Lebenswelt e natürlicher Weltbegriff: continuità e discontinuità. A proposito dell’edizione italiana delle lezioni sui Grundprobleme der Phänomenologie

1. Introduzione

Nella ricca introduzione all’edizione delle lezioni di Husserl sui Problemi fondamentali della fenomenologia del semestre invernale 1910-1911,1 Vincenzo Costa ha posto in continuità diretta il concetto naturale di mondo, così come emerge in questo testo, con il concetto di mondo-della-vita che verrà diffusamente affrontato nella Crisi delle scienze europee. L’idea che «il concetto naturale di mondo rappresenti, dunque, il nucleo a partire dal quale si sviluppa ciò che Husserl chiamerà, nella Crisi, il mondo-della-vita, dato che il mondo “vero” della teoria “è una sustruzione teoretico-logica”»2 rappresenta quindi il filo conduttore che permetterebbe di vedere nella Lebenswelt il risultato dell’elaborazione di qualcosa che in germe era già presente nel concetto naturale di mondo e che poi darà luogo alla possibilità di una ontologia del mondo-della-vita.3

La posizione di Costa è certamente condivisibile, e si possono rintracciare nei temi che già in forma germinale emergono in queste lezioni le radici di ciò che verrà compiutamente alla luce solo nell’ultima opera elaborata da Husserl. Ciò che dice il curatore della traduzione italiana nella sua introduzione è vero: Husserl ha un debito molto importante nei confronti di Avenarius e della sua idea di ritornare a un piano originario dell’esperienza che si trovi prima di qualunque elaborazione teoretica dell’esperienza stessa. Questo appello al ritorno alla dimensione originaria permane in maniera evidente anche nella stessa Crisi, e può essere rinvenuto sottotraccia nel corso dell’intero testo del ’36. La necessità di un ritorno alla dimensione dell’esperienza originaria si mostra innanzitutto nella critica husserliana all’autoreferenzialità delle scienze fondate sulla matematica, le quali costruiscono il loro mondo vero in contrapposizione al mondo quotidianamente esperito. La traccia di Avenarius in questo discorso è lampante: non possiamo non risalire a una dimensione prescientifica se vogliamo dare un fondamento alla scienza stessa. E tantomeno possiamo accettare l’idea che il mondo sia percepito solo mediante la strutturazione teoretica che le scienze mettono in atto. Deve esserci una dimensione che preceda questa divisione e che rappresenti l’origine tanto del piano teoretico quanto del piano pratico. Il bisogno di un ritorno alla dimensione originaria appare chiaro ad Husserl proprio nella necessità di trovare un terreno su cui fondare la prassi scientifica stessa. Il tentativo husserliano compiuto nella Crisi si pone perciò sulla stessa linea di quello che possiamo ascrivere all’empiriocriticismo, così come Costa sottolinea nella sua Introduzione.

C’è però uno sviluppo ulteriore nel concetto di mondo-della-vita che richiede un’analisi attenta proprio di questo legame con il concetto naturale di mondo, così come viene delimitato in queste lezioni.

2. Il concetto naturale di mondo ne I problemi fondamentali della fenomenologia

Nelle pagine delle lezioni del Wintersemester 1910-1911, Husserl vuole prendere le mosse dal concetto naturale di mondo per costruire il percorso che introduce all’interno dell’atteggiamento fenomenologico. Così, delinea l’atteggiamento naturale e ciò che in esso si trova come già dato, partendo dall’io empirico come luogo in cui rinvenire ciò che si dà in modo originario.

L’io si trova come centro di un mondo circostante grazie al suo corpo vivo, che funge da punto di origine della posizione dell’io nello spazio e nel tempo. Queste coordinate definiscono l’ambiente circostante a partire dal raggio di azione del Leib, ambiente che però non si limita solo a questo spazio, ma si estende in modo indefinito, sebbene coerente con le strutture di fondo con cui si dà già a livello originario. Lo stesso si può dire del tempo: a partire dal presente, è possibile ricostruire il passato infinito e il futuro infinito che si dispiegano dal presente, come momento originario da cui si estendono i due assi temporali. Questo posizionarsi nell’ambiente è anche un posizionare gli oggetti in esso, è metterli in relazione con l’io e con gli altri oggetti. Ma vi è anche un riconoscersi del soggetto come io che giudica sul mondo nel quale si trova. Il Leib è dunque un oggetto tutto particolare, perché è un oggetto che costantemente si dà, in maniera ineliminabile, e che rappresenta il centro a cui si riferisce ogni percezione di ciò che si dà nell’ambiente circostante. Gli stessi vissuti egologici si localizzano nel Leib. Esso è quindi contemporaneamente ciò che permette di essere localizzati come centro di un ambiente circostante e ciò in cui è localizzato lo strato egologico dell’io.

Ma a partire dal corpo vivo si possono raggiungere anche gli altri ego, in quanto essi si danno come corpi vivi estranei nel modo dell’empatia. Ad essi si riconosce uno strato psichico, con tutte le caratteristiche e le proprietà pertinenti, compreso l’essere il Mittelpunkt del proprio ambiente circostante.

La relazione con il mondo circostante si dà poi tramite la possibilità di relazione corporea alle cose. Ognuno infatti ha la propria manifestazione delle cose, il che però non significa che la cosa si dia in modo diverso a ciascuno. A parità di condizioni (in una situazione che Husserl chiamerebbe ortoestetica) si dà la possibilità di avere le medesime percezioni dell’oggetto che ha qualcun altro ponendomi nello stesso luogo in cui si trova e quindi dalla stessa prospettiva. Questa possibilità di scambio, questa “isomorfia cinestetica”, ci permette di dire che l’oggetto che esperiamo ha un modo di manifestazione non relativo, ma universale, che quindi si dà, a parità di condizioni, nello stesso modo per tutti i soggetti. È per questo che gli ego possono giungere ad avere lo stesso mondo nelle stesse manifestazioni dell’oggetto, sebbene i vissuti appartengano sempre solo al singolo io.

Tutto questo viene designato da Husserl sotto il titolo «Vorfinden», con cui si intende «ciò che è presente prima di ogni pensare raziocinante, e a maggio ragione, prima di ogni pensare scientifico»4: tutto questo non è nient’altro che l’esperire. E qui Husserl sottolinea un punto importante: l’atteggiamento naturale è l’atteggiamento dell’esperienza, atteggiamento che riguarda sia gli animali che l’uomo prescientifico. È su questo livello che si possono costruire le scienze naturali. Husserl individua quindi in questo strato preriflessivo il piano dell’esperienza originaria, quel piano che lo stesso Avenarius voleva individuare, il piano cioè che si trova prima di qualunque elaborazione teoretica.

Ma a partire proprio da questo primo livello possiamo elaborare la conoscenza scientifica, che deve seguire i due piani individuati da Husserl. Vi sarà quindi una scienza naturale fisica, la quale si occupa di studiare tutto ciò che riguarda gli oggetti costituiti dalla relazione del Leib al suo mondo circostante, e vi sarà una psicologia che descrive tutte le manifestazioni che si possono avere delle altre psiche, a partire naturalmente dalla relazione agli altri mediata dai corpi vivi. Ma questa bipartizione delle scienze non deve trascurare l’unità di fondo del campo della conoscenza naturale. Essa, per essere completa, deve essere una conoscenza psicofisica, deve cioè contemperare nel campo della scienza entrambi gli aspetti della natura. Qui si raggiunge un punto centrale:

Ogni scienza dell’esistenza nell’unico spazio e nell’unico tempo è scienza naturale. E la natura è l’insieme unitario, o piuttosto, come emerge da una considerazione più precisa, il tutto unitario, governato da leggi, che raccoglie quindi tutto ciò che ha luogo ed estensione nell’unico spazio e posizione e durata nell’unico tempo. Questo tutto lo chiamiamo mondo o totalità della natura [Allnatur].5

Nella stessa totalità della natura, determinata da un unico spazio e un unico tempo, presa come totalità compatta, rientrano così tanto gli eventi fisici che quelli psichici. La stessa Seele, se considerata non ancora sotto la luce della posizione fenomenologica, rimane un evento della natura. Per questo, non si può pensare il mondo naturale se non in termini psicofisici. La Allnatur non è quindi caratterizzata solo dalla causalità, perché la legge che governa la psiche è la legge di motivazione. Ciò che definisce la natura è la connessione spaziale e temporale che non ammette alcun salto, e che sia governata da leggi, che siano empiriche o psichiche, causali o motivazionali. Se dividessimo il mondo in due, separando le anime dai corpi e pensando questi due mondi come chiusi e autosufficienti, non renderemmo giustizia al fatto che l’esperienza non segue questa divisione rigorosa, ma è al contrario sempre un intero, si rapporta alla natura, presa nella sua totalità, in modo unitario. «L’esperienza conosce soltanto un unico mondo, nella misura in cui le anime sono appunto anime di corpi vivi, e nella misura in cui il mondo è il mondo dell’esperienza e, come tale, rimanda agli ego che, a loro volta, come tutti gli altri ego, hanno, conformemente all’esperienza, una collocazione nel mondo».6

Tutto ciò che è stato detto costituisce le linee di fondo del concetto naturale di mondo. Ma qui si rivela un punto importante: questo concetto è quello che si ricava nell’atteggiamento naturale. Husserl non ci ha ancora indotto ad operare la riduzione. Subito dopo infatti si apre il paragrafo in cui Husserl distingue l’atteggiamento naturale dall’atteggiamento apriorico, da cui derivano due diverse linee di ontologia: l’ontologia della natura e l’ontologia formale. Il piano empirico, quello della natura, si contrappone così al piano a priori formale dell’oggetto in generale: all’atteggiamento che parte da un certo oggetto dato, la natura, si contrappone l’atteggiamento che cerca le condizioni a priori del darsi di qualunque oggetto. Tuttavia, vi è una continuità, come scrive Husserl a proposito della Critica dell’esperienza pura di Avenarius: la continuità sta nella necessità di isolare una dimensione a priori che permetta il darsi della natura come oggetto. L’esperienza stessa attesta la necessità di un piano che permetta la costituzione a priori dell’oggetto “natura”, e questo piano può e deve essere indagato ontologicamente, nelle sue strutture generali. Se infatti non potesse costituirsi il senso del mondo naturale, non potrebbe darsi nemmeno l’esperienza stessa del mondo e nel mondo. Per questo, la critica all’esperienza è per Husserl da intendersi come la ricerca di questo piano: «l’“ontologia” della natura dispiega nelle sue discipline il senso formale-generale della tesi naturale».7 Questo piano originario e le sue strutture formali devono essere isolate e poste come oggetto di una conoscenza previa alla scienza naturale, come conoscenza che ne rende possibile l’oggetto. Così, si evidenziano nel concetto naturale di mondo le strutture invarianti di qualunque esperienza possibile del mondo stesso.

3. Mondo-della-vita come mondo dell’esperienza originaria

Al centro dell’idea di una continuità tra concetto naturale di mondo e concetto di mondo-della-vita vi è l’interpretazione di quest’ultimo come mondo dell’esperienza originaria. E senza dubbio il testo della Crisi giustifica questa interpretazione, se è vero che il livello più originario, quello sul quale si fonda ogni altra esperienza, è quello percettivo. Che questo si dia come struttura invariante e universale che garantisce l’accesso al medesimo mondo è fuor di dubbio. Lo stesso andamento della Crisi lo mostra: esso viene presentato come primo gradino nella critica al “mondo vero in sé” delle scienze naturali. Così appare nel paragrafo 9b, nel quale Husserl vuole mostrare la Begründung della geometria nella anschauliche Umwelt. E tuttavia, quando Husserl parla di questo necessario percorso a ritroso al fine di raggiungere il punto in cui la geometria si fonda nell’esperienza, non parla di Lebenswelt, ma di mondo empiricamente intuitivo, o di mondo concreto. L’Erfahrungswelt è, almeno in questo primo livello, solo percettiva, e in questo modo è in contrasto con il mondo ordinato dalla matematica. Nella stessa Crisi si parla di Erfahrungswelt come ciò che fa da base (Grund) all’idealizzazione operata dalle scienze,8 tramite l’idea di una reiterabilità dell’esperienza che rispetta una forma fissa, che viene colta grazie all’idealizzazione. Il senso di questa espressione si ricollega al modo di considerare il “mondo vero in sé” delle scienze naturali come un mondo che di principio non è percepibile. Ad esso si contrappone proprio la Erfahrungswelt come ciò di cui possiamo fare esperienza diretta. Per questo, viene utilizzato come sinonimo diretto di «mondo dei sensi». Il mondo dell’esperienza cui Husserl fa riferimento ha evidentemente un’accezione riconducibile al piano percettivo, senza il quale non si dà alcuna altra forma di contatto con il mondo. L’importanza di un primo accesso sensibile al mondo viene rimarcata dallo stesso Husserl: «In ogni verificazione che rientra nella vita degli interessi naturali, che si mantiene puramente nell’ambito del mondo-della-vita, il ritorno all’intuizione “sensibilmente” esperiente svolge un ruolo rilevante. Perché tutto ciò che si rappresenta come una cosa concreta nella dimensione del mondo-della-vita ha una corporeità, anche se non è un mero corpo, se è ad esempio un animale o un oggetto culturale, e quindi ha anche proprietà psichiche e spirituali».9 C’è quindi un ruolo privilegiato della percezione, che Husserl non può certo sminuire.

Il tema centrale che fa da perno all’argomentazione husserliana è che vi sia un piano che non può essere ritenuto relativo alla soggettività, ma che deve essere riconosciuto come il medesimo per tutti, salvo casi di modifica delle facoltà percettive stesse. È necessario riconoscere per Husserl questo livello che non dipende da fattori esterni, ma solo dalle strutture di costituzione dell’oggetto percettivo. Vi è quindi un legame diretto tra soggetto e oggetto, un legame che non possiamo non considerare originario. Il campo definito da questo legame diretto è per Husserl un “luogo” ben preciso, è la Lebenswelt: «il mondo-della-vita è un regno di evidenze originarie».10 Questo spazio delle esperienze originarie non può che essere percettivo, perché ogni aspetto che esuli da questo può risentire della messa in forma relativa alla soggettività che lo costituisce, sia esso singolare o comunitaria.

Il mondo-della-vita ha dunque una propria struttura generale invariante che in ultima analisi coincide con il piano percettivo, in questo sicuramente in continuità con quanto era emerso nell’analisi sul concetto naturale di mondo. Da questo punto di vista, il mondo soggettivo-relativo si presenta nello stesso modo per tutti perché tutti ne hanno la medesima esperienza, sempre restando nel campo dell’ortoestetica. Il mondo nella dimensione per-scientifica è già determinato dallo spazio e dal tempo, nonché dalla causalità. «La struttura categoriale del mondo-della-vita ha gli stessi nomi»11 di quelli della scienza, ma non si preoccupa dell’idealizzazione e della formalizzazione che invece caratterizza il nocciolo delle scienze naturali. È questo il senso della fondazione della scienza nel mondo-della-vita. Se infatti volessimo risalire a questa struttura invariante, che permane in tutte le condizioni, in tutte le culture, in tutti i tempi e i luoghi, allora certamente cercheremmo di fare una scienza che sia universale e valida per tutti. Ed è proprio questa la radice della costruzione delle scienze obiettive, che corrono parallelamente alla struttura invariante del mondo-della-vita stesso. Per questo, l’operazione idealizzante ha il suo fondamento nella Lebenswelt.

Se consideriamo l’andamento del testo che era destinato alla pubblicazione, certamente il piano percettivo è il primo che incontriamo, e ha una valenza di fondamento su cui tutto poi viene costruito. Ma questo segue una linea della fenomenologia genetica che corre sottotraccia nel testo nello stesso modo in cui si dipana anche in altre opere. Che tutte le esperienze abbiano un fondamento nella dimensione percettiva è cosa detta da Husserl anche nelle Ricerche logiche, quando si parla di oggetti fondati e della dimensione della appercezione come percezione fondata.

Se è vero che dobbiamo trovare la struttura invariante del mondo-della-vita che lo rende lo stesso mondo per tutti, dobbiamo certamente trovarne le caratteristiche senza cui non si può dare, e che renda la relazione con il mondo qualcosa che di fondo non è relativo. Ma riconoscere la dimensione soggettivo-relativa dell’esperienza del mondo-della-vita è necessariamente contrario a questo intento? Non potremmo identificare questa come una struttura invariante del modo di darsi del mondo? Il fenomeno Lebenswelt si darebbe quindi sempre come relazionato alla coscienza soggettiva, rispondente a queste strutture, che sono universali, proprio perché soggettivamente universali. E non è nemmeno contrario a questo intento identificare tra le caratteristiche del mondo-della-vita anche la sua strutturale forma spirituale mediante la quale noi siamo sempre in relazione con il mondo. Quale sia poi la specifica forma, questo non riguarda l’eidos del mondo-della-vita. Ma che esso si dia sempre secondo queste caratteristiche, possiamo dire che sia una sua struttura invariante e non relativa.

Possiamo quindi sostenere che vi sia coincidenza perfetta tra Erfahrungswelt e Lebenswelt?

Il termine Lebenswelt compare solo nel paragrafo 9f, ed è collegato col campo pratico: il mondo-della-vita è ciò a cui le formule fanno riferimento, ciò che la matematica ordina al fine di rendere possibili le previsioni, o meglio di potenziare quelle anticipazioni che già nel mondo quotidiano vengono fatte. L’idea di un mondo in generale è solo l’evoluzione di questo movimento iniziale. Ma il concetto di Lebenswelt diventa veramente il centro dell’attenzione solo nel paragrafo 9h, quando viene finalmente identificato come fondamento di senso delle scienze naturali. E certamente la prima accezione in cui compare è quella di Erfahrungswelt. Ma questa posizione è funzionale alla critica dell’atteggiamento scientifico, e non può essere limitata solo a questa funzione. Lo stesso Husserl lo lascia intendere alla fine del paragrafo:

Ciò che finora si è detto è ancora unilaterale e non rende giustizia a certi orizzonti di problemi che ci introdurranno in nuove dimensioni, in dimensioni che possono essere dischiuse soltanto dalla riflessione sul mondo-della-vita e sull’uomo che ne è il soggetto; ma tutto ciò potrà venire in luce soltanto quando saremo molto più avanti nel chiarimento dello sviluppo storico e delle sue più profonde forze di propulsione.12

Subito dopo, Husserl, parlando del campo della verità filosofica, scrive che essa deve abbracciare «tutto il mondo, e quindi l’uomo che vive in esso, con i suoi interessi pratici, le sue conoscenze relative, con le valutazioni e i progetti che si fondano su di esse, ma anche l’uomo filosofico e le sue formazioni di verità filosofiche».13 Così, se dobbiamo individuare la direzione in cui si sviluppa l’argomentazione, dobbiamo accettare che il punto dirimente che contraddistingue il mondo come orizzonte di tutte le esperienze reali e possibili è l’idea di una inclusione globale di questa totalità delle esperienze possibili. E in questo senso, non possiamo circoscrivere il campo dell’esperienza solo al dominio della percezione: ciò che Husserl poi chiamerà “mondo-della-vita” comprende in sé il mondo e l’uomo che in esso vive, intendendo con “vita” tutta la vasta gamma di possibilità di relazione della coscienza con i suoi oggetti.

Certamente non si può tralasciare un fattore importante: la relazione originariamente corporea con il mondo. Questo punto, eredità dei molteplici studi che hanno al centro il tema del corpo e della costituzione dell’ambiente circostante proprio a partire dalle direttrici originate dal corpo vivente, è un tassello irrinunciabile per la comprensione del fenomeno “mondo”. L’accesso privilegiato, anzi obbligato, al mondo-della-vita passa attraverso il corpo vivente, non solo perché esso è «organo della volontà», e quindi ci permette di orientarci cinesteticamente all’interno del mondo stesso, ma soprattutto perché il contatto con qualunque oggettualità che rientri nel mondo-della-vita, a qualunque livello appartenga, è sempre reso possibile in prima istanza dal Leib. Tuttavia, bisogna rimarcare un punto importante. Gli oggetti del mondo non sono semplicemente corporei, bensì incorporati, nel senso che essi si danno sempre mediatamente o immediatamente tramite il corpo. Questo comporta senza dubbio un’originarietà primitiva del piano percettivo, perché esso ci presenta a un primo livello gli oggetti nel mondo. Ma all’interno del campo degli oggetti del mondo non possiamo non includere anche gli oggetti spirituali. Essi si danno sempre come incorporati, così come le anime stesse si danno in modo indistinto dai corpi. Come i Leiber sono portatori di una vita egologica, che non può darsi in altro modo per me se non tramite i corpi viventi degli altri soggetti, così anche gli oggetti che sono costituiti dalla vita di coscienza nelle sue funzioni più elevate ci pervengono tramite il corpo vivente. Ogni formazione spirituale infatti viene colta grazie a una percezione di secondo grado fondata su un livello sensibile. Senza un piano iletico, non potremmo avere alcun livello superiore. Nel mondo-della-vita, nel mondo che si contrappone quindi a qualunque livello di idealizzazione, anche i contenuti spirituali, in quanto oggetti spirituali del mondo, ci pervengono come elementi del mondo stesso, pertanto mediati dalla relazione del Leib al mondo. Nella prospettiva della comprensione del mondo-della-vita dobbiamo però sempre mantenere questo piano spirituale, sebbene l’accesso ad esso richieda una mediazione. Ciò che Husserl rimprovera a Galilei è infatti non solo di aver operato un’idealizzazione del mondo dell’esperienza percettiva originaria, ma anche di aver astratto «dai soggetti in quanto persone, in quanto vita personale, da tutto ciò che in un senso qualsiasi è spirituale, da tutte quelle qualità culturali che le cose hanno assunto nella prassi umana».14

4. Mondo-della-vita come correlato della vita di coscienza in senso ampio

La dimensione ampia del mondo-della-vita appare chiaramente nella descrizione dell’epoché che investe il mondo-della-vita stesso come mondo in cui rientrano tutti gli uomini e la loro vita nel mondo, oltre che l’esperire, il giudicare, la verifica dei giudizi, l’attività pratica quotidiana, i progetti, i giudizi e le verificazioni a fini pratici, gli intenti rivolti a qualche cosa, i propositi irrealizzabili, quelli realizzabili, la realizzazione di questi ultimi, ecc., e tutto questo non soltanto nella dimensione quotidiana — non soltanto quotidiana cioè pre-scientifica; perché se le scienze si sono sviluppate storicamente, anch’esse come gli altri prodotti culturali e in quanto prodotti di un genere particolare, rientrano nel mondo, così come rientrano nel mondo gli uomini che coltivano e che sono in grado di comprendere le teorie scientifiche, attraverso le cui attività di pensiero le scienze si sono prodotte originariamente, sono state riprodotte e vengono comprese e assunte in quanto formazioni di pensiero.15

Il mondo-della-vita si presenta così come onnicomprensivo, come ciò che racchiude la totalità delle dimensioni della realtà, nella sua più ampia stratificazione, dal piano percettivo fino alla filosofia stessa, in quanto formazione scientifica e culturale.16 Non ultima la dimensione pratica. Si può dire anzi che l’atteggiamento principale del mondo-della-vita è proprio quello dell’agire e di tutto ciò che è ad esso correlato, se è vero che ogni attività e ogni interesse si muovono all’interno della Lebenswelt. E d’altra parte la caratterizzazione del mondo come mondo-della-vita non può che chiamare in causa proprio la vita di coscienza nel sul senso più pieno.

Quello che bisogna considerare è che la vita è una vita operante (leistend) sia a livello intuitivo che a maggior ragione a livello scientifico.17 Proprio la prospettiva trascendentale, mettendo in luce le operazioni di coscienza, deve rendere conto della ricchezza del mondo-della-vita in quanto correlato di queste operazioni di coscienza, operazioni che non si limitano solo al campo percettivo.

La riduzione all’intersoggettività porta alla luce proprio il fatto che il mondo è correlativo alla vita di coscienza intersoggettiva, che pone come sue oggettualità anche i suoi correlati spirituali. Tramite la riduzione trascendentale, Husserl individua la inter-soggettività che ha come correlato di coscienza il mondo-della-vita. Husserl vuole però mostrare come tale riduzione porti alla luce la dimensione che dà origine a tale struttura intersoggettiva del mondo. Essa è «la comunità trascendentale di soggetti la quale, vivendo intenzionalmente accomunata in forme generalissime o particolari a priori, ha in sé il mondo come un correlato intenzionale di validità e continua a produrlo, in forme sempre nuove, nei gradi di un mondo culturale».18 La dimensione culturale è quindi uno dei modi di validità del mondo come correlato della coscienza intersoggettiva, che quindi risulta essere la fonte della validità del mondo in tutti i suoi gradi, salvo poi risalire fino all’ego puro come residuo ultimo della riduzione trascendentale.

Sebbene quello che vuole fare Husserl sia percorrere la via della Lebenswelt per raggiungere la soggettività trascendentale, che si dà in prima istanza come intersoggettività e solo in seconda battuta come ego puro, possiamo dire che Husserl metta in atto una sorta di stratigrafia del mondo-della-vita. Questo modo di procedere segue la sequenza del depositarsi dei livelli costitutivi dal piano più originario (quello percettivo) fino a quelli più elevati, che culminano nei caratteri spirituali del mondo-della-vita. In questa sorta di archeologia fenomenologica Husserl mantiene un atteggiamento ambivalente che si divide tra un’analisi minuziosa e un tentativo di sintesi onnicomprensiva, che si vede bene nelle Appendici.

Proprio nelle aggiunte al testo compare in modo chiaro il momento che precede la scomposizione analitica. Husserl, come se non si preoccupasse di seguire un ordine, delinea a più riprese un mondo-della-vita compatto, rendendo quasi la sensazione dell’immersione all’interno del mondo come totalità di ciò che è costituito dalla coscienza a tutti i livelli. Il mondo-della-vita appare così come l’insieme degli oggetti a cui siamo costantemente diretti, in maniera preriflessiva, in una complessità che tiene insieme tutti gli aspetti della vita di coscienza, ma prima della ri-comprensione all’interno di schemi idealizzanti. Il mondo si offre così come un tutto unico e unitario, che solo in un secondo momento viene scisso nella pluralità dei suoi elementi costitutivi. Il mondo-della-vita è così orizzonte di ogni percezione, di ogni prassi, di ogni direzione all’interno di esso. In esso rientrano tutte le percezioni, ma anche tutte le prese di posizione, le decisioni, gli atteggiamenti pratici, le prassi teoretiche, fino ai livelli più elevati della produzione spirituale. Tutto questo è dato immediatamente, in quella compattezza che caratterizza l’esperienza nel mondo prima di qualunque elaborazione teoretica. Questo modo di descrivere la Lebenswelt rende forse meglio l’idea dell’antecedenza radicale del mondo-della-vita rispetto a qualunque cosa, l’a priori del mondo come condizione di possibilità di ogni esperienza. La multiformità del mondo-della-vita traspare da queste pagine di scrittura concitata, in cui lo sforzo husserliano si concentra nel tentativo di non lasciare nessun aspetto fuori dalla caratterizzazione della Lebenswelt. Per questo, il mondo così descritto appare correlativo a tutte le operazioni di coscienza che essa può mettere in atto, e diviene così un mondo che contempera tutte le possibili oggettualità di coscienza. In esso ogni formazione teoretica rifluisce come prodotto della comunità intersoggettiva, e forma lo sfondo sulla cui base il mondo correlativo all’intersoggettività si caratterizza. Ogni elemento viene mantenuto insieme in uno sforzo concettuale che vuole rendere il concetto di mondo-della-vita non solo ciò da cui parte ogni esperienza, ma ciò in cui affluisce nuovamente ogni elaborazione della vita di coscienza. Il che non può che rendere difficile la comprensione di come tutti questi elementi possano coesistere tra loro nell’idea del medesimo mondo per tutti che sta a fondamento di ogni esperienza particolare.

Il mondo-della-vita si presenta come a priori della storia, della sedimentazione temporale, della tradizione,19 si dà quindi come Grund anche del processo di sedimentazione che ha al suo fondo, come sua condizione di possibilità, proprio il mondo-della-vita stesso. Nell’orizzonte dell’umanità rientra la lingua, che permette di essere insieme agli altri soggetti di fronte al medesimo mondo per tutti, che è anche un mondo in cui le cose hanno un nome, «sono cioè esprimibili linguisticamente».20

Mi pare che si possa dire che la “dissezione” del mondo-della-vita nella molteplicità dei piani che lo compongono è un’operazione che si può fare solamente in un secondo momento, una volta che si è riconosciuta l’antecedenza logica della Lebenswelt a qualunque esperienza singolare che viene compiuta all’interno di quest’orizzonte. Una volta riconosciuta come l’a priori di qualunque esperienza possibile, la Lebenswelt può essere indagata in tutti gli elementi che la caratterizzano. Ma non possiamo dimenticare che, prima di questa operazione teoretica, il mondo-della-vita si dà in modo immediato come intero, con tutte le sue caratteristiche non “scomposte” ma compatte e potremmo dire ancora indistinte. Che il mondo si dia come mondo in cui sono tutti gli altri soggetti, come mondo mediato anche culturalmente, linguisticamente, come mondo che ha una struttura temporale, come mondo percettivo, mondo corporeo ma non solo corporeo è la condizione previa a qualunque riflessione e distinzione che si può operare nei confronti del mondo stesso. Per Husserl la Lebenswelt è il mondo dell’esperienza originaria. Il punto è capire cosa intenda Husserl con questa espressione.

Forse è in ballo qui un diverso concetto di esperienza: da un lato l’esperienza originaria come percezione, dall’altro l’esperienza originaria come esperienza vitale, cioè stratificata, composta sì di percezione, ma anche di cultura, di tradizione, di rielaborazione concettuale stessa, ma irriflessa, e per questo immediata. Non credo che Husserl potesse pensare, parlando della Lebenswelt, solo al piano dell’esperienza percettiva. Credo invece che questo concetto si voglia contrapporre al concetto di mondo vero della scienza, e riabilitare così l’esperienza originaria non come esperienza solamente percettiva, ma esperienza della doxa in generale, del modo naturale, non consapevolmente rielaborato e idealizzato. E, sebbene si possa dire che tutto quello che viene detto riguardo al concetto naturale di mondo è da ritenersi come già dato, questo non significa che questa antecedenza sia dello stesso tipo di quella che caratterizza la Lebenswelt.

5. Conclusioni

In definitiva, io credo che il concetto naturale di mondo si avvicini molto di più al mondo dell’atteggiamento naturale come verrà descritto nel primo libro delle Idee e anche nella prima parte di Idee II; sono convinto quindi che le radici della nozione di Lebenswelt, il Keim di questo concetto, non possano essere cercate solo in questo concetto. D’altra parte, le lezioni del 1910 hanno come tema la stessa trattazione del mondo naturale che Husserl fisserà nell’opera del 1913, e il legame è chiaramente riconoscibile. La dimensione invece che si può ricondurre all’accezione “ricca” di esperienza originaria richiede di attendere un’elaborazione successiva, un abbozzo che verrà scritto nel 1913 ma che poi subirà rimaneggiamenti fino al 1924, e che rappresenta un punto centrale della riflessione husserliana: la terza sezione di Idee II.

La vita che Husserl considera è in ultima analisi, la vita personale. Perciò per comprendere il mondo-della-vita è necessario disporsi all’interno della personalistische Einstellung e da lì ripercorrere i diversi piani che costituiscono il mondo nella totalità dei suoi aspetti.

Ma potremmo spingerci ancora più in là e dare una lettura forse più radicale ancora del concetto di mondo-della-vita. Esso sarebbe un piano ancora più originario del mondo nell’accezione naturale perché precederebbe la divisione tra atteggiamento naturale e atteggiamento apriorico, così come viene descritto nelle lezioni del 1910-1911, oppure della divisione tra l’atteggiamento naturalistico e l’atteggiamento personalistico di Idee II, perché è il mondo che contiene in se tutta la molteplicità di atteggiamenti che vengono generati dalla diversità di fini che le persone si prefiggono. Tutti gli atteggiamenti che delimitano una certa prospettiva dell’unico mondo-della-vita sono già ricompresi in esso, e possiamo quindi dire che in esso è incluso, come specifico ritaglio del mondo, anche l’atteggiamento naturale, quello che Husserl analizza all’inizio delle sue lezioni sui Problemi fondamentali della fenomenologia.


  1. E. Husserl, Aus der Vorlesungen Grundprobleme der Phänomenologie. Wintersemester 1910-1911, in Husserliana, Band XIII, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, Texte aus dem Nachlaß, Erster Teil: 1905-1920, hrsg. von Iso Kern, Martinus Nijhoff, Den Haag 1973, trad. it. a cura di V. Costa, I problemi fondamentali della fenomenologia, Lezioni sul concetto naturale di mondo, Quodlibet, Macerata 2008. Le citazioni si riferiranno sempre alla traduzione italiana. ↩︎

  2. V. Costa, «Introduzione», in E. Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia, cit. alla n. 1, p. XVII. ↩︎

  3. Cfr. E. Soldinger, «Lebenswelt», in H.-H. Gander (Hrsg.), Husserl-Lexikon, Wissenschaftlicher Buchgesellschaft, Darmstadt 2010, pp. 182-187. ↩︎

  4. E. Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia, cit. alla n. 1, p. 13. ↩︎

  5. Ivi, pp. 16-17. ↩︎

  6. Ibidem↩︎

  7. Ivi, p. 26. ↩︎

  8. E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und transzendentale Phänomenologie, in Husserliana, Band VI, hrsg. von W. Biemel, Martinus Nijhoff, Den Haag 1954, trad. it. a cura di E. Paci, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Torino 1961, p. 375. Le citazioni si riferiranno sempre alla traduzione italiana. ↩︎

  9. E. Husserl, Crisi, cit. alla n.8, p. 136. ↩︎

  10. Ivi, p. 156. ↩︎

  11. Ivi, p. 167. ↩︎

  12. Ivi, p. 82. ↩︎

  13. Ivi, p. 379. Il corsivo è mio. ↩︎

  14. Ivi, p. 88. ↩︎

  15. Ivi, p. 415. ↩︎

  16. Cfr. E. Husserl, Crisi, cit. alla n.8, p. 417. ↩︎

  17. Cfr. E. Husserl, Crisi, cit. alla n. 8, pp. 160-161. ↩︎

  18. Ivi, p. 278. ↩︎

  19. Cfr. E. Husserl, Crisi, cit. alla n. 8, p. 401. ↩︎

  20. Ivi, p. 386. ↩︎