I Saggi sulla religione. In margine alla riedizione dell’opera di John Stuart Mill

John Stuart Mill, Saggi sulla religione, (a cura di L. Geymonat), Feltrinelli, Milano 2006.

Pubblicati postumi nel 1874, gli Essays On Religion di J. S. Mill vengono proposti per la prima volta dalla Feltrinelli nel 1953 a cura di Ludovico Geymonat. La presente riedizione (2006) viene presentata nella collana «economica» in una veste snella e accattivante. Ma al di là di motivi strettamente editoriali o meramente estetici, la domanda più nitida che può sorgere a un lettore di filosofia è «donde l’esigenza di ripubblicare questi saggi (visto che la precedente edizione risale solo al 1987)». Strizzando l’occhio alla collana che ospita i Saggi sulla religione, cioè quella economica, come pure alle decine di recensioni comparse nell’ultimo anno su quotidiani e riviste italiane, si capisce l’intenzione dell’Editore di raggiungere un più nutrito gruppo di lettori che non siano solo, per l’appunto, i lettori di filosofia. Scorrendo la nota di Giulio Giorello in quarta di copertina si legge: «Se con la critica milliana Dio appare come l’alleato del genere umano nella lotta contro il dolore e la morte, l’intero campo del sovrannaturale viene spostato dalla sfera della Fede a quella della semplice Speranza — nel contesto di uno «scetticismo» aperto e tollerante, lontano sia dal fideismo oppressivo sia dall’ateismo dogmatico». Dunque, nella parola «tollerante» sembrano palesarsi i motivi intrinseci della ripubblicazione di questo testo. Infatti, al di là della spinta continua del genere umano per la crescita comune, verso il fine comune — che è il ganglio attorno al quale si addensano le «esperienze» di rispetto, emancipazione, autodeterminazione, solidarietà, tolleranza — vi sono dei periodi in cui maggiormente si avverte l’urgenza di una risposta o, se vogliamo, di una bussola su cui potersi nuovamente orientare. Lo stesso Geymonat, in una nota alla edizione del 1972 dei Saggi, avverte: «Sono fermamente convinto che sia molto opportuno rimettere in circolazione questi Saggi… È fin troppo noto che — in diretta connessione con la profonda crisi in atto nella democrazia italiana, e non solo italiana — sta diffondendosi rapidamente in larghi strati della nostra cultura un clima di sorda sfiducia nella ragione… ».

Certo siamo lontani dagli anni in cui, principalmente a causa dell’emergenza terrorismo, si assistette a una involuzione dello Stato italiano con una diminuzione delle libertà costituzionali. Tuttavia anche oggi è possibile avvertire un esteso «scompiglio» che assume i tratti concreti di una insoddisfazione generica, non calibrata, caotica. I problemi politico-istituzionali, quelli economici, quelli legati al fenomeno dell’immigrazione, della convivenza di culture, dei diritti civili, della libertà di espressione, del lavoro, dell’istruzione, non fanno dormire serenamente nessuno (o pochi). E anche la Chiesa non se la passa bene con la crisi della fede, la diminuzione progressiva delle vocazioni e delle ordinazioni, l’incidenza sempre più pronunciata della secolarizzazione, le incongruenze interne e le conflittualità esterne. È vero, si potrebbe obiettare che non c’è nulla di nuovo sotto il sole, che è sempre stato e sempre sarà così, che ogni epoca ha di questi problemi, che in ogni epoca questi problemi, in un modo o nell’altro, vengono superati. Ma è proprio sulle ali di tale considerazione che si innestano i Saggi, e in genere tutta l’opera, del libertario Mill. Il pensiero e la vita di Mill ci giungono prima di tutto come un invito a mantenersi, come dire, un passo più indietro, in una atmosfera di sano scetticismo aperto e tollerante, lontani da qualsiasi radicamento «a tutti i costi», lontani da qualsiasi estremizzazione, pronti ad ascoltare ragioni altre, perché anche un solo individuo che avesse un’opinione diversa dall’intera umanità sarebbe in pieno diritto d’essere ascoltato.

Ma passiamo a una disamina del volume. I tre saggi ivi raccolti non formano un’opera organica e furono pubblicati postumi nel 1874 in volume unico. I primi due saggi vennero composti tra il 1850 e il 1858 mentre il terzo, che è anche l’ultima opera di un certo rilievo scritta da Mill (morto nel 1873), fu scritto tra il 1868 e il 1870.

Nel primo saggio intitolato La Natura, Mill focalizza la propria attenzione sul significato del termine «Natura» che può denotare o l’intero sistema delle cose, con tutte le sue proprietà, oppure come le cose sarebbero a prescindere dall’intervento umano. Nel primo di questi sensi, allora, la dottrina che l’uomo dovrebbe seguire la natura è priva di significato perché tutte le azioni dell’uomo sono in obbedienza alle leggi fisiche della natura e l’uomo non potrebbe fare altrimenti. Il secondo senso in cui il termine viene inteso, cioè quello che vede nella natura un modello a cui l’uomo dovrebbe uniformarsi, è altrettanto irrazionale e addirittura immorale per il motivo che il corso dei fenomeni naturali è pieno di azioni che risultano degne del più alto aborrimento se commesse, a imitazione, dagli uomini. Tutto ciò che nella natura ci fornisce indicazioni di un ordine rivolto al bene — conclude Mill — prova che l’autore di questo ordine è dotato di un potere limitato ed è dovere dell’uomo cooperare per il bene e, nei limiti delle sue possibilità, correggere il corso della natura affinché possa essere raggiunto un più alto livello di giustizia e bontà.

Nel saggio sull’Utilità della religione, il secondo del volume, Mill afferma che la religione è stata utile e ha esercitato la sua influenza sull’umanità fintantoché gli argomenti in favore della sua verità non cessarono di essere persuasivi. Non già che la fede religiosa non sia di qualche utilità a coloro che in tutta sincerità possono dirsi credenti, piuttosto che nella temperie culturale del periodo in cui Mill si trova a scrivere risulta necessario domandarsi se la religione, le prove a sostegno della quale non sembrano essere più convincenti come un tempo, abbia o meno una sua utilità concreta per la ricerca della verità e per il benessere generale. In altre parole l’inglese Mill, da buon pragmatico, pone l’accento sul fatto che in un’epoca di fede tiepida la «fede che gli uomini posseggono è determinata assai più dal loro desiderio di credere che non da alcun apprezzamento razionale di evidenza» (p. 54). La discussione promossa da Mill è di carattere utilitaristico, non morale; quello che egli critica fortemente è la possibilità che la religione comporti un’applicazione indebita di nobili impulsi e di capacità speculative, cioè che la religione possa «assorbire», a scapito del progresso umano, le migliori facoltà umane, quelle che potrebbero rendere servizi giganteschi alla verità.

Il terzo saggio, Il Teismo¸ è diviso in cinque parti e in sezioni argomentative in cui si tratta delle prove dell’esistenza di Dio. Mill prende in considerazione diversi argomenti classici: della causa prima, dell’ordine finalistico, del consenso generale dell’umanità, della coscienza; quindi passa a parlare degli attributi divini, dell’immortalità dell’anima e della rivelazione. È significativo ricordare che dei tre saggi, pubblicati in volume unico solo un anno dopo la sua morte, Mill progettò in vita di pubblicare solo il primo saggio ma non prima di aver scritto il terzo. Il saggio sul teismo quindi si presenta come una sorta di ricerca o dossier a uso personale per l’approfondimento di alcuni dei più rilevanti nodi tematici della problematica religiosa. Mill conclude il saggio affermando che l’atteggiamento razionale di una mente riflessiva di fronte alle prove addotte dal teismo, come pure alle prove addotte da qualsiasi rivelazione, non può che essere quello di uno scetticismo che si mantiene lontano e dalla fede e dall’ateismo, cioè di uno scetticismo dovuto alla insufficienza di prove portate da una parte e dall’altra. L’esito a cui l’analisi di Mill conduce, al limite, mantiene aperta la possibilità che esista una certa prova del teismo, «insufficiente però alla sua dimostrazione, prova che raggiunge solo uno dei gradi più bassi di probabilità» (p. 153).

In conclusione la visione di Mill è quella di un positivista che ha ereditato dall’illuminismo la concezione della centralità e responsabilità dell’uomo come soggetto che ha come propria missione l’impegno e la lotta per la realizzazione nel mondo di un ordine razionale, scevro da oscurantismi, discriminazioni, imposizioni di potere; insomma, di un ordine migliore in cui anche Dio fa la sua parte, in cui uomo e Dio, forse anche non conoscendosi, collaborano senza intralciarsi a vicenda.