La Logica come Teoria del conoscere in Gentile. Un’opera anticipatrice di istanze postmoderne?

1. Introduzione

Negli ultimi decenni, dopo anni di discussioni legate a contingenze di tipo non di rado politico e ideologico, si è tornati a rileggere in modo più specificatamente teoretico il pensiero filosofico di Giovanni Gentile. Tutto ciò è avvenuto non solo in area di lingua italiana, ma anche in area anglosassone.1 Per quale motivo? I motivi per comprendere la ripresa di un interesse verso una filosofia che a molti potrebbe sembrare obsoleta sono molteplici e, quindi, non risulta semplice ricostruirli esaustivamente: si va dall’interesse storico-filosofico verso l’idealismo italiano, alla ripresa in termini gnoseologici dell’attualismo nelle sue implicazioni pedagogiche e sociali.

Per tale ragione, riteniamo opportuno premettere che, in tale sede, non ci addentreremo nella complessità contraddittoria della figura filosofica e politica di Gentile, bensì ci concentreremo esclusivamente sul suo pensiero logico e teoretico, circoscrivendolo essenzialmente ad un’opera, sulla quale non è stata troppo spesso posta un’adeguata attenzione ermeneutica: Sistemi di logica come teoria del conoscere.2 La lettura di tale opera permette di comprendere l’originalità del pensiero teoretico gentiliano, mostrando che l’attualismo è ben altro che una semplice rielaborazione della Wissenschafstlehre di Fichte, in quanto la teoria della conoscenza attuale presenta tratti speculativi autonomi e innovativi rispetti alla tradizione idealista tedesca. Condividiamo, pertanto, alcune convincenti interpretazioni di Gentile, che lo inquadrano come un pensatore legato alle vicissitudini del nichilismo occidentale (insieme a Leopardi e Nietzsche).3 Pur tuttavia, vorremo aggiungere a tale lettura qualche riflessione ulteriore, indirizzata non tanto al tema del nichilismo quanto alla decostruzione della soggettività cartesiana e kantiana effettuata dal pensatore siciliano e, soprattutto, alla critica gentiliana rivolta al nominalismo della logica astratta di scuola analitica. Da ciò ne consegue che interpretare Gentile come un idealista neohegeliano sia profondamente riduttivo e fuorviante, in quanto l’attualismo, se approfonditamente letto e studiato, presenta dei tratti molto diversi dalla filosofia hegeliana, elementi che noi, nel corso del presente saggio, prenderemo in esame in modo sintetico ma dettagliato.

A tal proposito basterebbe invitare alla lettura di un’opera anch’essa spesso poco citata negli ultimi studi su Gentile: La riforma della dialettica hegeliana,4 opera antecedente la fase più matura dell’attualismo, ma che già delinea un discreto distacco dalla metodologia speculativa hegeliana. L’attualismo, certo, riprende da Hegel molti elementi speculativi, ciò è difficilmente confutabile, pur tuttavia l’attualismo gentiliano non si limita alla sistematicità astratta hegeliana, ma tenta di proporre una dialettica idealista orientata più all’atto specifico della conoscenza che a quello del sistema chiuso di formule fisse. Da tale orientamento speculativo si potrebbe affermare che la logica gentiliana si propone di essere un sistema critico e non metafisico o trascendente, contrariamente a ciò che, molto spesso, si è affermato.

2. Il pensiero filosofico e la logica nell’attualismo

Onde evitare fraintendimenti di sorta, occorre specificare che la conoscenza logica, per come è intesa dal filosofo siciliano, non è semplicemente descrizione o spiegazione meccanica di formule deduttive o sillogistiche, ma è, soprattutto, riflessione concreta della coscienza, in quanto essa stessa è autocoscienza. Che cosa significa che la coscienza è essa stessa autocoscienza? Tale domanda è il punto nevralgico dell’elaborazione filosofica gentiliana, poiché essa si sforza di superare, ma non negare la molteplicità del pensiero e delle sue attività, pur riconducendo la molteplicità frammentaria all’unità attuale del pensiero pensante. Gentile è consapevole del fatto che per riuscire in tale intento egli deve oltrepassare l’idea tradizionale del Begriff hegeliano, in quanto esso, pur avendo un contenuto dialettico, manterrebbe in sé residui metafisici astratti, che non fanno parte a rigore della Logica come pura e rigorosa del pensiero.

Per comprendere a fondo tale esigenza critica dell’attualismo ci concentreremo per lo più sull’opera forse teoreticamente più ardua del Gentile: Sistemi di logica come teoria del conoscere, opera che pur non avendo riscosso la stessa notorietà della Teoria generale dello spirito come atto puro,5 segna, a nostro avviso, una tappa molto importante dell’idealismo contemporaneo, non solo italiano, ma europeo.

Occorre anzitutto premettere che Gentile distingue tra due tipi di logiche: quella formale e quella speculativa; tale distinzione è fondamentale per comprendere l’assetto generale della teoria speculativa dell’opera in questione. Ora tracceremo, brevemente, le linee argomentativa dell’opera gentiliana, non ai fini di un commento, che esulerebbe da questa sede, quanto ai fini di una lettura ermeneutica alternativa alle consuete interpretazioni di tale filosofia, tentando di far dialogare l’attualismo con altre filosofie contemporanee e postmoderne, evitando di trascurare le diversità esistenti tra queste stesse filosofie.

Sostanzialmente Gentile vuole superare l’ambito di una filosofia astratta, di una filosofia del pensiero formale (matematico), radicalizzando l’atto del pensiero all’interno della sua dinamicità speculativa. Il percorso gentiliano consiste nello scomporre l’astratta logica formale, non negandola, si badi bene, ma relativizzandola alla sua funzione dimostrativa e ostensiva, per poi superarla e giungere al concreto dell’atto pensante, che è riflessivo e non puramente descrittivo a deduttivo. Qui si assiste ad un tentativo teoretico molto ardito, quello di superare il concetto stesso di soggetto tradizionalmente inteso, un soggetto schematicamente chiuso nelle sue categorie prestabilite e quindi astratte, poiché la vera soggettività è processo aperto pensante. Pertanto Gentile vuole oltrepassare il concetto metafisico di Subjectum come sostanza pensante e trasfigurarlo in sostanza pensante.6

La parola latina subjectum indica, propriamente, il soggiacere, l’essere sostrato di qualcosa. L’attualismo rivolta invece la prospettiva, il soggetto non è sostrato, ma è atto sostanziale, è concretezza riflessiva del pensiero pensante, che disgrega e scompone il dualismo di tipo cartesiano per orientarlo in un’altra dinamica, quella della prospettiva sintetica dell’autocoscienza,7 che rielabora le forme astratte del Logo in forme pratiche concrete.

In ciò si nota come la visione dialettica gentiliana sia diversa rispetto a quella hegeliana, in quanto Gentile concepisce la dialettica come movimento interno del pensiero e non esterno al pensiero (come Hegel crede nella Fenomenologia dello spirito). Sostanzialmente la critica all’hegelismo da parte del Gentile si impernia sul fatto che Hegel sembrerebbe concepire la dialettica come movimento empirico della natura, in quanto la natura è «Idea alienata da sé», ma ciò condurrebbe, secondo la lettura gentiliana, a negare l’autonomia assoluta del pensiero pensante. In parole più dirette, Gentile ritiene che l’oggettività fenomenica non possa essere pensata con categorie assolute, come le pensa Hegel,8 in quanto le categorie mutano mediante l’atto del pensiero pensante, nel momento in cui questo le viene rielaborando e ridefinendo in modo dinamico. Tale argomento critico è qui utile, quanto meno, ad affermare con sicurezza teoretica che l’attualismo gentiliano e il suo sistema logico non è assolutamente una semplice rielaborazione dell’idealismo hegeliano, come spesso si è sommariamente asserito. Il percorso speculativo gentiliano presenta elementi molto più variegati e molteplici, riconducibili sicuramente alla tradizione filosofica italiana rinascimentale,9 pur proiettandosi verso istanze postmoderne, come cercheremo di mostrare nei successivi paragrafi.

Tornando alla logica attualistica, essa presenta un aspetto fondamentalmente interessante nel momento in cui tale logica vuole superare ogni residuo di metafisica trascendenza, di cui tutta la modernità è pervasa (da Descartes a Kant fino ad Hegel); tutta la trascendenza viene dissolta da Gentile nell’immanenza dell’Autonoema riflettente della coscienza umana. Sostanzialmente, si tratta per Gentile di sostituire all’idea di concetto, inteso come categoria fissa e metafisica, l’idea di un pensiero riflettente che ridefinisca continuamente i suoi parametri speculativi, nell’atto concreto del conoscere.

La fondazione dell’attualismo riduce tutto al pensare, come attività ponente e riflettente e non semplicemente rappresentante (al contrario della tradizione cartesiana o analitica), il che porta a superare ogni forma di dualismo e di esternalismo realistico. Questo passaggio indica, secondo la nostra lettura, il punto di contatto tra l’attualismo e le esigenze della postmodernità, tutta tesa a cogliere gli attimi, i frammenti dinamici dei pensieri, della realtà dinamica in cui la soggettività si decentra continuamente. Paradossalmente nella logica gentiliana, venendosi ad assolutizzare l’atto pensante soggettivo e, simultaneamente, venendosi a decostruire il soggetto metafisico, si giunge a decentrare ogni tipo di soggettività e a non identificarla in nessuna forma logica, se non in quella che essa si dà, pensandosi eternamente in un processo conoscitivo sempre attuale, identico in se stesso, ma sempre diverso nei contenuti specifici.

Il senso logico non è un qualcosa di immutabile, ma esso assume la sua realtà solo nel momento in cui esso è dialetticamente riferito all’atto-in-cui-si-pensa. Da qui si comprende perché tale logica non può più essere metafisica (altra differenza dalla teoria hegeliana) e, invece, risulta semplicemente Teoria del conoscere.

A questo punto, si potrebbero legittimamente porre due quesiti molto importanti: Che cosa è la conoscenza logica per la prospettiva attualista del Gentile? Se tutto è processo dell’attività pensante, allora l’oggetto, eternamente posto da un soggetto che lo pensa, che ruolo svolge nel processo conoscitivo? A queste domande tenteremo di rispondere nel corso delle seguenti pagine, poiché tali due quesiti permettono di focalizzare l’attenzione su aspetti teoretici dell’attualismo e della logica di Gentile non sempre adeguatamente studiati, se non da pochi specialisti del filosofo siciliano.

La conoscenza è per Gentile processo speculativo aperto, il quale non si risolve nel soggetto singolo individualizzato astrattamente, ma in un orizzonte più vasto, il quale è un orizzonze filosofico. Ammesso, come sostiene il filosofo, che il pensiero pensante si distingua dal pensiero pensato, poiché in esso le categorie e i giudizi non sono meri contenuti formali, ma sono elementi viventi da giudizi speculativi noematici, è evidente che la natura di questo pensiero non è quella di un solipsismo astratto, ma di un pensiero intersoggettivo, tra soggetti empirici, che comunicando si rivelano essere uniti nel Logo. Qui un’ulteriore diversità con l’hegelismo: per Gentile non è la realtà ad essere razionale, ma il Logo rende la realtà intellegibile e quindi razionale.

A tal punto, si potrebbe pensare che per Gentile gli oggetti non abbiano nessuna realtà determinata, ma anche tale affermazione risulterebbe non propriamente pertinente, in quanto essi hanno una loro realtà specifica. L’oggetto del pensiero ha, infatti, una sua realtà quando è pensato simultaneamente come identico e diverso dal soggetto pensante astratto, che nel momento in cui riconosce l’oggetto in quanto oggetto, supera la sua originaria astrattezza formale.

A differenza di Fichte, è l’oggetto a determinare nel suo essere Non-Io il metodo di conoscenza dell’Io pensante, poiché l’oggetto (Non-Io) non è un prodotto dell’immaginazione trascendentale dell’Io, esso è la manifestazione (fenomeno) simultaneo all’atto del conoscere, allo stesso grado del soggetto. Sintetizzando, per Gentile non è il Soggetto a porre l’oggetto, ma è l’Atto a porre sia il soggetto pensante che l’oggetto pensato.

Quindi l’oggetto del pensiero determina l’atteggiamento speculativo del soggetto pensante, in quanto è esso stesso parte fondante dell’atto conoscitivo teoretico e pratico, ragion per cui la Logica pensata (formale) non andrebbe rinnegata, poiché essa orienterebbe in modo dimostrativo e funzionale il contenuto della Logica pensante (speculativa).

Ora si pone un ulteriore quesito: Quale funzione svolge l’atto pensante nel determinare e comprendere l’oggetto? Occorre anzitutto richiamare alla memoria il fatto che, nella prospettiva logica attualistica, il soggetto non rappresenta semplicemente l’oggetto, piuttosto lo riflette e, quindi, lo riunisce nel suo processo di conoscenza immanente, lo riunisce nella fluidità di un pensiero dialettico non chiuso e prestabilito in formule apriori.

Che cosa c’è di postmoderno in tale prospettiva? Anzitutto occorre premettere ciò che noi intendiamo per postmoderno: intendiamo la situazione di decentramento di ogni fondamento precostituito, in cui il soggetto e l’oggetto non sono preposti, ma sono intercomunicanti in una rete di relazioni varie e molteplici. Questo elemento sembra trovarsi, secondo noi, proprio in Gentile, in quanto nella sua filosofia il pensato non esiste in se stesso se non come pensiero inattuale, che solo nell’atto autocosciente del pensiero pensante trova il suo significato. Un pensiero, quindi, che diviene e che non è più mera contemplazione, ma partecipazione attiva alla conoscenza del mondo, anche esso triadico (Gentile distingue i tre momenti: Arte, Religione, Filosofia) analogamente ad Hegel, ma con delle differenze rispetto al filosofo di Stoccarda. Gentile non condivide il fatto che la triade hegeliana sia impostata sull’idea che la struttura triadica dello spirito assoluto sia espressione dell’idea assoluta, poiché in tal modo Hegel assolutizza erroneamente una determinata idea di Spirito, che non è quella vera. Non è il concetto dell’Idea ad essere assoluto, ma è l’autoconcetto del pensiero ad essere assoluto.

Per tale motivo nel libro Sistemi di logica come teoria del conoscere si afferma la necessità di comprendere meglio che cosa sia l’Io penso. In tale contesto è opportuno ricordare che tale realtà non è più semplicemente la mera funzione unificante dei giudizi dell’intelletto, secondo la visione kantiana, ma è sintesi speculativa, attiva dell’autocoscienza universale dell’umanità. Ogni residuo di trascendenza è, quindi, annullato nell’atto infinito del pensiero assoluto, che è fenomenologicamente immanente, rimanendo unitario e duplice al tempo stesso: noema (teoresi pura) e autonoema (prassi volitiva autoconoscente). Per inciso, Gentile intende con l’espressione noema l’attività del pensare qualcosa come qualcosa, mentre con l’espressione autonoema indica l’atto autocosciente del pensiero come volontà di conoscere se stesso.

La distinzione di questi due momenti dell’atto del pensiero è essenziale se la rapportiamo alla logica gentiliana, nella quale l’attività noematica è l’atto del pensiero logico nel cogliere l’oggetto mediante le strutture logico-formali (giudizi, sillogismi etc…), mentre l’attività autonoematica è il momento di sintesi speculativa e pratica, in cui il soggetto prende coscienza di essere orientato al prendere coscienza di se stesso, mediante l’oggetto che egli pensa e che modifica nella prassi. Questa distinzione, che poi approfondiremo specificatamente, va tenuta sempre presente onde evitare di ritenere che Gentile abbia dedotto tutte le categorie della logica da una generica e semplice affermazione di un astratto Io trascendentale. Tra la Teoria generale dello spirito come atto puro e i Sistemi di logica come teoria del conoscere si presenta uno spettro di sfumature e tonalità speculative differenti, per quanto l’impianto teorico dell’attualismo rimanga sostanzialmente unitario. Occorre osservare che Gentile, soprattutto nella Teoria generale dello spirito come atto puro, aveva teso ad identificare il pensiero come processo conoscitivo con il rappresentare e il giudicare, in quanto tutti questi momenti sono parti di un’unica assoluta realtà pensante. Tuttavia questa posizione mostra un’aporia teoretica, che è la seguente: Se tutto si risolvesse in una unità assoluta del pensiero, la realtà fenomenologica dell’oggetto svanirebbe per far spazio ad un soggetto assoluto, ma svuotato delle sue determinazioni concrete. Tale aporia, che noi abbiamo qui brevemente delineato, fu presente allo stesso filosofo siciliano, il quale nella stesura dei Sistemi di logica come teoria del conoscere tenta di superare speculativamente tale empasse filosofica. Soprattutto nel primo volume dell’opera, Gentile si sforza di non distruggere la realtà oggettiva della logica formale, poiché essa ha una sua valenza teoretica, che è importante quanto la realtà della logica dialettica. Ragion per cui sarebbe un errore pensare che nell’attualismo l’oggetto pensato (e la sua relativa logica dimostrativa) non abbia alcun valore teoretico; in realtà esso svolge un ruolo speculativo molto importante, in quanto è il materiale su cui si erge il pensiero pensante. La logica come teoria del conoscere significa allora una teoria della Logica che non sia semplicemente una logica descrittiva e normativa, ma una logica critica, che si orienti alla sua natura conoscitiva libera, nella quale la conoscenza è coscienza della mediazione tra soggetto pensante e oggetto pensato, per cui la conoscenza diviene un processo di coscienza intenzionale, nel quale il noema torna ad essere autonoema, il pensare torna ad essere conoscenza attuale, conoscenza che è processo continuo di attualità di teoria e prassi.

3. La dialettica speculativa e la sua realtà logica

Quando ci si cimenta con lo studio del pensiero di Gentile e si vuole offrire una visione sintetica della teoria attualista, sovente ci si riferisce maggiormente alla teoria esposta nella Teoria generale dello spirito come atto puro e si sorvola, a nostro avviso in modo abbastanza discutibile, sull’opera fondamentale della logica gentiliana a cui noi ci riferiamo specificatamente in questo saggio: Sistemi di logica come teoria del conoscere, opera scritta in poco più di un lustro, che segna la fase più matura e interessante dell’attualismo. In tale opera, come già accennato, Gentile si sofferma su una serie molto vasta di problemi legati allo sviluppo sia storico che teoretico della logica occidentale, dal pensiero greco, passando per la filosofia medievale e moderna, offrendo spunti speculativi di grande interesse.

L’opera fu redatta in più fasi: il primo volume fu edito nel 1917 e nel 1923 venne pubblicata l’opera completa con l’aggiunta del ponderoso secondo volume. Innanzi tutto occorre osservare che l’opera, similmente alla Teoria generale dello spirito come atto puro, presenta due sezioni: una storica, inclusa in gran parte del primo volume, e l’altra speculativa, nel secondo volume. Tale struttura era tipica non solo di Gentile, ma di gran parte della tradizione filosofica italiana di allora: pensiamo a Benedetto Croce e alla struttura dei suoi testi che comprendono la Filosofia dello spirito,10 struttura impostata su sezioni sia storiche che filosofiche. Il motivo è consequenziale all’impostazione storicista di entrambi gli autori, sebbene nello specifico le differenze tra i due autori siano notevoli: entrambi pensano la filosofia come processo di conoscenza aperto che fa un tutt’uno con la storia umana. Non è affatto casuale che il primo volume dei Sistemi di logica come teoria del conoscere sia sostanzialmente una ricostruzione concettuale e discorsiva della logica dagli ionici a Hegel all’incirca, ricostruzione che presenta toni di sintesi didattica (non a caso il testo è tratto da alcuni letture seminariali tenute da Gentile presso la Scuola normale di Pisa nel 1916); tuttavia tale ricostruzione si esime dall’essere una semplice storia della logica e tende, invece, a porsi come una sorta di introduzione alle problematiche della logica filosofica; non a caso Gentile afferma: «Giova fin dall’inizio distinguere la logica come dottrina che interessa al filosofo, dalla logica che è disciplina scientifica come le altre.»11

La logica del filosofo è la logica non solo deduttiva, quella delle formule astratte, ma quella del pensiero concreto, autocosciente, del pensiero che è esperienza di soggetti pensanti attivi: tale logica parte dalla logica formale, poiché essa stessa è prodotta dal momento astratto del pensiero, ma poi tende ad oltrepassarla. Gentile sembra non negare, in tal senso, la legittimità della logica formale, vuole solo isolarne l’ambito teorico. Qui c’è un altro elemento di differenza rispetto al metodo hegeliano, poiché Hegel parte dal presupposto che la logica sia metafisica, mentre per Gentile la logica è processo del conoscere autonomo, non necessariamente metafisico, poiché non postula nessuna idea di essere assoluta oltre quella del pensiero assoluto. Chiaramente il sapere particolare della logica come scienza formale non ha una sua specifica autonoma razionalità, soprattutto quando essa viene disgiunta dal momento critico e dialettico del pensiero vivente, spirituale e creativo dell’Atto conoscitivo. La filosofia e la logica della filosofia è quindi

lo sforzo di pensare non questa o quella cosa, ma tutte le cose, nella loro unità: il kosmos dei Greci, il Dio degli scolastici principio di tutte le cose, la sostanza di Cartesio o di Spinoza, i possibili di Leibniz o Wolff, le idee umane di Vico, o le categorie di Kant e degli idealisti che gli tennero dietro.12

In tale prospettiva la filosofia è il pensare l’unità universale nel riconoscimento delle differenze particolari. Per tale motivo, siamo dell’avviso che oltre al tema dell’identità di soggetto e oggetto nell’atto pensante sia altrettanto importante segnalare il ruolo delle differenze particolari (tra le varie teorie pensate) e che, inoltre, su tale ruolo di differenza, spesso poco notato, si incentra l’aspetto decostruttivo dell’attualismo, che lo protrae verso istanze postmoderne, vicine al decostruttivismo di Derrida e della sua différance. Infatti, si dica qui per inciso, ci sembra che tutta la dialettica del pensiero pensato e del pensiero pensante di Gentile si protenda ad enucleare il momento di differenza tra il concetto pensato (il contenuto determinato di una teoria che si analizza) e il concetto pensante che è rielaborazione sempre differente e non deducibile di senso riflettente.

In tal senso Gentile ricostruisce i vari concetti di Logo nella storia della filosofia occidentale. Il modo in cui il filosofo si sofferma sui problemi della logica greca e moderna non è tanto quello del filologo o dello storico della filosofia vero e proprio, quanto quello del teoreta che dialoga con la tradizione, per decostruirla alla luce della sua teoria speculativa. Un esempio lampante di ciò è il capitolo II del primo volume, nel quale l’autore afferma:

Il problema della logica dipende dal concetto di logo: tale logo, tale logica. Il nostro logo è l’atto puro del conoscere, e come tale pare a noi che debba concepirsi se si rifà il cammino che il pensiero umano ha fatto nel suo sforzo di concepirlo. Che è l’unico modo di sperimentare la legittimità di un concetto. Il logo, abbiamo detto è la realtà nella sua intelligibilità, la realtà universale a cui mira la filosofia.13

Si potrebbe domandare al filosofo siciliano: Se la logica dipendesse dal concetto di logo che si assume, e poniamo il caso che due filosofi pongano due concetti di logo diversi, a tal punto si avrebbero due logiche diverse: ma tale realtà non sarebbe contraddittoria dal momento che il pensiero è sempre unitario? In realtà tale contraddizione, se si interpreta bene, è apparente perché le diverse rappresentazioni e teorie logiche possono contrapporsi teoricamente, ma nel momento in cui una riconosce l’altra (anche vedendola come opposta), ciò significa che c’è un’unità di pensiero che va oltre la diversità delle forme pensate.

4. Attualismo gentiliano e idealismo tedesco: analogie e differenze

Sovente si è pensato che la concezione gentiliana, in particolar modo la sua peculiare teoria logica, fosse una semplice rielaborazione dell’idealismo tradizionale tedesco, in realtà tale interpretazione sembra non cogliere la specificità dell’attualismo italiano.

È evidente che Gentile riconosca a Kant e all’idealismo tedesco il merito di aver demistificato il dogmatismo della verità immobile del soggetto cartesiano o della metafisica antica;14 ciò nonostante Gentile muove delle critiche all’idealismo tedesco, proprio in relazione all’idea di logica e di dialettica in rapporto alla conoscenza filosofica in senso lato.

Kant nell’interpretazione gentiliana ha avuto il merito incontestabile di aver costruito il rapporto gnoseologico su un criticismo di grande profondità speculativa, ma egli non ha saputo andare oltre;15 infatti ad opinione di Gentile il genio di Königsberg rimarrebbe ancora troppo ancorato ad una concezione empirista della conoscenza, nella quale si penserebbe la «cosa in sé» come un qualcosa di preesistente all’atto della conoscenza teorica e pratica.

L’idealismo tedesco, soprattutto attraverso il pensiero di Hegel, ha preteso di cogliere nella logica l’Idea assoluta, ma solo come Idea astratta, avendo attinto molto «materiale concettuale» dalle scienze empiriche e avendo, conseguentemente, disegnato il suo sistema dialettico su forme astratte di conoscenze, non puramente logiche e assolute, ma empiriche, relative e quindi non realmente concrete. L’errore di Hegel consisterebbe nell’aver, dunque, ipostatizzato le forme dello spirito assoluto avendole quasi determinate in un sistema dialettico autoreferenziale, nel quale non vi è possibilità di un pensiero diverso da quello del sistema hegeliano medesimo.16

L’esito di tale impostazione sarebbe quello della fine della filosofia (come infatti crede Hegel, ritenendo che la sua filosofia sia la sintesi suprema di tutte le altre); tutto ciò è, per Gentile, evidentemente assurdo, in quanto la filosofia è processo inesauribile e infinito, come lo è il pensiero pensante universale. Ammesso che il logos sia un processo inesauribile e, conseguentemente, aperto ad ulteriori configurazioni concettuali, non vi può essere, a differenza di quanto ritiene Hegel, un sistema di tappe precostituite (come è nel caso della Fenomenologia dello spirito) che lo possano determinare, poiché esso è attitività libera e assoluta.

Sovente si è affermato, riferendosi a queste critiche antihegeliane, che Gentile riprenda il motivo dell’idealismo fichtiano della Wissenschafstlehre;17 ovviamente tale forte motivo fichtiano è presente in Gentile, ma ciò non vuol dire che le due teorie siano uguali. A nostro avviso, infatti, vi è una differenza sostanziale tra Gentile e Fichte. Fichte fonda il primato della soggettività trascendentale sull’oggettività trascendentale, per cui il soggetto pone l’oggetto, mediante la sua immaginazione trascendentale; nella teoria gentiliana non è cosi, poiché il soggetto e l’oggetto sono posti simultaneamente dell’atto concreto della conoscenza e non dell’immaginazione. L’oggetto, nella teoria gentiliana, esiste come noema pensato e non come prodotto di immaginazione trascendentale; ciò significa che esso stesso è, tanto nell’attività teoretica quanto in quella etica, prioritario quanto il soggetto che è autonoema.

Detto ciò, è evidente che l’errore della logica tradizionale, ma anche di parte dell’idealismo tedesco (e di quello crociano) consiste nella pretesa di stabilire entro termini concettuali statici l’elemento dinamico dell’atto conoscitivo. Nel secondo libro dei Sistemi di logica come teoria del conoscere, Gentile propone una critica diretta al metodo dialettico hegeliano, per ciò che riguarda le modalità di deducibilità della dialettica del pensiero pensante nella sua molteplicità strutturale, nella sua auto-differenzialità (che è per Gentile vera realtà soggettiva). La critica gentiliana alla logica hegeliana si delinea sull’idea che quest’ultima dedurrebbe il divenire del reale dall’essere primo astratto di origine parmenidea, come se il processo in fieri del pensiero fosse già presupposto nella sua tesi (ricordiamo che il momento della tesi nella logica hegeliana coincide con quello dell’essere, quello dell’antitesi con l’essenza, quello della sintesi con il concetto assoluto). Tale lettura hegeliana è insostenibile, secondo la visione attualista, in quanto verterebbe su un concetto astratto di essere e di tesi che non ha un vero contenuto trascendentale, ma solo formale. Sostanzialmente l’errore di Hegel consisterebbe nell’aver confuso il piano del concetto con quello dello spirito soggettivo pensante: in Hegel l’essenza del concetto è quella dello spirito assoluto, per Gentile il concetto in sé non è assoluto, lo diviene solo in quanto è posto dall’atto pensante dell’autoconcetto (autonoema).

Non a caso Gentile sostiene che il porsi della soggettività è simile, ma non uguale alla tautologia del tipo A = A, poiché il porsi dell’identità soggettiva nell’atto pensante riflessivo non è un contenuto formale astrattamente rappresentato, ma una coscienza intenzionale orientata all’autocoscienza. Traducendo il concetto con un esempio meno astratto, potremmo affermare che se noi pensiamo a = immagine di tavolo e a1 = l’oggetto-tavolo che io empiricamente vedo, tocco e percepisco, per analogia posso dire a = a1. Tale idea è pensata, determinata, è un’analogia astratta e formale esterna alla presenza del soggetto autocosciente; ma se io ad a e a1 sostituisco A e A1 in cui A = Soggetto trascendentale e A1 = Soggetto empirico, l’identità di A con A1 non può essere di tipo astratto, ma concreto, perché il soggetto non si esaurisce nell’atto di pensarsi come soggetto determinato. Perciò a = a1 è simile, ma non uguale all’uguaglianza del tipo A = A1. Gentile distingue due tipi di tautologie, poiché entrambe, se ben connesse tra di loro, indicano due realtà diverse di tipo conoscitivo.

Da qui si può vedere come l’innovazione gentiliana si apra verso un pensiero post-idealistico (se per idealismo si intende l’hegelismo tradizionale) e come essa tenda ad una idea di soggettività che è più complessa. In tale contesto l’identità tra soggetto e oggetto di cui parla Gentile, non andrebbe, quindi, intesa come identità metafisica, ma come identità dialettica. Tale idea porta Gentile a ritenere che l’uguaglianza formale della logica tradizionale (a cui anche Hegel rimarrebbe ancorato) non è quella reale, poiché l’unica logica reale è quella della simultaneità della differenza nell’identità, per cui Gentile afferma: Io = Io in quanto Io = Non-Io. L’errore hegeliano consiste nell’aver preteso che solo l’intero sia il vero, ma tale idea di interezza è astratta, poiché essa non è mai data pienamente nel concetto assoluto, ma nell’autoconcetto assoluto. Questa sarebbe per Gentile la vera sintesi del pensiero concreto; tale sintesi però si compone di specifiche strutture logiche, che ora ora andremmo a delineare, mettendo a fuoco le peculiarità dialettiche e problematiche dell’ampia costruzione logica gentiliana.

5. Il sistema di categorie nella logica di Gentile

Nel primo volume di Sistemi di logica come Teoria del conoscere, Gentile, oltre a proporre una rassegna storico-teoretica del concetto di logo nel corso del pensiero occidentale, elabora anche una specifica teoria dei giudizi e del sillogismo che presenta delle interessanti implicazioni teoriche.

In questo paragrafo soffermiamo l’attenzione sui capitolo IV e V del primo volume dell’opera in questione,18 nei quali il filosofo italiano si propone di rivedere la tradizionale tavola delle categorie tradizionali del pensiero moderno.

Occorre precisare che tale elaborazione teorica si situa nell’ottica di un superamento della logica dell’astratto, intesa come logica del «pensato», per rielaborare tale logica in una prospettiva decostruttiva e critica quale è quella della logica del «pensare». Esattamente come Kant ed Hegel nei loro rispettivi sistemi teorici, Gentile fonda la teoria del sillogismo su una specifica dottrina dei giudizi logici. Per comprendere tale teoria, occorre premettere che Gentile vuole liberare il concetto di logica da quello di grammatica, sostenendo che un nome o un verbo non hanno significato concreto, se noi li separiamo dalla loro unità dialettica che è rappresentata dal giudizio,19 ragion per cui egli intende il giudizio nella sua concreta determinazione speculativa e pertanto scrive:

Giudizio è il pensiero in quanto sintesi dei due termini, onde l’essere si media nella sua identità con se stesso. E dei due termini, che abbiamo detto nome e verbo, il nome logicamente inteso, è il soggetto del giudizio, il verbo, logicamente inteso, è il predicato […] i due termini sono correlativi, in quanto uno è termine terminato, l’altro termine terminante. Infatti il pensiero è lo stesso essere: è, abbiamo detto, l’essere del pensiero, o essere pensato. Quindi A e A = A dicono lo stesso, con la differenza che A non si può pensare e A = A è appunto il pensamento di A. Quindi ancora se il pensiero, chiuso dentro due termini di cui è relazione, esso è la determinazione di un termine, che altrimenti sarebbe determinato e però non sarebbe pensato.

Il pensiero è mediazione tra un soggetto pensante e un oggetto pensato ed esso è espresso dal giudizio. Non a caso, Gentile scrive nel paragrafo sulla Definizione di giudizio: «diremo perciò soggetto il termine terminato della sintesi onde l’essere si media nella sua identità con se stesso; e predicato il termine terminante della stessa sintesi».20

Questa affermazione, si tenga ben presente, vale solo nell’ambito del pensiero pensato, cioè del pensiero che definisce i termini del suo giudizio, nel momento in cui afferma un quid logico argomentativo. Nella prospettiva gentiliana il giudizio è in se stesso già sintesi di «terminante» e «terminato»; non parla qui il filosofo di soggetto e oggetto, ma di processualità referenziale dei giudizi. Il giudizio quindi è espressione dinamica dell’atto del pensiero pensato; anche la sensazione, la comune percezione di qualcosa, che sembra per gli empiristi quanto di più individuale e esterno al pensiero vi sia, è nell’atto stesso in cui lo esprimiamo mediante un giudizio universalizzato, e quindi non più mera percezione, ma noema:

Il colore, il primo colore (come prima sensazione di colore che io provi) in quanto io lo vedo, lo percepisco, e perciò in quanto esso è come A = A, come quel colore, non è più fatto naturale della mia sensazione, ma è già il riflettersi su se stesso di questo fatto: è percezione o pensiero, e quindi universale […] In secondo luogo, questo svanire del soggetto fuori della sintesi del giudizio non è proprio del solo giudizio che afferma la sensazione; ma, lo abbiamo visto, di ogni giudizio, che ha un soggetto a patto di avere insieme un predicato.21

Questo passaggio dell’argomentazione gentiliana getta una luce nuova sul modo di intendere il rapporto tra pensiero e soggettività della teoria logica attualistica, poiché, se letto attentamente, dimostra che l’attualismo non è una filosofia semplicemente soggettivistica in senso generico, ma è una filosofia che decostruisce il concetto di soggetto tradizionalmente pensato, poiché il soggetto pensato, predeterminato, svanisce nell’atto in cui fa esperienza di un oggetto percettivo (l’esempio del colore) e esprimendo il giudizio: «Percepisco il colore verde, in quanto verde» riflette su se stesso in quanto soggetto percepiente e pensante, perdendo la sua immediatezza indeterminata, per inserirsi in una mediazione determinata, che è il giudizio logico e non semplicemente percettivo.

6. La riforma della teoria dei giudizi logici

Nel capitolo V del primo volume dei Sistemi di logica come teoria del conoscere22 Gentile rielabora e ricostruisce una teoria dei giudizi tradizionale, ponendo l’attenzione sull’aspetto dialettico dei vari giudizi specifici in rapporto al pensiero logico come atto, individuando tre gruppi di giudizi: Qualità, Quantità e Modalità.

Questi gruppi richiamano alla memoria la tavola dei giudizi kantiana, ma se si ha ben presente l’analitica trascendentale della Kritik der reinen Vernunft di Kant, si nota una differenza notevole: il fatto che in Gentile non vi siano più categorie di relazione.

Quale è il motivo di tale scelta? Qualora il giudizio, come sostiene Gentile, sia mediazione, allora perché non dovrebbe esistere un giudizio di relazione se è essa stessa un sorta di mediazione? Se si osserva il discorso gentiliano da un punto di vista di logica formale, le obiezioni mosse da tali quesiti appaiono plausibili; ma qualora, invece, lo si osservi con la prospettiva di logica dialettica, allora si comprende il motivo teorico di questa riforma dei giudizi kantiani.

Gentile sostiene che il giudizio di tipo: «A è A o è B» non sia collegato, a differenza di quanto afferma Kant, al giudizio categorico o ipotetico, poiché questi ultimi non appartengono al pensiero pensante. È interessante notare che il concetto di causa ed effetto venga escluso dall’ambito logico puro, in quanto esso presupporrebbe un qualcosa di empirico, di esterno all’atto del pensare, il che, date le premesse della teoria gentiliana, sarebbe autocontraddittorio. Per meglio comprendere questo passaggio non proprio semplice della critica gentiliana a Kant, leggiamo ciò che Gentile di suo pugno scrive:

La relazione infatti, di cui parla Kant, è la radice delle categorie di sostanza (rapporto tra sussistenza e inerenza, substantia et accidens) di causa (rapporto di causa ed effetto) e reciprocità di azione tra agente e paziente. Tutte categorie che non hanno significato se non per rispetto all’esperienza, in quanto questa è conoscenza di un essere che non è lo stesso pensiero. Abbiamo visto della causa, come sia un concetto che non ha niente a che fare con la logica; e il giudizio ipotetico che afferma la necessità dell’effetto data la causa, non è perciò giudizio logico. Ed è giudizio logico in quanto non è giudizio causale, o ipotetico, ma semplicemente categorico (= affermativo) che mette nel concetto della causa e dell’effetto, o viceversa. Quanto alla reciprocità d’azione, la logica non può conoscerne altra da quella per cui i due contraddittori reciprocamente si escludono, e non solo uno è falso se l’altro è vero, ma l’altro è vero se l’uno è falso: cioè da quella che scaturisce dall’opposizione dell’affermazione con la negazione. E quanto alla sostanza: una volta è rapporto di sostanza con l’attributo, onde la sostanza è costituita nella sua essenza, e un’altra volta è rapporto di sostanza e accidente, che è esterno all’essenza di sostanza […] La distinzione kantiana delle tre categorie della relazione e delle tre forme correlative di giudizi è fondata sul presupposto dell’opposizione tra essere e pensiero; per cui il giudizio disgiuntivo ammette la possibilità della convenienza dell’uno o dell’altro predicato del soggetto: possibilità inintellegibile, se il rapporto tra predicato e soggetto non venisse interpretato come semplice presunzione soggettiva, sperimentabile poi nell’esperienza.23

Gentile prende di mira il presupposto kantiano dell’opposizione di essere e pensiero, su cui si costruisce poi tutto il criticismo del filosofo prussiano, poiché per Gentile l’essere è determinazione negativa del pensiero e il pensiero è determinazione positiva dell’essere, per cui non ha senso separare i due poli (l’essere e il pensiero), semmai ha senso distinguerli dialetticamente nell’unità dell’autoconcetto. Pur tuttavia a ben vedere possiamo notare un’aporia nel passo gentiliano da noi citato, quando Gentile afferma che le categorie di relazione kantiana non hanno significato se non rispetto ad un’esperienza, in quanto questa è «conoscenza di un essere che non è lo stesso pensiero». Tale affermazione sembra problematica, perché suona come se Gentile ammettesse l’esistenza di un’esperienza che è al di fuori del pensiero; ma se vi fosse un’esperienza di tal guisa, vi sarebbe una petitio principi, in quanto per l’attualismo tutta l’esperienza è esperienza del pensiero. Tale aporia, forse, potrebbe essere superata, qualora si intenda l’espressione «esperienza», come «esperienza empirica astratta» che non ha fondamento nella concretezza del pensiero riflettente.

Al di là di questa aporia, occorre notare come Gentile, nel sopracitato passo, decostruisca l’elemento empirista dei giudizi di relazione kantiani, con l’intento di ricondurre il pensiero logico dall’oggettività astratta empirica a una oggettività noematica concreta, tema su cui incentra gran parte del secondo volume dell’opera Sistemi di logica come teoria del conoscere.

7. La dialettica dei giudizi logici

Gentile ammette nove giudizi logici, i quali, a loro volta, si differenziano in tre gruppi:

  • Giudizi di qualità: affermazione, negazione, disgiunzione
  • Giudizi di quantità: universale, particolare, individuale
  • Giudizi di modalità: apodittico, problematico, assertorio.

Tale tavola ricorda la famosa tavola kantiana dei giudizi, che probabilmente Kant riprese da Wolff; ma in realtà occorre notare che in Gentile, a differenza di Kant, non c’è simmetria tra giudizi e categorie, in quanto in Gentile i giudizi logici (della logica del pensiero pensato) sono nove di numero, mentre le categorie della Logica del pensiero pensante sono infinite, come infinito è l’atto autonoematico del pensiero, che andremo ad esaminare nel prossimo paragrafo.

Gentile si sofferma su ogni giudizio della tavola dei giudizi per individuarne la funzione logica, ma sostanzialmente riconosce una concretezza sintetica reale solo ai giudizi disgiuntivi, individuali, assertori, in quanto essi sono la sintesi specifica degli altri presenti nei rispettivi gruppi: qualità, quantità e modalità. Che cosa significa che i giudizi disgiuntivi, individuali e assertori sono sintetici? Soprattutto che valore ha questa affermazione in relazione all’architettura logica attualistica? Per rispondere a questi quesiti, poniamo un esempio specifico: Se io affermo che X = X, nego simultaneamente che X sia uguale a Y e conseguentemente disgiungo i due concetti, affermando che X non è Y, rispettando il principio di identità e di terzo escluso; specularmente, ogni eventuale giudizio disgiuntivo è concreto, in quanto è sintesi di affermazione e negazione. Tale esempio vale per il gruppo di giudizi di qualità, ma si potrebbero porre esempi analoghi per gli altri due tipi di giudizi: individuale ed assertorio (per gli altri relativi due gruppi: quantità e modalità). Quindi si tratterebbe, secondo Gentile, di un’unica forma di giudizio concreto che, al tempo stesso, sarebbe disgiuntivo, individuale e assertorio.

In tale aspetto, è evidente che la differenza logica gioca un ruolo determinante, poiché l’identità di cui parla il filosofo non è un’identità astratta bella e pronta, ma è una conquista dell’autocoscienza mediante il suo differenziarsi, e questo differenziarsi non è il chiudersi in un sistema formale, ma è l’apertura verso un pluralismo di sistemi logici simultanei, che si possono cogliere solo se dalla logica del pensiero pensato si passa a quella del pensiero pensante, che è il pensiero concreto.

8. Il pensiero concreto e le categorie nelle categorie: noema/autonoema

A questo punto ci si potrebbe legittimamente chiedere: Che cosa è il concreto nel pensiero logico? Gentile si pone egli stesso questa domanda e afferma molto concisamente: «la concretezza è dell’esistente […] la concretezza è il reale dell’esperienza».24 Il concreto è quindi il pensiero non solo dell’esistente, ma nell’esistente, cioè un pensiero che si afferma nella sua attualità dialettica. Se il concreto è l’esistente, allora è chiaro che ogni astratta categoria fissa immobile nella sua forma logica, che pretenda di definire il suo contenuto, risulterebbe astratta. Un’identità astratta non può spiegare il contenuto concreto dell’identità, il quale è sintesi di identità e non identità quale processo dinamico del pensiero.

L’esistente è il concreto che si attua pensandosi come esistente; differenziandosi esso è, simultaneamente, Io e Non-Io; tuttavia, si presti attenzione al fatto che il Non-Io non viene posto dall’immaginazione trascendentale produttiva della Ichheit di Fichte;25 infatti il Non-io, in Gentile, è lo stesso differenziarsi dell’atto autonoematico e del pensiero pensato come altro dal me pensante.

Per comprendere questo passaggio speculativo dell’attualismo, occorre, brevemente, spiegare il ruolo delle categorie nella struttura della logica gentiliana, poiché le categorie hanno sempre svolto un ruolo fondamentale nelle logiche filosofiche tradizionali da Aristotele a Hegel. La domanda fondamentale, a questo punto, è la seguente: Se l’atto del pensiero pensante è sintetico, le categorie del pensiero logico sono molteplici? Come andrebbero intese tali categorie nel processo dialettico del pensiero pensante? Anzitutto, occorre premettere che Gentile individua tre tipologie di categorie:

  • La categoria predicato
  • La categoria funzione
  • La categoria autonoesi

La categoria predicato è la categoria di tipo aristotelico, che viene pensata metafisicamente e realisticamente: «La prima categoria è quella aristotelica, suppone la teoria analitica del giudizio: quella analisi senza sintesi per cui il predicato si stacca dal soggetto, e si pone universalità assoluta»;26 ovviamente tale concetto di categoria è valido se ci si circoscrive all’ingenua logica astratta, che presuppone una universalità immediata del predicato staccato dall’atto concreto del pensiero dialettico, ma in realtà essa non riesce a spiegare il senso della deduzione logica. La categoria funzione, quella di tipo kantiano, supera il problema dell’astrattezza logica di quella del tipo predicativo (o aristotelico), in quanto essa si pone come funzione unificatrice tra i dati dell’intuizione trascendentale (spazio e tempo) e i giudizi dell’intelletto; ma essa si comprende solo come una funzione dell’«Io penso» e non della sua attività concreta. Su tale punto Gentile sostiene che tale categoria, pur rivelandosi acuta, in quanto essa è sintesi conoscitiva dinamica, non riesce a superare il dualismo di tipo cartesiano; la distinzione tra pensare ed essere, la quale è al fondamento del criticismo kantiano, ne segna anche il suo limite teorico:

Il concetto di categoria funzione dà luogo in vero a difficoltà non trascurabili. In primo luogo, l’ufficio di questa funzione è di lavorare sopra una materia che essa non crea, ma presuppone: in generale, di unificare questa materia per essa stessa molteplice, conferendole in conseguenza quegli attributi di necessità e universalità che essa nella sua molteplicità non può avere, mentre ne ha bisogno per assurgere a giudizio, ossia a pensiero che abbia un valore. In secondo luogo, la funzione giudicatrice dell’intelletto, in quanto corrisponde alla forma propria del giudizio che deriva interamente da lei, non può essere unica.27

Il rapporto tra le categorie funzione e l’unità sintetica dell’appercezione kantiana è un elemento conoscitivo importante, ma non risolutivo, per comprendere la vera attività sintetica. La categoria funzione non è più predicato astratto della sostanza metafisica aristotelica, e questo è stato un gran passo avanti della filosofia kantiana rispetto alla tradizione preesistente; pur tuttavia tale categorie rimarrebbe, a parere di Gentile, troppo astratta: «la logica della categoria-funzione è la logica dell’astratto sovrapposta alla logica del concreto: una logica della sintesi a priori che non riesce a pensare per sintesi a priori».28 Perché tale sintesi a priori non riuscirebbe a pensare per sintesi a priori? Perché, sempre stando all’interpretazione di Gentile, essa presupporrebbe il contenuto della pensabilità conoscitiva e, quindi, si limiterebbe ad analizzare la sintesi, senza attuarla; di conseguenza lo Ich denke di Kant, pur avendo il merito di aver rivoluzionato la gnoseologia metafisica antica, rimane esso stesso una formula vuota, poiché non viene definito nell’immanenza concreta dei suoi atti autonoematici.

L’Io penso kantiano è sempre identico con se stesso, ma esso non partecipa del dinamismo della dialettica reale del pensiero conoscitivo; esso è una struttura diafana, cristallina, formale, ma nella cui superficie non si riflette alcun valore vitale del concreto uomo pensante e volente. La categoria funzione kantiana, pur essendo importantissima, non è la vera categoria autocosciente; essa coglie la trascendenza dell’atto noetico, ma non coglie l’immanenza dell’autonoesi come processo sintetico.

La categoria autonoesi è, infine, l’ultima e risolutiva categoria del pensiero attualistico, è una categoria che non descrive qualcosa (a differenza della categoria aristotelica) e non è funzione di una coscienza trascendentale, è essa stessa pensiero riflettente, come la parola greca da cui proviene afferma: autós = stesso nóesis = attività pensante. Questo essere essa stessa attività pensante riflettente, significa che essa stessa rielabora in modo non predeterminato il contenuto del pensiero che pensa l’oggetto (autonoema).

Ricapitolando, nella logica gentiliana notiamo tre livelli di pensiero puro:

  • noema: un soggetto X pensa un oggetto Y ed esprime giudizi su esso
  • autonoema: un soggetto X si pensa come soggetto pensante l’oggetto Y
  • autonoesi: un soggetto X si pensa come soggetto pensante il soggetto X

Non vi è autonoesi senza autonoema e noema, cioè, in termini meno teoretici, non v’è possibilità di essere autocoscienti, senza essere coscienti dell’oggetto che pensiamo. Ogni empirismo volgare è quindi fallace, perché pretende di causare l’atto teoretico del pensiero da un insieme di percezioni esterne, senza comprendere che tali percezioni sono già atti noematici, cioè pensieri pensati.

A tal proposito possiamo proporre un esempio, che può essere utile a chiarire questo passaggio fondamentale della logica gentiliana. Se io disegno con una matita di color verde un prato verde e, per ottenere questo effetto, uso l’apposito colore verde, non compio tale scelta per un istinto irriflessivo e sensoriale, ma, invece, perché conosco intenzionalmente il color verde nella matita e nel prato (pensandoli come noemi e non come percezioni). Tali noemi (prato, matita, color verde) vengono sintetizzati nell’atto autonoematico del disegnare (che realizza il disegno di un prato, secondo il mio punto di vista di soggetto pensante il prato).

Tale atto autonoematico viene risolto nel fatto che io, in quanto dipingo, mi penso come pittore, indipendentemente dal mio talento effettivo nel dipingere, e prendo coscienza della mia attività teoretica e pratica insieme. In termini quindi gentiliani, il colore verde del prato, sempre riferendoci al suddetto esempio, non è semplicemente appercepito (come vorrebbe Kant nella traszendenale Ästhethik), ma è pensiero pensato e rielaborato dal pensiero pensante.

Occorre quindi notare che tale logica come teoria di conoscenza degli atti concreti del pensiero presenta come esito la decostruzione della metafisica e dello gnoseologismo dualistico, sia idealistico, sia critico, sia materialistico. Ogni tipo di dualismo, in tale prospettiva, non può descrivere la vera logica che è conoscenza unitaria e unificante.

9. Conclusioni: l’esito antimetafisico e decostruzionista della logica gentiliana

Quando si parla di attualismo gentiliano, sovente si legge e si studia principalmente la Teoria generale dello spirito come atto puro, opera fondamentale, e spesso non si prende in debita considerazione la complessa teoria logica elaborata nei Sistemi di logica come Teoria del conoscere.

Tale opera, soprattutto nel secondo volume, propone degli interessanti elementi di discussione filosofica, poiché essa giunge a tre obiettivi fondamentali, obiettivi che riteniamo quasi precursori di istanze filosofiche contemporanee, o comunque legate ai problemi della filosofia postmoderna.

Il primo obiettivo che Gentile sembra voler raggiungere è quello di una decostruzione della logica tradizionale, soprattutto nell’aver superato l’idea stessa di concetto (compresa l’idea hegeliana di concetto assoluto). Il concetto, quindi, non è più il concetto idealistico tedesco, concetto che si fa sistema chiuso, ma è autoconcetto reale, autonoesi che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, è sintesi reale, la quale risolve l’oggetto nel suo riconfigurarlo attualmente e non analizzandolo entro categorie predeterminate.29

Il secondo obiettivo consiste nella decostruzione radicale di ogni metafisica astratta, Qualora si postuli, come fa Gentile, che l’oggetto e il concetto di oggetto non vanno pensati solo in astratto, ma pensati concretamente, allora a rigore potremmo affermare che ogni oggetto di pensiero non può essere più una sostanza astratta, ma è un processo dinamico aperto sempre a nuove elaborazioni dialettiche. La logica del conoscere, quindi, non conosce metafisica predeterminata, poiché ogni metafisica tradizionale si fonda, secondo la lettura gentiliana, su rapporti non puramente logici, ma empirici, che in quanto tali dovrebbe essere superati dialetticamente.

A tal proposito afferma Gentile: «La teoria dell’autosintesi consente di dire: non più metafisica! […] ma la metafisica di cui l’autosintesi è negazione non è se non la metafisica dell’astratto essere»;30 in tale prospettiva si può intravedere una grande differenza dalla prospettiva hegeliana (in cui la logica era metafisica in quanto descrizione dell’idea nel suo processo di passaggio dall’essere, all’essenza, per giungere poi al concetto), poiché Gentile afferma: «la nuova metafisica è metafisica critica, e logica come teoria del conoscenza».31

In realtà possiamo affermare che tale metafisica non è più una vera metafisica nel senso tradizionale, poiché ogni metafisica postulerebbe, per definizione, una minima dimensione trascendente; ma tale dimensione in una prospettiva come quella attualista non trova possibilità teoretica, perché non si dà conoscenza se non di una concreta immanenza, tanto del soggetto quanto dell’oggetto.

Il terzo obiettivo che Gentile si sforza di raggiungere è quello di superare la dicotomia kantiana sussistente tra «pensare» ed «essere», poiché il vero pensare è, per Gentile, sempre un conoscere in quanto auto-conoscere. Che cosa si intende più precisamente con questa affermazione? Semplicemente essa vuol dire che il conoscere non è più, come vuole Kant, un conoscere di tipo funzionalista, ma è di tipo (potremmo dire) «indifferenziale», nel senso che è un conoscere che non differenzia più forme astratte e separate, ma le sintetizza distinguendole e rielaborandole. Il pensiero allora non è più solamente un contemplare le essenze che si danno, ma è un agire consapevolmente; allo stesso modo, la conoscenza non è il semplice qualificare i fenomeni, ma è il decostruire tali fenomeni pensati dogmaticamente e il ricostruirli nell’autonoesi spirituale dell’autocoscienza:

Il nostro pensare, il pensare che non è più della sintesi, ma dell’autosintesi, è conoscere […] Il pensare è il conoscere sistematico; il conoscere è il pensare sistematico. Ma il pensare è sempre sistematico, solo per un suo dialettismo è un sistema che nega se stesso per affermarsi; e il sistema che si nega, nella sua inattualità, è pensare che non è conoscere.32

Si può condividere o meno la visione gentiliana del rapporto tra «pensare» e «conoscere», ma non si possono non intravedere in essa elementi innovativi rispetto all’idealismo tradizionale. Ovviamente tale temi meriterebbero un ulteriore approfondimento che esulerebbe dalla presente trattazione, la quale tenta solo di porre l’attenzione su alcuni aspetti negli ultimi anni poco studiati. Il problema del senso del pensare e del conoscere in filosofia è un problema sempre attuale, soprattutto oggi, in una società orientata in senso utilitaristico e nella quale ci si chiede spesso in che cosa consista la filosofia. A tale quesito Gentile offre una risposta di grande interesse:

Non si possa dire, in che obiettivamente la filosofia consista, senza filosofare; e, qualunque metodo i filosofi abbiano creduto di adottare, sempre il loro concetto della filosofia è stato, anzi che il principio il risultato dei loro rispettivi sistemi […] non c’è altra via che questa: non contentarsi di definizioni, ma risolvere il concetto definito nell’autoconcetto, risolvere l’oggetto nel soggetto, realizzare nella sua concretezza la sintesi dell’autoconcetto, filosofare. Purché, s’intende, a questo termine non si attribuisca il significato volgare di costruire dei concetti e di avvolgersi in definizioni.33

La filosofia, qualora si legga attentamente la logica gentiliana, non è semplicemente l’attività teoretica che costruisce concetti e definizioni, è una dimensione ulteriore nella quale ci si protende ad andare sempre oltre il concetto, verso un autoconcetto che mai sarà pago di sé, poiché esso è pensiero infinito; ragion per cui la filosofia non potrà mai esaurirsi, a differenza di Hegel, in nessuna sintesi, poiché la filosofia è autosintesi infinita.

A questo punto poniamo il seguente quesito: L’attualismo di Gentile è solo una variante estrema e radicale dell’idealismo occidentale moderno, come spesso si è affermato, o è invece un pensiero che si apre, anche forse inconsapevolmente, a scenari speculativi più vasti postmetafisici e, dunque, in un certo modo postmoderni?

10. Bibliografia di Giovanni Gentile

In questa sede bibliografica riportiamo solo alcuni dei testi presenti nella cospicua produzione di studi filosofici, storici e filologici del pensatore siciliano. Per una visione più completa della bibliografia di Gentile rimandiamo i lettori ad uno dei testi più completi in tal senso: Bellezza, V. A., 1950, Bibliografia degli scritti di Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni. Per avere un prospetto sull’opera e la figura di Giovanni Gentile è reperibile del buon materiale in rete: www.giovannigentile.it e www.geocities.com/fylosofya/gentile.htm.

  • Gentile G., 1913, La riforma della dialettica hegeliana, Messina, Il principato.
  • Gentile G., 1916, Teoria generale dello spirito come atto puro, Firenze, Sansoni.
  • Gentile G., 1923, Sistemi di logica come teoria del conoscere, Bari, Laterza, 2003; Firenze, Le nuove lettere.
  • Gentile G., 1923, Studi sul rinascimento, Firenze, Sansoni.
  • Gentile G., 1931, La filosofia dell’arte, Firenze, Sansoni.
  • Gentile G., 1941, La filosofia italiana contemporanea, Firenze, Sansoni.

11. Riferimenti bibliografici

  • Alberghi S., 1948, «L’antinomia dell’attualismo», in Humanitas, pp. 746-754.
  • Brancatisano F., 1939, «Ontologismo, attualismo e dialettica hegeliana», in Archivio di filosofia, pp. 41-54.
  • Calogero G., 1960, La conclusione della filosofia del conoscere, Firenze, Sansoni.
  • Caramella S., 1962, «Origini dell’attualismo» in Il Baretti, n. 15, pp. 25-50.
  • Croce B., 1902, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, Bari, Laterza.
  • Croce B., 1906, Filosofia della pratica, Bari, Laterza.
  • Croce B., 1909, La logica come scienza del concetto puro, Bari, Laterza.
  • Del Pra, 951, «L’identità di teoria e prassi nell’attualismo gentiliano», in Rivista critica di storia della filosofia italiana, pp. 8-21.
  • Della Volpe, G., 1924, L’idealismo dell’atto e il problema delle categorie, Bologna, Prismi.
  • Fano, G., 1932, «La negazione della filosofia nell’idealismo attuale» in Archivio di filosofia, fasc. II, pp. 57-101.
  • Fichte, J. G., 1794, Wissenschaftlehre, Berlin, Haushof, 2002, Suhrkamp, Franfurt/M.
  • Garin, E., 1997, Cronache di filosofia italiana (1900-1960), Bari, Laterza.
  • Guzzo, G., 1964, «L’atto non chiusura, ma apertura su ogni realtà», in Giornale Critico della filosofia italiana, pp. 459-480.
  • Harris, H. S., 1959, «Studi sull’attualismo e influenza di G. Gentile sul mondo anglosassone», in Giornale critico di filosofia italiana, pp. 312-352.
  • Hegel, G. F. W., 1807, Phänomenologie des Geistes, Bamberg und Würzburg, J. Goebhart, (Fenomenologia dello spirito, trad. it. di V. Cicero, Milano, Bompiani 2000).
  • Lugarini, L., 1954, «Il problema della logica nella filosofia di Giovanni Gentile» in G. G. La vita e il pensiero, VII, pp. 143-186.
  • Massolo A., 1947, «Gentile e la fondazione kantiana», in Giornale critico della filosofia italiana, pp. 138-144.
  • Negri A., 1964, «Attualismo e fenomenologia», in Giornale critico di filosofia italiana, pp. 319-355.
  • Paci E., 1940, «L’atto come problema», in Studi filosofici, Messina, Il principato.
  • Spirito U., 1930, L’idealismo italiano e i suoi critici, Sansoni, Firenze.
  • Stefanini L., 1955, «L’entimema personalistico di Giovanni Gentile», in Giornale di metafisica, pp. 85-102.
  • Raschini M. A., 1968, «Gentile classico: il problema della filosofia nell’attualismo», in Giornale critico della filosofia italiana, pp. 216-238.

  1. Per un quadro completo dell’interesse anglosassone verso l’attualismo di Gentile, cfr. Harris (1959). ↩︎

  2. Gentile G., (1923; 2003). Tale opera venne elaborata da Gentile in più periodi, originariamente il primo volume (1917) fu scritto prendendo spunto da una serie di seminari sulla logica antica e moderna tenuti alla Scuola normale di Pisa nell’anno precedente. Il secondo volume venne redatto nei successivi anni, e l’opera fu poi pubblicata per intero nel 1923. Nelle citazioni successive indicheremo sempre l’anno di pubblicazione dell’ultima edizione pubblicata in Italia (2003), con i numeri romani: I e II, indicheremo i due rispettivi volumi. ↩︎

  3. Interessanti riflessioni di E. Severino sono reperibili on-line su: www.forma-mentis.it↩︎

  4. Gentile (1913). Tale opera venne poi ripubblicata da Gentile nel 1923. ↩︎

  5. Gentile (1916). ↩︎

  6. Gentile (2003, I, 119-124). ↩︎

  7. Gentile (2003, II, 32-47). ↩︎

  8. Hegel (2000, 365-339). ↩︎

  9. Gentile (1916). ↩︎

  10. Cfr. Croce (1902) oppure Croce (1906). ↩︎

  11. Gentile (2003, I, 3). ↩︎

  12. Gentile (2003, I, 13). ↩︎

  13. Gentile, seppur con prospettive distanti dalle filosofie postmoderne, sembra anticipare la critica al logocentrismo astratto del pensiero filosofico tradizionale, critica tipica di autori postmoderni. ↩︎

  14. Gentile (2003, I, 20). ↩︎

  15. Gentile (2003, I, 172). ↩︎

  16. Per la critica di Gentile ad Hegel: Gentile (2003, II, 126-129). ↩︎

  17. J.G.F. Fichte (1794). ↩︎

  18. Gentile (2003, I, 220-246). ↩︎

  19. Gentile (2003, I, 221-225). ↩︎

  20. Gentile (2003, I, 227). ↩︎

  21. Gentile (2003, I, 233-234). ↩︎

  22. Gentile (2003, 235-246). ↩︎

  23. Gentile (2003, 236-237). ↩︎

  24. Gentile (2003, II, 11). ↩︎

  25. Gentile (2003, II, 165). ↩︎

  26. Gentile (2003, II, 115). ↩︎

  27. Gentile (2003, II, 120-121). ↩︎

  28. Gentile (2003, II, 117). ↩︎

  29. Gentile (2003, II, 123). ↩︎

  30. Gentile (2003, II, 158-170). ↩︎

  31. Gentile (2003, II, 224-225). ↩︎

  32. Gentile (2003, II, 226). ↩︎

  33. Gentile (2003, II, 264-265). ↩︎