l’essere può assalire? Assalto ed (evento).» (p. 336) «Non di una “vicinanza alla vita” c’è bisogno, bensì l’esserci deve poter di nuovo vedere nella sua lontananza — così egli impara a onorare i suoi fondamenti (p. 304). Posto che l’uomo abbia scelto la disvelatezza (Entbergsamkeit) e che tramite tale scelta sia riposto indietro nell’esserci, non dovrà allora allontanarsi nel silenzio dell’accadere dell’essere che ha il proprio tempo e il proprio tacere? (p. 8).

Proprio nel rimando ad uno spazio altro rispetto alla fatticità del domandare prende dunque forma l’itinerario di pensiero della svolta. L’uomo deve indagare la distanza per trovare la sua propria essenza, deve porsi tacitamente all’ascolto per lasciarsi fendere dal dispiegarsi dell’essere e pervenire in tal modo al suo -ci. Solo così l’esser-ci può «poetare» l’ente, portarlo al suo potenziamento (Ermächtigung):

L’essenza dell’essere: la silenziosità (Schweigsamkeit) che nasconde. L’essenza dell’essere è la verità, il fendersi — e questo? La silenziosità che nasconde, inevitabilità, il conquistare con il tacere (Erschweigen) (p. 70). Il centro che si fende in tutte le cose — la loro raccolta nel tacere (essenza della verità) (p. 299). L’essenza dell’essere: essa si dispiega essenzialmente, (si essenzia: west) come il fendersi (Zerklüftung) in possibilità, realtà, necessità sul fondo del potenziamento dell’inevitabile. Potenziamento in quanto poesia. (p. 56). Il filosofo non è mai fondatore — egli salta innanzi e se ne sta là da una parte e fomenta la chiarezza del domandare e protegge la durezza del concetto e amministra così lo spazio-tempo del libero poetare nel potenziamento dell’essenza per la fondazione dell’uomo nel suolo — opera — lotta e tramonto (p. 111).

In questo consiste la dignità del domandare (Fragwürdigkeit), nello slancio dell’uomo verso l’accadere di ciò che si dispiega come essere e che di ritorno sui passi della metafisica si fa storia dell’essere, narrazione del transitare del pensiero dall’essere dell’ente all’ente dell’essere:

Metafisica: la storia del dispiegarsi essenziale dell’essere, “metafisicamente”: secondo la storia dell’essere. Certo il nome e il concetto sono in tal modo superati.» (p. 334) «La determinazione del sapere dev’essere fondata nell’esser-ci e cioè nel fondamento dell’essenza dell’Essere e della verità. Ciò richiede però una conversione (Umwandlung) della posizione fondamentale nell’ente in generale, e precisamente, poiché questa non si è verificata, occorre riconquistarla (p. 304).

Nel frastagliarsi di questa torsione (Wendung) gli eventi storici vengono ad irrompere come momenti indemandabili della decisione per il potenziamento dell’essere, di cui il domandare è solo il primo decisivo passo: «L’altro inizio è possibile solo in base all’intimo pensiero storico che ha superato tutta la storiografia. Il misterioso fondamento del domandare della questione dell’essere in quanto domandare storico sta però nel fatto che adesso l’essere viene esperito e fondato in base all’(evento) in quanto ciò che è più di tutto unico e singolare.» (p. 210)

Di fronte a ciò che è a-venire e con uno sguardo sulla contingenza del quotidiano, sulla strada dell’essere e con le spalle all’esserci, unico «dove» dal quale l’uomo può compiere il salto, Heidegger si fa silenzioso portavoce di un altro inizio oltre l’aurora della Grecia pre-socratica. Questa tensione verso un nuovo accadere dell’essere che rompa il dominio dell’ente — consolidata nel pensiero dell’(evento) di cui i Beiträge rappresentano l’epicentro filosofico — si fa nei Quaderni neri l’unico vero grande vettore del potenziarsi della voce dell’essere nella cassa di risonanza dell’esserci storico, ormai sempre di più territorializzato e caratterizzato dall’elemento germanico:

L’e-sperienza è fondazione del futuro “dove” dell’uomo storico, il frammezzo del grande in-cidente dell’(evento) nell’essenziale dispiegarsi dell’essere — sorretto fondamentalmente e conservato insistentemente in quanto esser-ci. (p. 328). Il salto dentro l’esser-ci in quanto apertura dell’essenziale dispiegarsi dell’essere (ibid.). L’obiettivo segreto dell’altro inizio: costruire il ritegno della custodia dell’esser-ci in quanto disposizione storica — e così la prontezza per l’(evento) in quanto storia (p. 322).

È su questo crocevia che si possono inserire le riflessioni «politiche» presenti nei Quaderni neri, foriere delle posizioni marcatamente anti-semite dei volumi successivi. Si fanno sempre più densi, nello scorrere delle riflessioni intorno alla questione dell’altro inizio, i richiami al concetto di Volk e di Heimat. Il popolo tedesco sarebbe, secondo Heidegger, l’unico in grado di raccogliere l’eredità greca e di creare, attraverso un ritorno alla terra natia (Heimatland) dell’occidente, possibile solamente grazie ad un salto nello slancio iniziale che ne caratterizza il rapporto con l’essere, i presupposti per l’altro inizio:

Quanto lontano oltre di noi si sono spinti in avanti i greci; non è perciò ammesso alcun arretramento che riporti indietro fino a loro — bensì solo una riacquisizione. Ma per questo occorre la forza di gettarsi-in-avanti in un domandare che conquista e che scaturisce originalmente (ur-springend). Questo però significa solamente liberare l’esser-ci nell’uomo odierno (p. 70).

«Il tedesco soltanto può nuovamente dire e poetare l’essere — egli solo conquisterà di nuovo l’essenza della Theoria e alla fine creerà la logica.» (p. 36) «Il tedesco-atolmos. Questo va detto di lui, perché lui solo aspetta l’assunzione della lontana disposizione dell’inizio (fernen Verfügung des Anfangs).» (p. 128)

L’elemento germanico nelle pagine dei diari si configura innanzitutto attraverso il ritorno all’Hölderlin degli Inni e dell’Iperione. Il richiamo al destarsi del popolo tedesco ivi presente viene proiettato da Heidegger sulla storia dell’essere che, dopo il ’36 si configura innanzitutto come oblio, celarsi essenziale dell’essere dietro il dominio dell’ente, un dominio che culmina nella Machenschaft, la macchinazione tecnica e calcolante che caratterizza la modernità. Solo il popolo tedesco può condurre alla fine la storia della filosofia occidentale e aprire nel centro del suo tramonto un’alba ristoratrice, un ritorno all’eruzione originaria dell’essere (Ausbruch) dopo il crepuscolo della Gelassenheit, l’abbandono dell’essere nel dilagare della manipolazione dell’ente:

Sembra che le parole pronunciate da Hölderlin sul conto dei tedeschi alla fine dell’Iperione abbiano una loro de-finitività. Che cosa è contenuto in queste parole? Che i tedeschi restano coloro che predispongono, per la grandezza di ciò che è creativo, la più dura sofferenza e così — apportano sempre di nuovo una essenziale condizione del destino (p. 430).

Il momento del tramonto non assume pertanto contorni apocalittici ma si propone come necessaria fase di passaggio per il dispiegarsi dell’essenza dell’essere: «Ma il tramonto — concepito come la suprema vittoria della storia nel suo riferimento alla storia dell’essere — non è per nulla un che di negativo […] . “Tramonto”, in quanto un attimo della storia dell’essere, appartiene solo ai forti che sono forti abbastanza per non fare dell’“eroismo” un’occasione per far chiasso.» (p. 628)

Per l’Heidegger dei Quaderni il percorso di riappropriazione del -ci, del ritorno del tedesco alla propria destinazione nei confronti della storia dell’essere ha un carattere fortemente individuale. Solo passando attraverso un’esperienza intima del domandare e del porsi all’ascolto si può ridestare l’anima di un popolo e riportarlo alla sua essenza, ri-appropriarlo al suo suolo (Boden):

Essere capo — non: precedere, bensì: poter procedere da soli; il che vuol dire però: portare positivamente a tacere la soli-tudine (Allein-heit) dell’esser-ci contro il grande affaccendarsi della singola «esistenza». […] il problema però non è la singolarità del singolo esistente, bensì solo un passaggio casuale verso la soli-tudine (Allein-heit) dell’esser-ci, nella quale accade la uni-versalità (All-einheit) dell’essere.» (p. 34) «Il popolo (das Volk): la protezione e attuazione del potenziamento dell’essere. Questo in base alla terribilità della gettatezza della quale proprio il popolo e i suoi grandi singoli restano l’unica essenziale individuazione (Vereinzelung). Comprendere l’essenza di questi singoli sulla base di ed entro l’individuazione in quanto popolo (p. 132).

Assume dunque un ruolo preciso e decisivo nell’impianto idealogico heideggeriano la componente pedagogica, al cui centro si può collocare il Rektoratsrede, il discorso del ’33 sull’auto-affermazione dell’università tedesca, evento fondamentale nella vita del filosofo e forse unico vero punto di cesura tra l’Heidegger pubblico e quello privato. Ad esso sono dedicate le pagine più dense e controverse di questo primo diario. In esse prende forma un’impostazione quasi programmatica dell’università, chiamata ad affermarsi come luogo di preparazione per «la disposizione alla volontà dell’esserci» (p. 190) e ad accompagnare i giovani studenti nel loro percorso di consapevolezza rispetto alla posizione che possono assumere nella nuova configurazione del mondo, inteso sia come globo terraqueo sia come movimento di riappropriazione della totalità dell’ente all’essere e all’accadere della sua verità:

Se l’università deve continuare ad appartenere al nostro popolo, allora il suo compito dell’educazione al sapere deve essere originariamente radicato, chiarito e affilato in un modo ancora completamente diverso — sulla base della necessità del sapere in quanto modo fondamentale dell’essere del nostro popolo. Non il progresso della scienza in sé — e tanto meno la sua altrettanto impossibile appendice di formazione disciplinare “specialistica” e di preparazione tecnica — è l’obiettivo, bensì la dottrina in quanto educazione (Erziehung). Guida — direzione — orientazione dell’essere che conosce. Maestria e tradizione del sapere del popolo (volklich) nel genuino domandare — questo è decisivo. Educazione al sapere per un’elité — educazione e salto preliminare (p. 162).

«Ci serve una nuova costituzione dell’università — tale da garantire una guida spirituale e politica — e a che scopo? Non per una “ricostruzione” e riverniciatura di ciò che è semplicemente presente, bensì per la distruzione dell’università. Questo “elemento negativo” avrà però la sua efficienza solamente se assumerà il proprio compito nell’educazione di una nuova stirpe (Geschlecht).» (p. 152)

«Solo coloro che si sono preparati a lungo possono spingersi molto lontano nel prevenire (vorbauen). Solo coloro che si sono decisi fino in fondo e che si pongono costantemente nella decisione possono decidere per i secoli a venire.» (p. 160)

Gli individui dell’élite evocata da Heidegger, maturando un giusto approccio al domandare e di conseguenza esponendosi all’essere, possono assurgere al ruolo di creatori di un nuovo mondo che sorge sulle ceneri dell’abbandono da parte degli dei del suolo desolato della modernità e divenire in tal modo la stirpe che si sacrifica in vista dell’esser-ci e di ciò che Heidegger chiama «fondazione dello spazio di tempo dell’ora mondiale». Pervenendo ad una più fonda consapevolezza ontologica essi possono divenire in definitiva i Meister del tramonto (p. 651), i testimoni dell’entrata dell’essere in una nuova era, quella del «più nascosto focolare del giorno sopraffatto dal chiasso» come Heidegger la definisce liricamente nelle righe in cui parla del tramonto degli idoli nell’età della tecnica e del ritrarsi dell’essere in favore della più gretta manipolazione dell’ente:

Che cos’è la “formazione culturale” (Bildung)? Il meditante tornare indietro a porsi nel posto, che nascostamente si dispone, dello spirito creativo — formazione culturale è in primo luogo meditazione — l’interrogante patire di ciò che è nascosto su cui l’essere stesso medita; in quanto meditazione essa è la prontezza per la trasformazione, in quanto tale prontezza però è l’inquietudine della “cura” per l’appartenenza a ciò che in quanto Essere spinge alle decisioni essenziali sull’uomo, là dove egli prende la sua origine, ciò che egli nega e ciò per cui si sacrifica —; questo però non è per amore dell’uomo, bensì in vista dell’esser-ci in quanto fondazione dello spazio di tempo dell’ora mondiale dell’Essere (Weltstunde des Seyns) (p. 652).

Il crepuscolo degli idoli si avvicina. Ma non in quanto messaggero del loro affondare nella notte, bensì in quanto annuncio del loro ingresso sfrenato nel giorno. Non è ancora il crepuscolo della sera, è solo il crepuscolo del mattino quello che giunge. La parata degli idoli è il segno di una lunga fuga definitiva degli dei. L’Essere stesso entra in una nuova età — l’Essere in quanto rifiuto diviene il più nascosto focolare nel giorno sopraffatto dal chiasso (p. 596).

Heidegger descrive un panorama complesso in cui il declino dell’occidente non è altro che il suo declinarsi nell’alba di un nuovo inizio. Su questo sfondo si stagliano le varie questioni filosofiche e politiche affrontate nei Quaderni, essi divengono il palcoscenico sul quale si affacciano le forze contrastanti che caratterizzano il momento storico contemporaneo al suo itinerario di pensiero. Il messaggio dei grandi monoteismi e la morte del Dio nicciano, il brulicare della tecnica in tutti i campi del sapere e la dignità filosofica del domandare, lo sradicamento dall’essere dell’uomo contemporaneo e la chiamata dell’essere a cui l’esser-ci tedesco è destinato a rispondere, rappresentano tensioni dicotomiche nell’orizzonte della pagina privata heideggeriana che verranno a convergere, con il precipitare degli eventi politici nella Germania nazista, nella più aspra e insolubile polarità tra l’elemento germanico e quello giudaico.

In appoggio alla pubblicazione in traduzione italiana del primo volume, si è tenuto tra il 23 ed il 25 Novembre presso il CNR di Roma un convegno sui Quaderni neri di Heidegger. I vari interventi della tre giorni hanno cercato di indagare lo sfondo filosofico sul quale si collocano le affermazioni anti-semite in essi presenti e in generale di analizzare la componente politica e la dimensione religiosa che li attraversano da cima a fondo. Oltre a due dei massimi esperti del pensiero heideggeriano come Donatella Di Cesare e Peter Trawny, rispettivamente ex vice-presidentessa ed ex presidente della Heidegger-Gesellschaft, hanno preso parte all’evento nomi di spicco del panorama filosofico europeo come Peter Sloterdijk e Gianni Vattimo.

Nella giornata di apertura Trawny ha affrontato la questione della dimensione epica dei Quaderni neri. In essi la storia dell’essere e il pensiero dell’evento verrebbero ad assumere i toni di una vera e propria mitologia nella quale la storia e le diverse figure che la caratterizzano aspirerebbero all’assoluto. In questo panorama la guerra assume toni apocalittici come ha mostrato Di Cesare evidenziando la tensione tra apocalittica e rivoluzione che contraddistingue l’escatologia heideggeriana dei Quaderni neri. L’ebreo e il tedesco non sarebbero altro, secondo la studiosa, che due antagonisti nella configurazione dell’altro inizio. Fondamentale al riguardo la riflessione sul carattere eversivo della storia dell’essere la quale, esulando da ogni svolgimento lineare o ciclico del tempo si risolve nella frattura dell’evento. Sloterdijk ha raffigurato Heidegger come un pensatore inchiodato al suo destino innanzitutto dal suo nome. San Martino sarebbe infatti il protettore dei viandanti e il cognome Heid-e-gger richiama al paganesimo (Heide) e all’erpice (Egger) uno strumento che serve per dissodare il terreno. Anche a causa di questa fascinazione per il proprio destino, il filosofo avrebbe deciso di rifarsi, nel cammino verso la chiamata dell’essere, al linguaggio evocativo-poetico di Hölderlin, piuttosto che a quello dei grandi monoteismi. Su questo tema si è concentrato anche Vitiello, egli riprendendo l’auto-interpretazione heideggeriana del proprio cognome ha avuto modo di riflettere sulla tendenza del filosofo di estendere componenti autobiografiche alla storia assoluta del mondo. Una simile estensione non si risolve, tuttavia, in una visione razionalistica della storia tipica del soggettivismo moderno, ma si distingue da essa per l’attaccamento alla terra, al Feld. Quest’elemento è fondamentale per individuare la radicalità dell’adesione al nazismo di Heidegger che corrisponde per Vitiello al ritorno nella caverna del filosofo, che è ritorno all’antica Grecia. Vattimo riporta delle riflessioni di carattere personale sulla questione della possibilità di un’etica in Heidegger. A suo modo di vedere se deve esistere un’etica essa può essere solo di stampo cristiano. Identificando il silenzio dell’Essere con il silenzio degli oppressi di beckettiana memoria, Vattimo descrive il rapporto circolare che lega il cristianesimo e l’opera heideggeriana: «Non si può essere cristiani senza aver letto Heidegger e non si può comprendere veramente Heidegger senza essere cristiani».

Di rilievo gli interventi di Galanti Grollo, Bensussan, Escudero e di Cohen — Zagury-Orly i quali si sono impegnati nel rilevare l’intreccio strettissimo tra le dinamiche filosofiche dell’Heidegger degli anni 30 e 40 e le sue più aspre affermazioni di carattere ideologico. Galanti Grollo si è concentrato sull’importanza del pensiero dell’evento nella terza e quarta riflessione dei Quaderni neri mentre Bensussan ha cercato di cogliere il ruolo paradigmatico che riveste la dicotomia tra tedeschi e ebrei nell’Heidegger dei Quaderni, essi, secondo il pensatore, sono come figure meta-politiche che ricoprono un ruolo decisivo nell’apocalittica heideggeriana. Escudero ha individuato la matrice dell’antisemitismo ideologico di Heidegger, da distinguere del tutto dall’antisemitismo biologico dell’ideologia nazista, proprio nella differenza tra il popolo del Blut und Boden (sangue e suolo), e il popolo della Weltlosigkeit, l’assenza di mondo che lega il destino dell’ebreo ad un esilio ontologico prima che territoriale. Un simile esilio sarebbe per Cohen alla base della visione necessitata dell’auto-annichilimento del popolo ebraico paventata dal pensatore di Messkirch. Zagury-Orly si è occupato di sviscerare il fondamento filosofico della questione, collocandolo nella cinetica autoreferenziale della storia dell’essere costruita, a suo modo di vedere, da Heidegger esclusivamente sull’asse Grecia-Germania.