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Guardini: la Trinità come Magna Charta della comunità umana

di Oreste Tolone (Roma, 26-28 maggio 2011)

I dogmi, intesi come verità di fede, hanno la pretesa di illuminare l'intelletto umano, pur essendo in qualche modo al di fuori della sua portata. Essi, infatti, si propongono di valere non solo come le fondamenta su cui è bene e doveroso che la nostra religiosità poggi, ma anche come la base fondamentale del vivere civile e del convivere pacifico. Cosa che, in epoca di laicizzazione della politica, di multiculturalità obbligata, reviviscenza dei conflitti etnici e religiosi ed esplosione dei fondamentalismi, è tutt'altro che acclarata. Le verità religiose, infatti, purché non scoloriscano nel tempo e non diventino l'ombra di se stesse -- a cui tutt'al più non resta che professare una sorta di devozione formale1 -- si presentano come verità mai puramente teoriche, il cui obiettivo è essenzialmente quello di influire sull'uomo, sul mondo che egli costruisce, sui valori che lo animano, sui compiti che si prefigge, agendo da bussola all'interno della realtà. Questo assunto, fatto proprio da Romano Guardini,2 porta con sé delle complicazioni di tipo filosofico non indifferenti; difatti è come se si assumesse come criterio dell'agire umano ciò che di meno ovvio e palese possa esistere agli occhi della razionalità: cioè un mistero. È come se si sostenesse, in fondo, che il nucleo più profondo a cui l'uomo attinge per le scelte esistenziali, per le decisioni vitali, esula dalla sfera cartesiana di ciò che è chiaro ed evidente. D'altronde già Blaise Pascal aveva asserito che le verità geometriche, cioè quelle che riferiscono al mondo delle cose estese, numerabili, calcolabili, e quindi soggette a previsione scientifica, si fondano su assunti e verità geometricamente indimostrabili, a cui tuttavia l'uomo perviene per mezzo di una intuizione di cui solo il cuore è capace. Dire che «il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce»,3 significa riconoscere un primato a ciò che per sua natura sfugge all'intelletto. Fin qui, però, siamo ancora pienamente nell'ambito della filosofia, al limite di una meta-filosofia, che comunque ammette l'esistenza di forme di sapere diverse. Ora, invece, il passo sembrerebbe essere ulteriore: è la fede nei dogmi imperscrutabili ciò su cui si fonda l'intera nostra vita. Romano Guardini, citando un'espressione di Gilbert Keith Chesterton, sostiene che i dogmi «sono come il sole; non si riesce a guardarvi dentro, ma nella sua luce intravediamo tutto il resto».4 Tale affermazione ci richiama all'idea di Bene di Platone e a tutta la tradizione platonico-agostiniana che ne consegue.5 La realtà, in definitiva, avrebbe la propria radice e il proprio chiarimento nel mistero; la realtà può davvero essere compresa e rischiarata solo alla luce del dogma. Sepolte nel cuore dell'uomo, guidandone la ricerca della verità e determinandone l'azione morale, vi sono le verità di fede, idee che sfuggono all'intelletto, ma che agiscono come suo faro.

1. La verità nascosta dei dogmi

E in effetti nel saggio dal titolo O beata Trinità,6 Guardini ribadisce che se si vuole raggiungere la pace, occorre fare come Agostino, abbandonare le preoccupazioni, sfuggire agli affanni, evitare gli affaccendamenti della vita e sprofondare nello spirito, andare più in alto, al di là degli uomini, delle stelle degli angeli celesti, lì dove il silenzio è più intenso. In altre parole occorre calare in interiore homine e trascendersi fin dove non c'è altro che silenzio e pace, ovvero lì dove abita Dio. Dio è infatti il luogo in cui il mistero si dissolve e vengono meno i conflitti, i contrasti, le guerre, i brutti pensieri che affliggono l'uomo in terra, impedendogli di capire. Lì dove abita Dio l'uomo saprà scorgere i «tesori nascosti»,7 la bellezza inespressa, l'imperscrutabile profondità della divinità. Nel cuore dell'uomo, infatti, è custodita la pienezza di cui egli è sempre alla ricerca: «noi tutti portiamo sin dall'infanzia un sogno di infinita bellezza nel cuore».8 Certo il nostro cuore è «troppo piccolo per contenere tutta la bellezza, di cui Dio ha riempito il mondo»;9 tutto è racchiuso in esso sotto forma di mistero, che tuttavia non manca di agire su di lui riattivandone le forze. Ciò vuol dire che dove in Dio c'è pace e silenzio, nell'uomo c'è sempre ricerca ed eros; dove in Dio c'è armonia e beatitudine, nell'uomo c'è ricerca di armonia e di beatitudine: dove in Dio c'è verità nell'uomo vi è mistero.

Detta così sembrerebbe un'ennesima argomentazione, di stampo mistico-moraleggiante, a favore di un'ermeneutica dell'ascolto e contro i rumori della società moderna, le distrazioni che allontanano l'uomo dalla verità: verità d'altronde occultata dal nostro stesso fracasso, ma in verità ben luminosa al nostro interno. Né è ancora ben chiaro in che modo questa riflessione possa aiutarci a parlare del dogma: la vita si fonda su dogmi, verità misteriose che riposano nel cuore dell'uomo e che pretendono di condizionare il comportamento dell'uomo! Premesso che ogni idea trascendente riposta nell'anima (Platone), sia essa di tipo morale o estetica, appare come un mistero che resta tale, pur nel momento in cui determina il nostro comportamento; premesso che anche da un punto di vista filosofico l'esistenza di un'idea misteriosa, non del tutto compresa nel suo fondamento, è un fatto della ragione, bisognerà tentare di capire qual è il senso profondo del dogma della Trinità.

2. La Trinità come residuo

Più di altri dogmi -- quelli che parlano al cuore dell'uomo e che ad esempio attengono al problema della redenzione -- il dogma della Trinità sembra essere astratto, sganciato dalla realtà, privo di ripercussioni sulla vita dei più: insomma qualcosa a cui bisogna semplicemente attenersi e a cui credere per fede. Esso, tolto il segno di croce -- a cui di recente ha fatto riferimento Ratzinger, proprio citando la riflessione di Guardini a proposito de I santi segni10 -- appare più come intralcio per la ragione, eredità ingombrante con cui fare i conti, che come elemento propulsivo di fede. Sono lontani, infatti, i tempi nei quali «autorità terrena e giuridica trovavano in quel mistero il loro fondamento ultimo»,11 quando cioè, nel medioevo, la Legge salica legittimava se stessa facendo ricorso alla Santa Trinità: In nomine Sanctae Trinitatis... Ma qual è dunque il contributo che tale dogma può fornire alla riflessione filosofica, senza mettere in discussione l'autonomia della stessa? In che modo può essere, non solo tollerata come residuo di una tradizione imbarazzante, ma apprezzato per il modo in cui promuove la vita comunitaria e la dignità della persona? Basterà dire che secondo Romano Guardini, il dogma della Trinità è «la Magna Charta del dovere e della dignità di ogni comunità umana».12

3. La polarità della vita

Nell'apertura della sua principale opera filosofica, Der Gegensatz, Guardini asserisce che «tutto ciò che esiste e avviene noi lo vediamo come unità. E non solo ci appare uno, ma è uno».13 Tuttavia, il pensiero puramente concettuale, formalistico e universalistico, ossia il pensiero oggettivante che si è andato affermando con lo sviluppo della scienza, con la sua tendenza analitica a disgregare e separare, ha finito per dissolvere ciò che nel concreto vivente è unito. Come risultato si è ottenuta, in età moderna, la netta divisione dei campi dello spirito, delegando alla scienza il corpo scisso e inerte e la comprensione dell'unità vivente a una sorta di intuizionismo irrazionalista.14 Tale divaricazione sembra illegittima e infruttuosa, dal momento che invece la realtà appare, platonicamente,15 come un enorme processo nel quale confluiscono due lati di un'opposizione essenzialmente autoconsistenti [eigenständig] ;16 processo del quale non è possibile mettere in dubbio né la profonda unità, né l'inequivocabile polarità. Ogni realtà vivente e concreta, infatti, raggiunge la sua profonda unità grazie alla co-presenza di una forza dinamica, che mira alla trasformazione e al cambiamento, e di una forza statica, che mira a preservare la quiete, lo stato di fissità in cui il concreto giace; di una tendenza a dare forma, a ordinare e a plasmare, e di una tendenza all'eccedenza [Fülle], che sfugge a ogni irrigidimento nella forma; di una predisposizione a integrarsi coerentemente all'interno di una totalità e dell'opposta disposizione a preservarsi, come singolo, nella sua propria forma particolare ecc. In altre parole tutto ciò che è vivente, ma non solo, tutto ciò che è concreto, tutto il mondo, sembra essere attraversato da questa irrefrenabile 'dialettica', nella quale convivono singolo e tutto, quiete e dinamismo, forma e informe, regolarità ed eccezionalità rispetto alla regola, sussistere e autotrascendersi, o meglio in-abitare (cioè restare dentro di sé, possedersi dall'interno) e uscire da sé: immanenza e trascendenza.17 In realtà gli opposti a cui Guardini fa riferimento, e da lui individuati, sono molto più numerosi e includono ad esempio le coppie affinità e distinguibilità, unità e molteplicità, che sottolineano come «i momenti reciprocamente opposti devono essere l'un l'altro affini e simili, altrimenti nessun rapporto tra loro sarebbe possibile; ma essi devono anche essere diversi e distinti l'uno dall'altro, altrimenti esisterebbe tra essi un'identità qualitativa».18

Bene, secondo tale impostazione è ovvio che non esiste unità senza opposizione; nel momento infatti in cui uno dei due opposti dovesse prendere definitivamente il sopravvento, ci sarebbe la saturazione di uno dei due poli e la dialettica, la dinamica tipica della vita, verrebbe meno. La pura realizzazione della 'forma' a discapito dell'eccedenza, o della staticità a discapito del dinamismo, avrebbe come effetto l'immediato naufragare della vita, il cui unico equilibrio possibile consiste nella convivenza, sempre altalenante, degli opposti che l'attraversano. L'illusione di giungere alla forma pura, alla pace piena, alla trascendenza totale, all'ordine intero rivela il suo carattere illusorio: quando sembra che si stia per raggiungere la pienezza di uno dei valori limite, si è prossimi alla rovina. La vita, infatti, è circondata dalla morte da entrambi i lati,19 da entrambi gli opposti che ne minacciano la coesistenza. Come sostiene in conclusione della sua opera «il suo [dell'esistenza umana] ethos più profondo sta nel mantenersi oscillante»,20 nel riconoscere che la condizione della propria possibilità consiste esattamente nell'ammissione della propria limitatezza, nell'obbligo della misura e del giusto rapporto. Se è l'oscillazione, dunque, il destino umano, «vera salute, intima incorruttibilità significano tensione, disciplina e possibilità di camminare sempre, di "passare oltre", sempre».21

4. Risvolti in campo estetico e religioso

La cosa è tanto più visibile nell'ambito dell'arte e della creazione artistica, a cui Guardini spesso fa appello proprio per mostrare il valore euristico di tale sua proposizione. La sua decennale frequentazione con Hölderlin, Rilke e soprattutto Dante,22 gli diede modo di comprendere quanto fosse universale e inaggirabile la legge oppositiva, anche in ambito estetico. Nonostante un'impostazione classica tenda ad attribuire all'opera d'arte la piena incarnazione delle idee di forma, di armonia e di ordine -- in linea con una concezione greca antica -- l'età moderna ha dimostrato, per Guardini, che al contrario esistono opere nelle quali, ciò che in modo spregiativo viene denominato 'il caos', assume un ruolo positivo ai fini della stessa produzione artistica.23 In tal senso il caos andrebbe inteso non come ciò che si trova agli antipodi dell'opera d'arte, bensì come uno dei possibili modi di trovare un equilibrio tra la forza formatrice, la tendenza a ordinare, articolare, definire (che come vedemmo fu tipica dei greci), e la resistenza alla forma, l'eccedenza che fugge ogni ordine totale e definitivo (e che è più tipica dei moderni). Il genio, quindi, sarebbe colui capace di mantenersi in equilibrio tra le opposizioni polari, senza aderire pienamente a nessuna di esse. Sua peculiarità sarebbe proprio una disposizione ai valori-limite, la capacità di spingersi fino all'estremo consentito dalla vita: di tentare l'equilibrio più elevato che l'avvicinamento al valore-limite consenta. La genialità dell'uomo e della vita, consisterebbe pertanto nel riuscire a tenere insieme, in una perenne ricerca di equilibrio, sempre mutabile, le tendenze opposte che si fronteggiano e di cui sarebbe illusorio immaginare la scomparsa o la riduzione al contrario.

Certo questo equilibrismo ha i suoi pericoli intrinseci, che possono essere ben evidenti anche nel momento in cui dall'ambito estetico si passa a quello più propriamente spirituale e religioso. Al margine del ragionamento sulla sensibilità di tipo nordico e quella di tipo mediterraneo, Guardini affronta la questione del rapporto tra anima e corpo, tra sfera interiore e sfera pubblica.24 Tale opposizione tra anima e corpo può essere vissuta e incarnata dagli uomini secondo infinite sfumature, che vanno dall'esaltazione-esasperazione dell'interiorità come sfera intima, preziosa, intangibile, priva di qualsiasi possibilità di comunicazione all'esterno per mezzo del corpo, all'esaltazione-esasperazione della corporeità, della comunicabilità di ciò che è interiore all'esterno, nel mondo dei corpi e della società. In altre parole, da un lato si può cadere nella tentazione di assolutizzare l'interiorità come sfera autentica, che rifugge la commistione col mondo, che tace, non potendo né volendosi esprimere; dall'altro si può cadere nella tentazione di assolutizzare l'espressività, come naturale capacità del corpo di comunicare senza residui quella profonda ricchezza interiore, di cui il primo va tanto fiero. Da un lato il ripiegamento nel familiare e idilliaco, la pienezza interiore, che volendosi conservare integra rinuncia al tradimento che qualsiasi comunicazione porta con sé; dall'altro la leggerezza, la dimensione sensibile dell'esistenza, la naturale permeabilità del corpo allo spirito. Se in un caso «spirito e corpo vengono percepiti come àmbiti molto diversi e separati, i quali non possono, o possono solo con difficoltà, essere tradotti l'uno nell'altro», nell'altro caso «l'interiorità [Innere] si esprime alquanto immediatamente nel corporeo, il quale è in grado di rendere visibile la dimensione spirituale dell'anima».25 Il risvolto drammatico di tale accentuazione è però immediatamente riscontrabile. Il disconoscimento della polarità corporea conduce infatti a uno svilimento del mondo esterno, a una chiusura malsana e impura, in cui il sovrappiù di inespresso diventa timidezza, humor, ironia, ma anche introversione e mutismo;26 il corpo diventa fardello, peso irredimibile di cui sbarazzarsi. Il disconoscimento dell'interiorità, invece, importa che «ovunque ciò che è interiore diventa evidente, visibile, udibile, afferrabile con le mani. Ovunque si passa direttamente dalla corporeità [Leiblichkeit] all'interiorità dell'anima [Seelischgeistige] . Ogni cosa è umana in un senso quasi elementare. Manca pertanto anche quell'interiorità di cui si è detto, che si agita in sé, che tende alla chiusura e all'ammutolimento. Vi è sempre un movimento dell'interno verso l'esterno, del nascosto verso l'aperto, del segreto verso l'apparizione [...] Tutto è "pubblico"».27

Da un punto di vista religioso questo implica un doppio modo di rapportarsi a Dio, a se stessi, al mondo: l'uomo può vivere la polarità in modo da privilegiare l'interiorità o l'esteriorità, l'inaccessibilità o l'accessibilità al profondo, la riservatezza o la comunicazione, può attenersi a se stesso o aprirsi alla comunità. Ciò dipende soltanto dal mondo strettamente personale con cui si viene a incarnare la dialettica oppositiva. L'uomo può intendere se stesso essenzialmente come identità, come Selbsthaltung, come attenersi a se stesso separatamente dal resto del mondo; può sottolineare l'estraneazione che percepisce anche nei confronti del proprio corpo, l'incommensurabilità nei confronti dell'Altissimo, l'incomunicabilità di ciò che è autentico, la miseria della materia e del corpo, l'opacità dei simboli religiosi: l'impossibilità di mettere in relazione l'interno con l'esterno, l'io con l'altro, l'individuo con la comunità, la creatura con Dio. Egli può quindi vivere la dialettica tra gli opposti nella lucida consapevolezza dell'incommensurabilità, o può vivere l'opposizione sotto il segno della profonda conciliabilità; in questo caso egli intende se stesso principalmente come donazione, dedizione [Hingabe], trasparenza; sottolinea la piena sintonia di sé col proprio corpo, l'intima analogia con la luce divina, la trasferibilità dell'interno all'esterno, la possibilità di accesso all'altra persona, alla comunità; la potenza simbolica dei riti religiosi, l'intima commensurabilità tra anima e corpo. «L'anima è qualcosa di diverso dal corpo [Körper], eppure vi si manifesta, cosicché il corpo diventa corporeità [Leib] e nella corporeità l'anima viene osservata. I sentimenti entrano in azione e si mettono all'opera, l'idea si irradia dalla realtà verso l'esterno, la vita e lo spirito sono alleati e così via. Lo stesso vale per la realtà religiosa. L'interiore, il profondo, il sacro, sono congiunti alla parola e possono esprimersi; sono congiunti alla forma e nasce il simbolo -- per quanto non dia l'avvio all'eccessiva grandezza, all'eccesiva sublimità e quindi all'inesprimibilità. Ma questa, come si è detto, non significa esclusione essenziale, bensì infinito avvicinamento».28 Il sacro, il numinoso, non è altro dalla parola e dal corpo; tra le persone, il mondo, Dio, tra la verità nascosta e il corpo esposto non v'è frattura: «gli àmbiti sono separati l'uno dall'altro, ma convertibili l'uno nell'altro; insieme formano l'unità del cosmo oggettivo e soggettivo. Il passaggio dall'uno all'altro accade katà doxan, nella forma di un'immediata riconversione, ragionevoagionevole, sicura e legittima».29 Questa fiducia di fondo, che per inciso è quella che Guardini attribuisce a Dante Alighieri, si oppone al pessimismo di fondo, a suo parere tipico dei popoli nordici, e in particolare di quello tedesco. Come conseguenza abbiamo un doppio tipo di mistero. «Simbolo del primo è l'oscurità [Dunkel] . Non le tenebre, che ne costituiscono la forma cattiva, bensì la buona oscurità, la notte, che è vita piena e profonda. È questa la forma di mistero del Nord. Quella del Sud ha il suo simbolo nella luce. Non in quella accecante, che ne è la forma cattiva, bensì nella luce viva».30

5. Hingabe e Selbsthaltung

Questa distinzione, tuttavia, non serve a perorare la causa dell'uno o dell'altro, di un modo particolare di vivere la polarità, bensì a evidenziare come l'uomo, in quanto essere finito, non può sottrarsi a tale dialettica né al rischio ad esso connesso. Egli, in quanto separato da Dio e altro da Lui, è chiamato di volta in volta a cercare la propria via tra i singoli opposti; in più ogni singolo ha un suo atteggiamento di fondo nei confronti della polarità in quanto tale: c'è chi nella polarità tende a sottolineare la divaricazione strutturale, l'inconciliabilità di fondo tra gli opposti, tra anima e corpo, tra singolo e tutto, chi invece propende a riconoscere l'intima conciliabilità, la profonda unità dialettica della realtà, l'intima omogeneità tra gli opposti. Nel primo caso «gli uomini diventano talmente diversi che non possono più pervenire alla comunione»,31 la vita tende a disgregarsi, sembrando composta di elementi essenzialmente irrelati: prevale una concezione pluralistica e autonomista. Nel secondo caso si rischia di cadere nel monismo, che sfuma le differenze e riconosce una profonda identità del tutto: la vita viene esperita come «continuità ininterrotta di un unico onnicomprensivo atto di vita; come rivelazione d'una forma unitaria e d'un ordine in sé coerente».32 A questo propensione di fondo corrispondono differenti atteggiamenti e moti dell'anima, ognuno dei quali ha la propria ragion d'essere.

L'uomo in cui prevale la divaricazione prevalente, la distanza tra cose, la separazione rispetto alla comunione, osserva il mondo come scenario di forze opposte e di singoli isolati, di identità non comunicabili, di anime chiuse nei corpi; per chi invece intravede sotto la contraddittorietà del reale la totalità del tutto, il mondo appare in comunione con se stesso; gli oggetti e le persone sembrano in grado di scavalcare se stessi fino a entrare in consonanza con il resto e ogni cosa sembra permeata dal medesimo amore. Monismo e pluralismo, identità e differenza, sono dunque i due estremi, i due punti di vista verso i quali l'uomo può scivolare, nell'attuazione pratica della propria vita. Alla base di questi due opposti contegni risiedono due differenti atteggiamenti dell'anima, ossia l'Hingabe e la Selbsthaltung.

L'Hingabe, la dedizione, è quell'atteggiamento che permette al singolo di oltrepassarsi in direzione dell'altro, del Tu (direbbe Buber, e dice Guardini), che gli consente di rompere le barriere dell'identità fino al raggiungimento di un'unità più ampia. La fiducia con cui si rende partecipe l'altro di se stesso, con cui gli si concede l'accesso alla propria interiorità, con cui si condivide generosamente esperienze e ricchezze, fa sì che io e tu creino una personalità che non trattiene più nulla per sé. In questo modo «l'angusto cerchio del sé è spezzato»,33 la comunicazione più profonda è resa possibile e quel mondo-ambiente nel quale l'individuo si era mosso in modo scontato fino ad allora -- composto di abitudini, convinzioni, inclinazioni -- viene scardinato dall'irrompere del mondo altrui. «Attraverso questo processo il mondo individuale si sdoppia; i pensieri e gli stati d'animo altrui, spesso contrapposti, fecondano la propria esistenza. In tal modo questa si sviluppa in una pienezza e fecondità del tutto nuova, sostenuta dall'azione espansiva che deriva dall'autentico "dare del tu", dal superamento dell'egoismo. Naturalmente in questo moto dell'animo risiede anche un "pericolo": la fiducia piena può condurre infatti ad abbandonare cose che non possono essere cedute [...] può togliere l'autonomia, può falsare il giudizio, allentare la volontà, annullare l'unità personale che ha il fondamento in se stessa».34 In questo senso va letta l'affermazione di Nietzsche, secondo cui «la comunità rende comuni»,35 cioè annulla le differenze e mette a rischio quel nucleo di indipendenza, di identità, che non può essere disconosciuto.

La Selsbthaltung, al contrario, rappresenta letteralmente un 'attenersi a sé', ossia una tendenza dell'anima a stare in se stessa, a porre una distanza tra sé e altro da sé, a vivere la realtà dall'interno, tutelando il diritto alle proprie convinzioni, affermando l'indipendenza del giudizio, l'autonomia della decisione e della responsabilità.36 Essa si fonda sulla convinzione che la realtà e l'identità più profonda delle cose rimane intangibile e che solo nella tutela del sé è possibile il rispetto dell'altro. Tale atteggiamento prevede un differente senso del pudore, che risiede essenzialmente nell'abbandonare il visibile per l'invisibile, la sfera pubblica per la riservatezza. La riservatezza -- in tedesco Zurückhaltung, cioè trattenersi, tenersi in sé indietro, rimanere nascosto -- è l'emblema di atteggiamento ritroso verso il mondo e nel quale l'interiorità si tiene lontana dal rapporto espressivo.37 Su tale atteggiamento «si basa ogni autonomia, solidità, nobiltà ed energia formatrice della persona. Ma da solo anch'esso cela in sé un pericolo. Può rendere impossibile la comprensione; può produrre una riservatezza timorosa che non conduce al di là di sé, ad avvicinarsi all'altro, che non riesce più a dare né a ricevere. Questo atteggiamento può così rendere infine la comunità impossibile e l'uomo solo».38 La riservatezza, infatti, nasconde in sé il rischio della chiusura, del solipsismo che dispera di poter cogliere, nella sua dimensione unitaria, cosmica, l'intima dialettica oppositiva della realtà. La Selbsthaltung non crede che ci si possa esprimere, che si possano interrompere le identità.

6. La Trinità come modello della vita comunitaria

Ora ciò implica che anche nel rapporto comunitario l'uomo oscilla tra un dover rispettare il «cerchio sacro», rappresentato dalla personalità altrui, un voler mantenere le distanze, e un desiderio di raggiungere una forma di vita più elevata, in cui l'incontro tra persone conduca a superare le ristrettezze del proprio sé, in direzione di una comunità allargata. La volontà di condivisione piena, che agisce nell'uomo come imperativo morale, deve fare i conti con la libera scelta altrui di far cadere le barriere, cioè con l'impossibilità di forzare tale comunione.39 La pienezza della vita comune -- in cui si manifesta il desiderio forse inconsapevole di Dio -- è raggiungibile solo nell'instabile equilibrio tra tutela dell'altro e oltrepassamento del sé: l'unico che sappia spezzare il blocco dell'individualità senza violare la dignità personale dell'altro. Ora la perfezione della comunità che qui viene delineata, si fonda sulla necessità di tenere insieme comunanza del tutto e identità dell'essere, prossimità e distanza, Hingabe e Selbsthaltung, dedizione all'altro e adesione a se stessi. Certo è che l'idea di 'persona' agisce come nucleo inviolabile che non è dato sorpassare. «La felicità o il dolore nell'uomo dipendono moltissimo dal fatto che egli assolva nel modo giusto il compito della comunità. La sua vita può arricchirsi o intristirsi a seconda che l'uomo riesca o meno a stabilire con l'altro il giusto rapporto». In questo compito, cruciale poiché definisce concretamente i rapporti che l'uomo imbastisce col mondo delle cose e delle persone, il dogma della Trinità può risultare importante. Esso infatti incarna in modo misterioso ciò a cui la vita comune tende in modo vago, acquisendo così un significato ideale anche all'interno dell'azione morale. L'esistenza di un Padre, di un Figlio e di uno Spirito Santo, testimonia infatti l'inviolabilità delle tre persone divine, le quali pur avendo tutto in comune, pur ricevendo tutto dall'altro (la pienezza della verità, la nobiltà della santità, lo splendore della bellezza, l'infinita ricchezza della beatitudine) ,40 pur incarnando al massimo la perfetta unità, riconoscono dignità alla persona. La dedizione piena fa sì che tra loro viga un vero vincolo di amore; il fatto che Padre Figlio e Spirito Santo non trattengano nulla per sé, fa sì che si possa parla di un solo Dio e di un'unica natura divina. Ciò non toglie che l'unica vera comunità sia quella che nasce dall'incontro di identità non assimilabili l'una all'altra.

7. Il valore propulsivo della Trinità in quanto conciliazione degli opposti

Da un punto di vista metodologico ciò significa che il dogma agisce come una verità, che lascia intravedere, quasi miticamente, la possibilità di una definitiva conciliazione tra gli opposti, senza andare a discapito degli stessi; agisce come un mistero, che appare tale agli occhi di chi non può che agire all'interno della dialettica oppositiva. Né ciò va letto come il tentativo di sporgersi oltre il consentito:

De Deo scire non possumus quid sit, sed quid non sit. Questo dona alla proposizione "Dio è la tensione vitale in perfetto equilibrio" il suo vero significato. Il fatto dell'oppositività non costituisce una legge assoluta, a cui si Dio sia le creature sia ugualmente sottomesse, ma Egli in un modo e la creatura in un altro. Meno ancora l'oppositività fissa il modo con cui la creatura emana da Dio, come dal suo fondo unitario e di nuovo in Lui ritorna -- così pensava la dottrina neoplatonica della emanazione e della divinizzazione -- in modo che Dio sarebbe l'unità di ciò che nelle creature è separato. Lo stare in opposti è essenzialmente uno stato dell'essere creato. In Dio non ci sono opposti, perché Egli è assolutamente semplice; semplice non per sintesi o per sublimazione della molteplicità, ma per essenza. D'una molteplicità in Lui ci parla la Rivelazione ed è il mistero della Trinità; ma rimane mistero da apprendersi solo nella fede che viene dal Cristo. Tuttavia rimane in Lui l'immagine originaria come d'ogni creatura, così anche del dato dell'oppositività. Perciò il contenuto positivo di questa -- non cioè quanto vi è d'imperfetto e di limitato -- può essere detto di Lui per analogia; o per esprimerci in un modo irrealmente ipotetico: Dio è in assoluto ciò che sarebbe la vita nel relativo, se l'equilibrio fra gli opposti fosse possibile.41

Nella vita, però, l'equilibrio tra gli opposti non è possibile. Eppure c'è un punto in cui il mistero di questa conciliazione tra gli opposti -- assolutamente inconcepibile per l'uomo -- viene in qualche modo avvicinato, prende forma. La rivelazione del volto di Cristo, nell'ultimo canto della Divina Commedia di Dante, è infatti l'emblema visibile della possibilità di tenere insieme gli opposti, l'umano e il divino, il corpo e l'anima, e superarli nella sembianza personale. Sembianza che in qualche modo diventa effige, icona, immagine traslata di una pace e di una beatitudine non concesse all'uomo né alla vita,42 e che trova la sua massima espressione nel volto di Cristo. Solo il volto personale (si pensi a quello di Beatrice, di Virgilio ecc.), ha la forza -- frutto della grazia -- di aprire alla comunione col tu, salvaguardando l'identità personale.

Da un punto di vista non tanto teoretico, quanto pratico, il dogma della Trinità agisce come guida interna dell'uomo. Infatti:

La Trinitas Augusta ci insegna che mettersi in comunità significa essere pronti a dare tutto; significa aprirsi con schietta disponibilità per la pienezza dell'altro. La Trinità insegna che tutto, proprio tutto, potrebbe essere e, al massimo grado, dovrebbe essere comune. Una cosa non dovrebbe esserlo, e con ciò si contrappone alla dedizione il suo contrappeso: la personalità. Questa deve rimanere inviolata nella sua indipendenza. Il suo sacrificio non può essere né desiderato, né offerto, né accettato. Con questo l'atteggiamento essenziale di ogni comunità è chiaramente circoscritto.43

8. L'autorità morale sede epifanica dell'autorità divina

Per concludere, secondo Guardini gli uomini sono tenuti a cercare l'infinito all'interno di una dialettica oppositiva, che ci costringe ad accettare dei limiti.44 Ciò non toglie che in essi resti il mistero di una verità piena, di una beatitudine perfetta, di una conciliazioni senza residui, che tenga insieme la comunione dell'identità con la pienezza del diverso. In vita ciò non è possibile, eppure è questo ciò a cui la vita tende sotto la spinta propulsiva di una verità nascosta, di un mistero. Mistero, quello della Trinità, che da un lato agisce come «modello della vita comunitaria», nel quale dedizione e riservatezza, comunione e dignità personale sappiano coniugarsi nell'unità distinta. Dall'altro, secondo Guardini, agirebbe come la forza in grado di spingere l'uomo a quel modello: solo infatti l'idea di un'intima comunità tra le cose, di un legame di grazia, può dare all'uomo la forza morale per perseguire quel modello di vita comunitaria, tentando, così, di farsi traccia vivente della Trinità. Noi «non riusciamo mai in realtà a capire come l'uomo possa essere nella grazia "partecipe della divinità" e tuttavia rimanere creatura senza confusione alcuna. Riusciamo però a intuire che noi, uomini, ora diventati fratelli in Cristo, siamo uniti da un inesprimibile legame divino, della cui realtà prodigiosa san Paolo dice cose tanto profonde nelle lettere agli Efesini e ai Colossesi. Questa unità, che supera ogni affinità naturale, è misteriosa ma reale».45 Tale unità di grazia, che rispecchia il legame delle tre persone divine, impone tuttavia all'uomo un'azione etica, il rispetto di una Magna Charta, che miri a ricreare in terra, tra gli uomini e nel mondo, quell'immagine riflessa della comunità divina della Trinità. Ciò conduce all'asserzione -- filosoficamente impegnativa -- secondo cui i fenomeni etici non sono conclusi, fondati in se stessi, ma rimandano strutturalmente a una dimensione religiosa.46 L'etica attingerebbe la propria autorità direttamente da Dio; il suo agire sarebbe dotato di autorevolezza in virtù dell'originario riferimento al divino. L'autorità morale del padre di famiglia, così come dell'autorità statale, terrena, rappresenterebbero una «sede epifanica dell'autorità divina»,47 un luogo in cui l'autorità di Dio si rispecchia misteriosamente nella realtà finita, provocando un impulso all'obbedienza. L'amore originario tra le tre persone divine, modello di convivenza perfetta, riflettendosi come mistero nel mondo delle cose si impone, per Guardini, come ciò che ha diritto di essere e che richiede l'obbedienza dell'uomo. In questo senso è possibile parlare della Trinità come della Magna Charta della comunità umana, cioè come un modello che -- possedendo quel diritto conferitogli dall'assoluta pienezza di significato del suo essere -- ha anche la forza di imporsi all'uomo come ciò che va perseguito, a cui bisogna obbedire.

Copyright © 2011 Oreste Tolone

Oreste Tolone. «Guardini: la Trinità come Magna Charta della comunità umana». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**47 B].

Note

  1. Si veda, ad esempio, l'idea di 'religione inconsistente' sostenuta da B. Welte, Religionsphilosophie, Herder, Freiburg i.B. 1978; tr. it. di A. Rizzi, Dal nulla al mistero assoluto. Trattato di filosofia della religione, Marietti, Casale Monferrato 1985, pp. 218-227. Testo

  2. In particolare in R. Guardini, Die Bedeutung des Dogmas vom dreieinigen Gott für das sittliche Leben der Gemeinschaft, in Werke. Band I. Wurzeln eines großen Lebenswerks. Aufsätze und kleine Schriften, Grünewald-Schöningh, Mainz-Paderborn 2000, pp. 44-53; a cura di M. Nicoletti, Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità, in Opera Omnia VI. Scritti politici, Morcelliana, Brescia 2005, pp. 89-98. Testo

  3. B. Pascal, Pensieri, 477 (277), Rusconi, Milano 1993, p. 263. Testo

  4. R. Guardini, Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità, cit., p. 89. Testo

  5. Cfr. Sulla linea platonico-agostiniana si pone anche Bonaventura, a cui Guardini dedica tra l'altro, in rapporto al tema della Trinità, Trinität, Schöpfung und Erlösung, in Systembildende Elemente in der Theologie Bonaventuras, a cura di W. Dettloff, Leiden, Brill 1964, pp. 40-50. Cfr. S. Zucal, Note ai testi, in Filosofia della religione. Esperienza religiosa e fede, in Opera Omnia. II/1, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 650-655. Testo

  6. R. Guardini, O beata Trinitas, in Wurzeln eines großen Lebenswerks. Aufsätze und kleine Schriften. Band I, pp. 125-132. Testo

  7. Ivi, pp. 125-126. Testo

  8. Ivi, pp. 126-127. Testo

  9. Ivi, pp. 125-126. Testo

  10. Cfr. R. Guardini, Von Heiligen Zeichen, Grünewald, Mainz 2000; tr. di M. Bendiscioli, Lo spirito della liturgia. I santi segni, Morcelliana, Brescia 2005. Cfr. J. Ratzinger, Der Geist der Liturgie. Eine Einführung, Herder, Freiburg i.B. 2000; tr. it., Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001; La Trinità divina dimora in noi dal battesimo, nel discorso introduttivo alla preghiera mariana dell'Angelus, 30 maggio 2010. Testo

  11. R. Guardini, Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità, cit., p. 90. Testo

  12. Ivi, p. 91. Testo

  13. R. Guardini, Der Gegensatz. Versuche zu einer Philosophie des Lebendigkonkreten, Grünewald, Mainz 1985; tr. di G. Colombi, L'opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente, Morcelliana, Brescia 1997, p. 13. Testo

  14. Ivi, pp. 16-19. Testo

  15. Ivi, p. 24. Testo

  16. Ivi, p. 42. Testo

  17. Per quanto riguarda la classificazione degli opposti in 'intrapirici', 'transpempirici' e 'trascendenti' si veda H.B. Gerl-Falkovitz, Vita che regge alla tensione. La dottrina di Romano Guardini sull'opposizione polare, in L'opposizione polare, cit., pp. 215-238. Testo

  18. Ivi, p. 79-80. Testo

  19. Ivi, p. 205. Il valore limite, per Guardini, «brilla solo nel proprio naufragio» (ivi, p. 108); difatti «una vita, un vivente dalla tensione stabilizzata, autosufficiente, dovrebbe morire (ivi, p. 125). Testo

  20. Ivi, p. 206. Testo

  21. Ibidem. Testo

  22. Cfr. R. Guardini, Hölderlin. Weltbild und Frömmigkeit, Leipzig 1939; tr. it. di L. Tieck e G. Colombi, Hölderlin. Immagine del mondo e religiosità, Morcelliana, Brescia 1995; R. Guardini, Rainer Maria Rilkes Deutung des Daseins. Eine Interpretation der Duineser Elegien (1953), Grünewald-Schöningh, Mainz-Paderborn 19964; tr. it. di G. Sommavilla, Rainer Maria Rilke. Le Elegie duinesi come interpretazione dell'esistenza, Morcelliana, Brescia 2003. A Dante Guardini dedica una serie di corsi universitari che confluiscono, in parte, nei volumi, Der Engel in Dantes 'Göttlicher Komödie'. Dantestudien. Erster Band, Hegner, Leipzig 1937; Landschaft der Ewigkeit. Dantestudien. Zweiter Band, Kösel, München 1958. Le due traduzioni italiane, a cura di M.L. Maraschini e A. Sacchi Balestrieri, L'angelo nella 'Divina Commedia' e Paesaggio dell'eternità, confluiscono in Studi su Dante, Morcelliana, Brescia 1967, e poi in Dante, Morcelliana, Brescia 1996. Testo

  23. Cfr. R. Guardini, Dantes Göttliche Komödie. Ihre philosophischen und religiösen Grundgedanken, a cura di H. Mercker e in collaborazione con M. Marschall, Grünewald-Schöningh, Mainz-Paderborn 1998; tr. di O. Tolone, La Divina Commedia di Dante. I principali concetti filosofici e religiosi, in Opera Omnia 19/II, Morcelliana, Brescia 2011 (in corso di stampa, e dunque da noi citato con i riferimenti di pagina della versione tedesca). In particolare si veda il paragrafo dal titolo Ordnung Überhaupt, cioè Gli ordinamenti in generale. Testo

  24. Si veda pp. 52-63, il paragrafo Öffentlichkeit und Innerlichkeit, cioè Sfera pubblica e sfera interiore. Testo

  25. Ivi, p. 53. Testo

  26. «Tutto questo si acuisce ulteriormente con il fatto che l'uomo del Nord non sembra avere alcuno spontaneo rapporto emotivo con la corporeità [Leib]; piuttosto la percepisce come leggermente problematica, sospetta, impura, cattiva. Ne derivano una timidezza e una vergogna che possono arrivare fino all'innaturalezza, all'impaccio. Si veda ad esempio il puritanesimo, che sicuramente è un fenomeno nordeuropeo e alla cui base giace una sensualità forte, ma soffocata, anzi avvelenata. O viceversa il comportamento contrario, in cui tutte le inibizioni vengono abbandonate e il corpo è lasciato libero in un modo al cui confronto la sensualità del Sud appare innocente» (ibidem). Testo

  27. Ivi, pp. 54-55. Testo

  28. Ivi, p. 61. Testo

  29. Ivi, p. 58. Testo

  30. Ivi, p. 56. Testo

  31. R. Guardini, L'opposizione polare, cit., p. 85. Testo

  32. Ivi, p. 86. Testo

  33. «Der enge Kreis des Selbst ist gesprengt», R. Guardini, Die Bedeutung des Dogmas vom dreieinigen Gott für das sittliche Leben der Gemeinschaft, cit., pp. 46-47; tr. it., Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità, cit., p. 92. Testo

  34. Ibidem. Testo

  35. F. Nietzsche, Al di là del bene e del male. Preludio ad una filosofia dell'avvenire, in Opere, vol. 6.2, tr. di F. Masini, Adelphi, Milano 1976, pp. 198-199. Testo

  36. Cfr. R. Guardini, Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità cit., p. 93. Testo

  37. Cfr. R. Guardini, Dantes Göttliche Komödie, cit., pp. 56-63. Testo

  38. R. Guardini, Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità, cit., p. 93. Testo

  39. «Intorno a ogni personalità c'è un cerchio sacro, che nessuno può oltrepassare, a meno che non si apra da sé; ma fino a un certo grado questo cerchio non può aprire se stesso senza profanarsi» (ivi, p. 94). Testo

  40. Ivi, p. 50-51. Testo

  41. R. Guardini, L'opposizione polare, cit., p. 124. L'idea di una traccia oppositiva persistente per analogia in Dio stesso, non ci sembra possa aprire, in Guardini, alla metafisica della libertà così come avanzata da Schelling o da Pareyson. Quanto l'uomo e la vita sono lontani dall'unità, tanto lo è Dio dalla oppositività. Testo

  42. Cfr. R. Guardini, Das Anlitz im zweiten Kreis der Trinität, in Dantes Göttliche Komödie, cit., pp. 407-413. Testo

  43. Cfr. R. Guardini, Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità, cit., p. 97. Testo

  44. «Se noi diamo l'assenso al limite, rinunciamo all'infinità. Ma in tal modo noi conquistiamo ciò che nei confini del finito è l'equivalente dell'infinito» (R. Guardini, L'opposizione polare, cit., p. 204). Testo

  45. R. Guardini, Il significato del dogma del Dio trinitario per la vita etica della comunità, cit., p. 97. Testo

  46. R. Guardini, Ethik. Vorlesungen an der Universität München (1950-1962), Grünewald-Schöningh, Mainz-Paderborn 1993; ed. it. a cura di M. Nicoletti e S. Zucal, Etica. Lezioni all'università di Monaco (1950-1962), Morcelliana, Brescia 2003, pp. 481-482. Testo

  47. Ivi, p. 483. Testo

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