Recensione a Donald Davidson, Soggettivo, intersoggettivo, oggettivo

Donald Davidson, Subjective, Intersubjective, Objective, Oxford University Press, Oxford, 2001, 237 pp., trad. it. Soggettivo, intersoggettivo, oggettivo Raffaello Cortina, Milano, 2003, 292 pp.

Esiste l’oggettività o il sapere è in balia della soggettività e del relativismo? Esiste ancora una posizione privilegiata del soggetto nella conoscenza? Esiste ancora una sfera privata? Ha senso parlare di relativismo epistemologico? Cosa si intende per oggettività e quale ruolo svolge l’intersoggettività? Come si formano i nostri pensieri, le nostre credenze, il nostro linguaggio?

Una risposta originale e argomentata a queste ed altre domande proviene da Donald Davidson, filosofo analitico statunitense, spentosi nel 2003. Questo pensatore, pur appartenendo all’area analitica, si è sempre distinto per la varietà dei suoi interessi e per la sensibilità anche nei confronti di questioni lontane dalla logica e dalla filosofia del linguaggio nonché per il taglio a tratti quasi ermeneutico delle sue argomentazioni: in particolare le sue idee hanno interessato le sfere dell’ontologia, dell’epistemologia, della filosofia della scienza, della filosofia della mente e della filosofia della psicologia, distinguendosi dalla naturalizzazione come intesa dal neopositivismo e dal riduzionismo presenti nel panorama filosofico anglo-americano degli anni ’70 e ’80.

Nel testo Subjective, Intersubjective, Objective Davidson ha raccolto e in parte rielaborato una serie di saggi pubblicati nel corso degli ultimi anni della sua vita e uniti dal filo rosso del tema della conoscenza: in essi è possibile individuare un percorso, come il titolo stesso suggerisce, attraverso l’indagine del ruolo della soggettività e dell’intersoggettività verso la scoperta della vera oggettività della conoscenza, che le supera e le comprende al suo interno.

Secondo Davidson l’oggettività non è raggiungibile partendo, come gli empiristi vorrebbero, da un soggettivo che non la contiene e dal primato del dato esterno oggettivo e nemmeno si può parlare di primato della soggettività, di soggetto come fondamento della conoscenza, come ha fatto Descartes e molti razionalisti: in realtà il pensiero esercita fin dall’inizio un suo potere di connettersi con il mondo reale e con gli altri. Davidson propone infatti un alternativo tipo di oggettività, fondato sull’intersoggettività e sul confronto.

Il problema dell’oggettività del pensiero e della conoscenza è approfondita da Davidson attraverso l’analisi delle teorie della verità. Egli distingue tra caratterizzazioni soggettive e oggettive della verità. Secondo le prime la verità intrattiene un rapporto intimo con le possibilità umane di conoscerla: ne fanno parte le teorie coerentiste, pragmatiste e scientiste, che trattano la verità come una nozione radicalmente epistemica e conducono ad esiti scettici in quanto la realtà viene ridotta a molto meno di quel che crediamo sia. Le opposte concezioni oggettive, come le teorie corrispondentiste, ritengono invece la verità radicalmente non epistemica, cioè come qualcosa che trascende l’evidenza; inoltre basandosi su un idea di realtà e di verità che dipende dal confronto tra ciò che conosciamo del mondo e ciò che realmente è, esse sono di fatto inintelligibili. Lo scetticismo affligge anche queste forme di realismo in quanto esse mettono in dubbio tutto ciò che pensiamo di sapere.

Per superare il «virus epistemologico» delle prime o il «realismo trascendentale» delle seconde, Davidson ritiene si debbano approfondire i rapporti tra epistemologia e verità, superandone l’opposizione dualistica, grazie al ripensamento del concetto cardine di credenza: non è la verità a essere epistemica ma è la credenza a tendere irresistibilmente verso la verità, cioè la credenza è per natura vera in virtù della sua origine.

L’acquisizione della conoscenza e la formazione delle credenze non si basa su una progressione dal soggettivo all’oggettivo né dal dato oggettivo al soggetto: emerge olisticamente ed è interpersonale fin dall’inizio. Come e perché questo avvenga è chiarito in quest’opera attraverso uno dei punti più interessanti del pensiero di Davidson, cioè la sua originale forma di esternalismo, detto triangolare, in quanto si basa sull’interconnessione epistemica originaria a tre estremi tra singolo, altri e mondo esterno.

Questo filosofo fonde l’esternalismo causale o ontologico, attribuibile a H. Putnam, che assegna un ruolo fondamentale all’ambiente fisico esterno e per il quale il primato epistemico è assegnato al rapporto causale mente-mondo, e quello sociale, attribuibile a T. Burge, che assegna un ruolo fondamentale al contesto socio-linguistico e per il quale il primato epistemico è assegnato alle regole socio-linguistiche.

Infatti secondo Davidson i contenuti mentali, in particolare le credenze, sono determinati anche dalla storia naturale di una persona, cioè dalle interazioni avute sia con il contesto storico e sociale sia con l’ambiente fisico esterno: ecco quindi la triangolazione singolo-altri (contesto storico sociale) -mondo (ambiente fisico esterno), a cui Davidson spesso si riferisce con parlante-interprete-mondo (sottolineando il ruolo della comunicazione e dell’interpretazione). I contenuti mentali di ciascun individuo sono determinati nell’interazione tra interprete e parlante, sullo sfondo delle pratiche sociali condivise e facendo riferimento al mondo esterno comune ad entrambi.

Davidson afferma che la triangolazione, mediante la comunicazione, è la modalità fondamentale attraverso cui l’uomo conosce e interpreta: senza l’altro non è possibile per gli esseri umani conoscere e nemmeno pensare. Sono necessari sempre almeno due punti di vista: la conoscenza non è possibile senza la condivisione consapevole dei pensieri.

Ma anche la componente mondo nella triangolazione è fondamentale: per conoscere un qualsiasi soggetto non si può prescindere dall’osservazione della sua interazione con il mondo esterno condiviso. Infatti quando interpretiamo un’azione, un discorso o un pensiero lo facciamo inserendoli in una rete olistica di altri azioni, discorsi e pensieri: ma tale rete deve essere fissata ad un mondo condiviso attraverso la triangolazione.

La condivisione del mondo tra gli uomini è efficace in quanto è collegata alla particolare teoria della percezione di Davidson in cui i contenuti mentali sono determinati direttamente dagli oggetti esterni, senza intermediari epistemici. Il fatto che gli stati mentali, incluso ciò che un parlante intende dire, siano identificati da relazioni causali con oggetti ed eventi esterni condivisi è essenziale alla possibilità di comunicare, ed è ciò che rende una mente — in linea di principio — accessibile a un’altra.

Quel che àncora il nostro linguaggio e i nostri pensieri al mondo è il fatto che impariamo ad utilizzare le nostre prime proposizioni osservative dagli altri nell’evidente presenza di oggetti, eventi e caratteristiche del mondo reciprocamente percepiti. In questo modo si formano i concetti elementari che costituiscono il fondamento di tutti i concetti e rendono il linguaggio e il pensiero oggettivi. Infatti i termini meno direttamente collegati alla percezione acquisiscono contenuti attraverso connessioni logiche o di altro tipo con termini osservativi. La triangolazione non poggia sul riconoscimento di un significato già dato ma si articola come attività che fornisce un contenuto al linguaggio.

La necessità del confronto e dell’intersoggettività alla base della possibilità della conoscenza e del pensiero, non può non richiamare alla mente da una parte il Platone del Sofista e dall’altra la pre-comprensione del pensiero ermeneutico e il pensiero di Wittgenstein. Inoltre qui si può anche individuare una originale versione dello stretto legame tra pensiero e linguaggio tipico della filosofia contemporanea: il pensiero è possibile solo ove si abbia una comunicazione linguistica.

L’esternalismo e la triangolazione si collegano ad un’altra originale teoria espressa in quest’opera: la concezione tripartita della conoscenza. Le tre parole del titolo rilevano infatti le differenze reali fra tipi di conoscenza proposizionale: la conoscenza della nostra mente, dei contenuti delle menti degli altri e del mondo condiviso. Davidson cerca di individuarne le relazioni, in quanto ritiene un errore affrontarli separatamente; inoltre li ritiene tutti indispensabili, come illustra efficacemente il paragone con le gambe di un tripode.

In quest’ottica, esternalismo triangolare significa che non è possibile la conoscenza del contenuto della propria mente senza il riferimento alle menti degli altri e senza il riferimento ad un mondo comune condiviso. A sua volta la nostra conoscenza/classificazione degli oggetti e degli aspetti del mondo non sarebbe conoscenza o pensiero, se non fosse possibile condividere con altri esseri, tramite la comunicazione linguistica, la reazione agli stimoli provenienti da tali oggetti o aspetti, cioè non sarebbe possibile senza la conoscenza delle altre e della propria mente. Ma la conoscenza delle altre menti è a sua volta possibile solo se si ha conoscenza del mondo, in quanto, essendo su un oggetto od un aspetto del mondo che i punti di vista si intersecano, è necessario il riconoscimento di un mondo esterno condiviso.

Ma cosa resta allora dell’antico primato della conoscenza della propria mente? Esso si riduce al fatto che possiamo rivendicare un tipo particolare di autorità, una conoscenza in prima persona, rispetto ai nostri atteggiamenti proposizionali; tale autorità non è invece presente negli altri due tipi di conoscenza.

Su questa concezione tripartita si innesta un’altra argomentazione riconducibile ad una posizione caratteristica del pensiero di Davidson, il monismo anomalo, che sostiene la specificità della conoscenza della mente e delle scienze umane rispetto alle scienze naturali, in virtù di una peculiare normatività razionale presente nei concetti mentali e assente nei concetti fisici.

Infatti in questi saggi Davidson aggiunge qualcosa in più a favore di questa specificità del mentale rispetto al fisico. La conoscenza delle altre menti, e quindi dei concetti mentali, è alla base della comunicazione intersoggettiva che a sua volta costituisce il fondamento del nostro concetto di oggettività e quindi della conoscenza in generale. Non c’è modo di uscire da questo standard per controllare se abbiamo colto le cose correttamente: noi dipendiamo dalle nostre interazioni linguistiche per raggiungere l’accordo sulle proprietà delle strutture naturali, ma non possiamo allo stesso modo accordarci sulla struttura degli enunciati e dei pensieri che usiamo per interpretare gli enunciati e i pensieri altrui perché sarebbe come cercare lo standard dello standard: la conoscenza delle altre menti è quindi normativa in un modo in cui le altre due non lo sono.

In conclusione devo rilevare la presenza di alcuni punti leggermente oscuri nel pensiero espresso da Davidson in questo libro.

Innanzitutto, nonostante la dichiarata parità tra i tre tipi di conoscenza, Davidson sembra attribuire maggiore importanza alla conoscenza delle altre menti, in quanto essa, attraverso la comunicazione intersoggettiva, contribuisce al fondamento di tutta la nostra conoscenza. L’ambiguità è evidente e l’unico modo di risolverla potrebbe essere quello di rivedere l’effettiva natura paritaria dei rapporti tra i tre tipi di conoscenza con il rischio, però, di cadere in una posizione di relativismo intersoggettivo.

Un altro punto assai interessante ma parzialmente oscuro del pensiero di Davidson riguarda il concetto di razionalità e le condizioni di attribuzione di pensiero e razionalità ad un essere: Davidson ritiene sufficiente il possesso del concetto di verità intersoggettiva (e quindi oggettiva), ottenuto solo attraverso la comunicazione sociale, cioè attraverso l’impiego di un linguaggio proposizionale che permette la distinzione tra vero e falso da parte del singolo di fronte al «tribunale dell’altro». Ma quali tipi di linguaggi sono necessari a questo scopo? Solo il linguaggio verbale dell’uomo? Oppure anche altri tipi di comunicazione? Molti primati ed altri mammiferi sembrano avere sistemi di comunicazione piuttosto sviluppati e complessi sebbene non verbali, nonché strutture sociali articolate e non automatiche. Come possiamo sapere se i loro linguaggi sono sufficienti a garantire la razionalità?

Un altro punto non del tutto approfondito è come sia avvenuto storicamente e come si realizzi tuttora nel bambino lo sviluppo del linguaggio e del suo legame con il pensiero. Ma forse si tratterebbe di descrivere in modo intelligibile i fenomeni mentali in una fase in cui sono probabilmente «proto-pensieri» inintelligibili: per usare le parole di Davidson «[…] non avremmo il vocabolario adatto a descrivere tale fase».

Infine in Davidson, come in molti altri filosofi analitici, non è molto presente la prospettiva storica delle questioni che vengono analizzate: il flusso del pensiero filosofico sembra, a tratti, fissato su un asettico telo, in una dimensione a-temporale che nasconde la storicità. Ma la conoscenza, il pensiero e le credenze sono indipendenti dal tempo o, in quanto legate all’intersoggettività, sono indirettamente influenzate dal mutare temporale dell’intersoggettività?

Davidson, con questa ultima rilevante proposta filosofica che, superando lo iato tra dati del mondo esterno e soggetto e fornendo la misura di tutte le cose in un mondo condiviso, fonda la conoscenza su una «comunità di menti», consegna il suo pensiero filosofico a meritati sviluppi futuri.