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Trinitas versus Satcitananda: teologia e spiritualità missionaria nel discorso trinitario di Jules Monchanin

di Paolo Trianni (Roma, 26-28 maggio 2011)

1. Introduzione: la precomprensione personalistica del mistero trinitario

Jules Monchanin terminava la sua vita umana e religiosa con una riflessione sulla Trinità alla luce del personalismo.1 È stato questo un atto intellettuale che, in un certo senso, ha fatto da sigillo e coronamento ad un'intera esistenza teologica e filosofica declinata verso la comprensione del mistero divino alla luce della Persona. Se egli, ad esempio, aveva confessato di essere cristiano a motivo della Trinità, era esattamente perché, in generale, la sua stessa comprensione dell'Essere era personale, dialogica e comunionale. Sulla scia di Marcel, di Mounier, di Nédoncelle e di Buber, infatti, questo prete lionese sosteneva che «il vero essere è persona: la vera comunione è comunione di persone».2 Una siffatta lettura personale del mistero trinitario, lascia perciò intendere quale sia la prima prospettiva di comprensione dalla quale procede la sua riflessione teologica. Le considerazioni di Monchanin, cioè, non partono dalla storia del dogma, ma bensì dall'uomo e quindi, in definitiva, dal cosmo, che proprio in quegli anni Bergson e Teilhard de Chardin avevano iniziato a rappresentare, come vedremo meglio, in un quadro associabile alla teologia trinitaria.

È evidente, dunque, alla luce dei suoi stessi riferimenti bibliografici, come il discorso trinitario monchaniniano si alimenti ad una doppia fonte: da un lato la classica tradizione dogmatica della Chiesa; e dall'altro i più moderni indirizzi di pensiero percorsi dalla filosofia francese tra le due guerre. Per meglio dire, anzi, una delle caratteristiche fondamentali della sua teologia, se non la più peculiare, è esattamente quella di aver riletto la dottrina trinitaria tradizionale alla luce del personalismo e dei nuovi modelli cosmologici bergsoniani e teilhardiani. Si riconduce precisamente a questo sforzo di sintesi, infatti, la specificità che dona al suo pensiero trinitario un'oggettiva ed indiscutibile attualità.

Negli spazi angusti di un articolo, non è possibile, a questo riguardo, ricostruire l'articolato e controverso percorso che ha accompagnato la maturazione teologica di una comprensione relazionale della persona, né, tantomeno, le radici cristologiche dell'evoluzionismo di Teilhard de Chardin. Certamente, però, è doveroso sottolineare come la riflessione trinitaria monchaniniana sia attuale proprio perché ha anticipato di mezzo secolo quegli adattamenti al dogma personalistici che hanno condotto i teologi moderni a leggere la persona non più solo come unicità, ovverosia evento unico ed inconfondibile, ma piuttosto come relazionalità, ovverosia come struttura comunionale-interpersonale. Nel medesimo tempo, è altresì necessario premettere come, percorrendo sempre questa stessa logica personalistica, la sua riflessione teologico-trinitaria si riveli inclusiva ed aperta, arrivando ad inserire nel mistero della realtà trinitaria il dinamismo evolutivo del cosmo.

Prima di analizzare nel dettaglio la teologia monchaniniana, quindi, ed in particolare la sfida con la metafisica indiana che la caratterizza, è doveroso presentare le categorie guida che la costituiscono. La prima di esse, e la principale, è, come si diceva, quella di persona. Il senso che Monchanin dava a quest'ultima, tuttavia, non lo si capisce se si prescinde dal concetto di co-esse, categoria che egli ha mutuato dalla filosofia di Gabriel Marcel e finisce con l'incarnare il fondamento stesso della sua antropologia e teologia personalistica. Insieme ad essa, però, è doveroso menzionare la complementare categoria dell'esse-ad, che egli aveva invece assunto dallo spiritualismo evoluzionista di Bergson. La filosofia di quest'ultimo, infatti, ulteriormente riletta attraverso il pancristismo e la cristogenesi di Teilhard de Chardin, ha consentito al prete lionese di includere il cosmo, ed il suo movimento ontologico evolutivo, all'interno di una teologia mistica il cui vertice pleromatico è la partecipazione alla stessa vita trinitaria. Sono esattamente questi, quindi, gli elementi portanti di una riflessione teologica che ha finito con l'esprimere uno dei modelli più espliciti di Trinità "aperta" che siano stati prodotti nel corso del Novecento.

Monchanin, nei suoi vari scritti, elaborando i presupposti categorici appena menzionati, ha dunque articolato una riflessione trinitaria dialogante ma anche alternativa a quella prettamente monistico-idealista dell'induismo vedantico, che è appunto la filosofia indiana con la quale egli si è maggiormente confrontato. È doveroso premettere, tuttavia, che la riflessione teologica monchaniniana che stiamo cercando di esporre secondo un ordine logico e coerente, è tutt'altro che organica, e deve in verità ancora essere ricostruita nelle sue fonti e nei sui passaggi logici essenziali. Il missionario francese, infatti, non è stato autore di alcuna opera dal taglio sistematico, ma bensì di frammentati articoli che rendono alquanto difficile una rappresentazione delle sue considerazioni coesa e consequenziale. Il primo obiettivo che si pone questo contributo, quindi, è quello di dare ordine e sistematicità ad una speculazione trinitaria disomogenea e ancora poco conosciuta. Il secondo è invece quello di evidenziarne la connotazione innovativa, dal momento che, come si accennava, talune intuizioni trinitarie di Monchanin risalenti agli anni Trenta e Quaranta anticipano platealmente alcuni indirizzi tipici della teologia postconciliare. In quest'ultima, infatti, viene superata, come appunto già aveva fatto il pensatore lionese, la tradizionale ontologia della sostanza in favore di un orientamento teso piuttosto verso la comprensione comunionale-relazionale del mistero trinitario. Un terzo obiettivo è poi quello di presentare, almeno per sommi capi, la teologia mistica monchaniniana. Il sacerdote lionese, infatti, scavalcando ampiamente il limite riconosciuto alla teologia trinitaria tradizionale di non valorizzare la dimensione escatologica, disegna uno scenario mistico fondato sull'"inserzione trinitaria" per mezzo della cristificazione ipostatizzante dell'uomo. Un quarto ed ultimo obiettivo, infine, si riassume nel tentativo di dimostrare in quali termini la riflessione di Monchanin si costituisca su un orizzonte di inculturazione teologica e di confronto dialogico con la filosofia indiana. La presentazione del mistero cristiano da lui elaborata, da questo punto di vista, risulta assai vicina alla sensibilità indù, sebbene, però, sia altresì dottrinalmente ineccepibile, ragion per cui essa ha tutti i titoli per essere valorizzata nella sua peculiare valenza missionaria.

2. Sulla scia dei vestigia Trinitatis: antropologia trinitaria e cosmologia trinitaria in Monchanin

I vari obiettivi elencati, al di là del fatto che ciascuno di esso meriterebbe un approfondimento specifico ben più particolareggiato, ruotano tutti intorno al tema più ampio dell'antropologia personalistica monchaniniana. La stessa teologia trinitaria, infatti, procede, come si accennava, dalla sua particolare comprensione dell'essere personale dell'uomo. Sotto questo aspetto Monchanin si colloca decisamente sulla scia dell'analogia entis e dei vestigia trinitatis, o meglio, egli è precisamente ascrivibile a quella lunga lista di pensatori cristiani che si rifanno alla dottrina biblica dell'imago dei. Non è certamente un caso, del resto, che l'autore che in assoluto egli ha dichiarato sentire più vicino a sé sia stato Gregorio di Nissa, che della teologia dell'immagine è stato appunto l'insuperato teorizzatore.

Unitamente a queste ascendenze classiche, però, la riflessione di Monchanin attinge fortemente, come si diceva, al personalismo e allo spiritualismo della filosofia francese degli anni Trenta. Citando un testo di J. Hyppolite, per esempio, Genèse et structure de la Phénoménologie de l'Esprit de Hegel, egli rivela platealmente quanto la sua comprensione della persona, umana e trinitaria, dipenda da autori come Husserl, Mounier, Buber, Marcel e Nédoncelle.3 Il suo discorso trinitario, comunque, sempre percorrendo il solco della teologia dell'immagine, muove in particolare da un'antropologia personalistica che egli vede costituita dai due poli dell'ipseità e della comunicabilità.4 Da questo punto di vista, per anticipare uno dei principali temi di confronto con la metafisica indiana che lo hanno coinvolto, la comprensione monchaniniana della persona risulta agli antipodi stessi del tipico solipsismo monadico indù, che è appunto fondato sull'assolutismo idealistico del Sé (âtman). Scriveva a tal riguardo il missionario francese che «La persona umana può essere raffigurata da una elisse a due fuochi: la sua ipseità (il suo "per sé", il suo "esse sibi") incomunicabile, e la sua relazione, la sua essenziale comunicabilità (il suo "esse ad"). Metafisicamente parlando, non è detto che alla costituzione della persona umana concorra meno la sua relazione all'altro, a tutti gli altri e al Totalmente-Altro di quanto contribuisca la sua stessa ipseità».5 Quest'ultimo riferimento al Totalmente-Altro, da lui altre volte riletto come ordinamento alla "Persona assoluta", introduce e spiega una delle categorie essenziali dell'antropologia monchaniniana: quella del co-esse, che il lionese abbiamo appunto detto aver mutuato dalla filosofia di Marcel e successivamente adattato alla teologia trinitaria.6 È questa, come si è avuto modo di mettere in evidenza, una delle categorie basilari dell'intera speculazione filosofica monchaniniana, che ha in fondo una doppia valenza: da un lato quella cristologica, e dall'altro, potremmo dire, quella fenomenologica, dal momento che egli sembra voler esprimere che la coscienza è essenzialmente intenzionalità ed esser-ci-nel-mondo.7

Per spiegare meglio, però, tutti i corollari di tale impostazione personalistica, è necessario illustrare meglio come tale categoria del co-esse si leghi a quella complementare dell'esse ad. Entrambi questi concetti, infatti, si possono leggere in senso orizzontale, ad illustrazione, potremmo dire, della dimensione immanente del mistero divino; e verticale, ad illustrazione, per usare sempre il linguaggio rahneriano, del suo rapporto economico col mondo. È soprattutto in quest'ultima chiave, per esempio, che Monchanin si è rifatto a Bergson e a Teilhard de Chardin. Grazie all'evoluzionismo di entrambi, ma soprattutto al cristocentrismo del gesuita, egli poteva appunto disegnare una teologia che culmina in un pleroma comprensivo del mondo ed ha come obiettivo quello di spiegare l'"unione mistica" che in esso si compie. In alcune pagine stimolate dalla dottrina del Corpo mistico, infatti, il lionese prefigurava una partecipazione concreta alla realtà trinitaria attraverso un inserimento nella vita divina che diviene possibile in virtù di una comprensione di Cristo concepito, anche se in verità non usa questo termine, come causa formale dell'uomo e del cosmo.

In ogni caso, a prescindere da queste annotazioni cosmologiche e mistiche, è doveroso dare sottolineatura di come Monchanin, anticipando una direzione che sarà poi assunta da Kasper, abbia sostanzialmente spostato la riflessione sul dogma trinitario dal piano teologico a quello ontologico.8 Il lionese, per meglio dire, ha intuito tra i primi l'opportunità di anteporre una riflessione filosofica sull'Essere all'indagine in senso stretto sul dato biblico-dogmatico. Quella sviluppata dal prete francese, quindi, prima ancora che teologia trinitaria, è una concettualizzazione dell'essere che, stimolata dall'idealismo della maya vedantica, ha inteso superare, proprio attraverso il parametro trinitario, l'essenzialità cosale dell'ontologia classica: «La visione vedantica dell'Essere, sat, è forse una sfida alla nostra ontologia postaristotelica tradizionale? Siamo invitati a riformulare il fondamento stesso della nostra ontologia? Analogamente, l'esperienza mistica dell'Essere divino trino non è un appello a riconsiderare la nostra idea dell'esse? L'esistenza divina è un'esistenza personale. Dio non è né ciò, né egli, né io, ma piuttosto egli è io e io e io. La sua essenza stessa è identica alla sua relazione tripersonale. Ogni esse non è quindi un co-esse, ogni sat un samsat, ogni essere un essere insieme? Forse la nostra nozione di persona deve essere riformulata. Poiché in Dio la persona è essenzialmente relazione esse ad alterum un essere per e verso l'altro in quanto altro (e l'alterità di ogni Persona divina rispetto alle Altre è necessariamente infinita), sembra che l'essenza della personalità risieda nella relazione con le altre persone e principalmente con le Persone divine, che sia un esse ad alterum, esse ad Te, homo e da ultimo un esse ad Te, Christe, ad Te Spiritus, ad Te, Pater».9 Sarebbe facile dimostrare, a questo riguardo, quanto una riflessione ontologica come quella appena riassunta sia speculare, per esempio, a quello di un teologo contemporaneo come Gisbert Greshake, il quale, senza citare Monchanin e muovendo da tutt'altri autori, è appunto giunto a delle conclusioni quasi sovrapponibili.10

A monte di questa lunga considerazione, comunque, è chiaramente delineabile la distinzione monchaniana -- non necessariamente oppositiva -, tra due differenti modelli metafisici che intendono rappresentare la diffusività del molteplice dall'uno: quella, potremmo dire, essenzialista, che Monchanin riconduce all'esse ad bergsoniano; e quella comunionale che egli riconduce invece alla categoria del co-esse. Giustificando la sua predilezione implicita verso quest'ultima prospettiva, proprio perché sostantivizza ciò che l'altra semplicemente aggettiva, spiegava appunto il lionese: «Questa diffusività, che è una conseguenza necessaria in una metafisica che identifica essere e sostanza, diviene la vera definizione di essere in un'ontologia che identifica (come fa il Bergsonismo) essere con ordinazione, esse con esse ad. In una metafisica di comunione, dove co-esse è prima in relazione all'esse, essere è non solamente diffusivo, ma diffusività. Essere è solamente attraverso la sua relazione di comunione: Esse è interno al co-esse».11 Senza che ciò non sia non gravido di conseguenze per la sua teologia trinitaria, concludeva appunto al riguardo il missionario lionese: «l'essenza dell'io non nella sussistenza, nell'esse sibi, sui, in se, ma nel movimento verso l'altro, nell'esse ad... L'essere non deve essere cercato nella sostanza ma nell'amore, non nella sussistenza ma nel rapporto vivente e concreto con l'altro, in tanto che altro, nella chiamata, l'accostamento e la presenza, nella tensione di comunione tra sé e tu. Se c'è un primato metafisico dell'esse ad su l'esse sibi, allora bisogna giustificare l'affermazione del primato metafisico del co-esse sull'esse».12 A proposito dell'esse ad, comunque, vale la pena qui richiamare la definizione di persona che Monchanin traeva da Bergson: «la persona è un movimento spirituale che va dalla materia a Dio passando attraverso la vita, la conoscenza e l'amore».13 Come si accennava, inoltre, tale movimento, secondo il lionese, aveva come suo termine ideale, ed in ciò era stato verosimilmente influenzato dalla cristogenesi di Teilhard che parlava di Cristo come personalità personalizzante, la "Persona assoluta".14 Due, pertanto, sono le conclusioni che è legittimo trarre da questo personalismo dinamico e cristologico: la predilezione verso la filosofia dell'esistenza anziché quella dell'essenza;15 ed una concezione trinitaria che, in conseguenza del movimento evolutivo cristocentrico, risulta necessariamente allargata al cosmo. La creazione stessa, infatti, in virtù del suo orientamento finale e della natura stessa della persona, era letta da Monchanin come diffusivisità.16 È opportuno ribadire, però, anche perché ciò mette in evidenza quanto la posizione religiosa di Monchanin non possa essere equivocata con l'induismo, come questo coinvolgimento del mondo nella vita trinitaria non poteva prescindere dalla mediazione cristica, alla quale la vita stessa del cosmo è intimamente connessa. Richiamando la cristologia più tradizionale, scriveva appunto Monchanin che «Non c'è accesso all'uno e triuno Dio senza la mediazione di lui che è Mediatore tra la Trinità e la Creazione».17 In altre parole il mistero di Cristo, ovverosia l'incarnazione, risulta essere il crocevia, potremmo dire, tra il movimento infinito (intratrinitario) e quello finito (economico) .18 Questa inclusione nel cosmo e nella storia, pertanto, è da annoverarsi tra i maggiori aspetti di novità del suo pensiero teologico. È stato sottolineato, infatti, come una delle cause della caduta nella irrilevanza in cui è oggettivamente capitolata la fede trinitaria, almeno fino alla fine degli anni Settanta, sia esattamente la concezione del creato visto come indifferente rispetto all'intimo essere di Dio.19 Quella di Monchanin, all'opposto di tali rappresentazioni, si rivela invece essere non tanto una teologia trinitaria "aperta", ma anzi una vera e propria teologia trinitaria "cosmologica", perché il mondo e l'uomo sembrano quasi entrare in modo "necessario" nella vita intradivina. Sulla scia degli scenari già disegnati da Teilhard, infatti, nelle conclusioni teologiche del lionese il cosmo, avendo in Cristo non soltanto la sua matrice ma anche il suo finale estuario evolutivo, si trova, per così dire, strutturalmente e naturalmente inserito nella vita dinamica del Dio unitrino. Nei suoi scritti, del resto, Monchanin, parlava apertamente, come si diceva, di finale partecipazione alla stessa vita trinitaria.20 Al riguardo, anzi, puntualizza che «Il misticismo cristiano o è trinitario o non è misticismo».21 In aggiunta a ciò, dando maggiore chiarezza alla sua teologia mistica, postillava inoltre che: «la beatitudine non consiste soltanto in una visione o conoscenza diretta "facciale", dell'essenza divina, ma anche in una partecipazione reale alle stesse relazioni trinitarie. [... .] Il ritmo eterno di Dio diventerà, per partecipazione, il ritmo stesso dell'anima deificata. La seconda verità che ci viene rivelata è che questa partecipazione non sarà affatto un'identità di essenza: Dio resterà sempre il Trascendente, il Totalmente-Altro. Per quanto diretta sia la conoscenza e per quanto intima sia l'unione d'amore, la distinzione ontologica tra conoscente e conosciuto non verrà mai meno, ché diversamente si annullerebbe ogni conoscenza, come non verrà mai meno la distinzione ontologica tra amante ed amato, ché diversamente lo stesso amore sarebbe assorbito nel non-essere».22

In definitiva, quindi, la definizione del Dio trinitario come amore, diventava il corollario inevitabile del personalismo di Monchanin e della sua filosofia dell'esistenza intesa come effusività e movimento verso l'altro. Concludeva appunto al riguardo: «Il "Dio è Amore" del Vangelo di Giovanni appare come la definizione metafisica di Dio nella sua realtà intima».23

3. L'intuizione anticipatoria: la comunionalità interpersonale

È stato affermato che non esiste qualcosa che si possa definire "la dottrina trinitaria del XX secolo".24 Il mistero trinitario, infatti, solo negli ultimi anni starebbe uscendo da un sottosviluppo e da una condizione di stallo sulle cui cause sono state avanzate le ipotesi più diverse. Tra di esse, la principale, parrebbe appunto essere la teologia manualistica, ed in particolare la tradizionale divisione dei trattati De Deo uno e De Deo trino, che avrebbe prodotto un oblio e una lontananza della Trinità dalla mente e dal cuore dei credenti.25 Negli ultimi anni, però, come risulta dal gran numero di pubblicazioni elencate nella Bibliotheca Trinitariorum, sono evidenti i segni di un deciso rinnovamento della teologia trinitaria cattolica, stimolata, peraltro, dall'avanzamento degli studi biblici, cristologici, patristici e finanche filosofici, i quali hanno appunto ripresentato la necessità di pensare la Trinità come esito e premessa di tali ricerche settoriali. Un decisivo punto di svolta, ad ogni modo, è unanimemente riconosciuto dal Grundaxiom rahneriano sull'identità e reciprocità tra Trinità economica e Trinità immanente, e al dibattito che ad esso è conseguito, specialmente con H. U. von Balthasar. La teologia di Rahner, cioè, ha messo in evidenza la doppia necessità di dare maggiore enfasi alla dimensione soteriologica racchiusa nel dogma trinitario, e, conseguentemente, all'osmosi tra i due trattati tradizionali. Indirizzo, questo, ripreso intenzionalmente da Balthasar il quale, sviluppando le premesse rahneriane, «ha prodotto un modello concreto di riflessione trinitaria, non più condotta nel limbo della speculazione astratta, ma sul vivo terreno della storia salvifica».26 Nel corso degli anni '80 si è dunque avuta una fioritura bibliografica che ha superato le remore ereditate dalle critiche di Barth ad ogni analogia fidei, e le premesse condizionanti di Bultmann secondo il quale non era possibile mettere in campo una oggettivazione della realtà di Dio fuori da una "relazione vitale".

In particolare, comunque, questo cammino speculativo e questa riscoperta teologica ha ricondotto a considerare la categoria di persona non più in termini meramente negativi, ad indicazione delle differenze in Dio, ma bensì a quelli più prettamente positivi che colgono l'essere-persona in Dio come un «relazionale essere-con (Miteinander), essere-da (Voneinanderher) ed essere-per (Aufeinanderhin), e così da intendere il Dio cristiano come communio di vita e di amore».27 Va precisato, tuttavia, com'è stato appunto sottolineato, che «La breccia verso un'immagine di Dio "comunionale-interpersonale" avvenne, dal punto di vista della storia della fede e delle idee, solo con grandi difficoltà in un processo che a tutt'oggi non è ancora concluso».28

Questa affermazione contemporanea della Trinità come realtà "comunionale-interpersonale", è precisamente l'intuizione anticipata da Monchanin, che, come già abbiamo visto, scriveva su di essa negli anni Trenta, quando ancora era in Francia. In particolare, comunque, sono due le chiavi di lettura che è possibile utilizzare per interpretare le anticipazioni teologiche del missionario lionese: la prima è quella classica legata al problema dell'unità e pluralità in Dio; mentre la seconda è quella legata alla questione, già più moderna, dell'ontologia trinitaria.

3.1. Il problema dell'unità e pluralità

Il problema dell'unità e pluralità, rimanda alla tensione tra Uno e molti della filosofia neoplatonica, e quindi, più in generale, al tema dell'henologia. Uno dei grandi meriti teologici di Monchanin, infatti, è esattamente quello di aver superato, tra i primi, l'eredità del modello occidentale del primato henologico, che, dai tempi di Parmenide e Platone, è sotto la soggezione dell'unità.29 Come è stato sottolineato, cioè, nell'orizzonte del pensiero occidentale, «L'"unum", e mai il "multum", viene ascritto quale proprietà trascendentale dell'essere».30

A tale secolare tendenza, il lionese ha per l'appunto contrapposto il modello fondato sulla pluralità e la comunione, superando, al contempo, il tradizionale primato occidentale dell'ousia sulla persona. È questa, del resto, come è stato evidenziato anche da Balthasar, un'inclinazione che la teologia dell'Occidente si trascina dal tempo di Agostino.31 Soprattutto la storia occidentale del dogma, infatti, nelle sue intricate vicende, ha sempre scontato i due rischi classici che tale impostazione centrata sull'"Unum in Trinitate" comporta: il modalismo, che ha appunto come vizio di fondo quello di assegnare all'unità un primato sulla pluralità; ed il subordinazionismo, che, influenzato dal processione e dal modello emanazionista neoplatonico, non riuscendo a spiegare l'uguaglianza nella relazione, scivola in accenti monarchiani. La preminenza dell'uno, in sintesi, ha portato come prima ed inevitabile conseguenza la svalutazione del molteplice, che, sul piano dogmatico, si traduce in uno svilimento dell'autonomia ipostatica delle altre persone trinitarie.

Da questo punto di vista, in definitiva, il personalismo trinitario avanzato da Monchanin è interpretabile come un tentativo teso a superare il vizio "henologico-unitario" della teologia occidentale.

4. Il problema di un'ontologia trinitaria

La seconda chiave comprensiva, o meglio un'ulteriore angolatura prospettica attraverso la quale risulta possibile leggere la riflessione trinitaria di Monchanin, riguarda, invece, la così detta "ontologia trinitaria".32 Tale questione, inerendo il rapporto tra unità e differenza, potrebbe altresì essere rappresentata attraverso la tensione tra essenzialismo e comunione. Da questo punto di vista, il personalismo monchaniniano fondato sul co-esse e sull'esse ad, corrisponde esattamente ad un superamento dell'ontologia della sostanza e ad uno scavalcamento del primato dell'unità. Ad esso, infatti, il lionese contrappone l'essere personale che si realizza in forma comunionale-relazionale.33

In ciò, appunto, egli ha indubbiamente anticipato gli sviluppi teologici contemporanei che, distanziandosi alquanto dai modelli precedenti, va verso una teologia comunionale della trinità.34 Del resto, è grazie al personalismo filosofico, assunto in teologia da Monchanin già prima della Seconda Guerra Mondiale, che la trinitaria ha iniziato ha sviluppare la prospettiva inversa a quella del monosogettivismo, giungendo così a pensare l'unità nel confronto con l'altro e quindi, contestualmente, arrivando a pensare il concetto di Persona come "relazionalità" e, nello specifico, Dio come interpersonalità.35 In sostanza, cioè, negli scritti del missionario francese troviamo già espresso, sia pure per certi aspetti ancora in nuce, quel modello interpersonale e dialogico della Trinità verso cui vanno declinandosi le più recenti riflessioni teologico-trinitarie.

A onor del vero, però, va detto che le anticipazione teologiche di Monchanin non hanno attinto unicamente ai filosofi personalisti della sua epoca, ma anche agli stessi padri Cappadoci verso il pensiero dei quali, anche in virtù del loro personalismo in nuce, si sentiva profondamente legato.36 La rilevanza che lui attribuisce alla pericoresi, per esempio, è da ricondursi proprio alle loro precorritrici speculazioni teologiche sul tema.37 È sulla scia delle loro profonde meditazioni su tale questione, infatti, che il lionese, anche se non li cita apertamente, parlava della circumincessione come fondamento delle persone ed inclusione dinamica.38

In sintesi, quindi, è in virtù del personalismo, della pericoresi e dell'effusività, termine oggi sostituito con autocomunicazione, che Monchanin preferiva il modello trinitario centrato sulla persona a quello fondato sull'ousia. La prospettiva occidentale nella quale Monchanin confessa di non riconoscersi, infatti, è caratterizzata dall'essenzialismo (una natura in tre persone); mentre quella orientale, certamente molto più affine alla sua riflessione teologica, è caratterizzata da un maggiormente spiccato personalismo (tre persone in una natura). Tale opzione, pertanto, avvicina non poco Monchanin alla teologia orientale anziché a quella occidentale. La critica implicita che troviamo in lui all'"ontologia della sostanza", conseguenza diretta, come si diceva, della sua esaltazione della circumincessione e del personalismo trinitario, è quindi del tutto in linea con l'Oriente, e, in particolare, con la teologia di Bulgakov.39 Non è dunque un caso che il lionese, dell'esule russo che aveva conosciuto personalmente, citasse il rimprovero che egli rivolgeva alla teologia latina di dare un primato ontologico all'ousia anziché all'ipostasi.40 Ciò, infatti, era del tutto in linea con la sua teologia trinitaria, giacché l'Occidente, accentuando l'ousia (nell'accezione erronea di sostanza o essenza), introduce un principio separante, mentre Monchanin, all'opposto, enfatizzando la persona, voleva invece esaltare la sua relazionalità e comunicatività. È quindi del tutto opportuna la sottolineatura della vicinanza tra Bulgakov e Monchanin messa in evidenza anche da altri studiosi.41 La stessa teologia mistica del sacerdote francese, del resto, e la sua dottrina partecipativa del pleroma, evocava un logico superamento della teologia trinitaria di stampo essenzialistico. Ciò si può legittimamente affermare perché quest'ultima scava dei solchi separanti ed erige dei paletti ontologici che la tradizione neoplatonica a cui egli si richiamava, dai renano-fiamminghi a Giovanni della Croce, fa invece saltare ed anzi talvolta nullifica. Nel lionese, ad ogni modo, persona non arriva mai ad assumere un senso sinonimo di nondualismo advaita -- orizzonte ontologico nel quale uomo e Dio sono sostanzialmente uguagliati -, ma è comunque allusivo di un inserimento e di una partecipazione reale e concreta alla vita trinitaria: «Deificazione: partecipazione reale e sostanziale alla vita di Dio uno e trino. Reale, per opposizione a morale, e sostanziale per opposizione a una trasformazione che attiene solamente alle facoltà. Nella teoria scolastica che mantiene una distinzione reale tra le facoltà e l'anima, l'unione divina si situa nelle facoltà, intelligenza e volontà. Il linguaggio delle Scritture, dei Padri soprattutto greci e dei grandi mistici, particolarmente Taulero, Ruysbroek e Giovanni della Croce, sembrano esigere una unione sostanziale di Dio e dell'anima».42 A questo riguardo, per esempio, è altamente indicativa l'illustrazione che egli dava a termini come incorporazione ed inserzione trinitaria.43 La posizione antropologico-trinitaria di Monchanin, letta alla luce di tali concetti, risulta essere una sorta di combinazione tra Marechal e Teilhard de Chardin, in un quadro mistico che è sempre e comunque, però, quello del neoplatonismo cristiano che va dall'epekstasis di Gregorio di Nissa alla superessenza di Ruysbroek.

5. L'associazione col Sat-Cit-Ananda

La teologia trinitaria di Monchanin, dunque, è personalista, e, anticipando di quasi Cinquant'anni gli sviluppi contemporanei, comunionale. Più di ogni altra cosa, però, almeno a partire dal 1939, anno della sua partenza per l'India, la riflessione teologica del pensatore lionese ha un carattere sostanzialmente missionario. Il sacerdote francese, cioè, ha sempre avuto perfettamente chiaro come l'inserimento del cristianesimo in India passasse necessariamente attraverso quella sfida e quel dialogo con la tradizione metafisica indiana di cui oggi non pochi teologici riconoscono l'importanza.44 Egli era consapevole, in altri termini, che l'obbedienza ad una tale vocazione missionaria comportava il non tirarsi indietro davanti alle difficoltà di un serrato confronto filosofico e di un'inculturazione nel contesto religioso indiano che si presentava sicuramente complessa, ma anche, almeno considerando taluni passi delle scritture indù, non impossibile.45 A questo proposito, per esempio, già prima di lasciare la Francia alla volta dell'India, Monchanin aveva individuato un'analogia tra la Trinità ed il Sat-Cit-Ananda, triade di attributi con cui le Upanishad descrivono il divino.46 Egli credé a tal punto in tale parallelismo, da intitolare proprio Saccidananda l'ashram fondato nel 1950 insieme al compagno Henri Le Saux.47 Tuttavia il lionese non è stato certamente il primo a cogliere tale assonanza, perché, nei primi del Novecento, l'aveva già proposta un convertito indiano, Brahmabandhav Upadhyaya, che, non a caso, egli considerò sempre una sorta di maestro spirituale e predecessore.48 Monchanin aveva appunto saputo di lui, e del suo tentativo di connettere l'Advaita Vedanta con il neotomismo, già dal 1929, e, sotto questo aspetto, non è esagerato affermare che il suo progetto missionario successivo ne è stato profondamente influenzato.

A prescindere dagli intenti legati all'inculturazione e alla missione, però, la triade aggettivale indù si presta oggettivamente a degli accostamenti con delle strutture ternarie del tutto simili attraverso le quali la storia teologica occidentale ha cercato di rappresentare il Dio cristiano. Prima di fare qualsiasi comparazione, però, è doveroso darne una sintetica delucidazione L'aggettivo Sat, per esempio, sta ad indicare che Brahman, nell'induismo, è concepito come essere auto-esistente, realtà pura, infinita, assoluta. L'attributo Cit, invece, sta ad indicare che esso non deve essere letto come una realtà cieca, ma bensì come esistenza conscia; e di una coscienza pura ed assoluta. L'appellativo Ananda, infine, chiarifica che Brahman è felicità assoluta, in quanto la felicità è la sua stessa natura intrinseca. A dimostrazione della popolarità di questa definizione del divino, i cui vari aggettivi -- soprattutto singolarmente -, sono rinvenibili in numerosi tesi, si potrebbe menzionare uno dei più famosi esponenti del neoinduismo: Sri Aurobindo. Egli, sul quale Monchanin scrisse due articoli, ha dato appunto grande sviluppo a questa concezione del divino come Sat-Cit-Ananda, e, per esempio, all'interno di un suo libro dedicato allo yoga, scriveva: «Saccidananda è uno solo con un triplice aspetto. Nel supremo i tre nomi non sono tre ma uno solo: Esistenza è Coscienza, e Coscienza è Felicità, e così sono inseparabili; non inseparabili, ma talmente l'uno e l'altro che non sono affatto distiniti».49 Monchanin, come si accennava, conosceva molto bene il pensiero di Aurobindo, così come quello del filosofo a cui egli faceva riferimento, Ramanuja. È importante precisare, però, che in varie occasione il lionese ebbe a definire la metafisica di quest'ultimo, che era appunto uno dei supporti di quella aurobindiana, modalistica. Questo giudizio monchaniniano, cioè, sembra doversi applicare alla tipica comprensione indiana di Dio come Sat-Cit-Ananda, che a suo a dire era ovviamente bisognosa di una correzione teologica. Su un piano generale, comunque, la legittimità di una tale associazione tra gli attributi indù menzionati ed il dogma cristiano, è stata sottolineata, significativamente, anche da un noto indologo come R. C. Zaehner.50

Nello specifico, però, è opportuno approfondire e cercare di comprendere in quale modo Monchanin abbia recepito l'originario accostamento di Brahamabandav Upadhyaya, e come l'abbia adattato alla propria teologia. Si può ipotizzare, a questo riguardo, che egli, in un certo senso, sia stato preparato a tale associazione dalle sue letture bergsoniane. Negli scritti di quest'ultimo, infatti, sebbene non vi sia alcuna menzione dei termini indiani, troviamo una simile menzione della triplice aggettivazione citata: Essere (esistenza) -Logos (coscienza) -Amore (felicità). Al riguardo, infatti, sarebbe sufficiente richiamare la definizione di persona che Monchanin aveva mutuato proprio dallo spiritualista francese come movimento verso Dio attraverso la vita, la conoscenza e l'amore.51

Della triade in questione, in ogni caso, a prescindere dal fatto che la storia della teologia è piena di associazioni e ritmi ternari, Monchanin, almeno in Occidente, è stato il primo a dare un'interpretazione concettuale.52 Il lionese, per esempio, parlò di analogia noetica tra le ipostasi divine e i tre aspetti del "Cogito": l'Essere, il pensiero e l'io.53 Delucidando filosoficamente il significato dei tre attributi, annotava appunto il lionese: «La vita dello spirito è circumcessione dell'essere, del pensiero e dell'io. L'essere appare, potremmo dire, come fondo oscuro (esistenziale opposto a noetico), allo stesso modo del Padre, principio senza principio. Il pensiero è l'universale mediazione -- logos -- allo stesso modo del Logos nella Trinità e la creazione. L'io è interiorità pura e anche libertà, creazione, pneuma, agapè, che va dal Logos e per il Logos all'increato».54 Per quanto, dunque, Monchanin non potesse conoscere il linguaggio di Rahner, nella sua riflessione teologica abbiamo una sorta di conferma di come "immanenza" ed "economia" trovino la più perfetta corrispondenza. L'adattamento monchaniano, cioè, in linea con quella prospettiva analogica di fondo di cui dicevamo, espone un'ipotesi rappresentativa del mistero divino immanente, ma anche un tentativo di giustificazione della sua azione economico-escatologica nel mondo. Ciò non deve affatto sorprendere, perché, per esempio, anche nello stesso Aurobindo il Sat-Cit-Ananda è raffigurato all'interno di un modello evolutivo, a maggior ragione quindi Monchanin poteva assumere l'evoluzionismo bergsoniano per spiegare come l'orizzontalità assoluta ed immutabile della vita trinitaria divina si incrocia con la verticalità di quella processione economica che coinvolge e avvolge il cosmo. Non deve essere dimenticato, infatti, come si accennava, che il problema filosofico più stringente con il quale per tutta la vita si è confrontato il pensatore lionese, è precisamente riconducibile alla teologia dell'alterità, e al tentativo di spiegare come possa avvenire una reale unione metafisica senza che ci sia un conseguente assorbimento nella Persona assoluta.55 È doveroso ribadire, a questo proposito, che quella del "movimento" è una categoria chiave nella teologia trinitaria monchaniniana. Movimento che egli leggeva attraverso Husserl come intenzionalità, non però alla cosa, ma all'altro.56

Merita infine una menzione a parte l'amicizia che ha legato Monchanin e Panikkar. Il pensiero di quest'ultimo, infatti, impegnato parimenti nel dialogo con la cultura religiosa e filosofica dell'India, ha certamente assunto, elaborandole autonomamente, alcune intuizioni che risalgono originariamente al lionese, con il quale, d'altra parte, ha confessato di aver lungamente discusso di teologia trinitaria. Nelle pagine del missionario francese, ad esempio, non è difficile riscontrare alcune tracce della celebre intuizione cosmoteandrica panikkariana.57

6. Conclusione

In conclusione, quindi, si può senz'altro affermare che il discorso trinitario di Monchanin, per quanto non sistematicamente sviluppato, ha almeno due caratteristiche di fondo che lo rendono peculiare.

La prima, è indubbiamente quella di aver sviluppato una teologia trinitaria aperta, comunionale ed inclusiva del mondo che anticipa di diversi decenni gli indirizzi teologici attuali. Essa, anzi, con il suo personalismo costitutivo, sembra poter dare un valido contributo al superamento di alcuni impasse in cui si trova la riflessione trinitaria contemporanea. L'equilibrato personalismo del religioso francese, considerando la capacità del co-esse monchaniniano di esprimere sia l'unità che la comunionalità, può essere letto, ad esempio, come una soluzione terza capace di sintetizzare la tensione che sussiste irriducibilmente tra individualità e relazione. Da questo punto di vista, cioè, per portare delle esemplificazioni concrete, se la posizione di Monchanin non si può accostare alle tendenze comunionali-triteiste di Moltmann, non la si può nemmeno ascrivere al mono-soggettivismo barthiano e rahneriano. Essa sembra infatti poter evitare e svincolarsi da quelli che sono stati individuati essere i due rischi della teologia trinitaria contemporanea: ovverosia quel mono-sogettivismo di Rahner che, in virtù della centralizzazione tipicamente psicologica sull'espressione di sé e sull'amore di sé, è stato definito "modalismo idealistico", e, all'opposto, una concezione eccessivamente spinta verso il "sociale". Al tempo stesso, però, l'esplicita dipendenza di Monchanin da Bergson e Teilhard de Chardin non scongiura del tutto uno dei rischi denunciati da Balthasar nel criticare l'identificazione rahneriana tra trinità immanente ed economica, quello, cioè, che la prima si risolva e dissolva nella seconda. Uno dei pericoli maggiori paventati dal teologo svizzero in Teodrammatica, infatti, è che in tale identificazione Dio corre il rischio di essere inghiottito nel processo del mondo.

La seconda caratteristica distintiva del pensiero trinitario preso in esame, corrisponde invece al suo carattere missionario, o, se si preferisce, dialogante ed inculturante. Non soltanto, ad esempio, la sua assunzione dell'analogia con il Sat-Cit-Ananda rappresenta uno dei primi tentativi di adattamento teologico al contesto indiano, ma aggira, al contempo, talune irriducibilità della metafisica indù. Il suo concetto di persona inteso come co-esse ed esse ad verso la "Persona assoluta" di Cristo nella cornice della vita trinitaria, infatti, è un superamento plateale della tipica spersonalizzazione panteistica dell'antropologia vedantica. Al contempo, la predilezione monchaniniana della "persona" e dell'"esistenza" sull'"essenza", ne supera l'idealismo implicito, in quanto il cosmo non soltanto appare come reale, ma viene anzi inscritto nello stesso mistero comunionale del Dio amore.

Copyright © 2011 Paolo Trianni

Paolo Trianni. «Trinitas versus Satcitananda: teologia e spiritualità missionaria nel discorso trinitario di Jules Monchanin». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**64 B].

Note

  1. L'articolo «The Trinity: an essay in the light of personalism», porta la data del 20 Settembre 1957, ovverosia venti giorni prima della morte (J.G. Weber (ed.), In Quest of the absolute. The life and works of Jules Monchanin, Kalamazo: Cistercian Publications, London 1977, 181). Testo

  2. Ib., 148. Testo

  3. La riflessione personalista di Monchanin, muovendo dagli autori citati, si sviluppa in rapporto alla comprensione del dogma del Corpo Mistico, per spiegare la dinamica del quale egli indagava appunto una teologia dell'alterità ed una nuova filosofia della persona capace di giustificare non una semplice unione morale tra Cristo ed i cristiani, ma una vera e propria unione mistica. Scriveva appunto al riguardo: «Il problema filosofico così difficile dell'intersoggettività nella sua relazione con l'universo, della reciprocità delle persone -- questa ordinazione del me al te, al noi, dell'uno al tutto e del tutto all'uno -- trova la sua analogia superiore, e forse la possibilità della sua soluzione, nell'intersoggettività ecclesiale, e nella reciprocità degli eletti. Più profondamente che sul piano naturale (esso stesso ordinato al piano soprannaturale: natura e sopra-natura dimorano integrate, distinte ed inseparate); all'immagine delle Persone divine - relazioni sussistenti dove il Dono, donato e ricevuto, costituisce l'Ipostasi -- c'è, nel seno del pleroma ecclesiale, l'intersoggettività delle membra di Cristo animate dallo Spirito, c'è totale reciprocità: comunione ontologica, fondatrice dell'ipseità stessa di ciascun anima riscattata» (J.Monchanin-H. Le Saux, Ermites du Saccidananda, Un essai d'intégration chrétienne de la tradition monastique de l'Inde, Casterman, Tournai-Paris, 1956, 21). Testo

  4. Scriveva il lionese: «La persona umana, nell'immagine delle Persone divine, sembra essere costituita da due poli essenziali: ipseità e comunicabilità. Normalmente l'una cresce con l'altra [..]. Uno deve essere in ordine di dare. Più uno è più è capace di dare: Bonum diffusivum sui» (J.G. Weber (ed.), In Quest of the absolute. The life and works of Jules Monchanin, cit., 181). Testo

  5. J. Monchanin, Mistica dell'India, mistero cristiano, Marietti, Genova 1992, 116). Testo

  6. Di Gabriel Marcel, Monchanin cita esplicitamente: Position et approches concrete du mystère ontologique; Mystère de l'être I; Journal métaphisique e Etre et avoir. Testo

  7. Non è casualmente o impropriamente che l'"essere con" di Monchanin, sia stato accostato ad Heidegger, ed in particolare al mit dasein dell'esistenzialista tedesco (cf F. Jacquin, Jules Monchanin prêtre, Cerf, Paris 1996, 140). Testo

  8. È questa una linea adottata da Walter Kasper, il quale afferma che «il discorso su Dio presuppone la questione metafisica dell'essere e al tempo stesso la mantiene desta. In quanto discorso su Dio, la teologia diventa, proprio nella situazione in cui viviamo, la tutrice e garante dell'essere in quanto tale» (W. Kasper, Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 1984, 25. Testo

  9. J. Monchanin, Mistica dell'India, mistero cristiano, cit., 123. Il termine samsat è in sostanza un neologismo inventato da Monchanin per traslare in sanscrito il concetto di co-esse. Testo

  10. Con una considerazione assai vicina a quelle di Monchanin tese a rifondare l'ontologia, anche Greshake, per esempio, scriveva che «l'ontologia classica e tradizionale era (ed è) orientate all'essere dell'ente-natura e dunque alla sua sostanza (intesa in senso cosale), della quale vanno predicate tutte le determinazioni pensabili, secondo la tavola delle categorie stilata da Aristotele» (G. Greshake, Il Dio unitrino, teologia trinitaria, Queriniana, Brescia 2000, 520). Testo

  11. J.G. Weber (ed.), In Quest of the absolute. The life and works of Jules Monchanin, cit., 148. Testo

  12. F. Jacquin, Jules Monchanin prêtre, cit., 140. Testo

  13. J. Monchanin, Théologie et spiritualité missionnaires, Beauchesne, Paris 1985, 53. Testo

  14. Cf ivi. Testo

  15. Françoise Jacquin annotava al riguardo che Monchanin si ritrovava in Kierkegaard, Scheler, Marcel, Buber e Berdiaeff (cf F. Jacquin, Jules Monchanin prêtre, cit., 139). Testo

  16. In base al principio "ens diffusivum sui", il cosmo, nella visione monchaniniana risulta inscindibile dalla Trinità «perché ogni Persona Trinitaria, in quanto Persona, è assoluta diffusività verso le altre due, e relativa diffusività, ovvero libera e sovrabbondante, verso il finito, angelico o umano» (J.G. Weber (ed.), In Quest of the absolute. The life and works of Jules Monchanin, cit., 149). Testo

  17. Il lionese precisò meglio la ragione sostanziale ribadendo che «nell'ordine della processione eterna egli è già Mediatore tra il Padre e lo Spirito» (ib., 154). Testo

  18. Puntualizzava il missionario francese: «L'inserzione trinitaria, lontano dall'essere oltre Cristo è l'abbraccio di Cristo. Incontrandolo nel suo essenziale movimento verso lo Spirito e verso il Padre, l'uomo, una volta pienamente Cristificato, condivide sostanzialmente, senza intermediazione, senza separatezza della personalità (poiché la sua personalità consiste nella diminuzione di tutte le separatezze) la divina circumincessione» (ib., 155) Testo

  19. Questo aspetto è stato precisamente messo in evidenza da Hemmerle: «la tesi che la relazione di Dio con l'esterno chiama in gioco Dio in quanto uno non in quanto trino [..] aveva impedito da Agostino in poi di estendere le linee trinitarie [su tutta la realtà]» (K. Hemmerle, Tesi di ontologia trinitaria. Per un rinnovamento della filosofia cristiana, Città Nuova, Roma 1996, 53). Testo

  20. Scriveva a questo riguardo il prete di Lione: «Essenzialmente il misticismo cristiano è perciò partecipazione a Dio, cioè partecipazione alla vita trinitaria. Si tratta di una intuizione che va al di là dell'immagine e del concetto, di una esperienza diretta -- frutto non di operazione umana, ma dono di Dio -, di un conttatto essenziale con ciò che Dio è in se stesso e per sé stesso» (J. Monchanin, Mistica dell'India, mistero cristiano, cit., 123). Testo

  21. Ivi. Testo

  22. Ib., 93. Testo

  23. Ib., 117. Testo

  24. Cf W. Breuning, La dottrina trinitaria in R. Vander Gucht-H. Vorgrimler (edd.), Bilancio della teologia del XX secolo, vol. III, Città Nova, Roma 1972, 27. Testo

  25. Cf G.M. Salvati, La dottrina trinitaria nella teologia cattolica postconciliare, in A. Amato, Trinità in contesto, Las, Roma 2006,10-11. Testo

  26. Ib., 16. Testo

  27. G. Greshake, Il Dio unitrino, teologia trinitaria, cut., 60. Testo

  28. Ib., 61. Testo

  29. Il pensiero occidentale, a cominciare da Parmenide, Platone, Aristotele e fino ad Hegel, è stato sotto la preminenza dell'Uno. Valga al riguardo, per esempio, l'affermazione procliana che «ogni pluralità partecipa in qualche modo dell'uno» (W. Beierwaltes, Proclo. I fondamenti della sua metafisica, Vita e pensiero, Milano 1988). Per meglio dire, quindi, l'unità è parsa essere l'idea necessaria per dare razionalità al reale. Come già annotava Platone, infatti, non è ritenuto possibile avere un'opinione sul molteplice senza l'unità (cf Platone, Parmenide, 166 b 1). Testo

  30. G. Greshake, Il Dio unitrino, teologia trinitaria, cit., 509. Testo

  31. In Occidente l'unità di essenza divina non viene pensata in maniera comunicativa, ma come unità sostanziale. In parte ciò si deve all'influenza del De Trinitate agostiniano il cui punto di partenza è l'unità di Dio proprio perché ad Agostino faceva difficoltà la diversità in Dio. Come ha riconosciuto anche Balthasar, cioè, con il vescovo di Ippona si arriva al primato dell'unica essenza sulla pluralità delle ipostasi (cf H.U. von Balthasar, TeoLogica II, Jaca Book, Milano 2002, 112). Testo

  32. Greshake riassume chiaramente quale sia la problematicità di un'ontologia trinitaria approcciata dal punto di vista "sostanziale": «entro l'orizzonte di una ontologia della sostanza, la sostanza afferma la propria unità (ed in tal modo se stessa) contro ciò che è distinto da essa, sia contro le differenze che andrebbero determinate all'interno di essa stessa, sia -- e soprattutto -- contro le differenze dell'altra cosa o persona. Le propire differenze si rivelano essere accidenti mutevoli, episodici e perciò in casi estremi eliminabili, di fronte a ciò che resta ed è essenziale nella sostanza, le differenze altrui, invece, "servono" alla propria identità ed autoconferma» (G. Greshake, Il Dio unitrino, teologia trinitaria, cit., 522). Testo

  33. È esattamente attraverso la riflessione trinitaria che si è arrivati a comprendere la persona non solo come unicità, ma anche come relazionalità, alla presa di coscienza che non esiste «nessun ente a prescindere dal communio, nulla esiste come "individuum" comprensibile in se stesso» (ib., 94). Testo

  34. Greshake spiega nel modo più chiaro come l'orientamento dell'odierna teologia trinitaria sia non più indirizzato verso l'ontologia della sostanza, ma bensì verso l'essere personale che si realizza in forma comunionale-relazionale. Lo studioso tedesco menziona appunto «gli sforzi degli ultimi anni di elaborare una ontologia trinitaria non tanto nell'orizzonte di una "ontologia della sostanza", rimasta pressoché immutata, bensì dell'essere personale che si realizza in forma comunionale-relazionale, in un "gioco" di dedizione e accettazione» (ib., 522). Testo

  35. Cf ib., 94. Testo

  36. Basilio, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo, hanno avuto il merito di elaborare una comprensione della "sostanza" alla luce della nozione di "persona", abbozzando così una primissima forma di "ontologia della persona". Testo

  37. I padri cappadoci, soprattutto Gregorio di Nazianzo, hanno elaborato la schésis, ovverosia la relazionalità, la reciprocità delle ipostasi in Dio. Tale comprensione comunionale-relazionale delle Persone divine è appunto strettamente connessa con il concetto di perichoresis (latino circumincessio e circuminsessio). Testo

  38. Cf J. Monchanin, Théologie et spiritualité missionnaires, cit., 56. Testo

  39. Bulgakov e Monchanin condividevano una medesima sensibilità intellettuale che aveva fatto dire al convertito russo, come raccontava il compagno Le Saux, di aver trovato nel prete francese un pensatore a lui congeniale (cf H. Le Saux (ed.), Swami Parama Arubi Ânandam, Saccidananda Ashram, Tiruchirapalli 1959, 223). Testo

  40. Scriveva Monchanin, cercando di sottolineare che la relazionalità della persona è una categoria che può offrire validi argomenti al confronto metafisico con il nondualismo vedantico: «Esigenza missionologica di una dottrina della Trinità -- nel suo dialogo con l'advaita -- che non presterebbe più il fianco al rimprovero che P. Bulgakov (cfr. Il Paraclito) rivolgeva alla teologia latina -- e persino a una buona parte di quella greca: primato ontologico dell'ousia sull'ipostasi» (J. Monchanin, Mistica dell'India, mistero cristiano, cit., 174). Testo

  41. È il caso di Ysabel De Andia, la quale, durante un Convegno organizzato per commemorare la figura del lionese, nel 1995, faceva la seguente affermazione: «La "ciclica visione della teologia greca" che "dilata l'Uno nei Tre" deve essere afferrata nella finale (paraclita) unità che raggruppa i Tre nell'Uno". Questa Trinitaria visione di Monchanin è ispirata dalla teologia di Dionisio di Alessandria, il quale è stato poco seguito, ma forse lo è stato da Bulgakov ne Il Paraclito» (Y. De Andia, Jules Monchanin, apophatic mysticism, in AA.VV., Jules Monchanin (1897-1957) as seen from east and west, vol. I, cit., 100). Testo

  42. J. Monchanin, Théologie et spiritualité missionnaires, cit., 103. Testo

  43. Spiegava Monchanin: «Incorporazione al Corpo mistico: integrazione come persona alla Persona del Verbo incarnato. Inserzione trinitaria: partecipazione reale e sostanziale a la circumincessione e come membra del Cristo. Incorporazione e inserzione trinitaria: tra l'uno e l'altro nessuna distinzione logica: essere incorporati a Cristo è essere integrati in quanto persone alla sua Persona, ciò a dire alla sua relazione essenziale al Padre e allo Spirito, al movimento della circumincessione afferrata in Lui (al punto cristico)» (ib 103). Testo

  44. Valga al riguardo quanto scriveva Piero Coda: «il confronto con la visione apofatica dell'Assoluto impersonale o meglio trans personale propria delle grandi tradizioni religiose del Sudest Asiatico, ed in particolare con la tradizione indù dell'uno-tutto e dell'advaita (non-dualità) e con quella budhhista del nirvana e del sunyata (svuotamento)» (P. Coda, Il logos e il nulla. Trinità religioni mistica, Città Nuova, Roma 2003, 306). Né è senza importanza e significato che si sia soffermato sullo sforzo teologico-trinitario di Monchanin Alberto Cozzi, il quale ha appunto dedicato un capitolo del suo manuale a "La teologia nel dialogo con l'induismo" (cf A. Cozzi, Manuale di dottrina trinitaria, Queriniana, Brescia 2009, 769-773). Testo

  45. A dimostrazione del fatto che nelle scritture indiane non mancano affermazioni che possono fare da sponda alla teologia trinitaria, si legge in un passaggio delle Upanishad: «Si rivelò a se stesso trinitariamente» (Brhadariniaya Up. I,2,3). Testo

  46. Il termine Saccidananda implica la trinità in unità di tre sostantivi sat-cit-ananda, traducibili con esistenza (sat), coscienza (cit) e felicità (ananda). Il divino viene così definito in vari testi, ma, soprattutto, nella Brhadaranyaka Upanishad. Testo

  47. Cf J.Monchanin-H. Le Saux, Ermites du Saccidananda. Un essai d'intégration chrétienne de la tradition monastique de l'Inde, cit. Testo

  48. Sul tema trinitario si può consultare: K.P. Aleaz, Trinity as Sat-Chit-Ananda in the Thought of the Indian Theologian Brahmabandv Upadhyaya, «Asia Journal of Theology» (2009) 83-90. Testo

  49. Aurobindo, Lights on Yoga, Pondicherry 1974, 20. Testo

  50. Scriveva Zaehner: «È degno di nota il fatto che l'induismo abbia indipendentemente adottato questa formula che, sostanzialmente, è quasi identica all'idea cristiana della Trinità; [..] perché la formula Sac-cit-ananda, "Esistenza-Coscienza-Felicità", o "Essere-Logos-Amore" [..] corrisponde strettamente, per quanto permette la completa differenza tra le tradizioni indù e cristiana, all'idea cristiana della Santa Trinità: il Padre come l'Essere, il Figlio come Logos, e lo Spirito Santo come amore» (D. Acharuparambil, Mistero trinitario e Induismo, in A. Amato, Trinità in contesto, cit., 206. Testo

  51. Cf J. Monchanin, Théologie et spiritualité missionnaires, cit., 53. Testo

  52. Lanza del Vasto, citando Monchanin ma non sapendo che su tale parallelismo aveva scritto già alla fine degli anni Venti, ha ritenuto erroneamente di essere stato il primo in Occidente a parlare del possibile accostamento tra la Trinità ed i tre attributi indiani. Il discepolo italiano di Gandhi, al di là di ciò, ha associato la triade procliana Essere-Vita-Spirito (ousia, zoe, nous), al Sat-Cit-Ananda (cf Lanza Del Vasto, La Trinité Spirituelle, Éditions du Rocher, Paris 1994, 23). Testo

  53. Cf J. Monchanin, Théologie et spiritualité missionnaires, cit., 57. Testo

  54. F. Jacquin, Jules Monchanin prêtre, cit., 140. Testo

  55. Cf J. Monchanin, Théologie et spiritualité missionnaires, cit., 53. Testo

  56. Cf ib., 54. Testo

  57. Il religioso indo-catalano spiegava così uno degli argomenti principali della sua teologia: «L'intuizione cosmoteandrica non si accontenta di rivelare l'"impronta" trinitaria nella "creazione" e l'"immagine" nell'uomo, ma considera anche la Realtà nella sua totalità come la Trinità completa, che consta di una dimensione divina, di una dimensione umana e di una cosmica» (R. Panikkar, Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, Cittadella Editrice, Assisi1989, 6). Testo

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