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Filosofia dialogica e dottrina trinitaria

di Silvano Zucal (Roma, 26-28 maggio 2011)

1. Premessa: pensiero dialogico e ripensamento della dottrina trinitaria

Hegel affermava che «colui che non sa di Dio che egli è trino, non sa nulla del cristianesimo»1 ma il problema è dare a questo "sapere della/sulla Trinità" un significato e una valenza che non siano meramente assertivi ma trovino un riscontro significativo nel vissuto dell'uomo "imago Dei" e quindi -- di conseguenza -- anche "imago Trinitatis". Un contributo importante in tale direzione è quello offerto nel Novecento dalla corrente del pensiero dialogico che ha fortemente condizionato la stessa mediazione teologica del dogma trinitario in pensatori di rilievo come Hans Urs von Balthasar e Gisbert Greshake. La filosofia dialogica ha infatti determinato un oltrepassamento della concezione idealistica della persona. Se Fichte ed Hegel avevano già evidenziato l'importanza dell' "altro" ai fini della costituzione del soggetto rimaneva però ambivalente il preciso significato di "altro": si tratta davvero dell'altro nella sua effettuale e insopprimibile alterità e frontalità oppure semplicemente di "ciò che è altro da sé" ed è funzionale all'autocostituzione del soggetto? Il rischio è quello di una rimozione effettiva dell' "intersoggettività" nel suo significato radicale ed è a partire da questo che decollano le filosofie dialogiche tese a prospettare una visione della persona in senso comunionale-relazionale. Ne viene quella che Greshake definirà come la "concezione dialogica e trialogica di persona".2 All'origine di tale nuovo indirizzo di pensiero abbiamo Kierkegaard e Feuerbach ma l'esito maturo si troverà con Ferdinand Ebner, Martin Buber, Franz Rosenzweig e -- al confine tra filosofia e teologia -- con Romano Guardini. Rilevante è il fatto che con questi pensatori (e la successiva corrente di pensiero che ne verrà) in modi e con acccenti diversi si tenderà a superare sia la determinazione premoderna di persona come "sostanza" sia quella moderna di "soggetto autocosciente" sempre minacciato -- a loro dire -- da un solipsismo trascendentale. Il rischio -- in questa seconda moderna prospettiva -- è una forma di unilaterale slittamento del peso su di un Io-originario costituente cui non corrisponde un Tu egualmente originario e fondamentale per la costituzione dell'Io: solo se il Tu è a sua volta ed egualmente un punto di partenza, se rimane una frontalità indeducibile, l'egemonia esclusivistica dell'Io viene infranta a favore di una comunionalità dialogica reciproca e di una comune "auto-costituzione". È dunque il dialogo ontologicamente costituente e verbalmente modulato con il Tu che mi costituisce effettualmente come Io. Comune ai pensatori dialogici è l'affermazione formulata da Buber: «L'uomo diventa Io a contatto con il Tu»,3 solo nel Tu dunque e e soltanto grazie al Tu la persona diviene davvero un Io. Non più a partire dal cogito l'Io concepisce se stesso, bensì dal cogitor ovvero dall'esser-riconosciuto da parte dell'altro e interpellato da questi. Solo nell'accogliere la parola che mi proviene dall'altro e in cui l'altro mi si comunica, come pure nel rispondere a quella parola interpellante, posso finalmente conseguire il mio pieno e autentico Sé personale: la parola che mi appella ad essere-persona è il luogo originario della "noità", del "divenir-noi", nella misura in cui tale parola è tesa ad una risposta e anche l'altro perviene al proprio essere-persona in virtù del fatto che io lo interpello. Il "noi" non è dunque una pura e semplice addizione di persone già pienamente e autonomamente costituite, nemmeno un'unità che le trascende nel senso di un'unità sostanziale o collettiva livellante, ma piuttosto, per i dialogici, un'unità interpersonale: è reale communio.

Altro elemento essenziale del pensiero dialogico (con forte impatto trinitario), in particolare in Ferdinand Ebner e poi in Martin Buber: tra l'Io e il Tu spira un "tra" (Zwischen) costituito dalla parola che trascendendoli entrambi li rinvia l'uno all'altro. L'Io e il Tu, nel loro reciproco esser rinviati l'uno all'altro non possono sussistere senza un tale "tra", senza questo terzo fattore in cui entrambi si uniscono in un "noi". Buber così lo qualifica e declina sul terreno della parola e dello spirito: «In verità il discorso non sta nell'uomo, ma l'uomo è nel discorso e parla a partire dal discorso -- così è per ogni parola, per ogni spirito. Lo spirito non è nell'Io, ma tra l'Io e il Tu. Non è come il sangue, che circola dentro di te, ma come l'aria in cui respiri».4 Affermazione non poco audace per cui lo spirito è lo stesso "tra" ovvero l'essenza stessa della relazione: non c'è spirito al di fuori di essa. Balthasar commenterà acutamente questo passaggio di Buber, questa sottolineatura del "frammezzo" (Zwischen): «Buber arriva qui, senza avvertirlo, a una singolare imago Trinitatis: lo spirito domina o agisce tra l'Io e il Tu, che sono a vicenda pura relazione, ma ognuno dei due, immediato nel suo nucleo (come l'altro), appunto per questo comunica tutto ciò che gli è proprio».5

Tutte queste prospettive che pur partono dal terreno antropologico permettono una rilettura singolarmente originale della Trinità e del suo significato. Rileggerò dunque questi pensatori per coglierne le sollecitazioni teoriche che, a partire dal loro pensiero, portano a una nuova visione della dottrina trinitaria fermandomi però, in particolare, su due proposte trinitarie paradigmatiche rimodulate a partire dalla filosofia dialogica: quella embrionale di Ferdinand Ebner e quella -- ben più avvertita e consapevole -- di Romano Guardini.

2. Ferdinand Ebner: pneumatologia della parola e dottrina trinitaria

2.1. Pneumatologia della parola

Diversamente dagli altri due dialogici ebrei, Buber e Rosenzweig, Ferdinand Ebner si forma e si muove all'interno del cristianesimo e nello "spirito del cristianesimo" fonda una prospettiva dialogica di carattere pneumatologico. Con una implicita prospettica trinitaria.6 Solo Ebner, tra i dialogici, ha espressamente inserito in àmbito dialogico la dimensione del Pneûma neotestamentario per tradizione indicato come lo Spirito, terza persona divina. Per taluni aspetti il filosofo austriaco ha tentato di saldare la comprensione dell'umano esserci con il paradigma trinitario vedendo una feconda rifrazione reciproca: l'autentica realtà trinitaria può illuminare il senso dell'esistere così come la dottrina trinitaria può fuoruscire dalle tenaglie dell'astrattezza teologica (quelle proprie della teologia definitoria e in terza persona, totalmente a-dialogica) solo grazie alla lettura dialogica dell'esistenza umana. Non a caso il 4 ottobre del 1917 Ebner si chiede se sia possibile una pneumatologia come «dottrina dello Spirito [ovvero come] la dottrina del significato delle "tre Persone"».7 Una risposta teorica positiva potrebbe -- a suo avviso -- dipanare non solo un nodo teologico problematico come quello trinitario ma, insieme ad esso, un nodo esistenziale. L'importanza delle tre Persone divine apparirebbe così vincolante per lo stesso personale esser-uomo dell'uomo. L'opera principe di Ebner, La parola e le realtà spirituali. Frammenti pneumatologici8, non a caso in quel sottotitolo evoca la dimensione pneumatologica. I suoi Frammenti intenzionano la parola, quella parola che si dischiude e avviene tra l'Io e il Tu, tra le realtà spirituali della vita (anzitutto Dio-Tu per l'Io umano): tutto ciò esplicitamente entro l'orizzonte della dottrina ebneriana dello Spirito che evoca la centralità della fede trinitaria. Non a caso il filosofo austriaco scriverà: «La fede nella parola -- è la prima esigenza della fede. L'ultima è però la fede nella Trinità».9 Con una sequenza teorica che va però rispettata: senza fede nella parola che è nel contempo fede dialogica nella relazione Io-Tu non c'è fede nella Trinità, ma c'è solo un "trinitarismo" speculativo. Tutta la prospettiva di apertura trinitaria in Ebner si connette quindi e anzitutto alla sua visione della parola. Egli sostiene che solo la parola è la chiave per conoscere la vita spirituale nella sua realtà per cui occorre «abbandonare tutti i sogni della metafisica [...] di fronte alla realtà della vita spirituale che si rende visibile nella parola, di fronte alla verità che è nella Parola».10 Per Ebner "la parola è la via" -- così suona il titolo di una delle sue opere11 -- in quanto solo la parola rende possibile la relazione con il Tu e insieme l'autoconsapevolezza dell'Io nella sua vera identità: «Il mistero della parola è il mistero dello spirito. La "parola" è il mediatore tra l'Io e il Tu. La realtà piena e totale dell'Io -- questo è l' "uomo". Ma il vero e proprio Tu -- è Dio. Questo si trova nel Prologo del Vangelo di Giovanni. La "parola" è stata generata dallo spirito [...]: lo spirito di Dio ha parlato all'uomo -- e così l'uomo è diventato cosciente del suo Io. E l'uomo ha parlato allo spirito di Dio -- e così ha trovato il vero Tu del suo Io».12 Ci sono parole autentiche, che creano ponti relazionali, parole (Worte) che attingono alla "parola giusta", alla parola originaria e originante che rinvia alla Parola di Dio. Ci sono poi parole (Wörter) meramente segnaletiche, funzionali, vocaboli oggetto dei microscòpi della linguistica e delle filologie, "segni morti registrati nei vocabolori". A partire da questa fondamentale distinzione Ebner evoca la parola iniziale che Dio ha pronunciato, parola che poi in Cristo si è ominizzata e nello Spirito relaziona. Una parola che esiste solo al singolare, che è la via ed è parola mediatrice tra Dio e gli uomini. L'umano essere "uditore della parola" e poi "tessitore della parola" rivolta all'altro, a Dio-Tu e all'uomo-Tu, si fonda in quella parola delle origini che Dio ha pronunciato e che Cristo ha replicato rendendo l'uomo singolare interlocutore dialogico. Grazie al "miracolo della parola", a questa dotazione esclusivamente umana, l'intera esistenza umana è relazione, è un rapportarsi: esistere davvero è relazionarsi con il Tu, è decentramento e apertura nei suoi riguardi, è essere nel Tu e -- in ultima analisi -- essere (solo) grazie al Tu che diviene in tal modo il proprio fondamento. Nella parola Io e Tu si vengono reciprocamente incontro, si legano, sono l'un per l'altro il baricentro che reciprocamente li fonda e li sostiene. Per Ebner chi va alle radici profonde del suo umano esistere verbalmente modulato e dialogicamente caratterizzato dall'interlocuzione Io-Tu incrocia la propria origine radicata nella Parola di Dio: Parola che convoca e interpella l'uomo chiamandolo all'esistenza, che fonda il rapporto davvero unico dell'Io divino nei confronti dell'umano Tu e permette -- quale riscontro efficace nelle relazioni intersoggettive -- il dire-darsi del Tu a livello interumano. Parola che poi egualmente permette il rivolgersi dialogico da parte dell'uomo a Dio: «È questo che determina l'essenza del linguaggio -- della parola nella sua spiritualità: che è qualcosa che si svolge tra (zwischen) l'Io e il Tu, tra la prima e la seconda persona [...]; qualcosa che dunque da un lato presuppone il rapporto tra l'Io e il Tu e dall'altro lo stabilisce. La cosa però di gran lunga più importante e significativa (che getta anche un'ultima luce sull'essenza della parola) è che proprio nella forma di un simile rapporto trova espressione la relazione dell'uomo con Dio. Essa è la forma basilare e primordiale del modo divino di rapportarsi, modo che, proprio perché è e dev'essere "personale", non può essere altro che il rapporto dell'Io verso il Tu. Nelle fondamenta ultime della nostra vita spirituale Dio è il vero Tu del vero Io dell'uomo. Questo Io "trova il suo essere concreto" nel suo rapporto con Dio; certamente non l'Io "ideale" della filosofia [...] bensì l'Io reale che si esprime nel fatto che io esisto e che posso dire questo di me stesso».13

Quella stessa Parola che fa sì che sussista la relazione dialogica si è fatta carne per esprimersi e parlare all'uomo. Ciò che accade tra l' "Io" divino e il Tu umano si realizza -- per Ebner -- nella spiritualità della parola. Chi è lo Spirito cui ri riferisce tale valenza spirituale della parola? Lo Spirito è il santo Pneûma, è «lo Spirito nella "terza persona" [...] l'hágion pneûma del Nuovo Testamento, nel quale l'uomo viene rigenerato e riceve il nome di figlio di Dio [...] lo Spirito di verità che il mondo non ha accolto, perché non lo vede e non lo riconosce»14: la Parola non trova il suo peculiare profilo dialogico senza lo Spirito di Dio, senza il suo alito e il suo soffio vitale. La pneumatologia ebneriana è dunque la dottrina dello Spirito della parola che si riferisce all'uomo come uditore della parola e come, a sua volta, parlante. Il rapporto verbale della persona "parlante" verso la persona "appellata" si dà grazie al Pneûma, a quell' «atmosfera spirituale in cui la parola respira e vive»15 e in cui siamo immersi. Il fondamento della vita umana è dunque proprio lo "Spirito" che dà senso alla parola: «In ciò consiste la vita spirituale dell'uomo: che la parola è scesa fino a lui -- dal cielo -- e che egli ha dischiuso il proprio intimo alla parola. [...] La parola crea nell'uomo la vita spirituale, la vera vita spirituale, che si gioca sempre tra l'Io e il Tu».16

Ciò che è davvero importante -- per gli effetti sulla problematica trinitaria -- è la logica sottesa alla pneumatologia ebneriana: il superamento di quella tendenza filosofica e teologica che determina una derìva individualistica e autocentrica del concetto di persona. Persona intesa come un Io senza Tu, centrata su di sé in modo autoreferenziale, che in tutto si riferisce a sé e tutto riporta a sé. Per Ebner invece si dà qualcosa di spirituale nell'uomo solo e allorché «tale realtà spirituale è essenzialmente determinata dal fatto di essere radicalmente orientata ad un rapporto con qualcosa di spirituale al di fuori di sé, mediante il quale e nel quale essa esiste».17 Tale dimensione spirituale rinvia dunque al pneumatico nell'accezione propria della rivelazione cristiana, a quell'essere appunto determinati dall'hágion pneûma. Ebner riprende in particolare la concezione giovannea e paolina dello Spirito Santo, richiama esplicitamente il contrasto tra uomo psichico (autoriferentesi solo a se stesso) e uomo pneumatico (decentrato da sé e aperto all'azione dello Spirito): «Psyché è il riferimento [...] della "natura" e di ciò che è naturale a se stesso; pneûma è lo spirituale nell'uomo nel suo riferimento a Dio. La prima si trova sempre nella condizione di perdersi nella "infinità del molteplice", ovvero nel mondo. Questo invece si ritrova nella "infinità dell'uno", in Dio. Pneûma è l'eterno nell'uomo e nella temporalità dell'Esserci, è in certa misura il principio di anticipazione dell'eternità. [...] Essere uomo significa essere fin dall'inizio e dal fondamento della propria esistenza in rapporto con lo Spirito, con lo Spirito fuori di sé, e questo è Dio».18 L'uomo quindi è l'essere pre-disposto a un rapporto con lo Spirito di Dio: tutto ciò lo rende "uditore della Parola". Lo caratterizza questa straordinaria e feconda passività: ascoltare la parola interpellante, comprenderla e accoglierla in sé e tutto ciò grazie al fatto d'essere persona interpellata, di essere il Tu di Dio o dell'altro uomo. Ed egualmente lo qualifica una feconda autoespressività: l'essere persona parlante che autocomunica verbalmente se stessa. Queste due dimensioni dicono l'essenza dell'essere-persona, immagine della divina persona.

Lo spirituale nell'uomo è quindi questo suo essere afferrato dal Pneûma divino, da Lui interpellato e appellato quale Tu. Non a caso si chiede Ebner: «Che cos'è lo spirituale nell'uomo? Quello che in lui si accende quando è toccato dallo Spirito e poi non cessa più di bruciare. Una volta accesa, la fiamma della vita spirituale diventa il tormento infernale della sua esistenza o il fuoco della purificazione».19

2.2. Prospettiva pneumatologica e ripensamento della dottrina trinitaria

Come incide questa prospettiva pneumatologica ebneriana nel suo ripensamento della dottrina trinitaria? C'è un importante testo del 17 giugno del 1920 che riassume il suo pensiero trinitario: «L'intera vita e l'intero essere è grazia divina (una tale affermazione perviene al suo pieno significato solo nella preghiera dell'uomo, che avviene nel senso di quel pensiero: Tu sei e io esisto grazie a Te). La realtà tripersonale di Dio corrisponde al [triplice] rapporto della grazia di Dio verso l'uomo. Dio [il Padre] ha creato l'uomo: la sua vita e il suo essere consiste nella grazia di Dio: Dio lo ha creato mediante la parola, lo ha creato dicendogli: Io sono e Tu sei grazie a me- il che corrisponde al senso della preghiera che, viceversa, dal punto di vista dell'uomo e nella sua prospettiva afferma: Tu sei e io esisto grazie a Te: nella parola [con cui Dio ha creato l'uomo] si trova la grazia; Dio ha creato l'uomo, perché Dio è l'amore; la Parola e l'Amore sono una cosa sola nel loro fondamento spirituale. Cristo media all'uomo la grazia divina vivificante. Cristo media il rinnovamento dell'uomo allontanatosi da Dio: -- la rinascita dell'uomo nello spirito e nella verità -- Cristo è la parola che era sin dall'inizio e che si è fatta carne -- in Cristo risiede la pienezza della grazia -- Cristo è però in maniera assoluta un caso unico, cioè la vita eterna che si è resa un fatto storico, che è entrata nel tempo e nella contingenza -- Cristo è la mediazione della grazia in quanto fatto storico. Lo Spirito Santo media all'uomo la grazia di Cristo (lo pneûma hágion è la mediazione della grazia come fatto astorico) ».20 L'evento della creazione dell'uomo è dunque atto gratuito del Padre ma si reduplica nell'evento di grazia dell'autocomunicazione di Dio in Cristo grazie alla Parola ominizzatasi e nella presenza dello Spirito: «in tal modo l'uomo nel rapporto dialogico-personale con il Dio unitrino trova in Lui la propria origine e fondamento astorico, ovvero sovratemporale. Ebner motiva in tal modo la propria pneumatologia entro una spiritualità delle tre divine Persone che abbracciano l'essere-persona dell'uomo».21 Con la sua visione del Pneûma, che quale Spirito della parola permette di rammemorare la Parola fattasi carne in Cristo come Parola di suo Padre, Ebner ha riproposto in modo originale la dimensione economico-salvifica del Dio unitrino. Trinità dunque che rivela se stessa all'uomo, che si rende esperibile: proprio grazie all'autorivelazione storico-salvifica della Trinità si trova l'accesso anche alla cosiddetta "Trinità immanente", al Dio tripersonale. Se la prospettiva trinitaria còlta nella dimensione salvifica e all'uomo relazionata con la potenza della Parola viene meno, la concezione della "Trinità immanente" risulta incomprensibile e spiritualmente pericolosa. Di qui la polemica violenta di Ebner contro la teologia trinitaria di scuola centrata sulla "Trinità immanente" e su una visione sostanzialistica e non relazionale-dialogica della persona: «Il "Padre" che l'uomo prega nel "Padre Nostro" e lo "Spirito" in cui si dischiude il senso salvifico per la vita della parola di Cristo, lo Spirito della memoria di Cristo (Gv 14, 26) non è lo stesso Padre e il medesimo Spirito di cui parla il dogma della Trinità. Da molto tempo la polemica dei teologi sulla lettera non muove più gli animi, neppure quelli dei teologi. Certo, però, il fuoco che Cristo era venuto ad accendere non arse in quella polemica [sulla teologia trinitaria], né arde nell'indifferenza con la quale oggi il dogma [trinitario] viene accettato fedelmente, e in modo aproblematico, nei circoli orientati in senso ecclesiastico».22 La "vuota astrattezza del dogma" trinitario respinta da Ebner è appunto quella della teologia scolastica che si occupa primariamente della "Trinità immanente". Non cita espressamente alcun manuale teologico della sua epoca ma stigmatizza tutta una mentalità che emergeva dalla predicazione, dalla catechesi e dall'insegnamento religioso nelle scuole dell'Impero austro-ungarico. Basti questo efficace passaggio sulla catechesi trinitaria e, con specifico riferimento, allo Spirito Santo: «Un sacerdote cattolico interrogava fanciulli di dieci anni nella lezione di religione: "Dio è spirito; ora ditemi, che cosa è uno spirito? ". Naturalmente i fanciulli rimasero "tutti" incapaci di rispondere. Ma che cosa avrebbe potuto rispondere uno non ignaro di idee metafisiche? Forse: "Spirito è una sostanza che non è materia? "».23 La polemica di Ebner ha un duplice risvolto e, insieme, un duplice obiettivo: metodologico e contenutistico. Sul terreno del metodo egli sempre denuncia le prove speculative dell'esistenza del Dio trinitario e i patetici (oltre che morti in partenza) articoli dottrinali di una teologia trinitaria oggettiva che si muove in terza persona, che sempre rimane al di fuori di una relazione dialogico-orante con Dio. Per il contenuto invece egli rifiuta quella visione della Trinità che concepisce metafisicamente «Dio anzitutto come sostanza prepersonale, che poi in riferimento alla storia della salvezza si mostra in tre Persone. Dunque, un Dio in tre Persone, ove "l'unità sostanziale rimane il quadro stabile per la pluralità"».24

La pars construens ebneriana è solo implicita e purtuttavia molto feconda. Per Ebner sul terreno trinitario occorre riconiugare la lex credendi alla lex orandi. Non si può speculare della/sulla Trinità se non a partire dall'autocomunicazione storico-salvifica di Dio nella Parola del Padre, incarnata nel Figlio e mantenuta feconda e permanentemente viva dallo Spirito. L'unità trinitaria di Dio non è più così prepersonale ma assolutamente personale (essendo la parola ciò che qualifica e costituisce la persona). Alla dimensione sostanziale (il concetto stesso di "sostanza" è assolutamente sospetto per Ebner) subentra quella personale. Questo è il nodo cruciale del rifiuto ebneriano della proposta trinitaria tradizionale: l'inserzione in essa del concetto di "sostanza". Infatti la "sostanza" allude a una dimensione insieme astratta e, soprattutto, adialogica. È la realtà assolutamente mancante di Io, la cui espressione soggettiva sarebbe la follia dell'estrema conoscenza matematica, assunta come modello paradigmatico. Una conoscenza priva di parola e di amore che renderebbe compiuta la chiusura dell'Io di fronte al Tu. La "sostanza" non è mai una necessità nell'ordine dell'essere, ma solo in quello del pensare. La tendenza alla "sostanzializzazione" è ciò che per Ebner ha inquinato e deformato l'approccio teologico alla dimensione trinitaria: «Il teologo, in quanto pratica la teologia appunto come una scienza che si presenta oggettivamente, può divenire vittima spirituale della tendenza alla sostanzializzazione. È vero che il suo pensare ha come punto di partenza la fede nel carattere personale dell'esistenza di Dio; egli opera poi del tutto spensieratamente, dimentico di tale punto di partenza, con il concetto della sostanza divina, come se la personalità e la sostanzialità dell'esistere -- la prima un fatto non ulteriormente spiegabile della vita spirituale nella sua realtà, la seconda null'altro che un'oggettiva necessità speculativa -- fossero riconducibili ad armonia nella riflessione. A rigor di logica un simile teologo dovrebbe coerentemente tendere a ridurre Dio e il suo rapporto con l'uomo e con il mondo, la sua incarnazione nella vita di Gesù e la redenzione dell'uomo per il tramite di questa, ad una formula matematica, nella quale ovviamente non sarebbe eliminata solo la sua stessa esistenza, bensì anche quella di Dio».25 Speculando su Dio e sulla realtà trinitaria si perviene ad una «conoscenza "oggettiva" dell'esistenza di Dio, che appunto sostanzializza Dio e quindi lo deruba della sua propria personalità»,26 del suo profilo dialogico. Affermazioni molto forti, polemiche, ma foriere di una nuova possibilità di concepire la Trinità come un perfetto concerto verbale-dialogico, come un relazione paradigmatica ed esemplare per tutte le umane relazioni, come mutua relazione delle tre Persone divine che possiedono l'unica essenza divina. Il Padre parlante, il Figlio che è parola del Padre, lo Spirito che è il divino "tra" (zwischen) il Padre e il Figlio, divini interlocutori dialogici.

3. Romano Guardini: personalismo dialogico e dimensione trinitaria

3.1. Personalismo dialogico

Una traduzione compiuta della prospettiva dialogica in chiave trinitaria avviene con Romano Guardini. Il tutto a partire dal suo personalismo dialogico, in continuità ma anche in radicale discontinuità da quello di Ebner che Guardini definiva "personalismo pneumatico". Una puntuale definizione della persona, per Guardini, è impresa non esente da difficoltà poiché il «il problema della persona, molto importante, simpliciter fondamentale, è di non semplice soluzione».27 L'itinerario guardiniano per affrontare il problema della persona è quello proprio della prospettiva dialogica. Nell'àmbito complessivo della filosofia dialogica del Novecento, egli si è posto con particolare vigore l'obiettivo di coniugare tale particolare prospettiva teoretica con quella personalistica fino a costruire un suo originale percorso che, da un lato, lo avvicina ai grandi dialogici di scuola ebraica come Cohen, Buber, Rosenstock-Huessy e Rosenzweig, dall'altro lo vede situato in singolare tangenza con i dialogici cristiani come Ebner, Mounier e Marcel.

Una ricostruzione seppur frammentaria della sua peculiare proposta personalistico-dialogica dovrebbe riferirsi in primis al testo che rappresenta indubbiamente il contributo antropologicamente decisivo e ne evidenzia tutta la straordinaria finezza teorica: Mondo e persona .28 In esso egli condensa la sua filosofia della persona che aveva in larga parte affidato anche al manoscritto inedito Der Mensch29, che contiene le lezioni antropologiche berlinesi degli anni Trenta. Le dense riflessioni antropologiche disegnate in Mondo e persona troveranno poi un definitivo riscontro in Etica, l'opera testamentaria egualmente inedita che contiene le lezioni monacensi degli anni Sessanta.30 Sono dunque due esiti paralleli, anzi incrociati, quelli consegnati rispettivamente al materiale inedito degli anni Trenta e Sessanta e all'opera pubblicata nel 1939. L'orizzonte rimane in ogni caso lo stesso. Analoga è una premessa di fondo: la conoscenza dell'essenza della persona è un compito proprio della ricerca filosofica, non della fede e quindi della teologia. Non però di una filosofia che si vuole neutrale o addirittura indifferente in rapporto alla Rivelazione ebraico-cristiana. Solo tale Rivelazione disvela, per Guardini, chi è davvero l'uomo davanti a Dio e insieme quali siano l'identità ultima, il senso e la collocazione dell'uomo nell'esistenza. Tutti dati decisivi per un profilo antropologico integrale. Di conseguenza, non si dà mai conoscenza filosofica vera e propria della persona se non nel contesto creato dalla luce della Rivelazione.

La persona è "figura" (questo però la accomunerebbe anche alle realtà non umane), è individualità vivente (lo sono però anche piante e animali), è finalmente "personalità" (Persönlichkeit). A questo punto e solo a questo punto diviene finalmente evidente lo scarto e la discontinuità tra l'uomo e gli altri individui viventi vegetali e animali e decolla il senso proprio della persona umana. La personalità è infatti quella particolare forma dell'individualità vivente, in quanto è determinata dallo spirito: «In cosa consiste l'ultimo fondamento reale del carattere di persona? Che cosa deve essere l'uomo per potere esistere come persona? [...] Egli deve essere spirito. [...] Nell'uomo esiste ciò che chiamiamo "spirito", non solo lo "spirituale", ma lo spirito reale, individuale; non lo "spirito tout court", ma lo spirito finito. [...] Il mio spirito non è legato entro i contesti e i limiti di ciò che ha carattere di res, ma è semplice, indissolubile, indistruttibile e si muove in libera iniziativa di per sé. [...] È in virtù dello spirito che l'uomo ha la capacità di prendere le distanze dalla realtà immediata, di trascenderla verso l'alto e verso l'interno».31 L'uomo non possiede solo delle qualità o determinazioni spirituali, ma è propriamente un soggetto spirituale. Infatti la qualità spirituale possiamo rintracciarla in ogni elemento della natura. Basti pensare, dice il filosofo, a quanto spiritualmente satura e ricca sia semplicemente la struttura di un atomo! Ciò che è diverso è che l'atomo non sarà mai soggetto, ma solo oggetto. Un atomo non è mai un essere spirituale ma l'opera dello Spirito creatore che vi ha lasciato il suo stigma. La persona è invece spirito proprio in quanto soggetto spirituale, quale spirito individuale incorporato lasciato libero d'attuare il proprio essere: «Questo spirito individuale e finito è tale da fondare quella possibilità di stare in se stesso e di agire su di sé, che non può essere creata a partire dal solo àmbito materiale: [è] la persona».32 La persona in quanto spirito è sì finita ma ospita in sé qualcosa di incondizionato, reca in sé un accento di assoluto. Tutto ciò senza cadere nell'equivoco idealistico: «Il grande errore dell'idealismo tedesco fu quello di equiparare "persona" e "persona assoluta", così come "spirito" e "spirito assoluto"».33

Tale approdo pneumatologico della visione della persona (anche) in Guardini è conseguito con passaggi successivi. Anzitutto l'essere della persona come "essere-Io". Non c'è persona che non sia contemporaneamente un Io: «Quando domando: "Chi è là? " si risponde: "Io", o forse, se si vuole essere più precisi: "Io, nome e cognome". Quando domando: "Chi ha fatto questo? " si risponde: "Io". [...] Questo però significa che la domanda e la risposta, in quanto costituiscono un rapporto fondamentale dell'esistenza umana, si muovono fin dal principio all'interno di un carattere definito dall'"essere-Io"».34 Ciò non avviene mai di fronte ad un animale, tanto meno di fronte ad una pianta. Solo il comportamento umano induce a porre sempre un Io come centro da cui viene la "spontaneità" dell'uomo e l'Io ci dice che il carattere di necessità vegetale e animale nell'uomo è superato: l'uomo sta in se stesso e le sue azioni derivano da un'iniziativa autonoma ovvero da un "inizio o principio suo proprio". Tale inizialità e principialità rivela che l'uomo possiede se stesso, dispone di sé, gli appartiene il suo agire in un modo del tutto particolare poiché esso ricade in toto sulla sua responsabilità. La "personalità" è dunque l'autonomia dell'uomo, il modo in cui l'uomo e solo l'uomo sussiste e si atteggia nel mondo dei viventi.

La personalità, anche intesa nei suoi tratti qualificanti come spiritualità autocoscienziale-conoscente, libero-volitiva e creativa, non è però, per Guardini, ancora la persona "in senso proprio". Chiarisce solo "che cosa è lì" ma non dice ancora "chi è" quella realtà. Infatti, còlta nella sua essenza, la persona possiede «una sua peculiarità di tipo formale: non è un "che cosa", ma un "come", e un "come" di specie particolare, quello che è identico al "chi". Quando domandiamo: in che modo esiste l'uomo? possiamo rispondere: come persona, e cioè sempre come un "Io"».35 La persona "in senso proprio" è in definitiva l'Io inteso come quell'essere in grado davvero di autoappartenersi, che «sussiste in sé e dispone di se stesso. [...] L'Io indica che [...] l'uomo sta in se stesso e le sue azioni derivano dall'iniziativa, e cioè da un inizio o principio suo proprio. [... L'Io dice] il fatto di possedere se stesso e di poter disporre di se stesso, con la conseguenza che anche il suo agire gli appartiene in un modo particolare: ne è responsabile. Tutto questo equivale a dire che l'uomo è persona».36 Se l'Io si possiede nessuno può più espropriarlo della propria identità personale o attentare ad essa. Potrà forse essere soggiogato esteriormente, schiavizzato, ma il potere altrui può esercitarsi soltanto sull'essere psico-fisico, mai potrà sequestrare l'Io personale che io sono, che nessun altro può utilizzare e che rimane solo a me e per me quale mio fine. Questa dimensione dell'Io autoappartenentesi che caratterizza in definitiva la persona fa sì che essa non sia mai surrogabile da alcuno, né che qualsivoglia altro la possa mai rappresentare o possa assumerne la delega. L'Io non può "essere abitato" da nessuno, perché è unico ed irripetibile. Se la persona è essenzialmente autoappartenenza, tale peculiarità si declina sia sul terreno numerico-quantitativo (impossibilità dell'Io di essere raddoppiato) che su quello qualitativo (impossibilità dell'Io di essere riprodotto) .37 L'"essere-persona" significa dunque che l'uomo sta in se stesso e vive sussistendo in sé: grazie a tale autonomia e solo a partire da essa conosce, decide ed agisce. Non occorre essere dei grandi personaggi per conseguire l' "essere persona", non servono particolari performance, poiché quello di persona «è un concetto ontologico, e non di filosofia della cultura o pedagogico, che si riferisce all'uomo come tale e non alle sue doti e prestazioni. L'uomo in quanto uomo è persona anche se scarsamente dotato, anche se non còlto, anche se insignificante».38

La persona è un che di possente, stupendo o spaventoso a seconda delle situazioni, ma va sempre sperimentata come un che di dato e proprio per ciò di ineludibile: meglio e più «precisamente ricevo me stesso come questa determinata persona».39 La ricevo nella relazione con la Persona assoluta e infinita. Il carattere di persona si radica nell'essere la persona umana appellata dal Dio vivente che è un Dio personale e nella risposta che le è richiesta, cioè nel dover cor-rispondere ai criteri della Sua verità e santità. Ogni uomo, dice Guardini in piena consonanza con Ferdinand Ebner, è posto da Dio quale suo "Tu", anzi «Dio è quell'Essere che è capace di fare di ogni uomo il "Tu"».40 Ciò è determinante per la costituzione della persona: «Ne risulta chiaramente che ogni uomo è unico nel suo carattere di persona e che nessuna persona può essere rappresentata da un'altra né rimossa né sostituita, perché ciascuno si trova nella singolarità irripetibile della risposta responsabile di fronte a Dio che lo chiama. [...] Non c'è persona senza Dio; poiché la natura ontologica della persona sussiste nel fatto che l'uomo è chiamato da Dio, che Dio si è posto in relazione con l'uomo dandogli del Tu. A partire da Dio l'uomo è persona».41 Il personalismo dialogico guardiniano decolla così da una prospettiva teologica. Con ciò non si perviene ad una forma di eteronomia, poiché entro una dialogica l'eteronomia non si dà, ma c'è solo la «gratitudine del "Tu "»42 allorché si scopre reso tale da Dio interpellante e convocante.

Dopo aver disegnato l'identità essenziale della persona, una domanda decisiva si impone: «Se la persona è veramente come l'abbiamo definita, e cioè il fatto che l'uomo sta in se stesso, è padrone di se stesso, entra in attività muovendo da sé e deve prendere posizione per se stesso, se è vero che colui che esiste in questo modo non può essere rimosso né rappresentato da altri e neppure annientato e sostituito da altri, se dunque ogni uomo è in via di principio un essere unico, non in virtù di doti e prestazioni straordinarie, per la posizione privilegiata o i possessi, ma proprio in quanto è persona, allora in che modo si trova fra tutti gli altri uomini? ».43 La realtà della persona così configurata da Guardini nella sua autonomia originaria e strutturale, nella sua unicità ed irripetibilità, potrebbe esser fraintesa in senso autarchico, monadico e solipsistico. Nulla di più lontano dalla sua filosofia personalistica che non coglie certo né l'autoappartenenza della persona né la centralità dell'Io come indicatori di autosufficienza. In realtà la persona nella sua concreta attuazione sconta anzi una sua strutturale dipendenza indigenziale (Bedingtheit der Person), è pienamente inserita in una dimensione relazionale: «L'"uomo" è quell'essere che sta in se stesso e nel contempo è in relazione con altri».44 Anche su questo terreno avviene uno scarto decisivo in rapporto agli altri viventi: «Un'autentica relazione tra persone, come tale consiste nel fatto che, all'interno del contesto oggettivo che di volta in volta si dà, un essere umano in quanto "Io" chiama un altro "Io" e quest'ultimo risponde come tale. La forma fondamentale della relazione intepersonale è proprio questa: l'"Io" della prima persona si rivolge a quello della seconda come al proprio "Tu"; quest'ultimo dal canto suo risponde come un "Io", facendo del primo il suo "Tu". Questo inserire in un rapporto, la relazione "Io-Tu", non è possibile né tra cose né tra individui biologici, ma soltanto tra persone».45 Tale relazione Io-Tu è essenziale per l'attuazione della persona, per la sua stessa autoappartenenza poiché è «proprio nell'instaurare una relazione con un altro "Io" che l'"Io" attua in assoluto il proprio "essere-Io"».46 La relazione Io-Tu non è un tipo di rapporto analogo a quello che può esserci nello scambio o nell'influsso reciproco tra due sostanze che realizzano in tal modo effetti di carattere meccanico o chimico l'una sull'altra. Neppure è assimilabile a quello scambio tra animali che avviene per reciproca attrazione o per repulsione escludente tra due sistemi biologici ognuno dei quali dotato di una propria specifica teleologia: «Tutti i rapporti propriamente umani si fondano sul fatto che in essi non sono messi in relazione due oggetti o due esseri viventi, ma un "Io" e un altro "Io"».47 Certo anche il rapporto tra le persone può ridursi ad un semplice "urto esteriore" come fossero due complessi sostanziali meccanici o chimici così come, nella lotta per la sopravvivenza, può generarsi un rapporto meramente animale che si limita alle logiche attrattive o più di frequente repulsive. Ogniqualvolta il rapporto è assimilabile a quello tra neutre sostanze o tra animali l'altro non è mai il Tu e -- di conseguenza -- neppure l'Io conosce la relazione vitale con il Tu. Per Guardini, nella stessa linea di Martin Buber, il rapporto Io-Tu richiede il superamento di ogni logica gnoseologico-esperienziale soggetto-oggetto: finché l'altro è mero oggetto e non piuttosto centro autonomo e costitutivo d'un mondo proprio non sarà mai per l'Io un Tu. L'altro diviene Tu per l'Io solo quando, cessata la relazione asimmetrica soggetto-oggetto, abbandonata un'ottica esperienziale che vuol catturare l'altro nel mio mondo, nella persona dell'altro emerge l'Io dell'altro che è fine a se stesso e non più a me. Allora soltanto l'Io si imbatte nell'Io dell'altro e vi si relaziona e quell'Io diviene per lui il Tu. Proprio e solo perché quello che gli sta di fronte non è più l'oggetto ma il Tu, anche l'Io può finalmente disvelarsi e "apparire" così come veramente è, cioè la realtà unica ed irripetibile che appartiene a sé, non come tesoro geloso, ma come dono per il suo Tu.48 La relazione con il Tu è l'unica e autentica possibilità per l'epifania dell'Io, fenomeno che subito svanisce non appena subentra la mera relazione soggetto-oggetto.

Occorre dunque far spazio al Tu per incrociarlo con quella giustizia ontologica che scarta ogni mira annessionistica e con un amore che non vuol avvolgere l'altro in una prospettiva fusionistica ma che opta per la direzione opposta, rimane semplicemente in attesa come un Io mendicante in cerca del Tu che ammette la propria strutturale debolezza: «Il vincolo derivante da questa relazione non è più debole di quello fisico dell'essere incatenati o di quello biologico della dipendenza dall'istinto, o ancora di quello psicologico della suggestione, ma semmai è più forte di questi. Per essere più precisi: è un legame più debole nel senso della forza: se afferro una persona, essa non può opporre resistenza se io ho la forza necessaria, ma l'effetto della violenza esercitata si estende sempre e solo quanto la forza fisica; se invece mi rapporto all'altro come persona e colgo la sua persona, entrano in movimento la sua libertà, coscienza e carattere, e posso instaurare un rapporto con il mio, la cui qualità è di tipo etico e il cui raggio di azione è imprevedibile».49

Anticipando in parte Lévinas, Guardini vede il muovere incontro al Tu da parte dell'Io come un'apertura che mostra il proprio "vólto interiore": cade così quella barriera sottile, quello schermo illusoriamente protettivo che consisteva nell'"oggettività cosale (Sachlichkeit) " del mio atteggiarmi verso l'altro e finalmente mi mostro nella mia nudità di vólto inerme. Un'apertura, un'autorivelazione di quanto è proprio e abitualmente segreto, di ciò che è autenticamente umano il che equivale a dire non solo: «"Tu sei là: io sono io; rivolto verso di te, così come la situazione impone di volta in volta, nel rispetto, nella fiducia, nella fedeltà, nell'amore", ma anche: "Io sono quest'uomo, ti mostro il mio vólto, ti svelo la mia interiorità che si può rivelare solo in tale volgermi (Herwendung) e corrispondente rivolgermi (Zuwendung) a te... " ».50 Certo perché ciò si compia occorre una feconda reciprocità: solo quando l'altro mi consente di diventare a sua volta il suo Tu così come io sono davvero e non come egli mi vorrebbe la relazione può davvero decollare. L'Io si apre al Tu, esattamente come fa il Tu nei suoi confronti: solo in tal modo si dischiude quella dimensione d'interiorità dell'Io che altrimenti rimarrebbe del tutto inaccessibile e sigillata. Quando tale reciprocità accade la persona può finalmente conoscere la propria feconda attuazione e anzi solo ora è presente l'atteggiamento pieno di chi è persona e si annodano i destini in senso personale.51 Ciò non vuol dire che l'Io possa relazionarsi al Tu solo avendo già in tasca la cambiale della reciprocità. Occorrono sempre una dimensione fiduciale e insieme un azzardo: «Questa relazione comporta naturalmente il suo rischio: la persona che è là può anche chiudersi in se stessa e rifiutare la nostra chiamata, può rimanere nell'atteggiamento di semplice oggetto senza mai diventare un "Tu": tutto allora rimane silenzioso ed io ho sprecato quanto è mio; l'interlocutore può anche far cadere in rovina la relazione dopo il suo sorgere, la può interrompere, la può tradire: questo rischio inerisce a tutte le relazioni personali, che, appunto per questa ragione, sono rischiose; esse non si fondano mai sulla certezza, ma solo sulla fiducia, la "certezza" è data solo nell'àmbito di necessità, è calcolabile e ottenibile a forza, la "fiducia" si riferisce invece alla libertà e deve essere osata».52

La relazione Io-Tu e di conseguenza l'attuazione della persona conosce gradi diversi: inizia dalla serietà con cui si prende l'altro, prosegue nell'attenzione, nella dichiarazione di disponibilità, nel colloquio, nella "sympatheia"53 nel suo significato letterale, per finire con l'incontro vero e proprio, nella promessa, nell'intesa, nella comunione di vita e d'opera, nell'annodarsi d'un'amicizia, nelle relazioni fiduciali e nell'amore.

La dialettica relazionale Io-Tu ci porta dritto alla visione personalistico-dialogica guardiniana che vuol marcare una propria specificità in due direzioni: contro il personalismo attualistico di Max Scheler (ma anche -- per taluni aspetti -- l'enfasi dialogica di Ferdinand Ebner, Martin Buber e Franz Rosenzweig) e contro l'individualismo. Prospettive dialetticamente opposte e purtuttavia reciprocamente dipendenti. Entrambe, per Guardini, rischiano di dissolvere la realtà della persona. Per il personalismo attualistico non solo la persona si attua nella relazione dialogica Io-Tu, ma sussiste e consiste solo in tale relazione, tolta la quale è tolta insieme la persona nella sua vera essenza. Per l'individualismo che equipara persona ed individuo la persona sta bene nella propria crisalide e non ha bisogno di attuarsi fuoriuscendo da sé e andando incontro al Tu per cui tale direzionamento dialogico è sempre opzionale, mai essenziale, tanto meno costitutivo. Per Guardini, invece, la persona ha sì sempre bisogno dell'altra persona per pervenire alla pienezza di sé e per attuarsi compiutamente, ma non per essere in quanto tale persona. Si attua certo nella relazione Io-Tu, ma non sorge ontologicamente da tale rapporto. Ha un suo presidio ontologico indipendente dalla prospettiva relazionale-dialogica anche se ciò non significa che il rifugiarsi in esso in modo autoreferenziale sia il destino proprio della persona nella sua verità. Questo semmai sarà la derìva patologica individualistica. La posizione equilibrata di Guardini è quella che vede nella persona un patrimonio ontologico pregresso che certo è già dato ad essa (frutto della relazione primaria e creante con il Tu divino) ma che troverà il proprio inveramento e la propria autenticazione solo nel rapporto interpersonale dell'Io con il Tu. La persona non sorge nell'incontro anche se si attua davvero solo in esso. Ciò non toglie che in linea di principio non esiste in senso ontologicamente pieno un essere della persona nell'unicità solipsistica: priva dello sbocco relazionale essa si rattrappisce in una sorta di entropia ontologica.

La concezione dialogica della persona fa sì che «connesso al fenomeno della persona, se ne fa chiaro un altro che è della massima importanza per la comprensione dell'esistenza umana, e cioè l'incontro (Begegnung) ».54 Realtà molto ricca e complessa oltre che potenzialmente ambigua. L'incontro non è un impatto fisico od un urto reciproco, come avviene quando due palle da biliardo messe in moto da due giocatori si scontrano, né il convergere di due organismi come accade quando un seme di vischio cade sulla corteccia d'un albero. Non si tratta di incontro neppure quando un animale s'imbatte in un altro e ne sorge una lotta. Incontro vero e proprio è l'incontro d'un uomo con un altro ma non quello che accade quando egli incontra un altro uomo che, girando velocemente dietro un angolo, si scontra con lui. Può però accadere «che i due viandanti, dopo la prima sorpresa, si fermino l'uno di fronte all'altro, si guardino negli occhi e si riconoscano come due persone che non si sono viste da lungo tempo: in tal caso, ci sarebbe un incontro».55 Perché ciò possa accadere deve esserci, come condizione fondamentale la libertà in entrambi i protagonisti dell'incontro. Non può darsi incontro in un'azione reciproca meramente meccanica, biologica, psicologica, istintuale. Tale libertà per l'incontro la possiede solo l'uomo, mai l'animale: l'uomo non è mai costretto ad entrare nella relazione d'incontro Io-Tu ma può farlo. Il Tu, conosciuto o sconosciuto che sia, nell'incontro diviene una persona precisa con la sua energia, la sua intensità, il suo carattere, il suo profilo, la sua bellezza interiore che io sperimento nella sua irripetibilità. Tanto più vado incontro al Tu «con forza originaria [...] tanto più profondamente, non appena il percorso dell'esperienza interiore mi vi conduce, comprendo l'uomo in generale. Se l'incontro è completo, anche l'altra persona mi nota: si verifica allora l'incontro tra due vólti, tra quanto è più proprio dell'uno e dell'altro; uno sguardo trapassa nell'altro; possono sorgere relazioni del tipo più vario e si può attuare un destino».56

L'incontro non riesce sempre, il momento deve essere favorevole. Per momento favorevole non va inteso solo un che di esteriore (una particolare atmosfera, una tonalità emotiva particolare), ma, da parte e dell'Io e del Tu, l'atteggiamento d'apertura maturato, la deposizone di ogni obiettivo, l'attenzione, la disponibilità, la disposizione ad aiutare e il riconoscimento del bisogno d'esser soccorso, una capacità di condivisione di gioia e di dolore. Un incontro non può mai essere costruito a tavolino, poiché nessuno può mettere in conto tutti i fattori necessari al suo felice accadere e ciò determina il fallimento di tutti i tentativi fatti per favorire incontri tra persone, poiché anche la scelta e la preparazione più accurate si scontrano con la molteplicità di tali fattori e la sottile mobilità di un'autentica combinazione d'incontro. Per questo vale l'antico monito che ogni incontro autentico vien disturbato quando lo si vuol troppo e soprattutto lo si programma. Ed è una derìva tipica della contemporaneità la logica degli incontri costruiti e programmati.

I veri incontri possono solo essere un dono, mai ottenuti per diritto o tanto meno estorti con la forza e infatti «ogni genuino incontro desta anche una sensazione di qualcosa di immeritato, un sentimento di riconoscenza o almeno di stupore nella considerazione del modo in cui esso si sia combinato tanto singolarmente o tanto bene».57 Nell'evento dell'incontro l'esistenza si fa finalmente piena, giusta, sana e integra. In esso non emerge solo ciò che è essenziale e unico ma anche il mistero, l'indisponibile, che chiede stupore, riconoscenza, scossa interiore.

In fondo l'incontro tra Io e Tu ha il suo punto di riferimento nel passo evangelico (Mt 16, 25) in cui si dice che chi si tiene stretto il proprio Sé lo perderà, mentre solo chi lo sacrifica, lo ritroverà in pienezza: «L'uomo non sussiste in se stesso, da se stesso, per se stesso, ma "in direzione di", nell'arrischiarsi verso l'altro da sé. L'uomo è se stesso e lo diventa sempre più in quanto rischia di non essere se stesso [...]; volendo esprimersi con il linguaggio quotidiano, possiamo dire: l'uomo diventa se stesso nella misura in cui abbandona se stesso (selbst-los), non però nella forma della leggerezza, del vuoto d'esistenza, ma in direzione di qualcosa che giustifica il rischio di sacrificare se stessi».58 Senza questa Selbst-losigkeit, distacco ed abbandono di sé, senza l'ingresso convinto nella dedizione, l'Io rimarrà abbarbicato a se stesso, si sarà certo tenuta stretta la "sua anima", ma si sarà smarrito nell'impossibilità dell'incontro con il Tu. Se invece si dà, si apre, diventa lo spazio recettivo in cui si potrà manifestare anche l'altro. Occorre una sorta di ék-stasis, una fuoriuscita da sé, uno star fuori da sé: ogni incontro è sempre l'incrocio di una duplice ék-stasis, dell'Io e del Tu. Le relazioni instuarate e gli incontri potranno essere di volta in volta diversi, ma essi avvengono sempre grazie a questa capacità della persona di trascendere se stessa, divenendo solo grazie a ciò pienamente persona. Solo quando la persona rinucia a sé e si allontana da sé, ponendo il proprio baricentro fuori di sé, si immette in direzione di chi gli viene incontro e gli si apre. E scopre la gioia e la fecondità della propria vera autorealizzazione.

In tal senso, come già affermava Ebner, l'essenza della stessa esistenza spirituale della persona si svolge e si realizza costitutivamente come parola e come linguaggio, veri codici di ogni incontro. E il linguaggio non è semplicemente un sistema segnico d'intesa mediante il quale due monadi entrino in reciproco scambio ma lo «spazio di senso e la struttura di forme nel quale l'uomo si muove»59. Infatti «l'uomo vive nel linguaggio; ma, siccome il parlare è sempre un parlare diretto a un altro, l'uomo vive nel dialogo; non esiste la persona isolata [... e ciò] in ragione della sua intima essenza»60 verbale. Grazie al linguaggio l'Io si rivolge sempre ad un Tu: parlare è sempre dialogare tra un Io e un Tu. La vita e l'attività spirituale e relazionale della persona si attuano dunque nella parola e grazie alla parola e proprio la parola è elemento distintivo della persona che ne marca l'abissale distanza dall'animale. Il linguaggio è, sul piano oggettivo, il "progetto preliminare (Vorentwurf) " in cui effettualmente può verificarsi l'incontro tra le persone, incontro nella parola e grazie alla parola che è però parola autentica soltanto nell'opposizione polare, autenticante e feconda con il silenzio.61 Solo alimentandosi di silenzio la parola non decade a chiacchiera e solo sfociando nella parola il silenzio non diventa misantropico mutismo. Grazie alla parola appellante e a quella di risposta sorge tra l'Io e il Tu la comunione nel sentire, si crea una comunanza di rapporti con reciproca e feconda dipendenza, si determina un vitale "spazio di senso (Sinnraum) " tra chi parla e chi ascolta, anzi tale "spazio di senso" sorge solo in virtù di questo reciproco parlare ed ascoltare.62 Parlare significa manifestare noi stessi nella parola, quando l'interiorità non vibra più solo in se stessa e l'anima non si ritrae consegnandosi al silenzio. Parlare è sempre un passare oltre, trasmettere oltre, un aprirsi all'altro. E anche il silenzio, se non è la cupa prigionia del mutismo, può essere un che di assolutamente positivo e pregnante proprio sul terreno dialogico: «Nel rapporto che si può instaurare tra due persone il tacere insieme è una tra le cose più belle, quindi non soltanto il fatto che i due non si disturbano l'un l'altro con la loro parola, ma proprio che i due entrano insieme nel silenzio. Il fatto che possano farlo dice molto sulla loro coappartenenza costitutiva, mentre, se non ne sono capaci, è il segno che anche il loro colloquio non è autentico né plenario, ma è solo una chiacchiera, e che perciò tra di loro non c'è una vera comunione».63

3.2. Immagine trinitaria della persona e ripensamento della Trinità

Se con la parola autentica e dialogica la persona si rivela all'altro, incontra l'altra persona, con tale umano balbettante parlare e dialogare diventerà imago Trinitatis, fragile immagine del dialogo archetipo intratrinitario: infatti «lo stesso carattere di persona di Dio si compie nella forma di un eterno dialogo tra Padre e Figlio, nell'energia creatrice di fecondità e unità dello Spirito»64 A ragione Hans Urs von Balthasar ha còlto come in Guardini ed esplicitamente solo in lui «venga alla luce una traccia della reale immagine trinitaria della persona».65 E, di converso, come proprio da tale immagine trinitaria della persona possa venire una luce sul mistero della Trinità in quanto tale ovvero -- come scrive Guardini -- «sulla vita immanente di Dio [...] . Se si guarda al modo in cui Gesù parla di Dio, se si osserva come Egli stesso vive in Dio, se ci si rende conto di come Dio attesti se stesso in Lui, attraverso di Lui e a partire da Lui, allora si nota nell'unità dell'essere divino una diversità di vólti. Qui si delinea un vólto di Dio che egli chiama "Padre". Sta di fronte a Lui, e di Lui dice che che deve farsi la volontà del Padre e non la sua (Mt 26, 39). Ma al tempo stesso Egli è talmente vicino a questo Padre, e dello stesso rango, che gli avversari gli rimproverano di farsi Egli stesso Dio (Gv 10, 33). In ciò si svela un secondo vólto di Dio, il suo, quello del Figlio, o, come Giovanni anche lo chiama, del Verbo eterno... E un terzo si svela là dove parla dell'invio dello Spirito che procede dal Padre (Gv 15, 26; 16, 13-15) [...] . Dio si rivela in una forma dell'esistenza che va oltre ogni personalità umana: come Colui che porta in sé le distinzioni di un rapporto Io-Tu dalla triplice natura e così ha in se stesso comunione».66 Tale comunione non nega la divina autosufficienza, anzi la realizza: «L'autosufficienza è una delle prerogative di Dio, di colui che è "se stesso". Essa si fonda sul fatto che Dio è Uno, pur avendo in se stesso comunione. [...] Il Dio trinitario basta a se stesso, perché ha in sé la comunione perfetta. [...] Proprio la persona singola ed il legame comunionale sono immagine imperfetta, finita, creaturale dell'autentico rapporto tra le Persone divine [...] come lo si è pensato attraverso la Chiesa nel dogma dell'unità della natura divina e della trinità delle Persone».67

La dimensione della "comunione", la relazionalità radicale, l'interpersonalità dialogica, caratterizza dunque per Guardini «il Dio trino, la vita interiore di Dio, che consiste nella forma di sussistenza essenziale a lui solo delle tre persone che possiedono la medesima vita. Ogni persona sta in sé, non derivabile dall'altra; non scambiabile; non mescolabile. Ogni persona è congiunta con le altre in una comunione, la cui vicinanza che oltrepassa ogni concepibile misura, è espressa dal fatto che il contenuto di tale comunione è l'unica vita divina, l'unica stessa natura».68 Tale comunione non è un fatto accidentale per le Persone Divine, piuttosto «è essenziale alle persone. Quel carattere che fonda l'irripetibilità, l'autonomia qualitativa di ogni persona, consiste appunto nel modo in cui essa forma comunione e sta in comunione. È il "Padre", che genera; il "generante". L'atto, per il quale il Primo è Padre, è appunto quello per il quale è generato il "Figlio". La seconda persona è l' "Unigenito". Egli sta nella comunione come tale. L'atto, che i due si rivolgono reciprocamente è l'essere-l'uno-per-l'altro (Für-Einander-Sein), l'uno-con-l'altro (Mit-Einander-Sein), l'uno-nell'altro (In-Einander-Sein): lo "Spirito". Anch'Egli è un fatto della comunione, come "Padre" e "Figlio": il fatto fondamentale dell' "in"; il modo in cui il Padre è nella comunione con e nel Figlio. Lo Spirito è l' "esser-dentro" (Inne-Sein) ».69 Il mistero della "vita intima di Dio" è quindi -- per Guardini -- il rapporto di persona e di comunione. Il tutto poi si traduce e si qualifica in una relazione nella verità e che diventa parola e amore: «Dio è qui luce e verità, che sono espresse dal Dominante [il Padre] nella parola. Il Primo Dominante misura e riconosce nell'atto dell'affermazione, del consenso e dell'amore la propria verità d'essere, che è espressa luminosamente e sta nella parola-immagine [il Lógos] "davanti" a Lui. [...] Nell'amore il primo e il secondo sono intimi reciprocamente. In questi tre momenti si costituiscono le tre Persone Divine: l'autorità s'afferma in potenza, il Dominante; la Verità strutturata in parola luminosa, il Lógos; l'amore che apprezza e consente, il "vincolo", osculum [lo Spirito] ».70 Questa è la comunionalità "una e trina" di Dio nell'interpersonalità dialogica e verbalmente modulata.

L'interpretazione in chiave dialogico-relazionale della dottrina trinitaria evita -- per Guardini -- i due rischi mortali in cui la verità trinitaria può incorrere se mal còlta: una forma di politeismo mal celato entro il monoteismo oppure la riduzione a mera apparenza della distinzione tra le persone divine di fatto riconducibile ad un unico modo d'essere di Dio che nella sua manifestazione storica assume forme diverse: «A partire dalla coscienza di Gesù si mostrano delle distinzioni in questa unicità di Dio, che sono importanti sia in quanto tali sia per il carattere di questa unicità. Vale la pena, quindi, definire più precisamente -- se così possiamo esprimerci, annota Guardini, -- queste relazioni. Nel far questo ci muoviamo su un filo sottile, in cui si corre il rischio di cadere o a destra o a manca. Ovvero, da una parte, di parlare di dèi diversi sotto l'influsso di tendenze politeistiche, dall'altra di considerare come inessenziali le distinzioni, di vedere in esse aspetti diversi della vitalità di Dio (modalismo) o epoche del Suo sviluppo (idealismo) ».71 Il mistero assoluto che la fede cristiana chiama con il nome di "Trinità" esprime in realtà -- per Guardini -- «l'assoluta comunicazione di vita presente in Dio, il che significa che Uno comunica e Uno sussiste in virtù di questa comunicazione: "Padre" e "Figlio", due eppure "Uno". [... Nello Spirito] ha luogo la comunicazione della vita dal Padre al Figlio. Egli opera -- se così è lecito esprimersi -- per la riuscita di questa comunicazione, per la perfezione che, al di là di ogni accrescimento, fonda la chiarezza e la dignità dell' "Io" e del "Tu". [...] Così sappiamo di un "Figlio eterno", che è anche "la Parola"; di un "Padre eterno", che è anche "Il Parlante"; dello "Spirito" [...] che crea l'intimità della comunione, quella intimità che non conduce ad alcuna confusione. Tutto questo rende Dio indipendente. Il semplice monõtheos sarebbe costretto a rimanere in un gelido isolamento, oppure dovrebbe produrre un mondo per avere comunione con esso, dovrebbe cercare il cuore dell'uomo per entrare con lui in quella relazione di dare e ricevere che rende la vita tale. Le affermazioni del panteismo moderno sono a questo riguardo di una chiarezza spietata. Secondo questa concezione Dio ha bisogno del mondo per essere fecondo e poter amare; ha bisogno degli uomini, per avvertire il calore del suo cuore».72

Ciò che preme in definitiva a Guardini è realizzare un superamento della speculazione puramente teorica sulla Trinità, intrecciare una relazione tra dogma e vita reale. Emblematico in tal senso è il suo saggio del 1916 Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità73. Il rischio è che la dottrina trinitaria sia còlta come un principio astratto, lontano e distante dalla terra, privo di un effettivo significato per la vita reale. In realtà si può assumere, per Guardini, proprio «il dogma della Trinità come Magna Charta del dovere e della dignità di ogni comunità umana».74 Le relazioni di carattere comunitario in generale si fondano su due opposti atteggiamenti e moti dell'anima.

Il primo è la dedizione (Hingabe) che può conoscere forme sempre più elevate fino a quella dedizione completa che non trattiene più niente solo per sé creando con il Tu una nuova unità che abbraccia le due personalità: «Beni, speranze, preoccupazioni, sofferenze sono diventati comuni, perché per ognuno dei due il punto centrale della propria vita si è allontanato dal semplice "io" e si è avvicinato al "tu"».75 L'angusto cerchio del Sé è in tal modo spezzato, si riconosce amando il mondo interiore dell'altro, si "adotta" la vita spirituale dell'altro, si percepisce se stessi nell'altro, si partecipa direttamente alla vita dell'altro, si sviluppano i propri pensieri a partire da quelli dell'altro, si sentono gioia e dolore altrui come propri: «in tal modo la propria esistenza si sviluppa in una pienezza e fecondità del tutto nuova, sostenuta dall'azione espansiva che deriva dall'autentico "dare del tu"».76 Il tutto evitando il rischio di quel deleterio comunitarismo fusionistico giustamente bollato da Nietzsche con efficacia: «la comunità rende comuni»,77 troppo comuni, cioè omologati.

Il secondo è invece quella tendenza dell'anima ad attenersi a sé (Selbsthaltung), a porre una distanza tra il Sé e l'altro. Una forma di autotutela, di indipendenza nel giudizio, di autonomia decisionale, di responsabilità, di gelosa custodia di quel "cerchio sacro" che racchiude ogni personalità a meno che non si apra da sé. A ciò corrisponde nell'altro la riservatezza (Züruckhaltung), la non invasione di quel delicato «confine che racchiude la personalità altrui come la propria. [... Ciò] si esprime nel profondo rispetto, che non vuole ottenere, estorcere o carpire la comunicazione intima di sé, ma vuole accoglierla soltanto nell'atto di un libero dono».78 Il tutto senza cadere in una forma di riservatezza esagerata e timorosa che non porta al di là di sé in direzione del Tu. Per questo è sempre necessario un gioco di correzione reciproca, una forma di dedizione libera che spinge la personalità ad uscire dalla ristrettezza del proprio Sé e a darsi a un altro tramite un movimento di espansione e di reciproco arricchimento.

L'idea di comunità regola il movimento pendolare dell'anima caratterizzato insieme dalla polarità di dedizione e autoconservazione, di attrazione per l'alterità e di mantenimento della distanza, di riconoscimento del proprio statuto indigenziale che spinge sì all'incontro ma pur sempre a un incontro di personalità indipendenti e mai invasive, rispettose con "pudore spirituale" sia di fronte all'altro sia rispetto a se stessi: «Solamente questo contrappeso assicura il compimento del senso di ogni comunità. La schietta dedizione spezza il blocco dell'individualità, espande l' "io" attraverso il "tu". Ma, di nuovo, solo il rispetto profondo e il pudore preservano l'anima dalla dissipazione [...] . Un movimento rende accessibile la ricchezza della vita comune; l'altro assicura la forma dell'atteggiamento interiore: solitudine e comunità; divenire un tutt'uno e mantenere le distanze. Solo da queste due tendenze nasce la compiutezza».79

Come si aggancia questa dimensione della comunità e della corretta relazione Io-Tu con la Trinità? Per Guardini basta collocare il mistero trinitario «entro le relazioni sopra descritte ed esso ci illumina quei rapporti con la sua luce. C'è un solo Dio. Un'unica natura e un'unica vita divina. Il Padre le comunica totalmente al Figlio; il Padre e il Figlio allo Spirito Santo. Il Padre e il Figlio non trattengono nulla per sé. Il Figlio non respinge nulla del dono del Padre, lo Spirito Santo nulla dei suoi due donatori. Quello riceve dal Padre tutto ciò che egli è ed ha; questo riceve tutto dal Padre e dal Figlio. Le tre persone divine hanno tutto in comune: l'intera pienezza della verità, tutta la nobiltà della santità, lo stesso splendore della bellezza, l'unica infinita ricchezza di beatitudine. Il Figlio è per il Padre comprensione totale; come perfetto amore li unisce lo Spirito Santo. [...] Il primo movimento verso la comunità, la dedizione, la tensione verso l'unità, raggiunge qui il suo grado assoluto: le Persone divine non sono legate tra di loro come avviene tra gli uomini nella misteriosa unione delle anime attraverso l'amore. Tra di esse regna una perfetta identità di tutto ciò che chiamiamo vita ed essenza, perché sono un solo Dio. Quel "dare del tu" dell'amore [...], che conduce al punto che l'uno possa dire dell'altro "il mio cuore che è presso di te", si trova qui realizzato senza alcun "per così dire", senza alcuna riduzione: Padre e Figlio e Spirito Santo vivono una e una stessa vita».80 Nel contempo nella Trinità è presente e nel modo più compiuto anche l'altro movimento: l'attenersi a se stessi, la doverosa distanza delle personalità: «anche se tutto nella Trinità è comune, non lo sono le Persone. Queste rimangono non mescolate, non scambiabili, del tutto inviolabili. Il Padre non è, in alcun modo, il Figlio, e da entrambi è inconfondibilmente distinto lo Spirito Santo».81

La "comunità trinitaria" è nel contempo oltre che perfetta anche feconda: essa è «una comunità che, in certo senso, genera se stessa. [...] Dalla pienezza della divina comprensione di sé, il Padre fa nascere il Figlio al possesso della stessa natura, e dalla forza infinita dell'amore reciproco Padre e Figlio generano lo Spirito Santo al possesso della medesima vita divina».82 La Trinità è, in tal modo, comunità paradigmatica e perfetta che insegna all'uomo cosa sia davvero una comunità ovvero «che mettersi in comunità significa essere pronti a dare tutto; significa aprirsi con schietta disponibilità per la pienezza dell'altro. La Trinità insegna che tutto, proprio tutto, potrebbe essere e, al massimo grado, dovrebbe essere comune. Una sola cosa non dovrebbe esserlo, e con ciò si contrappone alla dedizione il suo contrappeso: la personalità. Questa deve rimanere inviolata nella sua indipendenza. Il suo sacrificio non può essere né desiderato, né offerto, né accettato».83 Nella Trinità è dunque celata per Guardini la Magna Charta di ogni umana comunità: essa è «un vestigium Trinitatis, un'immagine riflessa della comunità divina della Trinità [...] "traccia vivente" della Santissima Trinità».84 Per converso, ogni umana dinamica comunitaria illumina il mistero trinitario.

In conclusione, per Guardini, il personalismo dialogico permette di fuoruscire dal "mono-personalismo" con cui altrove si interpreta la realtà divina: «Dio non è l'assoluta Persona-una, come la coscienza moderna -- nella misura in cui in assoluto concepisce Dio in termini di persona -, l'Islam e l'ebraismo post-cristiano la rappresentano. Questo mono-personalismo non è cristiano».85 Tale "mono-personalismo" per Guardini non si supera concependo lo sviluppo dell'Io divino nella sua unità in qualche forma di dialettica dello spirito o della persona assoluta ma solo allorché «all'interno dell'essere di Dio uno, appaia chiaramente una decisa controparte. Questo rapporto -- l'unità dell'essere di Dio e la controparte dell'ek-sistenza; la medesimezza della vita e l'autentica tensione dell' "io"-"tu"»86 appare davvero cruciale. Infatti la tensione dialogica Padre-Figlio illumina questa relazionalità Io-Tu entro una effettuale frontalità: «Dio ek-siste come Padre, ma in quanto genera un Figlio; ek-siste come Figlio, ma in quanto procede da un Padre e gli si presenta di fronte».87 Il tutto modulato verbalmente. Dio è persona proprio in rapporto alla Parola: con essa non esprime solo il suo mistero infinito ma esiste come "Colui che parla" (il Padre) che si rivolge a "Colui che è parlato" (il Figlio) che è nel contempo anche Colui che è veramente ascoltante, ma è lo Spirito Santo Colui nel quale si apre nella Parola quanto era nascosto e ciò che è stato rivelato conserva l'intimità originaria dell'amore. Dio è dunque la Parola totalmente adempiuta che giunge davvero al suo termine poiché il Figlio "parlato" amorosamente nello Spirito sempre è vòlto verso il Padre parlante. La Parola non conosce mai in tal caso lo scacco come spesso accade per la parola umana perché il Tu (il Figlio) cui essa si rivolge non è un Io estraneo, autonomo e indipendente ma questo Tu scaturisce dallo stesso parlare: «La Parola passa oltre e, per così dire, prende consistenza in se stessa. È discorso e orecchi insieme; discorso sentito e simultaneamente replica».88 Come nell'uomo la dimensione dialogica e pneumatologica si dà nella parola e grazie alla parola così dunque accade anche in Dio e in modo assolutamente archetipico: «Dio è Colui che parla, in quanto pronuncia una Parola che ha il carattere dell'essere; è Colui che è "parlato", in quanto in Dio v'è la bocca che parla. Quegli che è chiamato "Figlio" è al tempo stesso "Verbo", "Parola". Figlio e parola in verità sono essenzialmente connessi. [...] Qui il processo [verbale-dialogico] appare nella sua assoluta archetipicità. In esso si sviluppa il perfetto rapporto "io"-"tu"; così perfetto, che l' "io" si attua non solo relativamente al "tu", ma in assoluto si costituisce unicamente in quella relazione -- a quel "tu" che non lo incontra e lo chiama, ma addirittura lo produce».89 Ancora una volta in questa assolutezza dell'essere-uno divino, c'è un'intimità della vicinanza e un rispetto della distanza: distanza che non costituisce né perdita né distacco ma via verso la pienezza comunionale del Padre e del Figlio. Pienezza comunionale nell'amore divino da cui scaturisce la Persona dello Spirito Santo.

Tutto gioca in Guardini nella circolarità di un personalismo dialogico ora umano ora trinitario fino ad un'affermazione impressionante nella sua radicalità: «La risposta all'interrogativo che cosa sia l'essere persona tout- court sarebbe questa: la Trinità di Dio. [...] La persona umana e il suo rapporto "io"-"tu" sono l'ectipo, la copia indebolita e disaggregata di quest'essere persona in senso assoluto. Il rapporto di "io"-"tu" con Dio [...] dal quale la persona umana sperimenta la sua suprema definizione, non si dirige a "Dio" in senso puro e semplice, ma al Dio trinitario».90 La persona umana dunque nel suo umano dialogare, nelle sue verbalmente modulate relazioni Io-Tu, è allora davvero imago Trinitatis, immagine di quel dialogo archetipico intratrinitario. Inseme però è la strada per apprezzare il senso di un dogma altrimenti lontano nel suo oggettivismo speculativo.

Copyright © 2011 Silvano Zucal

Silvano Zucal. «Filosofia dialogica e dottrina trinitaria». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**94 B].

Note

  1. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte (1833), ed.it. a c. di Guido Calogero e Corrado Fatta, Lezioni sulla filosofia della storia, vol. III, La Nuova Italia, Firenze 1973, p. 234. Testo

  2. Cfr. Gisbert Greshake, Der dreieine Gott. Eine trinitarische Theologie, Herder, Freiburg im Breisgau 1997, tr.it. di Paul Renner, Il Dio unitrino. Teologia trinitaria, Queriniana, Brescia 2000, pp. 166-180. Testo

  3. Martin Buber, Ich und Du (or. 1923), in Das dialogische Prinzip, Lambert Schneider Verlag, Heidelberg 19845, tr. it. di Anna Maria Pastore, a c. di Andrea Poma, Io e Tu, in Id., Il principio dialogico e altri saggi, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1993, pp. 57-157, qui p. 79. Testo

  4. Ivi, p. 85. Testo

  5. Hans Urs von Balthasar, Theologik, vol. II, Wahrheit Gottes, Johannes Verlag, Einsiedeln 1985, tr. it. Teologica, vol. II, Verità di Dio, Jaca Book, Milano 1990, p. 42. Testo

  6. Cfr. Augustinus Karl Wucherer-Huldenfeld, La pneumatologia della parola. La riscoperta autodidattica della comprensione storico-salvifica della Trinità da parte di Ferdinad Ebner, in Silvano Zucal- Anita Bertoldi (edd.), La filosofia della parola in Ferdinand Ebner, Atti del Convegno Internazionale di Trento (1-3 dicembre 1998), Morcelliana, Brescia 1999, pp. 27-40. Testo

  7. Ferdinand Ebner, Schriften, a cura di Franz Seyr, vol. II, Notizen, Tagebücher, Lebenserinnerungen, Kösel, München 1963, Notizen, pp. 9-551, qui pp. 240-241. Testo

  8. Ferdinand Ebner, Das Wort und die geistigen Realitäten. Pneumatologische Fragmente, Brenner Verlag, Innsbruck 1921, ed.it. a c. di Silvano Zucal, tr.it. di Paul Renner, La parola e le realtà spirituali. Frammenti pneumatologici, San Paolo Cinisello Balsamo (Milano) 1998. Testo

  9. Ferdinand Ebner, Notizen, cit., p. 268. Testo

  10. Ferdinand Ebner, Versuch eines Ausblicks in die Zukunft, in Id., Schriften, a cura di Franz Seyr, vol. I, Fragmente, Aufsätze, Aphorismen. Zu einer Pneumatologie des Wortes, Kösel, München 1963, pp. 719-908, qui p. 908, tr. it. di Nunzio Bombaci, Proviamo a guardare al futuro, Morcelliana, Brescia 2009, p. 315. Testo

  11. Ferdinand Ebner, Das Wort ist der Weg. Aus den Tagebüchern, Herder Verlag, Wien 1949, tr. it. di Edda Ducci e Piero Rossano, La parola è la via, Anicia, Roma 1991. Testo

  12. Ferdinand Ebner, Aus dem Tagebuche 1916/17, in Id., Schriften, a cura di Franz Seyr, vol. I, Fragmente, Aufsätze, Aphorismen. Zu einer Pneumatologie des Wortes, cit., pp. 19-73, qui p. 35, tr. it. di Edda Ducci, Dal Diario 1916/17, in Id., Parola e amore, Rusconi, Milano 1998, pp. 41-93, qui p. 58. Testo

  13. Ferdinand Ebner, Das Wort und die geistigen Realitäten. Pneumatologische Fragmente, cit., p. 17, ed.it. cit., pp. 144-145. Il corsivo è nostro. Testo

  14. Ivi, p. 170, ed.it. cit., pp. 311-312. Testo

  15. Ivi, p. 25, ed.it. cit., p.155. Testo

  16. Ferdinand Ebner, Notizen, cit., p. 241. Testo

  17. Ferdinand Ebner, Das Wort und die geistigen Realitäten. Pneumatologische Fragmente, cit., p. 12, ed.it. cit., p.137. Testo

  18. Ivi, p. 97, ed.it. cit., p. 233. Testo

  19. Ferdinand Ebner, Aus dem Tagebuche 1916/17, cit., p. 61, ed. it. cit., p. 82. Testo

  20. Ferdinand Ebner, Notizen, cit., pp. 519-520. Testo

  21. Augustinus Karl Wucherer-Huldenfeld, La pneumatologia della parola. La riscoperta autodidattica della comprensione storico-salvifica della Trinità da parte di Ferdinad Ebner, cit., p. 37. Testo

  22. Ferdinand Ebner, Die Wirklichkeit Christi, in Id., Schriften, a cura di Franz Seyr, vol. I, Fragmente, Aufsätze, Aphorismen. Zu einer Pneumatologie des Wortes, cit., pp. 522-573, qui p. 531. Testo

  23. Ferdinand Ebner, Aphorismen 1931. "Wort und Liebe", in Id., Schriften, a cura di Franz Seyr, vol. I, Fragmente, Aufsätze, Aphorismen. Zu einer Pneumatologie des Wortes, cit., pp. 909-1013, qui p. 986, tr. it. di Edda Ducci, Aforismi 1931. Parola e amore, in Id., Parola e amore, cit., pp. 95-190, qui p. 169. Testo

  24. Augustinus Karl Wucherer-Huldenfeld, La pneumatologia della parola. La riscoperta autodidattica della comprensione storico-salvifica della Trinità da parte di Ferdinad Ebner, cit., p. 39. Testo

  25. Ferdinand Ebner, Das Wort und die geistigen Realitäten. Pneumatologische Fragmente, cit., pp. 144-145, ed.it. cit., p. 284. Testo

  26. Ivi, p. 145, ed.it. cit., p. 284. Testo

  27. Romano Guardini, Ethik. Vorlesungen and der Universität München (1950-1962), ed. a cura di Hans Mercker, Matthias-Grünewald Verlag- Ferdinand Schöningh Verlag, Mainz-Paderborn 1993, ed.it. a cura di Michele Nicoletti e Silvano Zucal, Etica, Morcelliana, Brescia 2001, p.197. Testo

  28. È quanto ho cercato di fare nel quarto capitolo del mio volume: Lineamenti di pensiero dialogico, Morcelliana, Brescia 2004, pp. 67-92. Testo

  29. Cfr. Romano Guardini, L'uomo. Fondamenti di una antropologia cristiana, ed. it. a cura di Massimo Borghesi in collaborazione con Carlo Brentari, in Id., Opera Omnia III/2, Morcelliana, Brescia 2009. Testo

  30. Cfr. Etica, cit. Testo

  31. Ivi, p. 219 e pp. 193-194. Testo

  32. Ivi, p. 220. Testo

  33. Ivi, p. 441. Testo

  34. Ivi, p. 205. Testo

  35. Ivi, p. 221. Testo

  36. Romano Guardini, Welt und Person. Versuche zur christlichen Lehre vom Menschen, Werkbund , Würzburg 1939, ora in coedizione Matthias Grünewald Verlag, Mainz 19886, p. 121, ed. it. a cura di Silvano Zucal, Mondo e persona, Morcelliana, Brescia 2002, p. 148; Etica, cit., pp. 208-209. Testo

  37. Cfr. Romano Guardini, Über Sozialwissenschaft und Ordnung unter Personen, in «Die Schildgenossen» 6 (1926), pp. 125-150, tr. it., Sulla sociologia e l'ordine tra persone, in Id., Natura - Cultura - Cristianesimo, Morcelliana, Brescia 1983, pp. 7-35, qui p. 11: «Essere-persona significa anzitutto autoappartenenza nel numerico: io sono "uno"; sono solo "uno"; non posso essere raddoppiato. Esser-persona significa autoappartenenza nel qualitativo: sono costui, sono solo questa persona; io sono questa persona. Non posso essere imitato; di me non può esser fatto un "caso"». Sul piano meramente numerico si potranno contare figure, individui, "personalità", ma non si può dire mai "due persone" con senso corretto. Qui il pensiero si arena inesorabilmente (cfr. Mondo e persona, cit., p. 155, nota 9). Testo

  38. Romano Guardini, Etica, cit., p. 215. Testo

  39. Ivi, p. 507. Testo

  40. Ivi, p. 244. Testo

  41. Ivi, p. 222 e p. 835.Il corsivo è nostro. Cfr. anche ivi, p. 975: «Si arriva qui alla piena comprensione di ciò che significa "persona". Persona è la realtà che non si può perdere, che non può essere derivata da elementi psicologici o sociologici, in ragione della quale l'uomo sta nei confronti di Dio in una situazione di "Io-Tu" per la natura del suo essere creato; la realtà per cui Dio lo ha dato in mano a se stesso; la realtà per la quale l'uomo deve rispondere di se stesso dinanzi a Dio e per la quale, come conseguenza, gli spetta un senso incondizionato di esistenza, che non può esser tolto da nessun tipo di influssi empirici». Testo

  42. Ivi, p.1164. Testo

  43. Ivi, p. 230. Testo

  44. Ivi, p. 231. Testo

  45. Ivi, pp. 232-233. Testo

  46. Ivi, p. 235. Il corsivo è nostro. Testo

  47. Ibidem. Testo

  48. Cfr. ivi, p. 235. Testo

  49. Ivi, pp. 235-236. Testo

  50. Ivi, p. 235. Testo

  51. Cfr. Romano Guardini, Mondo e persona, cit., pp. 164-165. Testo

  52. Romano Guardini, Etica, cit., p. 236. Testo

  53. Cfr. Romano Guardini, Möglichkeit und Grenzen der Gemeinschaft, in «Die Musikpflege. Monatsschrift für Musikerziehung, Musikorganisation und Chorgesangwesen» 1 (1930) 4, pp. 177-190 [il saggio verrà poi pubblicato come monografia con il titolo Vom Sinn der Gemeinschaft, Arche, Zürich 1950), tr.it., Possibilità e limiti della comunità, in Id., Natura - Cultura - Cristianesimo, cit., pp. 36-54; in part. p. 50. Testo

  54. Romano Guardini, Etica, cit., p. 245. Begegnung si distingue per Guardini da zusammenkommen, il semplice convergere; da zusammentreffen, l'incontrarsi o il trovarsi insieme; da treffen ovvero l'imbattersi in qualcuno o qualcosa. Testo

  55. Ivi, pp. 246-247. Testo

  56. Ivi, p. 250. Il corsivo è nostro. Testo

  57. Ivi, pp. 252-253. Testo

  58. Ivi, p. 256. Testo

  59. Ivi, p. 242. Testo

  60. Ivi, p. 244. Testo

  61. Per la filosofia della parola e la correlata filosofia del silenzio in Guardini mi permetto di rinviare al mio volume: Silvano Zucal, Romano Guardini, filosofo del silenzio, Borla, Roma 1992. Testo

  62. Cfr. Romano Guardini, Etica, cit., pp. 237-238. Testo

  63. Ivi, p. 244. Testo

  64. Ivi. p. 243. Testo

  65. Hans Urs von Balthasar, Homo creatus est. Skizzen zur Theologie V, Johannes-Verlag, Einsiedeln 1986, tr.it., Homo creatus est. Saggi teologici V, Morcelliana, Brescia 1991, p. 108. Testo

  66. Romano Guardini, Die Offenbarung. Ihr Wesen und ihre Formen, Werkbund Verlag, Würzburg 1940, tr. it. di Andrea Aguti, La Rivelazione. La sua essenza e le sue forme, in Id., Filosofia della religione. Esperienza religiosa e fede, a cura di Silvano Zucal, Opera Omnia II/1, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 325-503, qui pp. 428-429. Testo

  67. Romano Guardini, Der Gegensatz. Versuche Zu Einer Philosophie Des Lebendig-Konkreten, Matthias Grünewald, Mainz 1925, tr. it. di Alberto Anelli, L'opposizione polare. Tentativi per una filosofia del concreto vivente in Id., Scritti di metodologia filosofica, a cura di Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, Opera Omnia I, Morcelliana, Brescia 2007, pp. 65-241, qui p. 169. Testo

  68. Romano Guardini, Gedanken über das Verhältnis von Christentum und Kultur, in «Die Schildgenossen» 6(1926), pp. 281-315, tr.it. di Andrea Aguti, Pensieri sul rapporto tra Cristianesimo e cultura, in Id., Filosofia della religione. Esperienza religiosa e fede, cit., pp. 89-126, qui p. 116. Testo

  69. Ibidem. Testo

  70. Ivi, p. 117. Testo

  71. Romano Guardini, Der lebendige Gott, in Id., Die Existenz des Christen, hrsg. aus dem Nachlaß, Ferdinand Schöningh Verlag, Paderborn 1976, pp. 27-76, tr. it. di Andrea Aguti, Il Dio vivente, in Id., Filosofia della religione. Religione e Rivelazione, a cura di Andrea Aguti, Opera Omnia II/2, Morcelliana, Brescia 2010, pp. 402-451, qui p. 427. Testo

  72. Ivi, pp. 428-429, 440-441. Testo

  73. Romano Guardini, Die Bedeutung des Dogmas vom dreieinigen Gott für das sittliche Leben der Gemeinschaft, in «Theologie und Glaube», 8 (1916), pp. 400-406; leggermente rielaborato in Auf dem Wege, Grünewald, Mainz 1923, tr. it. a cura di Omar Brino, Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità, in Id., Scritti politici, a cura di Michele Nicoletti, Opera Omnia VI, Morcelliana, Brescia 2005, pp. 88-98. Testo

  74. Ivi, p. 91. Testo

  75. Ivi, pp. 91-92. Testo

  76. Ivi, p. 92. Testo

  77. Friedrich Nietzsche, Jenseits von Gut und Böse. Vorspiel einer Philosophie der Zukunft, in Id., Sämtliche Werke, hrsg. von Giorgio Colli e Mazzino Montinari, DTV, München 19933, § 284, pp. 231-232: «Jede Gemeinschaft macht, irgendwie, irgendwo, irgendwann -- "gemein"». Citato da Guardini in Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità, cit., p. 93. Testo

  78. Romano Guardini, Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità, cit., p. 93. Testo

  79. Ivi, pp. 94-95. Testo

  80. Ivi, pp. 95-96. Testo

  81. Ivi, p. 96. Testo

  82. Ibidem. Testo

  83. Ivi, p. 97. Testo

  84. Ivi, pp. 97-98. Testo

  85. Romano Guardini, Mondo e persona, cit., p. 189. Testo

  86. Ivi, p. 190. Testo

  87. Ibidem. Testo

  88. Ivi, p. 170. Testo

  89. Ivi, pp. 190-191. Testo

  90. Ivi, p. 192. Testo

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