Il problema dell’ordo amoris in Max Scheler

1. Il problema dell’ordo amoris

Nel recupero del concetto agostiniano di ordo amoris, Max Scheler si interroga sulla possibilità dell’esistenza di una gerarchia oggettiva di essenze valoriali, un «ordine dell’amore» strutturante l’intera realtà, che possa diventare nell’uomo regola del desiderio e dell’azione.

La nozione di ordo amoris, elaborata probabilmente da Scheler prima del 1912 e sviluppata solo intorno al ’15 in un omonimo saggio, emerge a più riprese come duplice: il filosofo stesso ne segnala una dimensione personale (faktische e deskriptive), riguardante l’ordine dinamico-affettivo e il sistema di preferenze dell’individuo, e una dimensione più generale (normative), che concerne invece la gerarchia metafisico-assiologica dell’universo.

Coerentemente alla propria tesi del «primato dell’amore sulla conoscenza» per cui «l’uomo, prima ancora di essere un ens cogitans o un ens volens, è un ens amans»,1 Scheler afferma come la dimensione descrittiva o personale dell’ordo amoris coincida con la fonte ultima degli atti e dell’agire morale dell’individuo. Essa indica uno «schema spirituale» che si costituisce come tale «in risposta» all’ordine gerarchico oggettivo ed assoluto dei valori (normative ordo amoris). «È la struttura dei moti del suo animo; è il suo sistema di valutazioni e di preferenze individuali, ovvero il suo ethos; è ciò da cui dipende il suo destino personale determinando non solo tutto ciò che può conoscere e volere ma anche il modo in cui il centro profondo e originario del suo essere spirituale si struttura nel corso del tempo in virtù della sua capacità di amare e di odiare».2 L’ordo amoris descrittivo è il punto nevralgico in cui si costituisce l’identità personale, determinante dello sviluppo morale del singolo, quale andrà a giocare nello spazio dei rapporti intersoggettivi, influenzando le nozioni di bene e di male che possono caratterizzare un’epoca storica. Proprio per questo, Scheler afferma come la conoscenza dell’ordine gerarchico dei valori sia «il problema dell’etica intera»: solo la possibilità che l’ordo amoris personale rispecchi quello oggettivo permetterebbe infatti all’uomo di fare esperienza delle cose secondo la loro reale struttura qualitativa, garantendogli una rettitudine del cuore che gli consenta di portare a compimento le possibilità del proprio esistere.

L’assenza di una corrispondenza fra l’ordo amoris descrittivo e normativo equivarrebbe d’altra parte a un «capovolgimento» della gerarchia metafisica all’interno dell’ordine personale degli atti d’amore, del preferire e del posporre; a sua volta, ciò causerebbe un desordre du cœur, ossia uno scompenso del proprio ordine affettivo, insieme a uno svilimento del mondo personale in quanto possibile oggetto di conoscenza e in quanto «ambito di volontà, di azione e di efficacia».3

Il rapporto tra i due livelli dell’ordo amoris, deskriptive e normative, rimane tuttavia problematico: le possibilità, modalità e condizioni della «risposta» personale all’ordine gerarchico non vengono mai approfondite o chiarificate da Scheler.

Con questo lavoro si vuole dunque ipotizzare l’esistenza di una dimensione che funga da punto d’incontro fra i due diversi ordo amoris: la dimensione metafisica, di cui ogni uomo è dotato e che si esprime nel metaphysische Hang. Essa coincide col centro d’atti dell’individuo, che pur applicandosi ed estrinsecandosi sempre a livello storico, presenta un aspetto di «partecipazione» all’Assoluto, valore apice della gerarchia assiologica. Solo la realizzazione di questo rapporto ontologico (e pur tuttavia potenziale in quanto calato nella storia) tra la coscienza finita e l’essenza infinita a lei correlata, potrebbe così garantire che l’assetto affettivo dell’uomo si riassetti, rendendo dunque possibile un compimento d’esperienza.

A questo riguardo sono stati utilizzati alcuni testi scheleriani appartenenti al «secondo periodo» della sua produzione (1910/20 ca.): nell’analisi di fenomeni esistenziali quali l’invaghimento (Vergaffung) o il risentimento, Scheler identifica delle componenti d’essenza in grado di svelare, nel loro essere sintomo di un disordine del cuore o di un’illusione, l’esistenza dello stesso ordine oggettivo di cui sono negazione.

2. Rifondazione di un’etica

L’esigenza di ridefinire l’etica nella direzione di una rivalutazione della vita affettiva come primario veicolo di afferramento delle essenze valoriali, sorge in Scheler in seguito alla constatazione di certi orientamenti vigenti al proprio tempo: egli osserva come la morale venisse inevitabilmente ridotta o a un soggettivistimo e relativismo privi di fondamento, o a un’apoditticità che la svuotava di ogni contenuto sensibile. Le obiezioni del filosofo a queste posizioni, la seconda delle quali viene rappresentata nella sua forma più estrema da Kant, lo conducono alla composizione, tra il 1913 e il ’16, dell’imponente trattato Il formalismo e l’etica materiale dei valori: in questo testo Scheler opera uno straordinario tentativo di fondazione di un’etica «come disciplina applicabile alla vita nella sua concretezza».4 Egli fa appello a un superamento del «falso eroismo del dovere» e dell’intellettualismo kantiani, impregnanti della cultura moderna, invocando una riaffermazione della componente emotiva dello spirito. In quello che viene chiamato lo spaventoso «desordre du cœur» dell’uomo contemporaneo, la scoperta di una «logique du cœur», definizione pascaliana cara a Scheler, si presenta come significativa possibilità di recupero di una sfera dell’esperienza, quale, in un’epoca dominata dalla tecnica e dalla razionalità scientifica, sembra aver perduto la propria dimensione di senso.

Il fatto che « le cœur a ses raisons, que la raison ne connaît point »5 non indica, agli occhi di Scheler, il dover dare spazio a un cieco sentimentalismo rinunciando alle esigenze di esattezza della ragione; piuttosto, a detta del filosofo, denota un ampliamento dell’ambito delle correlazioni eidetiche a priori, confinate riduttivamente da Kant nella «ragione pratica formale». Se Kant aveva avuto il merito di sviluppare i presupposti di un’etica filosofica «pura», la quale grazie alle proprie correlazioni a priori prescindeva da ogni contenuto empirico relativo, aveva d’altra parte dovuto rinunciare con questa operazione alla possibilità di una significatività dell’esperienza sensibile; la sua «legge morale» risultava una legge formale e vuota che, nel suo carattere di «imperativo categorico», si trovava ad astrarre da ogni valore come qualità materiale, e da ogni tipo di intenzionalità affettiva. Ne conseguiva che l’insieme e la struttura della vita pulsionale di una persona non venivano più considerati nella loro componente valutativa, ma come elementi da subordinare alla prestazione del volere (ragion pratica).6

Preso atto di questo, Scheler si propone di fondare un’etica che possa essere allo stesso tempo materiale e a priori, cioè «fondata su principi evidenti e non dimostrabili né confutabili grazie all’osservazione e all’induzione»,7 che diventino però tratto costitutivo di precisi contenuti esperienziali. Egli, dando adito alla volontà umana di scoprire una componente sistematica inerente alle cose stesse, intendeva poter riguadagnare, grazie a un «intuizionismo emotivo», il contenuto assiologico, apriorico, di ogni bene concreto.

Se Kant, sulla scorta di un antico pregiudizio, aveva completamente ridotto la vita emotiva alla sfera sensibile-organica, Scheler intende dimostrare come essa sia invece caratterizzata da una complessa stratificazione: in essa si danno infatti anche un puro intuire, una pura percezione affettiva, un puro amare e odiare, un puro tendere e volere, indipendenti dalla nostra organizzazione psicofisica e irriducibili alle regole della psicologia empirica; il filosofo dimostra come dunque esista un’etica allo stesso tempo assoluta ed emozionale.8

3. La destinazione individuale come vocazione etica

È proprio la doppia accezione dell’etica inaugurata da Scheler, che in una pretesa di universalità non cessa mai di darsi e ricostituirsi attraverso un materiale storico, a condurlo alla formulazione dell’ordo amoris come realtà unitaria e duplice: esso si presenta infatti in quanto struttura assiologica oggettiva permeante tutte le cose, quale si offre però secondo quelle che egli nomina «regole di preferenza», in un processo di evoluzione e sviluppo.9 Esiste dunque un ordo amoris normativo, gerarchia assoluta, e un ordo amoris descrittivo, che si afferma storicamente «plasmandosi» sul primo in una continua funzionalizzazione10 dei propri contenuti.

Nella prefazione alla seconda edizione del Formalismo, Scheler afferma come la propria rivisitazione dell’etica vada di pari passo con un rigoroso personalismo e con la dottrina ad esso connessa di un «bene valido individualmente ed oggettivamente», della «vocazione» etica individuale di ogni singola persona.11 In Ordo amoris, viene a questo riguardo approfondito come «all’essenza del mondo morale appartiene il fatto che esso si manifesti, proprio nel caso della sua massima perfezione, nello spazio del bene oggettivo e universalmente valido, e nondimeno in una pienezza mai definitiva di individuali uniche formazioni assiologiche».12

Questo duplice aspetto dell’etica inaugurata da Scheler ne mette certo in luce la dialettica interna, per cui risulta effettivamente impossibile cristallizzare i valori in un sistema morto che non tenga conto dell’essenza viva della persona, unica in grado di scoprire e realizzare nuovi valori. D’altra parte risulta necessario capire se e come sia possibile «imprimersi nel cuore questo ordo amoris», cioè portare a compimento a livello individuale l’ordine oggettivamente corretto.

Nella differenziazione operata da Scheler fra ordo amoris oggettivo o normativo, e ordo amoris soggettivo o descrittivo, emerge una particolare accezione dell’ordo amoris normativo, la quale esprime la possibilità di una piena realizzazione dell’ordine affettivo personale: è il concetto di destinazione individuale.

Nel saggio Ordo amoris Scheler spiega come l’utilizzo del termine normativo non indichi una «quintessenza di norme»,13 anzi chiarisce come quest’ordine sia «idealmente-normativo, non a mo’d’imperativo morale»;14 esso è l’ordine in cui si trovano tutti i possibili aspetti che nelle cose sono degni di essere amati, «un ordine gerarchico strutturato appunto in base al valore intrinseco e appropriato di quelle cose stesse»,15 qualcosa che l’uomo non può creare o porre, ma solo conoscere. L’effettuarsi di questa conoscenza, l’eventualità dunque che «l’ordo amoris oggettivamente corretto venga posto in relazione alla volontà dell’uomo, comandato da una qualche volontà esterna, restando però al tempo stesso qualcosa di personalmente conosciuto»,16 coincide col realizzarsi della destinazione individuale. Essa è dunque «qualcosa di non meno oggettivo, benché sia al contempo ciò che per il suo particolare contenuto di valore mira a questo soggetto e solo a questo soggetto».17 La destinazione individuale viene definita da Scheler anche vocazione (Berufung): essa è ciò che, in quanto riconosciuta e accettata, porta alla luce il posto peculiare che spetta a un determinato soggetto nel piano salvifico del mondo. Proprio per questo suo significato «metafisico», viene definita anche un’«essenza assiologica in sé senza tempo nella forma della personalità».18 Tuttavia, così come non viene posta o formata dall’uomo, ma solo riconosciuta e svelata in tutta la sua pienezza in modo progressivo nel corso delle esperienze di vita, «è però altrettanto vero che essa esiste solo per la persona spirituale che è in noi».19 Nel legame con la determinata, essenziale «forma valoriale» (Wertgestalt) della persona, la destinazione individuale è così anche concreta espressione della sua determinata gamma di possibilità di realizzazione di valori: a detta di Scheler essa rappresenta i valori accessibili all’essenza di un uomo anche in base al corso della sua storia singolare; non è dunque scindibile dal suo aspetto di «parzialità».

Posto però che esiste un eventuale compimento del proprio ordine dell’amore, e dato il fatto che esso si realizza nel corso della storia personale, è necessario approfondire o tentare di chiarificare come diventi possibile nell’esperienza contingente questo «riconoscimento» della propria vocazione, nell’adesione soggettiva alla gerarchia assiologica oggettiva.

Se rispetto al soggetto Scheler parla di destinazione individuale, rispetto al mondo Scheler parla di destino e mondo ambiente. Di fatto ogni individuo è segnato dalla nascita da un insieme particolare di circostanze, un determinato destino (Schicksal) e mondo ambiente, che influenzerà e porterà a formazione in modo specifico l’assetto affettivo dell’individuo. Scheler nomina destino di un uomo «tutti quegli eventi concreti che sembrano portare a compimento il suo ambito di possibilità di esperire il mondo». Il destino non va quindi inteso in senso finalistico o fatalistico, ma piuttosto come campo d’azione possibile, che va via via determinandosi nelle scelte personali dell’uomo, determinandosi ed eventualmente «restringendosi». Scheler si preoccupa di criticare una concezione del destino come fatto incontrovertibile, riduzione avvenuta storicamente sia col concetto greco di heimarmène, sia col concetto cristiano, in particolare agostiniano e calviniano, di elezione per grazia. D’altra parte l’idea scheleriana di un «sorgere» del destino dalla vita dell’uomo e del popolo, «una vita che si alimenta continuamente di contenuti e che funzionalizza i contenuti dati in precedenza», sembra non andare lontana dalle concezioni da lui stesso criticate. Nonostante la sua presa di distanza da un’idea deterministica, per cui egli afferma che «l’uomo, in quanto persona libera, può assumere comportamenti differenti nei confronti del destino stesso», risulta difficile comprendere come sia effettivamente possibile «sviare» l’attività sistematica dell’a priori soggettivo nella cosiddetta funzionalizzazione delle essenze. Scheler stesso afferma che l’attività dell’a priori soggettivo di per sè non è mai un positivo edificare, costruire, formare: essa è piuttosto un negare, un reprimere, trascurare in modo sistematico, determinato secondo le essenze intuite in precedenza, tutto il contenuto accessibile del mondo che non svolga nei confronti di queste connessioni essenziali una funzione di riempimento e di conferma.20

Tenendo dunque conto di come per Scheler, come accennato, il rapporto emozionale fra la coscienza e le essenze oggettuali sia il motivo iniziale e fondativo della conoscenza, risulta necessario approfondire il concetto di «funzionalizzazione della conoscenza eidetica».

4. La dimensione metafisica e la funzionalizzazione della conoscenza

La conoscenza di cui Scheler parla è una conoscenza d’essenza, cioè una conoscenza che, secondo le parole di Bosio, «coglie l’a priori materiale anche in un solo esempio fattuale, ideifica l’esempio concreto, lo trasforma in idea».21 In particolare, la coscienza intenzionale diretta all’essenza è caratterizzata da un’intenzionalità «affettiva», per cui è orientata innanzitutto al coglimento e alla realizzazione del valore contenuto nell’oggetto di esperienza. Nello scritto Ordo amoris Scheler afferma che «ciò da cui dipende il corso del destino è il modo peculiare in cui prende forma l’effettivo ordo amoris di un uomo, che prende appunto forma in base alle regole ben definite di una progressiva funzionalizzazione degli oggetti assiologici primari che nella prima infanzia hanno suscitato il suo amore».22

L’analisi del concetto di «funzionalizzazione» viene intrapresa in un testo parallelo alla stesura di Ordo amoris, Absolutsphäre und Realsetzung der Gottesidee, datato 1915-16: parlando della «Metafisica dell’infanzia», Scheler spiega come, durante la crescita, lo spirito umano riutilizzi e rielabori le proprie conoscenze d’essenza (la conoscenza di determinati oggetti e valori che viene sviluppata nel corso della propria esperienza di vita), che diventano progressivamente «funzioni» dello spirito, meccanismo di selezione per conoscenze ulteriori. Parlando qui di «rielaborazione» delle conoscenze essenziali, Scheler non vuole riferirsi a un processo cosciente di rimaneggiamento e impiego della conoscenza: piuttosto egli indica momenti di esperienza che la persona coglie incoscientemente come «verità di sé», e in cui essa si identifica, momenti che si incarnano soprattutto in rapporti umani. Questa «trasposizione» del sé rende l’oggetto forma funzionale dello spirito, suo modello o unità di misura.

Per capire come sia possibile che avvenga una totale identificazione di sé in altro da sé, è innanzitutto necessario osservare come nel testo in questione il problema della funzionalizzazione venga legato all’esistenza nell’uomo di una «sfera assoluta» (Absolutsphäre) o «inclinazione metafisica» (metaphysische Hang): questa inclinazione è ciò che rende l’uomo un insaziabile ricercatore dell’essenza oggettuale capace di soddisfare una sete affettiva e conoscitiva che gli oggetti mondani non possono placare. L’inclinazione metafisica dell’uomo è la stessa illimitatezza dell’amore di cui Scheler parla in Ordo amoris, la quale viene esperita come potenza e tendenza illimitata, ed è paragonabile all’«infinita tensione verso Dio che si trova in Leibniz, nel Faust di Goethe e in J. G. Fichte».23 Un amore per essenza infinito, afferma Scheler, «per quanto esso sia sempre per così dire un amore spezzato, legato e concretizzato nella particolare struttura del suo portatore, esige dunque un bene infinito capace di appagarlo». Inquietum cor nostrum donec requiescat in te, suona l’asserzione agostiniana che Scheler rifà sua: Dio e solo Dio può essere l’apice della struttura graduale e piramidale del regno degli aspetti degni amati, e laddove l’uomo creda di avere raggiunto in un bene finito il definitivo appagamento e il pieno soddisfacimento della propria sete d’amore, «non si tratta altro di un’illusione, di una stagnazione della sua maturazione spirituale e morale. In questo caso l’uomo rimane legato a una pulsione istintuale, o meglio perverte la funzione di quest’ultima, che in sé dovrebbe suscitare l’amore e definirne l’oggetto, in una funzione che in realtà incatena e frena l’amore stesso».24

Nel testo Absolutsphäre, Scheler puntualizza come l’identificazione di sé in un oggetto coincida con un’applicazione della totalità del proprio centro d’atti, nello specifico con un atto di fede (Glauben) totale nell’oggetto stesso. Ogni «atteggiamento metafisico» (metaphysische Einstellung), il quale per forza di cose presuppone una «metafisica induttiva»,25 cioè qualcosa che occupi il posto della sfera assoluta, pretende un giudizio di fede o di non-fede nei confronti di questo stesso qualcosa. Ancora di più, l’atto di credenza o fede è ciò che caratterizza qualsiasi giudizio di realtà: «la coscienza di realtà di qualcosa è sempre, secondo la sua modalità coscienziale, una coscienza di fede; il legittimo come l’illegittimo, la coscienza di realtà di un Dio come quella di un tavolo».26 Certo Scheler opera una distinzione fra l’atto di credenza (Belief) e l’atto di fede (Glauben o Faith): se quest’ultima infatti costituisce una piena applicazione (Einsetzung) del centro d’atti della persona, che riguarda la sua intera unità, la credenza è un atto singolo, che lascia il centro d’atti dell’intenzione pienamente indifferente. Secondo le parole di Cusinato, «la fede coinvolge l’intera persona ed è orientata all’essere reale nella sfera assoluta; la credenza è invece propria d’un singolo atto bisognoso di verifica empirica e sempre riferito ad un essere relativo.»27 Il «giudizio di realtà» non viene per forza di cose a coincidere col giudizio di fede: quando però ciò avviene si sta parlando di un’«allocazione della fede» (Faith-Belegung), ossia del posizionamento di un oggetto finito nella propria Absolutsphäre.

Ciò che risulta interessante, è come la fede rappresenti una dote essenziale (Wesengeschick) di ogni coscienza finita. Ciò significa innanzitutto che l’inclinazione metafisica dell’uomo esige da subito un oggetto che la soddisfi; in secondo luogo, data l’impossibilità iniziale di trovare questa soddisfazione, viene giustificata la quasi inevitabilità dei sovvertimenti del cuore (il desordre du cœur), il quale sembra impossibilitato a trovare in modo immediato l’oggetto a lui corrispondente.

In un paragrafo del testo Absolutsphäre, Scheler afferma come ogni coscienza finita, sia a livello del singolo uomo, sia a livello dei differenti popoli, nazioni, contesti culturali, possegga in modo necessario delle forme di soddisfazione (Befriedignungsformen) della propria inclinazione metafisica: esiste sempre perlomeno un «minimo metafisico» (das metaphysische Minimum), cioè le datità che ogni visione naturale del mondo (natürliche Weltanschauung) confonde con il reale assoluto stesso. Scheler si riferisce a «miti popolari» naturali e ingenui, a Weltanschauungen e forme dell’ethos rielaborate e «riflesse» (verarbeitete und reflektierte Weltanschauungen und Ethosformen) dagli strati spiritualmente dominanti; infine, alle metafisiche delle singole persone. Per quanto infinitamente differenti possano essere queste forme spirituali, esse hanno tutte in comune il fatto che determinate cose dall’essenza finita («l’anima», «la vita», «la volontà», «il pensiero», «il nulla»), vengono assolutizzate, cioè poste nella sfera assoluta personale e rivestite con la fede, in modo ingenuo o con l’aiuto della riflessione.28

Questa dinamica di «allocazione della fede» è una costante storica strutturale: Scheler spiega come ogni essere vivente attraversi in quanto tale nascita, crescita, maturità, corruzione e morte, e come le forme del suo essere siano il divenire e il trascorrere. Questi processi sono regolati da legalità associative, e sono processi che hanno luogo regolarmente. Indipendente da essi, rimane solo la legalità dell’essere personale dell’uomo, e degli atti intenzionali personali. Per questo, se da una parte queste determinate forme di sviluppo della vita di un uomo sono indifferenti rispetto a quello che un uomo può vivere ed esperire (uomo come centro d’atti personali), dall’altra non sono indifferenti le forme-funzionali dei vissuti di questi contenuti: infatti il periodo particolare in cui viene vissuta qualsiasi possibile esperienza, non è indifferente rispetto al modo in cui questa esperienza funzionerà nel corso della vita. La «sfera assoluta»di un bambino viene necessariamente occupata da tipi di valori oggettuali diversi rispetto a quelli di un uomo dell’età matura.

Per esempio, la qualità valoriale «santo» (heilig) aderirà all’immagine del padre, e questo non solo secondo una credenza nelle sue parole, nei suoi ordini etc. ma secondo una fede negli stessi. Così in modo analogo, nel corso della vita l’uomo avrà a che fare con una serie di beni e valori relativi che inizialmente prendono il posto della sfera assoluta, «rimpiazzandola» dunque con qualcosa di relativo, ma che poi vengono a loro volta relativizzati, o meglio funzionalizzati, secondo le esperienze successive dell’individuo. Questo processo avviene in modo corrispondente alla descrizione scheleriana dell’a priori soggettivo, e della sua attività di «repressione sistematica» dei contenuti esperienziali «che non svolgano nei confronti delle connessioni essenziali date in precedenza una funzione di riempimento e di conferma».

Varrebbe dunque secondo Scheler la seguente legge formale: un’essenza valoriale o un’essenza valoriale comportamentale, la cui datità si offre al bambino nell’incontro con una persona o una cosa («bontà», «brutalità» del padre infuriato, o l’essenza «femminilità» di madre, sorella, serva) diventa da qui «valore-individuale», e rispettivamente «valore-individuale-comportamentale» (Wertverhalts-Individuum), ma anche «valore-essenziale», e rispettivamente «valore-essenziale-comportamentale» che, sparendo dalla coscienza di chi lo porta, agisce in quanto tale come momento selettivo per future esperienze di vita, di cose, persone o beni. Così questo momento avrà una funzione di selezione per la conoscenza, a meno che non intervengano processi di altro tipo, per esempio di atti personali29 o di causalità vitale.

«Detto in altro modo: quanto prima viene fatta l’esperienza di un’essenza valoriale o di un’essenza-valoriale-comportamentale, tanto più questa esperienza avrà in sé una necessaria tendenza vitale ad assumere per tutte le possibili lontane esperienze di ‘bene’ la forma efficace di una precisa categoria, o anche la dignità di un atto a priori, e l’essenza e il comportamento di ‘una cosa a priori’.»30

È stato dunque analizzato questo necessario «processo di applicazione» della sfera assoluta e della propria capacità affettiva in determinati oggetti finiti: prima di capire cosa potrebbe permettere di sottrarsi al rischio di queste riduzioni apparentemente inevitabili, si vorrebbe approfondire cosa avviene qui a livello esperienziale, cioè quali tipi di fenomeni sono esplicativi di questa dinamica.

5. Desordre du cœur: idolatria e risentimento

Scheler indica col termine Charisma, «modello di vita» (Lebensgestaltung), il sorgere di una forma funzionale che agirà come momento inibitore nei confronti di altre forme esperienziali, spiritualmente più adeguate all’uomo; questo processo di «stagnazione spirituale» avviene in particolare quando «l’uomo, come singolo o come aderente ad una qualsiasi forma di associazione tra più uomini, crede di aver raggiunto in un bene finito il definitivo appagamento e il pieno soddisfacimento della propria sete d’amore».31 Nello scritto Ordo amoris Scheler spiega come in questo caso l’individuo rimane incatenato ad una «pulsione istintuale», cioè ad una pulsione che, pur essendo di principio buona, viene pervertita: mentre essa dovrebbe suscitare e accrescere l’amore, diventa qualcosa che invece lo incatena e lo frena. Questo blocco, che in questo testo viene definito da Scheler infatuazione (Vergaffung), rappresenta la forma più generale di sovvertimento e distruzione dell’ordo amoris.32 L’infatuazione indica un essere trascinato e intrappolato in un bene finito, un esserne invaghito senza provare più rispetto per il proprio «preminente centro personale».

Scheler parla di due tipi di infatuazione, relativa e assoluta: l’infatuazione relativa riguarda il caso in cui l’uomo, in base alla concreta e peculiare struttura del proprio amare e in base al modo in cui preferisce e pospone determinati valori rispetto ad altri, trasgredisce l’ordine gerarchico e oggettivo di ciò che è degno di essere amato. L’infatuazione assoluta riguarda il caso in cui il valore di un bene finito occupi nella concreta coscienza assiologica dell’uomo lo spazio dell’assoluto — spazio che è sempre necessariamente presente in ogni uomo, che egli ne sia consapevole o meno. Il bene che viene così illusoriamente assolutizzato si chiama idolo, e corrisponde alla descrizione che viene condotta nel testo Absolutsphäre riguardo ai miti e alle metafisiche che occupano la sfera assoluta dell’uomo, ottenendo lo statuto di «oggetto di fede». Così, qualora l’uomo arrivi ad identificare sul piano assiologico il proprio centro spirituale-personale con questo oggetto, al punto di trovarsi in un rapporto di fede e adorazione nei suoi confronti, l’oggetto viene erroneamente idolatrato, e il cuore dell’uomo comincia a trovarsi in uno stato di smarrimento metafisico33.

Nel testo Absolutsphäre und Realsetzung der Gottesidee viene affermato che all’uomo non viene lasciata alcuna scelta fra «dei» e «idoli»: egli, secondo le strutture formali della coscienza finita, ha necessariamente degli idoli; l’essenza dell’idolo è il «carisma non superato» (unüberwundene Charisma), il quale appartiene necessariamente a ogni punto temporale dello sviluppo di un essere vivente spirituale, e il cui contenuto viene astratto dalla sfera delle essenze degli enti e dei valori finiti, per venire poi «rivestito» dalla fede e posto nella sfera assoluta.34

Una sfumatura emotiva significativa dello smarrimento metafisico che appartiene al sovvertimento dell’ordo amoris, è il risentimento.

Scheler dedicò alla descrizione di questo fenomeno uno dei suoi scritti più belli, Das Ressentiment im Aufbau der Moralen, testo che vide luce pochi anni prima della pubblicazione di Ordo amoris.

Le analisi che Scheler conduce sul risentimento rappresentarono una chiave importante di rilettura della situazione storico-sociale della seconda metà del ’900, secolo delle ideologie, insieme a un nuovo tentativo di comprensione della mentalità moderna borghese: il fariseismo culturale e la mediocrità dell’epoca contemporanea rappresentano infatti il risultato di un necessario adattamento a una morale universale, surrogato della soggettivazione dei valori; questa soggettivazione e relativizzazione della morale sarebbe a sua volta, a detta del filosofo, una conseguenza del risentimento.

Il risentimento è una legge psichica che insorge in conseguenza di un amore scorretto, cioè dalla rimozione di «certi sfoghi ed effetti, e che ha per conseguenza certi perduranti attaccamenti a ordini illusori di valori». Per questo il risentimento può influenzare l’etica sociale, perché producendo una cecità rispetto alla corretta gerarchia assiologica, giunge a determinare le nozioni di bene e di male rispetto a degli svisamenti arbitrari del valore. Se la volpe della favola di Esopo non riesce ad arrivare all’uva… questa sarà di certo acerba. I valori «sono ben vivi» nella volpe, «ma sono contemporaneamente nascosti da pseudo-valori»; il risultato è quello di ritrovarsi a vivere consapevolmente in un mondo di finzioni (pensando magari che l’uva non sia più dolce).35

Nel suo nucleo essenziale, il risentimento coincide con un’incapacità a tradurre in atto la violenza di determinate passioni. Alla base ci sono dei sentimenti cattivi, come invidia, malignità: quando essi non riescono a trovare adeguata espressione a causa della propria consapevole impotenza, o quando non vengono seguiti da un superamento morale, diventano risentimento.36

Il risentimento risulta un fenomeno interessante nell’ottica di questo lavoro in quanto, secondo la logica del suo sviluppo, ha un legame strutturale con l’ordo amoris. Come afferma Manfred Frings nel suo illuminante articolo: «nel risentimento è rovesciato l’ordine originale fra le direzioni dell’amore e i loro correlati, in quanto sta a fondamento dell’etica che la serie graduata dei ranghi valoriali emozionali è a priori. Per questo motivo Scheler lascia che anche nell’uomo risentito i valori veri traspaiano attraverso i valori frutto di illusione; ogni ‘ipocrisia organica’ possiede cioè ancora la struttura dei veri rapporti valoriali, che nel caso estremo del risentimento possono impallidire fino alla soggettiva irriconoscibilità. Tuttavia il rango dei valori rimane un’inabrogabile condizione dell’intero contesto dei vissuti possibili, che causa di fatto il conflitto vitale fra impotenza e desiderio di un valore».37

Il risentimento non è dunque altro che una riprova dell’esistenza, a livello personale, di un ordine dell’amore oggettivo; esso è sintomo di una svista, di una falsificazione e disordine nel rapporto fra la coscienza e la corretta gerarchia dei valori. Il risentimento opera un’alterazione della realtà, è un’illusione che in quanto tale rappresenta una caratteristica «del modo di pensare borghese moderno, in cui lo spirito si separa dall’essere ed entra nella spirale del soggettivismo e del relativismo».38

La concezione scheleriana del risentimento ribalta anche la famosa interpretazione che ne dà Nietzsche; quest’ultimo lo concepiva infatti come un affetto psichico originariamente creatore e generatore di valori: «mentre ogni morale aristocratica germoglia da un trionfante sì pronunciato a se stessi, la morale degli schiavi dice fin dal principio no a un ‘di fuori’, a un ‘altro’, a un ‘non io’ […] questo rovesciamento del giudizio che stabilisce valori — questo necessario dirigersi all’esterno anziché a ritroso verso se stessi — si conviene appunto al ressentiment».39 Se dunque in Nietzsche i veri valori nascono come conseguenza di un avvelenamento psichico, reazione a una morale aristocratica che vive di ideali prefabbricati, in Scheler il risentimento si inserisce solo in seconda battuta, non come generatore ma come sintomo di una personale riduzione della morale autentica e della sua struttura assiologica, dunque come sintomo dell’immanenza di questa struttura al cuore dell’uomo.

Scheler ripete in questo testo come la moralità autentica si fondi su «una gerarchia di valori eterna e sulle leggi evidenti di precedenza corrispondenti a tale gerarchia, che sono oggettive e rigorosamente intelligibili quanto la verità matematica. Si dà un ordre du cœur e una logique du cœur, come dice Pascal, che il genio etico va scoprendo rapsodicamente e che non sono in se stessi storici: storica ne è piuttosto la comprensione e la conquista».40 Certamente il fatto che la conquista di nuovi valori si espliciti storicamente non indica un necessario processo di compimento della morale: come visto, possono affermarsi nell’uomo diverse dinamiche di riduzione del proprio ordo amoris; l’attività dell’a priori soggettivo stesso di per sé non è che «distruttiva e repressiva» di eventuali nuovi aspetti assiologici del mondo, non generativa o scopritrice di questi.

Risulta a questo punto necessario recuperare la definizione scheleriana di Charisma, termine con cui il filosofo indica un momento di esperienza che, incarnato in una personalità o in un oggetto di valore (Wertding) e riversito con la fede, occupa il posto dell’Absolutsphäre dell’uomo. È possibile che il carisma, forma soggettiva a priori che opera nell’individuo come funzione di selezione ed epurazione del materiale esperienziale, diventi termine positivo di crescita dell’uomo e costituzione della sua identità? È possibile dunque che al posto di un restringimento dell’ambito di realizzazione di possibilità valoriali, si attui una dilatazione dello spazio-tempo che costituisce il destino e il mondo-ambiente personale?

Si può rintracciare una risposta a questo quesito in un testo poco precedente ad Absolutsphäre und Realsetzung der Gottesidee, Vorbilder und Führer, risalente a degli appunti di alcune lezioni tenute da Scheler negli anni 1912-14.

6. Modelli e capi

Nel testo Modelli e capi emerge come nella figura del Vorbild, il modello, si situi il punto culmine della riflessione scheleriana: se nel corso della vita la psiche e la struttura affettiva di ogni uomo vengono improntati da momenti di esperienze di essenzialità valoriali, e se la «persona», conferendo significato a ogni ordinamento morale, rappresenta il valore supremo, il modello, incarnando un’esigenza di carattere ideale, diventa un punto di snodo fondamentale alla costituzione dell’identità personale e al compimento della propria destinazione individuale.

Il modello dunque enuclea secondo la propria essenza un contenuto apriorico: in evidente assonanza con la descrizione del Charisma condotta in Absolutsphäre, nel testo Vorbilder und Führer esso viene definito come ciò che «determina i contorni dell’esperienza possibile, in quanto libera dalla prima esperienza contingente e compie l’atto di ideazione.»41 Quanto più un modello viene fatto proprio, quanto più egli cioè muove il proprio seguace provocando in lui un’immedesimazione nella sua esperienza, tanto più esso opererà incoscientemente come una categoria soggettiva, grazie alla funzionalizzazione in a priori psicologici del proprio contenuto.42

Il modello è così sempre, secondo il suo senso immanente, un concetto di valore: esso è un uomo empirico che ha l’efficienza di un archetipo, porta in sé dunque un momento storico e un momento apriorico, «ciò che è e ciò che ha da essere, una componente d’immagine e una di valore».43 Proprio per questa sua componente d’essenza, il modello instaura col proprio seguito un legame personale-affettivo, cioè «carismatico», che si esprime, come visto, nella fede nella persona, nella fiducia, nell’amore, e nell’autoidentificazione con il suo destino e il suo essere; e per questo, il rapporto fra modello e seguace è sempre un legame ideale, indipendente da spazio, tempo, presente reale, e indipendente dalla stessa esistenza del modello originario.44

Che dunque l’idealità, il valore, assuma la validità che gli è propria essenzialmente nel suo essere vivo in una persona, e non in un qualsivoglia materiale empirico, fa capire come l’ordo amoris descrittivo si vada formando grazie alle personalità carismatiche con cui l’uomo entra a contatto.

L’esemplarità, secondo la traduzione privilegiata da Cusinato, rappresenta così per l’etica materiale dei valori di Scheler ciò che il dover essere è per l’etica formale di Kant: «l’anima non viene mai formata da regole morali astratte e universalmente valide, ma sempre e soltanto da modelli chiaramente intuibili.»45 L’esigenza ideale incarnata dal modello trascende dunque sempre l’ambito della normatività: come afferma Lambertino, «mentre la norma, anche se fondata su valori, concerne principi universalmente validi e si riferisce ad atti concreti, il modello tende a rivendicare il carattere individuale della vita morale e pretende intenzionalmente l’adesione dell’essere stesso della persona.»46

Dopo aver messo in luce questa prima generale accezione del Charisma, per cui esso rappresenta un contenuto esperienziale assiologico, correlato all’atto intenzionale affettivo della coscienza, è necessario indagare quali tipi di carisma sono effettivamente in grado di promuovere nell’individuo un compimento dell’ordo amoris descrittivo, ovvero un possibile raggiungimento della propria destinazione individuale.

Un riferimento interessante può essere trovato in un passaggio di Absolutsphäre: parlando delle necessarie «metafisiche naturali» che «intasano» la coscienza dell’uomo impedendogli l’afferramento dei valori più elevati, Scheler sostiene la necessità di un processo di liberazione e purificazione della coscienza, così che la fede cieca (blinde Glauben) che la caratterizza si trasformi in fede ragionevole (einsichtige Glauben). Questo processo può essere realizzato solo attraverso un’«arte dello sviluppo dello spirito e della persona», una cosiddetta «psicotecnica dello spirito» (Psychotechnik des Geistes), praticata dal «medico del suo tempo» (Arzt seiner Zeit). Quale sarebbe esattamente il compito di questo «tipo»? Egli deve rintracciare nei suoi pazienti (siano essi un unico individuo, una famiglia, un popolo etc.) i contenuti esperienziali a cui l’individuo presta fede, e che hanno preso il posto della sua «sfera assoluta» (Absolutsphäre); dopodiché, deve guidare l’illusione metafisica del paziente (la fede assoluta in questi contenuti) in una dis-illusione, così che i «miti» che l’individuo si è costruito nella propria storia vengano portati a coscienza. Scheler specifica come questo «medico» renda l’uomo sano per lo spirito, il senso, e il raggiungimento della sua possibile salvezza.

La figura del medico non viene in questo testo ulteriormente approfondita; in ogni caso, la sua funzione quasi profetica, nella capacità di promuovere un cambiamento di sguardo all’essere dei valori, rimanda ad alcune analisi condotte in Modelli e Capi, dove Scheler prende in esame il «santo originario».

In un passaggio del testo, Scheler afferma che «lungo la catena dei modelli familiari, in prima istanza i genitori, dei modelli di ceto, professione, modelli del popolo in tutte e cinque le direzioni di valore, infine dei modelli santi, l’uomo si solleva grazie ad altri uomini al contempo verso di sé.»47Il santo emerge dunque come «modello sommo», persona moralmente perfetta, capace di guidare l’uomo verso il proprio compimento. Il «santo originario» comprende e ispira tutti gli altri tipi di modelli in quanto incarna nella sua persona il valore più elevato della gararchia assiologica, il sacro, che nello sviluppo storico risulta il fattore originario e determinante di ogni cambiamento. L’esemplarità del santo è l’unica in grado di agire a livello dell’io profondo, permettendo di «potersi sviluppare o rinascere ‘dentro’ lo spazio conquistato da un particolare modo di vivere, da un gesto, da un’espressione», e di trovare in sé «quello spazio interiore che si era esaurito».48

Parlando del «santo originario», Scheler si riferisce all’esemplarità di determinati personaggi storici, quali Maometto, Buddha, Cristo, figure la cui potenza si esprime nell’essere portatori di un messaggio essenziale dell’unico Dio vivente. «Come Dio è uno, così è una la persona a cui Egli comunica nel modo più pieno la propria essenza. Se, come nel cristianesimo, questa comunicazione non è solamente rivelazione e illuminazione […] ma comunicazione di persona e sostanza all’uomo mediante generazione — cioè la massima forma di comunicazione pensabile, allora l’unicità è assoluta».49 Scheler parla di una pretesa «assolutezza del cristianesimo», corrispondente alla peculiare connessione ontologica di Cristo con Dio.

Per questo, citando la lettera ai Galati di Paolo,50 egli identifica nell’imitatio Christi il «sommo esempio di sequela», che rende possibile una rinascita dell’uomo, o dona all’uomo un «cuore nuovo».51 La sequela di Cristo coincide con la «riproduzione continua, seppur sempre unilaterale e inadeguata, della sua essenza e del suo essere così, della sua figura spirituale nel centro dell’anima del suo seguace. Paolo non intende esprimersi per immagini, ma letteralmente, quando nella rinascita vede la progressiva morte del vecchio Adamo e la formazione (Formierung) del nostro stesso centro personale attraverso l’essenza dell’amato salvatore, così che al posto del vecchio sé morto entra Cristo in persona, cioè essenza-forma personale».52

Queste affermazioni radicali nei confronti della persona di Cristo sono esemplificative di alcune posizioni assunte da Scheler nel cosiddetto «periodo cattolico», o seconda fase (1910-20 ca.) della sua produzione, periodo che vede alla luce le opere considerate nel presente lavoro. La quasi contemporaneità di Vorbilder und Führer con Absolutsphäre, fa inoltre pensare a un implicito rimando alla figura di Cristo nel «medico del tempo», misterioso personaggio capace di risvegliare le coscienze dal loro sonno metafisico, riorientando lo guardo all’essere vero dei valori. Lo stesso appellativo «medico», sembra contenere in sé un riferimento all’episodio evangelico in cui Cristo stesso afferma: «non sono i sani ad aver bisogno del medico, ma i malati» (Lc, 5-27).

D’altra parte, il termine Charisma utilizzato da Scheler in entrambi i testi, deriva dal greco???? sµa, che significa «dono dello spirito»: questo termine è rilevabile soprattutto nella tradizione giudaico-cristiana, dove viene riferito agli uomini che venivano dotati da Dio di una grazie particolare, grazia che rendeva il designato degno di autorità e di sequela.

Le ultime affermazioni permettono di chiudere il cerchio della problematica sollevata all’inizio, sul rapporto e la dialettica esistente fra l’ordo amoris descrittivo e l’ordo amoris normativo, fra il taglio preferenziale che ogni uomo dà alla gerarchia oggettiva dei valori e la possibile affermazione di questa in forma personale, come raggiungimento della propria destinazione individuale.

Il concetto di esemplarità si propone come culmine della riflessione etica scheleriana, in quanto racchiude in sé quell’idealità morale a cui il formalismo kantiano non era riuscito a dare carne. Il più conciso senso della storia si svela infatti a noi «in questi modelli concreti d’umanità in costante crescita, nel loro ordine di grado»;53 modelli, che nella loro effettività e limitatezza improntano inevitabilmente l’asse affettivo dei propri seguaci, in modo differente e peculiare per ciascuno. Modelli, che però si offrono secondo un preciso «ordine di grado», una tipologia che va dai «modelli familiari, in prima istanza i genitori, modelli di ceto, professione, modelli del popolo in tutte e cinque le direzioni di valore, infine ai modelli santi«.

È in ultima analisi l’esperienza del santo, del modello religioso, che permette la vera e radicale formazione e trasformazione del proprio io, «come un eccezionale salto nel centro di una personalità, un impossessarsi intuitivo della sua fonte sorgiva e quindi un ‘vivere’ attraverso questo centro».54 Il modello religioso, in virtù della propria partecipazione al sapere o alla sostanza divina,55 permette attraverso di sé una comunicazione del valore apice della gerarchia assiologica, il sacro, il quale si offre come vero correlato della totalità del centro d’atti personale. La stessa possibilità della conoscenza del sacro attraverso il carisma religioso rende ragione dell’esistenza della dimensione metafisica dell’uomo, della sua absolutsphäre: nell’esperienza del sacro, resa possibile grazie alla mediazione del «santo originario», la sete metafisica che caratterizza ogni coscienza finita può forse finalmente trovare un inizio di soddisfazione, riordinando un ordo amoris che in un fiume di «infatuazioni» sbanda continuamente; è dunque possibile un compimento della propria vocazione etica, che lascia sperare nell’inizio di un nuovo ordine del «desordre du cœur» in cui l’uomo dei nostri tempi vive.


  1. Max Scheler, Ordo amoris, Morcelliana, Brescia 2008, p. 71. ↩︎

  2. Loretta Iannascoli, Saggio introduttivo a Ordo amoris, Aracne, Roma 2010, p. 10. ↩︎

  3. Max Scheler, Ordo amoris, Editrice Morcelliana 2008, p. 73. ↩︎

  4. Max Scheler, Prefazione alla prima edizione Del Formalismo, S. Paolo, Cinisello Balsamo 1996, p. 9. ↩︎

  5. Blaise Pascal, Les pensées, ed. Brunschvicg, p. 277. ↩︎

  6. Cfr Max Scheler, Formalismo p. 204. ↩︎

  7. Max Scheler, Formalismo p. 74. ↩︎

  8. Cfr ivi p. 315. ↩︎

  9. Cfr Max Scheler, Formalismo, pp. 44-45. ↩︎

  10. Questo concetto verrà approfondito più avanti. ↩︎

  11. Max Scheler, Prefazione alla seconda edizione del Formalismo, p. 9. ↩︎

  12. Max Scheler, Ordo amoris, p. 59. ↩︎

  13. Ivi p. 50. ↩︎

  14. Max Scheler, Formalismo, p. 175. ↩︎

  15. Max Scheler, Ordo amoris, p. 50. ↩︎

  16. Ivi, p. 51. ↩︎

  17. Ivi, p. 59. ↩︎

  18. Ivi, p. 63. ↩︎

  19. Ivi, p. 64. ↩︎

  20. Cfr Max Scheler , L’Eterno nell’uomo, Bompiani, Milano 2009, p. 299. ↩︎

  21. Franco Bosio, L’idea dell’uomo e la filosofia nel pensiero di Max Scheler, Abete, Roma 1976. ↩︎

  22. Max Scheler, Ordo amoris, p. 57. ↩︎

  23. Max Scheler, Ordo amoris, p. 78. ↩︎

  24. Ivi, p. 19. ↩︎

  25. Max Scheler, Absolutsphäre und Realsetzung der Gottesidee, GW10, p. 211. ↩︎

  26. Ivi, p. 143. ↩︎

  27. Guido Cusinato, Katharsis. La morte dell’ego ed il divino come apertura al mondo, ESI, Napoli 1999, p. 118. ↩︎

  28. Cfr ivi p. 218. ↩︎

  29. Di questo parleremo più avanti. ↩︎

  30. Ivi, p. 224, traduz. mia. ↩︎

  31. Ivi, p. 79. ↩︎

  32. Ibidem. ↩︎

  33. Ivi, p. 98. ↩︎

  34. Max Scheler, Absolutsphäre und Realsetzung der Gottesidee, p. 226. ↩︎

  35. Cfr Vincenzo Filippone-Thaulero, Il problema del risentimento in Max Scheler, La Cassandra Editrice, Pineto 2008. ↩︎

  36. Max Scheler, Il Risentimento nell’edificazione delle morali, Vita e Pensiero, Milano 1975, p. 35. ↩︎

  37. »Ist eine ursprüngliche Ordnung zwischen der Liebesrichtung und ihrer Korrelate umgestürzt, denn es liegt ja der Wertethik zugrunde, dass die Stufenfolge der Wertränge emotional a priori ist. Aus diesem Grunde lässt Scheler auch beim Ressentimentmenschen die echten Werte durch dessen Illusionswerte wie durch ein »Trasparent« durchscheinen, d. h. jede ‘organische Verlogenheit’ besitz noch die Struktur der echten Wertverhältnisse, welche bei extremen Fällen von Ressentiment bis zur subjektiven Unkenntlichkeit verblassen kann. Jedoch bleiben die Wertrangverhältnisse ein ,unaufhebbares Bestandstück des ganzen Erlebniszusammenhanges’, welche eigentlich die vitale ‘Qual des Konfliktes’ zwischen Ohnmacht und Begehren eines positiven Wertes verursacht.« Manfred Frings, »Der ordo amoris bei Max Scheler«, Zeitschrift für Philosophische Forschung, Zeitschriftband 20, 1966, p. 65, trad. mia. ↩︎

  38. Boella, Il paesaggio interiore e le sue profondità, in Il valore della vita emotiva, Guerini, Milano 1999, p. 18. ↩︎

  39. Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi, Milano 2008, p. 26. ↩︎

  40. Ivi, p. 66. ↩︎

  41. Max Scheler, Modelli e capi, Franco Angeli, Milano 2011 p. 70. ↩︎

  42. Cfr ibidem. ↩︎

  43. Ivi, p. 59. ↩︎

  44. Cfr ivi p. 56. ↩︎

  45. Ivi, p. 59. ↩︎

  46. Antonio Lambertino, Max Scheler, fondazione fenomenologica dell’etica dei valori, La Nuova Italia, Firenze, 1977, p. 465. ↩︎

  47. Ivi, p. 67. ↩︎

  48. Guido Cusinato, Sull’esemplarità aurorale, in Modelli e capi, p. 17. ↩︎

  49. Modelli e capi, p. 78. ↩︎

  50. «Io vivo, ma non più io, bensì Cristo vive in me» (Gal. 2,20). ↩︎

  51. Cfr ibidem. ↩︎

  52. Scheler, Modelli e capi, p. 72. ↩︎

  53. Ivi, p. 67. ↩︎

  54. Scheler GW10, p. 286. ↩︎

  55. I profeti partecipano al sapere divino, Cristo partecipa alla sostanza divina. ↩︎