Il «mondo della vita» in Husserl. Il rapporto tra fenomenico e originario nel radicamento intuitivo e prelogico della ontologia e della conoscenza

1. Matematizzazione del mondo e universo dei plena materiali-sensibili1

Nelle nostre riflessioni sulla frattura tra senso comune e immagine scientifica del mondo (Velardi 2017) citiamo spesso la nozione della Lebenswelt husserliana come riferimento a quell’insieme di esperienze radicate sulle nostre percezioni e le intuizioni della vita quotidiana che sono irriducibili alla conoscenza e al linguaggio della scienza, nonché al mondo che quest’ultima delinea in contrapposizione a quello che noi abitiamo e viviamo. La scienza non può fare a meno di questo mondo «già dato»: «Esso è già dato del tutto naturalmente e a tutti noi, a noi in quanto persone nell’orizzonte dell’umanità, in qualsiasi connessione attuale con gli altri, è «il» mondo comune a tutti. Per questo, come abbiamo esaurientemente mostrato, il mondo è un terreno costante di validità, una sorgente costantemente disponibile di ovvietà, e noi, sia in quanto uomini pratici, sia in quanto scienziati, ci occupiamo sempre di esso» (Crisi, 151). Abbiamo ricordato come Husserl sia il primo filosofo a comprendere che la frattura tra mondo della vita e mondo della scienza non risale soltanto alla fisica pre- e postgalileiana, ma ha radici lontane nella distinzione platonica tra ἐπιστήμη e δόξα, soprattutto nella svalutazione della seconda. Essa sarebbe inesatta, dunque non suscettibile di un trattamento scientifico adeguato e quindi da porre ai margini della conoscenza umana. Al contrario la δόξα ha a che fare con la conoscenza ingenua, nel senso di genuina, del mondo, quella che ci riporta al mondo che abitiamo e viviamo e che ha il suo radicamento nella percezione. E qualsiasi ἐπιστήμη voglia sconfessarla può portare a successi che, o prima o poi, si infrangono nello sradicamento del mondo della conoscenza dal mondo della vita e conducono al naufragio, alla Krisis della scienza di cui parla appunto Husserl. Come sappiamo l’espressione «mondo-della-vita» indica propria una conoscenza che deve fare da fondamento a quella delle scienze e a cui si giunge per via pre-logica laddove invece il presunto mondo vero della scienza è «una sustruzione teoretico-logica». L’accesso a questa conoscenza è universale e spontaneo. Essa si accresce sulla base dell’esperienza e dell’induzione che sottopone la prima a continua verifica escludendo le apparenze. Ma è questo mondo dell’esperienza a costituire il tessuto di «evidenze originarie» a cui ogni conoscenza deve fare riferimento per trovare la sua legittimazione e la sua verifica. Il mondo della vita è «realmente esperibile e verificabile in modo intersoggettivo», mentre l’idealizzazione prodotta dalla scienza riguarda appunto la «sustruzione teoretico-logica, la sustruzione di qualcosa che di principio non è percepibile, non è esperibile» e «come qualsiasi costruzione concettuale può attingere la sua reale verità solo riportandosi a queste evidenze» (Crisi, 156).

Husserl è molto chiaro nell’agganciare il mondo-della-vita alla nostra esperienza fenomenico-percettiva quotidiana. Occorre capire come questo ambito del fenomenico sensibile si integri con quell’ulteriore passaggio che è richiesto dalla fenomenologia per la cattura delle strutture del mondo oltre il pregiudizio della tesi naturale e cioè la riduzione. Uno dei compiti di questo contributo sarà quello di chiarire una possibile distinzione tra quotidiano/percettivo e originario. Nonché di comprendere l’importanza data da Husserl alla percezione come filtro ineludibile di accesso alle strutture del mondo dell’esperienza, della Erfahrungswelt e del mondo-della-vita, della Lebenswelt. Abbiamo trovato una piena consonanza di elaborazione del tema negli scritti di Vincenzo Costa (2008), Andrea Carroccio (2012), Pietro Bucci (2013) e Vittorio De Palma (2001, 2013).

Ma andiamo per gradi. In alcuni passaggi molto noti della Crisi (152-154) il mondo della vita è legato alla «ovvietà che inerisce a qualsiasi vita umana, ciò che nella sua tipicità ci è già sempre familiare attraverso l’esperienza», qualcosa che quindi ha una sua validità universale. D’altra parte anche la conoscenza scientifica pretende per sé di essere questa conoscenza ‘obiettiva’ tutta «orientata verso un substrato della conoscenza valido per chiunque in una generalità incondizionata». Ma è proprio questo scopo della scienza a non essere chiaro perché sembra che debba portare alla sostituzione di quel mondo dal quale la scienza deve partire e del quale deve fornirci la spiegazione. L’autentica e piena scientificità spinge invece verso il rispetto di un «ordine essenziale» della fondazione dei suoi compiti, per cui l’orizzonte logico-obiettivo non può essere indagato prescindendo dagli altri tipi di compiti. Questa trascuratezza paradossale per cui la scienza si allontana dal mondo dell’esperienza che essa dovrebbe investigare porta ad una frattura che ha impedito che il «mondo-della-vita» possa svelarsi realmente come «fondamento» e si possa davvero analizzare «il modo in cui sono fondate le sue molteplici validità pre-logiche rispetto alle verità logiche teoretiche». Una ricerca di questo tipo, che è quella in cui Husserl e la fenomenologia si impegnano, potrebbe mettere in luce che il mondo-della-vita ha una sua peculiare scientificità che non è di tipo logico-obiettivo o logico-teoretico, ma che, nei suoi caratteri tutti da definire, è ancora più alta e fondante in una scala di valori non affetta dal pregiudizio positivista. L’universalità e intersoggettività del mondo-della-vita aprono l’orizzonte di una scientificità diversa che va liberata dall’oggettivismo che le ha da sempre sovrapposto la scienza positiva. E che la radichi nella dimensione trascendentale della intersoggettività delle coscienze che sono anche corpi propri e nella soggettività dell’Ego incarnato nel corpo vivente. La coscienza, intrecciata ineludibilmente alla corporeità dal processo iletico messo in luce nelle Ideen e che non permette alcun dualismo alla Cartesio, è alla base del riconoscimento delle strutture del mondo-della-vita. E la esperienza pura, e con essa la percezione, sono le strade di cui si serve questa coscienza incorporata per attingerlo.

Sono i processi della cognizione umana a fare da fondamento alla scienza spontanea e universalmente nota del mondo-della-vita. La percezione fornisce alla scienza l’orizzonte originario del senso delle sue teorie e della sua legittimità. De Palma (2001) ha posto l’accento su questo primato della percezione che riguarda perfino la scienza, oltre che il mondo-della-vita.

Per Husserl non c’è un mondo reale a parte quello che si dà nelle apparizioni sensibili. Perfino l’oggetto fisicalistico si dà solo in esse (Idee I, 116; Idee II, 482-3). I contenuti della scienza obiettiva invece sono tutti idealizzati così come il processo di matematizzazione compiutosi con Galileo ha determinato. L’idealizzazione svela che questi contenuti sono lontani dal mondo dell’esperienza. Questo processo ha portato alla frattura tra modello matematico-fisico e mondo idealizzato della scienza da una pare e esperienza pre-logica e mondo-della-vita dall’altro. Il termine «sustruzione logico-teoretica», che abbiamo ricordato sopra, viene utilizzato nella Crisi in maniera coerente rispetto alle riflessioni presenti nei testi precedenti.

Come ricorda De Palma (2013, 2) Galileo rappresenta il primo scienziato che compie il tentativo di matematizzazione della natura. Questo processo di idealizzazione non ha in sé nulla di negativo. Il limite di Galileo, che segna l’epoca moderna ed è alla radice della Crisi delle scienze europee, è il non avere elaborato contemporaneamente il presupposto del progetto di matematizzazione cioè lo sfondo dal quale e dentro il quale l’universo perfetto della matematica è fatto oggetto di una idealizzazione oggettivizzante cioè il mondo dell’esperienza, la Erfahrungswelt che, come vedremo tra poco, è inscindibile dalla Lebenswelt, dal mondo-della-vita. La scienza moderna non ha a che fare con il reale, anche se contrabbanda per reali i propri oggetti, che, al contrario, sono forme astratte irrelate dai plena sensibili e materiali che invece rispecchiano la pregnante e densa concrezione degli oggetti del mondo. Per questo l’oggettivismo positivista e scientista maschera una costruzione soggettiva teorica, che, in una dissimulazione subdola ha fatto passare per soggettivo quello che invece appartiene veramente al mondo che viviamo e cioè la datità sensibile, connessa al plenum, dotata di strutture sue proprie che emergono grazie alla indagine fenonemologica. Se «la scienza moderna è intrinsecamente idealistica (in quanto spaccia per reali entità ideali) e si muove in continuità con la metafisica esplicativa, la fenomenologia nega la portata ontologica di ogni spiegazione di ciò che è dato mediante ciò che per principio non può esserlo, e nega quindi la realtà di ogni entità teorico-esplicativa» (ibid.).

L’effetto del processo di idealizzazione e di matematizzazione della natura è che gli oggetti della geometria non sono reali e che vi è una netta contrapposizione tra «forma intuita dell’oggetto spaziale» e oggetto geometrico, tra forma astratta matematica e plenum materiale-sensibile. Come ricorda De Palma (2001, 315) per lo Husserl delle Idee la forma geometrica ha una esistenza solo rappresentata perché emerge dalla deduzione a partire da un sistema di assiomi, essa emerge solo grazie ad una definizione che non ha niente a che fare con le evidenze originarie del mondo. La forma intuita di un oggetto spaziale ha invece lo statuto di una esistenza che è passibile di una sua strutturazione e dunque descrizione di tipo fenomenologico e fenomenico. Al contrario delle forme sensibili, quelle geometriche sono «sustruzioni ideali», essenze esatte e come tali non possono essere descritte come faremmo con un oggetto, ma possono solo essere dedotte. Esse «esprimono qualcosa che non si può vedere» (Idee I, 157) e «sono inaccessibili alla nostra intuizione» (ivi, 154). Di per sé la sfera o il prisma non sono oggetti e non hanno nulla a che fare con il nostro mondo. Come ricorda De Palma (2013, 3), Galilei rende scientifica la geometria proprio attraverso una idealizzazione che permette di eliminare gli effetti di disturbo nella determinazione dei corpi e le loro relazioni, cioè di «superare il relativismo delle percezioni sensibili sustruendo una verità o un mondo ideale come mondo vero in sé che è alla base di ogni relatività sensibile» (Hua XXXII, 196, corsivo mio). Nella Crisi (59-66) Husserl affronta ampiamente il tema della possibilità di matematizzazione dei plena riprendendo l’idea che la matematica abbia a che fare con le forme astratte spazio-temporali eliminando le qualità specifiche di senso. Egli non si scaglia aprioristicamente contro l’idealizzazione, ma contro gli scopi e le direzioni che essa prende e contro l’oblio dei plena che essa comporta.

Come abbiamo già verificato in Velardi (2013) la fenomenologia husserliana ha compreso invece il profondo nesso tra astratto e concreto, tra ideale e sensibile e cerca sempre di recuperarlo in una maniera che non sia sbilanciata né verso l’una né verso l’altra polarità, a meno di enfatizzazioni che riguardano il noetico o il noematico all’interno però sempre di una prospettiva molto peculiare mai riconducibile alla radicale dicotomia empirista astratto-concreto. In questo modo Husserl riesce a preparare la critica alla idealizzazione forzata della scienza galileliana presente nella Crisi in una maniera molto sottile che mostra come il processo di matematizzazione non possa fare a meno di un ritorno agli oggetti e ai fenomeni da cui esso prendeva le mosse. La geometria non potrà mai presumere di definire pienamente i plena sensibili e materiali. Essa considera solo le forme astratte. Husserl ha di mira la presunzione di esaustività della geometria, e della scienza in generale, non la legittimità con cui essa ritaglia il suo dominio di indagine. La matematica studia «i corpi solo astrattamente, considera cioè solo le forme astratte, mentre in concreto le forme empiriche sono date come forme di una materia, di un plenum sensibile di qualità. La matematizzazione trasforma il mondo sensibile e relativo al soggetto sensibile in un mondo obiettivo e permette una conoscenza del mondo intuitivo (che si approssima alle entità ideali) attraverso l’applicazione della geometria alla realtà. I plena materiali non possono essere matematizzati direttamente. Esiste infatti una geometria delle forme, non una geometria dei plena2. Ma le qualità sensibili, pur non essendo idealizzabili come le forme spazio-temporali, sono comunque legate a queste ultime» (De Palma 2013, 3).

In questo processo di idealizzazione assistiamo alla separazione tra qualità primarie e qualità secondarie. L’idealizzazione si riferisce alle sole qualità primarie e presuppone la possibilità di determinare le qualità secondarie indicizzandole attraverso quelle primarie. «Per poter parlare dello stesso, laddove ogni senso può «fallire» e ogni qualità è relativa al soggetto, le qualità schematiche vuote (le qualità primarie) devono essere intersoggettivamente identificabili» (ivi, 75). Perciò sono oggettive, ossia coglibili e determinabili allo stesso modo per ognuno, solo le qualità primarie, mentre quelle secondarie lo divengono in quanto annunciano le primarie e sono coordinate a esse. In Velardi (2017) ricordiamo il dibattito sulle qualità primarie (forma, massa, movimento) e secondarie (colori, sapori, qualità sonore) che porta alla loro separazione e come Galilei sia uno dei teorici della eliminazione delle qualità sensibili e secondarie dall’orizzonte scientifico a favore delle qualità misurabili. La teoria del carattere soggettivo delle qualità sensibili matura dopo il Cinquecento e si cristallizza anche grazie alla sistematizzazione della fisica moderna. Questa a sua volta ha come conseguenza l’emarginazione del mondo dell’esperienza nel regno della mera soggettività. L’oggettivismo della scienza avoca a sé il dominio delle qualità primarie, relega le qualità secondarie alle sensazioni che il reale produce nei soggetti. La natura non ha nulla a che fare con questo mondo sensibile, è in sé matematica (Hua VI, 54). La Erfahrungswelt è solo un mondo mediato, derivato dal filtro della sensibilità. L’oggettivismo naturalistico compie un rovesciamento paradossale per cui questo mondo sensibile non è rispecchiamento trasparente, ma lente distorcente del vero mondo reale. In questo modo assistiamo ad «una sostituzione del mondo matematicamente sustruito delle idealità all’unico mondo reale, al mondo che si dà realmente nella percezione, al mondo esperito ed esperibile — al nostro mondo quotidiano della vita» (ivi, 49). Così si viene a creare un abito ideale della teoria scientifica, come lo chiama Husserl, che traveste e maschera il mondo-della-vita e, con la sua coerenza interna, col suo metodo, simula l’esistenza di un universo reale di cui si può ottenere la rappresentazione senza ricondursi al piano di realtà dell’esperienza, ma procedendo solo attraverso il calcolo e le operazioni logico-teoretiche che non hanno più alcun legame con i contenuti delle intuizioni e della dimensione ante-predicativa.

Il mondo simbolico della matematica è un mondo chiuso di calcoli che si riferisce ad un dominio ontologico invisibile, inesperibile, inaccessibile all’intuizione. Le esistenze matematiche sono fondate sulla «posizione ipotetica dei loro fondamenti», laddove invece vi sono «esistenze poste nei fondamenti» che non sono soggette alle ipotesi del sistema da cui scaturiscono, ma sono esse stesse generatrici di ipotesi.

In queste considerazioni Husserl è certamente influenzato dal clima della filosofia della scienza contemporanea e dalla ricerca dei fondamenti assiomatici della matematica, dal fisicalismo di Neurath, dal mito carnapiano della unificazione delle scienze. Come sappiamo Husserl non contesta il fondazionalismo di Hilbert. Ammette che esso possa procedere autonomamente anche se la matematica non può perdere il suo contatto con l’esperienza. Il processo di idealizzazione può avere una sua autonomia a patto che non si traduca in una esautorazione e in un oblio della realtà. Husserl reagisce ad una idea di scienza che debba svalutare i contenuti del mondo delle percezioni, ma che se renda indipendente attraverso sistemi categoriali che relativizzano l’esistenza dei suoi oggetti e la validità delle sue formule ai principi di validità enunciati sulla carta apriori come appunto sono gli assiomi. Se l’idealizzazione si sgancia dall’esperienza allora Husserl contesta la svalutazione che Carnap fa dei domini del mondo-della-vita simulando una sorta di relativismo antirealista a cui tende Carnap (1950, 632-33-640) quando fa dipendere l’ontologia del nostro mondo dalle opzioni del sistema logico prescelto: In un certo senso anche il mondo reale può fare parte di una di queste ontologie alternative: «Accettare il mondo cosale non significa altro che accettare una certa forma di linguaggio, accettare regole per formulare o dimostrare enunciati» (ivi, 633). Come ho mostrato in Verità e realismo (2007) anche il programma di Carnap ha le sue oscillazioni (tra fisicalismo e fenomenismo) e i suoi limiti, mostrando come sia stato difficile per il suo sistema trovare fondamenti univoci della conoscenza umana. Inoltre nel percorso di Carnap è facile rintracciare la pendolarità, presente anche in Husserl, tra una maggiore polarizzazione degli elementi esterni della realtà e degli elementi interni della percezione.3 Nelle crepe del progetto fenomenistico della Costruzione logica del mondo o del fisicalismo delle proposizioni protocollari o della Sintassi logica del linguaggio, si potrebbero trovare motivi di maggiore integrazione con la teoria husserliana della scienza e di messa in legame dei suoi contenuti con quelli del mondo dell’esperienza senza per forza aumentare la frattura attraverso il rovesciamento che pone nel campo della totale idealizzazione il mondo scaturito dalla scienza obiettiva. Del resto è uno degli scopi della Crisi quello di mettere in guardia le scienze europee dall’oblio del mondo-della-vita, di risvegliare nelle scienze la consapevolezza delle proprie origini e delle proprie finalità. Aumentare la frattura tra un mondo idealizzato, inesperibile, invisibile come quello della geometria e il mondo dei fenomeni non aiuterebbe nella ricerca di integrazione e di radicamento cui Husserl spinge. Anche la nozione di «sustruzione» si riferisce a qualcosa che non è percepibile ma che ha il suo riferimento in qualcosa che si percepisce. Seguendo le indicazioni della Crisi anche gli oggetti geometrici, che nelle Idee, sono totalmente avulsi dalla realtà e frutto solo di deduzioni a partire da assiomi, hanno e devono avere un aggancio con il mondo esperibile e percepibile.

Torniamo dunque al problema della percezione. Abbiamo detto che gli strumenti conoscitivi del mondo-della-vita sono ricondotti da Husserl ai processi mentali della percezione, della memoria ovvero quelli che fanno parte di quella che l’autore chiama «esperienza pura». Da questo punto di vista si confermerebbe così che la percezione ha un ruolo chiave nella fondazione del mondo-della-vita e la fenomenologia avrebbe il compito di difenderne il primato ontologico oltre che conoscitivo in polemica con lo scientismo.

2. La fenomenologia della percezione e dell’oggetto dal noema alla sintesi passiva

Come hanno notato De Palma (2001, 2013), Carroccio (2012), Bucci (2013, 116-122) la percezione è una mediazione conoscitiva fondamentale per la fenomenologia e per il mondo-della-vita. E dunque come ricordava De Palma (2001) lo è perfino per la scienza che non può non partire e tornare ai materiali del molteplice sensibile. Bucci (2013, 116) ribadisce come «la costituzione trascendentale del mondo» di cui si parla nei paragrafi 40-50 della Crisi si rivolge ai «modi di datità delle cose alla coscienza», procede ad una concreta esplicitazione di queste datità, per cui la scienza fenomenologica appare davvero come una «fenomenologia della percezione». La percezione è infatti «un atto la cui operazione intenzionale consiste nella «presentazione» cioè nella capacità di porci di fronte alla presenza dell’oggetto in originale». Nelle Ricerche logiche gli atti percettivi erano presentati come gli atti intuitivi rilevanti e la fenomenologia è in gran parte una teoria di questi atti così come si può vedere nelle Lezioni sulla sintesi passiva dove abbiamo una sorta di revisione della teoria della percezione elaborata nella Quinta e Sesta delle Ricerche logiche. Se in quelle sedi «la percezione era concepita come una apprensione (Auffasung) di un contenuto apprensionale informe», le Lezioni fanno emergere che i contenuti percettivi non sono inintenzionali, ma possiedono già delle loro strutture emergenti attraverso delle sintesi passive «nelle quali non intervengono operazioni della soggettività».4 Nella Crisi (§45) ritroviamo alcune tesi salienti della teoria della percezione di Husserl. L’atto percettivo ha una sua prospetticità perché, all’interno dell’atto, rimanda ad aspetti della cosa, che non sono presenti nella direzione percettiva dell’atto medesimo. Esso è diretto all’oggetto, ma al contempo apre ad un orizzonte con un insieme di rimandi che correlano vari atti in un coerente decorso percettivo. Questo decorso permette una fusione degli atti percettivi in una «sintesi continua e discreta «dell’identificazione o meglio dell’unificazione» (Bucci 2013, 117).

La costituzione trascendentale del mondo della vita riprende dalla teoria della percezione altri contenuti importanti come la cinestesi, la «evoluzione della validità», la «coscienza dell’orizzonte», l’»accomunamento dell’esperienza» (Crisi, §47). La cosa appare così in un multiforme apparire prospettico nel decorso percettivo è solo l’atto più semplice della percezione. Ne esistono altri molto più complessi che hanno a che fare con la struttura della soggettività trascendentale intesa come coscienza incorporata e, più precisamente con la cinestesi, con le azioni dotate di senso del Leib, del corpo proprio. Come ricorda Costa (1999, 281-299) la teoria fenomenologica della percezione rimanda a tutto un insieme complesso di relazioni fra la coscienza incorporata e il mondo, tra il corpo proprio e il mondo-della-vita. Bucci (2013, 117-118) ricorda come la percezione crei una «struttura ad orizzonte» che apre anche ad aspettative future che possono andare deluse. La percezione di una cosa non ha mai un carattere monadico e isolato, ma fa parte di un campo percettivo. Le sue strutture inoltre non emergono in modo solipsistico, ma dal confronto con le percezioni degli altri corpi propri e hanno quindi una dimensione intersoggettiva. All’interno di questo confronto emergono anche le differenze tra la cosa percepita da me e l’oggetto in se stesso. Lanfredini (1994) ha mostrato come sia complessa la teoria husserliana dell’oggetto. Vi è una distinzione importante da fare tra la cosa e le manifestazioni percettive soggettive di essa. Il paragrafo 47 della Crisi rimanda al primo volume delle Idee e alla sezione intitolata Ragione e realtà in cui si chiarisce la nozione di trascendenza della cosa rispetto alle sue manifestazioni nel flusso della coscienza ovvero all’insieme dei suoi noemata. La cosa sarebbe «un x determinabile» verso il quale convergono i modi della sua manifestazione. Essa è un catalizzatore delle sue potenziali manifestazioni. L’identità cosale è quindi ripensata nel senso della idea kantiana e quindi in un senso fenomenologico-trascendentale che non permette la sua assimilazione ad una delle manifestazioni sensibili e fenomeniche che essa ha nella coscienza incorporata del soggetto. La completa datità della cosa è dunque il vero centro potenziale, non attuale, della conoscenza fenomenologica. «La perfetta datità» della cosa viene delineata in senso trascendentale come «l’insieme delle manifestazioni di un x determinabile» le cui strutture e leggi di presentazione sono già delineate a priori, l’idea rimanda ad un sistema di manifestazioni percettive determinate già potenzialmente nel «tipo eidetico» della idea medesima.

Lanfredini (2001) fa emergere il contrasto paradossale tra due tesi husserliane: da un parte quella per cui la percezione esterna è una pretesa ad andare al di là dei propri limiti, come dice l’inizio delle Lezioni sulla sintesi passiva; dall’altra quella del primo volume delle Idee per cui il vedere immediato, il vedere in generale e non solo quello sensibile-empirico è «l’ultima sorgente di legittimità di tutte le affermazioni razionali». La percezione permette l’intuizione nel suo darsi «originariamente offerente», ma questa intuizione ha una continua pretesa a valicare i confini di ciò che essa può mostrare. In questo contrasto c’è tutta la posta in gioco della teoria della percezione di Husserl. La fenomenologia prende avvio dal dato del visibile antecedente ad ogni «pensare teorizzante» con la clausola di non cadere nell’atteggiamento naturale che pensa al mondo visibile senza la consapevolezza della necessità di una critica della conoscenza (Lanfredini 1994, 30). Il principio fondamentale della fenomenologa è che «ogni intuizione, o visione originariamente offerente, sia da considerarsi come una sorgente legittima di conoscenza (Lanfredini 2001, 9). Quello che sé nell’intuizione va assunto così come si offre, ma anche nei limiti per cui esso non esaurisce la sua pretesa. Ogni atto intuitivo, cioè percettivo o immaginativo, è sempre «imperfetto e suscettibile di integrazione» (ivi, 10). La percezione sensibile è sempre percezione «da-un-certo-punto-di-vista, sotto-certi-aspetti e mai nella sua interezza e completezza». Nessuno può percepire un oggetto nella totalità delle sue manifestazioni. Da qui l’importanza della nozione di modalità e il fatto che l’oggetto è un «polo unitario», «sintesi dei suoi modi di datità». La caratterizzazione concettuale di un oggetto è differente da quella intuitiva. La modalità in cui si dà l’oggetto è essenziale in entrambe le prospettive, ma nella prima ha una natura descrittiva, nella seconda prospettica e dipendente dalla «specificità dei dati sensibili» che costituiscono «la componente materiale, la hyle di un atto intenzionale». La possibilità delineata nelle Ricerche Logiche di indicare una hyle sensibile può fare pensare ad un «empirismo dogmatico e acritico». Lo stesso Husserl comincia una sorta di destrutturazione del dato sensibile nella IV Ricerca pervenendo alla svolta genetica e alla teoria della sintesi passiva. Emergono i limiti della distinzione tra hyle materiale e senso apprensionale e si configura una passività dei processi esperienziali rispetto alla attività del soggetto nel processo della intenzionalità. Piazza (2001) ripercorre il superamento dello schema delle Ricerche Logiche, riproposto almeno in parte nelle Idee nella nozione di noema percettivo e il passaggio da una «fenomenologia statica» dove il dato della intuizione non ha una sua intenzionalità, non ha struttura, è incompleto e bisognoso di integrazione, ad una versione dinamica. Al centro di questo superamento vi è il cambiamento della nozione di apprensione o intenzione di significato con quelle di sintesi passiva e di cinestesi. Nella prima fase è l’apprensione il motore della costituzione degli oggetti, ma vi è una «originaria legalità passiva» degli oggetti che sono già costituiti a prescindere dall’intervento e dalla funzione dell’apprensione. La costituzione dell’oggetto emerge e si fa intravedere prima che la soggettività si desti a tematizzarlo esplicitamente e attivamente. Non occorrono l’affezione e l’apprensione per costituire l’oggetto, ma esso è frutto di una sintesi passiva: «sono le sintesi associative — ovvero la forza con cui una connessione contenutistica risalta e si impone alla coscienza (ad esempio un suono o una macchia di colore che acquisiscono risalto rispetto allo sfondo) — a determinare l’organizzazione e l’identificazione dell’oggetto percepito» (Lanfredini 2001, 12). In questo modo alla distinzione tra empfinden e wahrnehmen delle Ricerche si sovrappone quella fra pre-datità passiva e datità percettiva in cui emerge «la compartecipazione fra sintesi associative e sintesi cinestetiche». In questo nuovo quadro la teoria dell’esperienza e della intuizione ha una sua autonomia dalla sfera del concettuale. L’intuizione di un oggetto ha una natura diversa quella della sua apprensione significante. Come ricorda la Lanfredini questa teoria ha molti punti in comuni con le teorie sul contenuto concettuale o non concettuale della percezione di cui ci siamo occupati in Velardi (2007). Lanfredini fa capire come questo nuovo assetto della teoria husserliana apra molti interrogativi che richiedono risposte e noi pensiamo che anche la discussione sulla relazione tra percezione sensibile e originario in relazione alle strutture del mondo-della-vita possa dare un contributo in questa direzione. Certamente da quanto detto non potremo parlare di percezione soltanto nei modi semplicistici di un empirismo acritico.

Da queste considerazioni si comprende quanto sia difficile equiparare l’originario alla semplice manifestazione della datità sensibile e percettiva per quel che riguarda il fondamento della Lebenswelt. Resta chiaro però come la percezione sia, nella sua complessità trascendentale e nella trascendenza dell’oggetto rispetto alle sue manifestazioni, la mediazione e il filtro decisivi per l’accesso alle strutture del mondo fenomenologicamente inteso.

D’altra parte Lanfredini (1997, 31-32) ci ricorda come la percezione non possa essere limitata all’atteggiamento naturale in cui «i nostri atti sono spontaneamente rivolti verso i loro oggetti» e debba essere considerata all’interno dell’atteggiamento riflessivo in cui questi atti diventano oggetto di analisi essi stessi e la conoscenza è posta sotto il vaglio della critica della fenomenologia. È l’atto primario della percezione A (l’ascoltare ad esempio) che deve divenire Oggetto primario di un atto di riflessione Rche ponga l’oggetto originare O (il suono) nel ruolo di Oggetto secondario. In questo passaggio rientra la tecnica della sospensione, dell’epoché, in cui vengono decostruiti gli «assunti tacitamente presupposti nell’atteggiamento naturale, primo fra i quali la credenza nell’esistenza di un mondo esterno reale nel quale noi viviamo come «uomini del vivere naturale, che percepiscono, giudicano, sentono, vogliono nell’atteggiamento naturale» (Idee, pr. 27, pg. 57) ». L’atteggiamento naturale ci fa stare immersi in un mondo di ovvietà che non sottoponiamo a critica. Sara interessante vedere come le strutture di queste ovvietà sono quelle portanti del mondo-della-vita e come esse coincidano con quelle sensibili-empirica dell’atteggiamento naturale per poi essere superate e rafforzate da una epoché del mondo della vita che porta al confronto percettivo intersoggettivo delle coscienze incorporate. Lanfredini ci fornisce delle nozioni chiave per interpretare al meglio e criticamente la continuità tra concetto di mondo naturale e Lebenswelt individuata da Costa (2008) e ricorda come anche la percezione debba essere posta sotto questo vaglio citando L’idea della fenomenologia (p. 56): «Nella percezione, per esempio, una cosa ci sta davanti agli occhi, in modo affatto ovvio; essa è lì, in mezzo alle altre cose, viventi e prive di vita, animate e inanimate, e quindi in mezzo ad un mondo che in pare cade sotto la percezione, come le cose singole, in parte è anche dato nelle connessioni della memoria e da qui si estende verso l’indeterminato e lo sconosciuto». I nostri giudizi si riferiscono a questo mondo esterno ovvio che abbiamo davanti, all’esperienza diretta. I nostri confronti e le nostre connessioni mettono in relazione i materiali di questa percezione e dei ricordi, ne mostrano gli accordi e i disaccordi. La conoscenza naturale procede per «estensione progressiva quanto ad ampiezza, contenuto, rapporti e leggi» (Lanfredini 1997, 32). L’atteggiamento riflessivo invece pone a tema il problema della natura e della possibilità dell’atto percettivo, si domanda come sia possibile la trascendenza e cioè che la coscienza possa attingere qualcosa che è completamente diverso ed eterogeneo da essa. Così problematizza e sottopone a critica quella relazione con l’oggetto che, nella sua versione sensoriale empirica, è data per scontata dall’atteggiamento naturale. Il problema principale della fenomenologia in quanto critica della conoscenza è quella di analizzare non tanto il cosa della trascendenza, ma il come della specifica relazione che essa rende possibile tra coscienza e cosa, tra conoscenza e oggetto.

3. Atteggiamento naturale, esperienza pura, originario e mondo-della-vita

Tornando alla Crisi delle scienze europee possiamo allora rilanciare la domanda su come la Lebenswelt possa avere una relazione stretta e decisiva con la Erfahrungswelt e come possa essere la percezione a essere la porta d’accesso fondamentale e irrinunciabile per il mondo-della-vita che costituisce l’unico orizzonte di senso e di legittimità per qualsiasi impresa conoscitiva umana perfino della filosofia e della scienza. Un orizzonte dal quale partire e al quale, necessariamente, tornare. Come può Husserl definire il mondo-della-vita «un regno di evidenze originarie» (Crisi, 156), date in modo evidente nella loro «presenza immediata» nella percezione e nel ricordo in una modalità conoscitiva in cui l’originario sembra coincidere con l’esperienza fenomenica dell’atteggiamento naturale?

È a questo punto però che ci sembra si debba fare una sottolineatura e mostrare come il fenomenico e il percettivo nella Crisi (153-154) non si riducano a qualcosa che può essere studiato dalla stessa scienza o dalla psicologia cognitiva della percezione, ma hanno a che fare con quella dimensione dell’antepredicativo, del pre-logico, dell’intuitivo, dell’originario di cui solo la fenomenologia può rendere conto. Qui sta l’ accortezza molto decisiva del richiamo husserliano a questi strumenti della conoscenza. Infatti lo stesso contrasto tra ἐπιστήμη e δόξα, tra «verità obiettiva» e «verità propria della vita pre- ed extra-scientifica», che abbiamo richiamato sopra, potrebbe condurre a interpretare anche la percezione e il ricordo nei modi della scienza e a dare loro unicamente caratteristiche di tipo psico-fisico «derivanti dalla scienza obiettiva». Questa è una vera trappola speculativa a cui occorre sfuggire per evitare che non si possa dare conto del reale modo di essere fondamento e di essere scientifico del mondo-della-vita. Il primato della percezione per le evidenze del mondo-della-vita non vuol dire che si stia parlando di percezione come ne può parlare l’atteggiamento naturale.

Husserl precisa «un punto importante: occorre innanzitutto evitare di ricorrere ai «dati della sensibilità», che si suppongono immediati come se essi fossero effettivamente ciò che caratterizza immediatamente le datità puramente intuitive del mondo-della-vita. Il primum reale è l’intuizione «meramente soggettivo-relativa» della vita pre-scientifica nel mondo» (ivi, 154). Questo «meramente» potrebbe ricalcare ancora «una sfumatura di spregio» che conferma la svalutazione ormai classica della δόξα. D’altra parte nella vita pre-scientifica questa sfumatura scompare e il «meramente» invece di svalutare, indica un arricchimento, «una sicura verificazione, un complesso di conoscenze predicative controllate e di verità precisamente definite secondo le esigenze imposte dai progetti pratici della vita, i quali ne determinano il senso. Lo spregio con cui tutto ciò che è «meramente soggettivo-relativo» viene trattato dagli scienziati moderni al servizio di un ideale di obiettività non cambia assolutamente nulla al suo modo d’essere, come del resto non cambia nulla il fatto che agli scienziati stessi questo elemento deve essere di comodo, visto che vi ricorrono tanto spesso e inevitabilmente» (ibid.).

In questo passaggio Husserl definisce bene che il vero fondamento del mondo-della-vita è l’intuizione soggettiva tipica della conoscenza pre-logica, della dimensione ante-predicativa, della vita pre-scientifica. Qual è però la differenza tra questa intuizione e la percezione? Tra il fenomenico cui poggia il senso comune e l’originario cui sembra richiamare l’intuizione soggettiva? Nel prosieguo della terza parte della Crisi, vengono sempre più contrapposti il mondo-della-vita come «universo intuibile» e il «mondo «obiettamente — vero» come sustruzione logica non intuibile. Questa contrapposizione si sovrappone a quella tra soggettivo e obiettivo. Ad un primo sguardo sembrerebbe che il mondo-della-vita non è il mondo percepibile, non è l’immagine manifesta per usare la terminologia più empirista di Sellars. Esso non dovrebbe coincidere con il nostro mondo naturalmente percepito. Inoltre lo strumento di cattura delle evidenze del mondo-della-vita non dovrebbe essere la percezione in quanto tale, ma l’intuizione soggettivo-trascendentale. Non si dovrebbe poter costituire il mondo reale a partire da meri «dati della sensibilità». Nella trattazione però ‘intuizione viene ricondotta a «evidenze originarie» che possono entrare dentro il raggio di azione della percezione e della memoria (ivi, 156-157).

Da quanto abbiamo scritto sembra proprio che Husserl stabilisca un nesso stringente tra la dimensione del percettivo e quella dell’originario legato alla intuizione soggettiva. Al netto delle considerazioni sulla riduzione e sulla sospensione dell’atteggiamento naturale che abbiamo fatto seguendo le precisazioni lucide di Roberta Lanfredini. Carroccio (2012) ha indagato sulla relazione tra mondo della esperienza (e della sensibilità) e mondo della vita, tra Erfahrungswelt e Lebenswelt, riferendo la continuità e discontinuità delle due nozioni a quanto scritto da Husserl nei Grundprobleme der Phänomenologie. È Vincenzo Costa (2008), nella sua introduzione alla edizione italiana, ad aver posto un nesso tra il concetto naturale di mondo dei Grundprobleme e il concetto di mondo-della-vita della Krisis. Da quanto abbiamo detto sopra possiamo capire perché questi due mondi siano in così profonda relazione rispetto al mondo vero e obiettivo descritto dalla scienza ma totalmente idealizzato in quanto sustruzione teoretico-logica. Nel concetto naturale di mondo ci sono in nuce caratteristiche che ritroveremo poi tali e quali nella descrizione del mondo-della-vita. Per Costa una delle ascendenze filosofiche principali di questo percorso husserliano è l’Avenarius della Critica dell’esperienza pura, con la sua idea di ritornare ad un piano antecedente alle elaborazioni teoretico-scientifiche che non può essere altro che quello dell’esperienza.

Abbiamo visto come tutta la critica alla scienza nella Crisi si svolga a partire dall’oblio che essa fa del mondo dei fenomeni e dell’esperienza e come essa sia costretta a tornarvi per legittimare se stessa. La scienza non può fare a meno dell’esperienza pena la perdita del proprio fondamento che non sarà mai acquisito pienamente solo per via assiomatica-deduttiva. Il mondo di cui parla la scienza ha radici percettive ed è quello che viene esperito tramite la percezione che costituisce il nostro mondo, quello di cui parliamo e che viviamo in quanto Leib, in quanto corpo proprio.

Il concetto naturale di mondo delle lezioni del semestre invernale 1910-1911 è strettamente legato all’atteggiamento fenomenologico che è in continuità con l’atteggiamento naturale in cui sono rinvenibili delle datità che hanno il loro legame con l’io empirico e vengono presentate così in modo originario. Come sappiamo anche l’atteggiamento naturale è una nozione complessa nella teoria di Husserl e pure nella Crisi essa verrà trattata come tale. Da una parte l’atteggiamento naturale è in continuità con i fenomeni e le evidenze originarie e quindi ha i suoi aspetti positivi, d’altra parte la scienza lo strumentalizza con la sua pretesa di obiettivismo e cerca di creare una egemonia dell’atteggiamento naturale nei confronti della dimensione spirituale, pervenendo alla illusione di voler matematizzare la soggettività. Essa snatura l’atteggiamento naturale che è originario e tipico di tutte le culture storiche contaminandolo col proprio oggettivismo naturalistico. Si ricorderà come uno degli obiettivi polemici della Crisi sia Cartesio che è proprio l’emblema di questo snaturamento. Da una parte egli dispiega la centralità del Cogito e l’importanza della soggettività anticipando una concezione trascendentale, dall’altra è fautore di una visione del mondo meccanicista basata solo sulle relazioni di causalità estrinseche e di un obiettivismo scientifico di cui condivide i pregiudizi. D’altra parte, come sappiamo, la fenomenologia non si accontenta di questo atteggiamento naturale e richiede anche lo sforzo di una messa fra parantesi per favorire appunto l’atteggiamento fenomenologico. Sulla base di questo presupposto ci siamo chiesti come interpretare al meglio la nozione di mondo-della-vita in termini fenomenologici senza fare della percezione uno strumento cognitivo-naturalistico di accesso al mondo delle evidenze originarie che richiedono invece anche quelle intuizioni soggettive che sono un mezzo peculiare della conoscenza fenomenologica.

4. Concetto naturale di mondo, mondo-della-vita, corporeità e soggettività trascendentale

Nelle Lezioni sul concetto naturale di mondo Husserl si concentra su una tematica ricorrente e cioè quella della soggettività e del Leib che forniscono lo sfondo migliore dentro il quale far emergere gli aspetti positivi del concetto naturale di mondo. Il mondo è infatti qualcosa che viene percepito come tale dall’io in quanto corpo vivo e corpo proprio. Esso è un oggetto che non può mai ridursi a mero oggetto scientifico perché esso si pone come centro di raccolta delle percezioni del nostro mondo e questo non sarebbe tale se l’Io non avesse le rappresentazioni che ha. L’io è sia il rispecchiamento del mondo esterno, che del suo mondo interno. Sta al centro di due convergenze: quella della rappresentazioni dell’esterno e quella dei vissuti interni. Inoltre rappresentazioni e vissuti possono essere diretti agli altri Ego attraverso le modalità dell’empatia concependo l’esistenza di altri corpi vivi estranei all’Ego e ponendosi in relazione speculare con essi, riconoscendo loro la pienezza di uno strato psichico. Questa consonanza empatica ha un valore estremo per la conoscenza del mondo e per il darsi del mondo in quanto universale nota, riserva comune di ovvietà intersoggettive. Infatti ognuno di noi è capace di porsi in una relazione orto-estetica o di “isomorfia cinestetica” o, per dirla in termini moderni, di perspective taking, esperendo allo stesso modo gli oggetti, nonostante la diversità di vissuti interni degli Ego. Per questo Husserl nella Crisi (134-137) si occupa abbondantemente di questo tema proponendosi ancora dopo tanta ricerca di chiarire al meglio la tematica del corpo proprio e di come questo possa esperire come tali altri soggetti estranei. In quelle pagine kantiane egli ha di mira di stabilire come il mondo resti qualcosa di valido per noi nonostante le rappresentazioni e i vissuti dell’Ego che è in connessione con altri Ego. Si tratta di come l’Ego possa fare esperienza del mondo-della-vita e quindi in generale del mondo. Ritorna quindi nella Crisi una teoria vicino a quella del Vorfinden, ricordato da Carroccio (2012) ovvero di quell’esperire che «ciò che è presente prima di ogni pensare raziocinante, e a maggio ragione, prima di ogni pensare scientifico».5 Questo esperire puro e originario è lo stato pre-riflessivo, antepredicativo che costituisce il modo con cui noi abbiamo accesso al mondo delle sensibilità e così pure del mondo-della-vita prima di qualsiasi elaborazione teoretico-logica. Nelle Lezioni si esplicita chiaramente che l’atteggiamento naturale è l’atteggiamento dell’esperienza ed è da questo sfondo che può innescarsi lo sviluppo delle scienze naturali. L’atteggiamento naturale dunque si connette a tutta l’esperienza originario e ha che fare con la totalità del nostro mondo, non con le singole ramificazioni delle scienze. Vi è una originaria e integrale unità della conoscenza naturale che ha bisogno di riunire la dimensione psichica con quella fisica ovvero le due dimensioni del Leib che è sia corpo che psiche. Questo tutto unitario, questa totalità della natura (Allnatur) è quello che chiamiamo mondo.

Come fa notare Carroccio (2012) l’ Allnatur ci fornisce nozioni importanti sul concetto naturale di mondo delle Lezioni e ha parallelismi importanti con il mondo-della-vita. C’è una idea di totalità compatta in cui si intrecciano gli eventi fisici e psichici. La fenomenologia interviene per chiarire e garantire questa combinazione, la cui scomposizione farebbe della stessa Seele, un mero evento della natura. Essa chiarisce come le leggi che reggono questa totalità non hanno a che fare solo con la causalità, ma anche con la motivazione e la teleologia. La totalità del mondo rimanda alla totalità dell’esperienza e viceversa. L’esperienza è sempre esperienza di corpi vivi che hanno una loro collocazione nel mondo.

L’atteggiamento naturale si differenzia dall’atteggiamento apriorico facendo scaturire due diversi tipi di ontologia: quella naturale e quella formale. Il piano empirico della natura si contrappone al piano formale dell’apriori dell’oggetto in generale. C’è una prospettiva che studia le caratteristiche dell’oggetto dato nella sua singolarità materiale, c’è una prospettiva che studia le condizioni apriori del darsi di un oggetto di per se stesso. Le due maniere di considerare un oggetto non fanno emergere una dicotomia incolmabile. Definire l’apriori del darsi degli oggetti vuol dire capire come sia possibile l’emergere di quel determinato oggetto nella natura. L’esperienza non è in contraddizione con una ontologia delle strutture formali e generali degli oggetti del mondo dell’esperienza. L’ontologia formale e l’atteggiamento apriorico garantiscono il senso del mondo naturale di cui si può dare una qualche esperienza: «Se infatti non potesse costituirsi il senso del mondo naturale, non potrebbe darsi nemmeno l’esperienza stessa del mondo e nel mondo» (Carroccio 2012). Ecco allora che la stessa fenomenologia che poteva sembrare mettere fra parentesi con diffidenza pregiudiziale la tesi naturale, la rivalorizza invece ponendola in profonda connessione con le strutture generali/formali e le evidenze originarie che indaga e scopre: «l’«ontologia» della natura dispiega nelle sue discipline il senso formale-generale della tesi naturale».6 Il piano dell’originario e il piano del fenomenico sono ricondotti uno con l’altro. Le strutture formali sono riconnesse alle strutture materiali. Le forme non astratte, ma apriori non esautorano i plena sensibili e materiali degli oggetti e dei fenomeni del mondo. Ma anzi li contemplano all’interno del metodo della riduzione. Le strutture formali derivate dalla riduzione a partire dal mondo naturale dell’esperienza sono quelle da cui deve partire la scienza naturale del mondo come proprio conoscenza previa e come catalogo delle «strutture invarianti di qualunque esperienza possibile del mondo stesso».

Come abbiamo detto sopra il processo di idealizzazione coinvolge pienamente la matematica che ha a che fare con forme astratte non esperibili che vengono dedotte per via assiomatica. Per Husserl idealizzazione però non vuol dire astrazione. L’astrazione estrae dal concreto i concetti, l’idealizzazione invece li genera in un modo più autonomo a partire però sempre dalle possibilità di esistenza degli oggetti che le vengono garantite dall’esperienza pura e dalla fenomenologia. Esperienza pura e idealizzazione non sono di per sé in conflitto. L’idealizzazione non è l’astrazione nel senso che la linea in senso geometrico non è nulla di intuibile e visibile. Quello che traccio sul quaderno è superficie. Nel passaggio dall’ esperienza dai plena al frego abbiamo una struttura dell’esperienza su cui avviene un processo di idealizzazione. Ci sono dei passaggi limite dall’intuibile al non intuibile. Una volta che io ho fatto passaggi al limite non posso più chiedermi quale geometria è adeguata all’esperienza e quindi ho delle ontologie idealizzate che hanno la loro radice nell’esperienza, ma una loro autonomia di organizzazione e coerenza interna. Per questo Husserl rimprovera a Mach l’idea che l’atomo sia un piccolo corpo. Un corpuscolo infatti è un plenum che esiste solo all’interno di una molteplicità definita. Husserl difende sia lo statuto dell’oggetto della idealizzazione, sia di quello dell’esperienza, ma nega la loro incomunicabilità e tantomeno l’egemonia della idealizzazione sull’esperienza.

Per questo dal punto di vista teoretico il concetto naturale di mondo può essere utilizzato come antesignano del mondo-della-vita. Infatti anche la riduzione e il passaggio dall’atteggiamento naturale a quello trascendentale possono essere integrati. Il mondo della ontologia formale dei concetti, dei pensieri non è certamente il concetto naturale di mondo nel senso di un mondo che cambia e che è storicamente determinato. Ma Husserl fa capire che le teorie non sono innate e non nascono perché già contenute nella nostra mente. Ci deve essere dunque un processo attraverso il quale questi concetti emergono per sostenere le teorie scientifiche. Si tratta del processo di idealizzazione del concetto naturale di mondo passando attraverso le strutture dell’esperienza pura così come le intende l’Avenarius della Critica. L’idea di esperienza pura della tradizione empirista si contrappone a quella kantiana che dice che l’esperienza è pura perché c’è la concettualità. Una tradizione filosofica vede l’esperienza come fatta di stimoli disorganizzati e caotici che solo grazie all’intervento dei concetti prende forma (Quine 1960, cap. 1). Questa tesi è in antitesi con la fenomenologia. Per Husserl invece l’esperienza ha una sua forma. Non sono i concetti a mettere in forma l’esperienza, ma essi nascono dall’esperienza. Occorre mettere in luce la struttura da cui viene il processo di idealizzazione e da cui vengono estratti i concetti. L’atteggiamento trascendentale dunque poggia su una visione positiva dell’atteggiamento naturale e dell’esperienza ad esso connessa. E si apre sempre ad un ritorno all’atteggiamento naturale. La teoria nasce dall’esperienza, poi si emancipa da essa, ma deve pur sempre poter tornare all’esperienza. La scienza si emancipa, ma i concetti sorgono dall’esperienza e noi dobbiamo sempre in linea di principio poter ritornare sempre all’esperienza. I concetti sorgono dall’esperienza e permettono di organizzarla in un’altra maniera. Si modifica la maniera in cui categorizziamo il mondo, ma non quella in cui ne facciamo esperienza. I concetti hanno una loro autonomia, ma non sono indipendenti dalla realtà. Per questo Husserl propone una genesi della storia ideale della formazione dei concetti a partire dai plena. Un esempio è quello del pezzo di platino da cui lo scienziato dovrebbe farci vedere il processo per cui esso è fatto di atomi. La necessità di questo aggancio al mondo naturale e di questo ritorno all’esperienza sta nell’evitare che i concetti una volta costruiti perdano il riferimento con il contesto di origine e abbiano slittamenti di senso o sensi indeterminati e vengano usati in maniera impropria. Il tema di come i concetti aggancino la realtà non viene però risolto attraverso prove complesse di questo radicamento. Non c’è motivo di operare una deduzione trascendentale. In Husserl i concetti possono parlare dell’esperienza e rappresentare l’esperienza perché da essa sorgono e provengono. E perché ad essa devono sempre tornare. In questo modo atteggiamento naturale e atteggiamento trascendentale sono già da sempre in profonda connessione e integrazione.

La continuità tra concetto naturale di mondo e concetto di mondo-della-vita è dunque ampiamente giustificata alla luce di quanto abbiamo detto. L’esperienza originaria può avere nell’esperienza percettiva un suo fondamento senza che questa percezione contraddica il livello più originario a cui l’atteggiamento trascendentale fa riferimento. Originario e percettivo sono intrecciati e così fenomenico e trascendentale. Il livello della esperienza percettiva non è caotico, ma ha una sua struttura originaria invariante ed universale che permette all’uomo, come allo scienziato, l’accesso al mondo-della-vita in quanto anche mondo naturale in trasformazione.

Carroccio (2012) richiama il paragrafo 9b della Crisi dove Husserl mostra la Begründung della geometria nella anschauliche Umwelt e cerca di chiarire come la geometria si fondi sull’esperienza.

È vero che in questo paragrafo Husserl parla di «mondo empiricamente intuitivo» dotato di uno «stile empirico complessivo» (ivi, 60) e non si riferisce esplicitamente al mondo-della-vita. Ma questo non vuol dire che l’ Erfahrungswelt è in questo livello, come scrive Carroccio, «in contrasto con il mondo ordinato della matematica». Husserl dice esplicitamente che è possibile tematizzare uno stile invariabile all’interno del «flusso dell’esperienza totale» (ibid.), le cose e gli eventi non si sviluppano arbitrariamente ma sono «legati a priori» nella «forma invariabile del mondo intuitivo», tutto ciò che è nel mondo ha una «inerenza reciproca generale» che costituisce non una semplice totalità, ma una «unità totale (Alleinheit) ». L’Erfahrungswelt non è così nettamente in antitesi con questo perfetto universo matematico, perché esso ha una empiricità che non può che ritrovarsi all’interno del flusso dell’esperienza. Proprio per questo esso fa da base alla idealizzazione della scienza. Abbiamo ricordato infatti che Husserl non è contrario di principio a questa idealizzazione, ma polemizza con l’oblio che essa porta con sé del mondo-della-vita e con la sua incapacità di tornare al mondo dell’esperienza e quindi anche al mondo-della-vita. Nei paragrafi che parlano del concetto fondamentale della fisica galileiana e della possibilità di matematizzare i plena si ravvisa questa connessione tra esperienziale e intuitivo, tra empirico e originario anche se certamente si parla più di esperienza in relazione alla idealizzazione matematica che non di mondo-della-vita. Ma quando si fa riferimento alle strutture del mondo intuitivo certamente non si può non pensare alle strutture generali e invarianti che costituiscono proprio la Lebenswelt. Proprio il discorso sui plena e sulla concrezione degli oggetti riconduce al piano della percezione e della sua irriducibilità. Vale su tutti poi quanto detto da Husserl più avanti: «In ogni verificazione che rientra nella vita degli interessi naturali, che si mantiene puramente nell’ambito del mondo-della-vita, il ritorno all’intuizione “sensibilmente” esperiente svolge un ruolo rilevante. Perché tutto ciò che si rappresenta come una cosa concreta nella dimensione del mondo-della-vita ha una corporeità, anche se non è un mero corpo, se è ad esempio un animale o un oggetto culturale, e quindi ha anche proprietà psichiche e spirituali» (ivi, 135). Come conviene anche Carroccio c’è dunque un «ruolo privilegiato della percezione, che Husserl non può certo sminuire». La percezione rientra in un legame originario tra soggetto e realtà che genera le evidenze originarie del mondo-della-vita. Quando il termine Lebenswelt compare nel paragrafo 9f è posto subito in relazione con ciò a cui le formule della matematica fanno riferimento all’interno del campo pratico e nel 9h è subito ripreso come il fondamento della idealizzazione matematica e l’orizzonte che fornisce senso alle scienze naturali. Ha dunque l’accezione di Erfahrungswelt. È chiaro che la Lebenswelt è molto più ampia della Erfahrungswelt intesa come luogo della esperienza pura fondata sulla percezione e sulla memoria. Essa abbraccia anche tutto quello che ha interesse per l’uomo, comprese le sue valutazioni e i suoi progetti sul mondo, e non solo per l’uomo in generale ma anche per l’uomo filosofico (ivi, 179). Esso parte dalla percezione, suo fondamento irrinunciabile, per poi estendersi a tutti i rapporti che la coscienza instaura con gli oggetti del mondo. Anzi più propriamente della soggettività che è da intendersi come quello che ha a che fare con il corpo proprio e vivente, col Leib. Quindi a maggior ragione la coscienza non può fare a meno della corporeità e del suo accesso percettivo al mondo. Anche i contenuti spirituali vengono mediati dalla corporeità, proprio perché il piano iletico descritto nelle Ideen connette coscienza e corpo proprio in maniera indissolubile al di fuori di qualsiasi dualismo cartesiano. Il mondo-della-vita è tale perché viene costituito dall’esperienza pura di soggetti posti in relazione come corpi propri dalla capacità empatica. L’idealizzazione dell’universo matematico fatta da Galilei «astrae dai soggetti in quanto persone, in quanto vita personale, da tutto ciò che in un senso qualsiasi è spirituale, da tutte quelle qualità culturali che le cose hanno assunto nella prassi umana. Da questa astrazione risultano le pure cose corporee, le quali però vengono prese per realtà concrete e che nella loro totalità vengono tematizzate in quanto mondo. Si può ben dire che soltanto con Galileo si delinea l’idea di una natura concepita come un mondo di corpi realmente circoscritto in sé. Oltre che la matematizzazione, diventata troppo rapidamente una ovvietà, ciò ha come conseguenza una causalità naturale in sé conclusa, entro cui qualsiasi accadimento è preliminarmente ed univocamente determinato. Evidentemente ciò prepara anche quel dualismo che si presenterà ben presto con Cartesio» (ivi, 88-89).

Queste considerazioni ci fanno vedere come il mondo-della-vita sia il correlato più ampio della soggettività e della coscienza connessa al corpo vivente. La sua complessità si radica nel mondo dell’esperienza e della sensibilità, ma poi la travalica. Le sue strutture emergono attraverso una duplice epoché che investe sia la scienza obiettiva (ivi, 164-181), sia il mondo-della-vita medesimo (ivi, 182-215). Da queste emergono al soggettività individuale e quella intersoggettiva come veri correlativi del mondo prescientifico. Perfino la stessa scienza rientra in questo mondo però in quanto prodotto culturale dell’uomo e luogo di realizzazione del suo progetto e dei suoi fini. Il mondo-della-vita quindi si stratifica a partire dalla percezione fino a tutte le forme di conoscenza sia filosofica che scientifica attraverso cui abbiamo accesso ad esso. La sua ricchezza non si limita alla percezione, ma investe tutta la vita operante (leistend) dell’uomo. La prospettiva trascendentale si integra con quella dell’esperienza perché mette in luce il fondamento vero e originario del fenomenico e del percettivo che è l’intersoggettività dei corpi propri e viventi. La riduzione all’intersoggettività mette in luce quel legame indissolubile tra mondo e coscienza di cui il mondo-della-vita è il pieno rispecchiamento. Vi è una struttura intersoggettiva del mondo stesso che emerge in quanto i soggetti sono allo stesso tempo e paradossalmente soggetti e oggetti del mondo. Il mondo-della-vita è dunque esso stesso «comunità trascendentale di soggetti» che vivono in forme apriori e ha nel mondo un suo «correlato intenzionale di validità». La riduzione mostra che la soggettività trascendentale, di cui è correlato il mondo-della-vita, è intersoggettività ancor prima di essere ego puro. Per questo le dimensioni sociale e culturale sono fondamentali per la costituzione del mondo-della-vita. Per questo esso non è correlativo di una percezione dell’ego inteso in senso solipsistico e cartesiano. L’apriori costituito dal mondo-della-vita fa da fondamento di ogni processo storico, culturale, scientifico che ha proprio in esso la sua condizione di possibilità. In questo senso esso è il mondo dell’esperienza originaria.

Ha ragione Carroccio (2012) ha distinguere due diversi concetti di esperienza: «da un lato l’esperienza originaria come percezione, dall’altro l’esperienza originaria come esperienza vitale, cioè stratificata, composta sì di percezione, ma anche di cultura, di tradizione, di rielaborazione concettuale stessa, ma irriflessa, e per questo immediata. Non credo che Husserl potesse pensare, parlando della Lebenswelt, solo al piano dell’esperienza percettiva. Credo invece che questo concetto si voglia contrapporre al concetto di mondo vero della scienza, e riabilitare così l’esperienza originaria non come esperienza solamente percettiva, ma esperienza della doxa in generale, del modo naturale, non consapevolmente rielaborato e idealizzato. E, sebbene si possa dire che tutto quello che viene detto riguardo al concetto naturale di mondo è da ritenersi come già dato, questo non significa che questa antecedenza sia dello stesso tipo di quella che caratterizza la Lebenswelt».

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  1. Ringraziamo Vincenzo Costa che ha voluto discutere con noi ampiamente le idee principali di questo saggio che vuole essere solo un abbozzo di una possibile rilettura della Crisi delle scienze europee di Husserl. ↩︎

  2. Come precisa lo stesso De Palma (2013), in una nota che riportiamo, in realtà « alla possibilità di una geometria non delle forme ma dei contenuti e ai motivi pratici per cui essa non è stata elaborata Husserl accenna in Hua XXIV, 412 ss. e Hua XX/2, 339». ss». ↩︎

  3. Abbiamo delineato il percorso di Carnap dal fenomenismo al fisicalismo in Velardi 2007, cap. 2, pp. 29-44 e le oscillazioni di Husserl tra noetico e noematico in Velardi 2013, pp. 97-104. ↩︎

  4. Cfr. Piazza T., Esperienza e sintesi passiva. La costituzione percettiva nella filosofia di Edmund Husserl, Guerini e Associati, Milano, 2001. ↩︎

  5. E. Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia, cit. alla n. 1, p. 13. ↩︎

  6. Ivi, p. 26. ↩︎