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Metafisica, teologia e storia nel pensiero di Antonio Rosmini

di Silvio Spiri (20-21 marzo 2009)

1. Introduzione

Nel clima culturale contemporaneo si pone vieppiù l'esigenza di una prospettiva che parta dal basso, cioè dal darsi fenomenologico dell'esperienza, contro le pretese di un pensiero astratto e ideologico. In ambito scientifico e non solo filosofico mi pare che sia legittimo e per certi versi doveroso ricercare una filosofia dell'esperienza umana (esperienza), che deve essere però assunta nella sua integralità, a meno di non voler cadere nel circolo vizioso del riduzionismo ontologico. Ciò di per sé implica l'assunzione di un'integrazione della prospettiva dal basso, se è lecito così esprimersi, con una prospettiva dall'alto e, infine, con la prospettiva della relazione. Si tratta dell'antico e ricorrente problema dell'uno e dei molti e del passaggio dalla molteplicità degli enti e delle entità all'unità dell'essere e, infine, da quest'ultima alla molteplicità. Già questa osservazione preliminare pone a tema la complessità del darsi dell'essere nell'unità e nella totalità delle dimensioni costitutive dell'umano o meglio della realtà umana. La metafisica non occulta la strutturale dinamicità del reale in formule vuote, ma assume il reale, da cui non possiamo prescindere e che sempre eccede la mera riflessione teorica, nella prospettiva filosofica. In altri termini, il puro darsi fenomenico non è di per sé sufficiente alla posizione del problema dell'uomo e dell'essere che esige, invece, la ricerca del senso dell'esistenza, nella forma interrogativa e la ricerca delle ragioni ultime del reale. L'ontogenesi e la filogenesi del vivente dischiude la strada alla teologia, naturale e rivelata, oppure sfocia nella negazione di Dio.

Nella prospettiva ontologico-metafisica di Rosmini, l'uomo, il mondo e Dio appartengono alla categoria del reale dalla quale emerge la differenza ontologica tra ente finito ed Ente infinito. Il punto di partenza della metafisica rosminiana è costituito dall'esperienza integrale e la riflessione procede dal fenomeno al fondamento, dai molti all'uno e dall'uno ai molti, dalla ragione alla fede. L'esperienza della fede in Cristo veicolata dalla Tradizione e assunta nella dimensione personale è il contesto in cui si situa la stessa riflessione teologica che coniuga Verità e Carità, conoscenza e amore. L'evento storico dell'Incarnazione del Verbo di Dio, causa una conversione della mente e del cuore e, al tempo stesso, genera una nuova mentalità e una nuova azione nel mondo e nella storia. Rosmini ripropone una visione complessiva della realtà, in cui si esplica la tensione innata all'intero, all'unità e alla totalità. Sa è vero che la ragione conduce alla religione, nella misura in cui si apre al mistero dell'essere e al mistero di Dio, la fede irrora la ragione potenziandola e consegnandole ciò che mai la ragione avrebbe potuto immaginare con le proprie forze. Facendo riferimento a ciò che è ragionevole pensare e credere, ma soprattutto all'infinito amore che si riversa nella storia dell'umanità e di ogni uomo, Rosmini intende sradicare lo scetticismo di una ragione astratta, autonoma ed assoluta In questa prospettiva la metafisica suppone un'ontologia, cioè una scienza dell'essere universale ed indeterminato. Abbiamo dunque bisogno di un'ontologia per la filosofia, come abbiamo bisogno di un'ontologia per la teologia. Ma di quale ontologia c'è bisogno? Questo è il tema che cercherò di affrontare nella prospettiva rosminiana. In sintesi, possiamo dire che l'ontologia ricava i concetti universali dall'astrazione che egli esercita sulla molteplicità degli enti finiti. Le essenze cosí ricavate contengono una limitazione che deriva dalla loro origine astratta. Il teologo, al contrario, considera tali essenze depurate da ogni limite, in quanto trova il loro principio e fondamento nell'unità assoluta di Dio. In primo luogo, è necessario distinguere Dio e il divino e quindi definire le condizioni di possibilità del passaggio mediato dall'idea dell'essere all'idea di Dio. Inoltre, non bisogna confondere l'idea con l'esistenza di Dio da una parte e l'idea di Dio e l'esistenza di Dio dall'altra. Questo significa determinare con precisione in che modo nell'ordine naturale l'uomo possa conoscere Dio. La teologia deve inoltre dimostrare l'esistenza di Dio e in terzo luogo esporre la dottrina teologica che considera Dio in se stesso, cioè la sua essenza (i suoi attributi; la Trinità) e Dio in relazione alle creature, come Creatore del mondo. L'ultima parte della teologia contempla la Provvidenza di Dio che regola con potenza, bontà, santità e beatitudine gli avvenimenti, secondo un eterno disegno a cui partecipano le creature.

2. Il sintesismo ontologico e il dogma della SS. Trinità

È possibile un'ontologia triadica e trinitaria? Il mistero dell'amore trinitario suscita una vera e propria ontologia che risponde o corrisponde alla domanda del mistero dell'essere nella sua unità e molteplicità. Che altro è il filosofare se non il ricondurre la molteplicità nell'unità e ritrovare la stessa unità nella varietà degli enti e delle entità tutte? Ciò è vero non solo a livello categoriale, ma anche ontologico poiché le supreme forme dell'essere che Rosmini cerca non sono altro che il fondamento delle stesse categorie. Già Seneca

Un'ontologia trinitaria è presente in Sant'Agostino che ne è il principale rappresentante, ma anche in S. Tommaso d'Aquino. Nel settecento c'è un esempio significativo, l'abate Marco Mastorfini che scrive una Metaphysycia de De sublmior de Deo uno et Trino. Tale prospettiva viene riproposta e riportata in auge da A. Rosmini. Kluas Hemmerle nelle sue Tesi di ontologia trinitaria esprime la necessità di una nuova ontologia, cioè di una nuova comprensione dell'ente e del senso dell'essere che sgorga dalla Rivelazione, in Gesù Cristo, del mistero trinitario di Dio nella storia. Attraverso un confronto serrato con Hegel di cui critica l'impostazione e il metodo, Rosmini elabora una vera e propria ontologia o ontosofia, una scienza dell'essere cui corrisponde un'arte di vivere o Lebenskunst. Tale, infatti, è il volto autentico della sapienza che è la sintesi di conoscenza e amore. Michele Federico Sciacca mostrò la fecondità del pensiero rosminiano in Ontologia triadica e trinitaria. Per assumere la sfida della complessità in ambito metafisico e riscoprire la possibilità di una fenomenologia dell'amore, bisogna aspirare alla verità dell'essere che si porge allo sguardo incantato come sintesi perfettiva, cioè come atto di amore.

Seneca aveva suddiviso la scienza filosofica in tre discipline: la filosofia naturale, la logica e la morale. Sant'Agostino riconosceva nell'uomo tre dimensioni: l'essere, il conoscere e l'amore. Ispirandosi a questi fonti, ma soprattutto osservando l'immensa varietà dello spettacolo del mondo, degli enti e delle entità, Rosmini afferma che l'essere è uno nella sua essenza e triplice nelle sue forme. Infatti, tutto ciò di cui abbiamo esperienza si riduce o alla suprema forma categoriale dell'idealità dell'essere, o a quella della realtà o, infine, alla forma categoriale della moralità. L'ontologia quindi ci mostra che l'essere ha un triplice atto, ossia è in tre modi:

  1. reale: la realtà umana del proprio corpo è un altro postulato da cui parte la filosofia che non deve inventare, ma osservare e indagare;
  2. ideale: l'uomo possiede un'intuizione intellettiva, naturale e immediata dell'essere il quale è presente nella mente nella sua pura inizialità, virtualità, idealità, possibilità;
  3. morale: l'essere morale è la sintesi perfettiva, sempre da farsi e ricercarsi come compito inesauribile di una sapienza metafisica che coniuga verità e amore.

Alcuni interpreti rosminiani hanno mostrato la fecondità di questa impostazione ontologica in relazione alla filosofia contemporanea. Il teologo Lorizio, ad esempio, parla di tre vie di accesso al mistero dell'essere e della Rivelazione cristiana: la via dell'interiorità (Michel Henry), la via dell'alterità (Levinas); la via della via della gratuità per una fenomenologia del dono e una metafisica della carità. Tale tripartizione non è solo una chiave ermeneutica della storia del pensiero, ma indica l'unitridimensionalità dell'essere, un'ontologia triadica che conduce non solo logicamente ma anche metafisicamente all'apertura della ragione umana alla Verità integrale della sapienza cristiana.

3. La dialettica trascendentale integrante e la dimostrazione dell'esistenza di Dio: da Sant'Anselmo a Rosmini

Se l'ontologia trova i concetti, la loro natura e le loro relazioni, la teologia: «mette insieme questi concetti e ricava il concetto astratto di Ente infinito. Fatto ciò il teologo si trova obbligato a concludere che l'essenza contenuta in questo concetto che pur non vede, deve esistere in se stesso e non come puro concetto che è quanto dire nella mente», e quell'essenza esistente in sé, è il primo l'Essere stesso sussistente».1 La sussistenza è una necessità intrinseca all'essenza Dio, per cui l'essenza di Dio è necessariamente sussistente. In questo contesto teorico, è evidente che l'ontologia si muove nell'ambito dei concetti; invece, il teologo passa dai concetti all'affermazione della sussistenza dell'Essere supremo:

Quando poi il teologo ha trovato questo primo sussistente, allora va ricercando come tutti i concetti ontologici, le essenze che si contengono ne'concetti ontologici, abbiano la loro verità e il loro fondamento in quel massimo sussistente. E nel fare questa investigazione, i concetti stessi gli si mutano in mano quasi direi, identificandosi le loro essenze e di molte divenendo una sola. Ma da quest'una, per un'astrazione teosofica, il teologo può in appresso riavere di ritorno tutte quelle essenze separate com'erano prima, di modo che questa separazione non si trova in quell'unica essenza, se non in un modo virtuale e relativo alla mente astraente. Altro è dunque considerare le essenze ontologiche in se stesse, altro considerare com'elle devono stare nell'Essere infinito. Se dunque si considera quale sia onde venga questa differenza, si troverà ch'ella nasce dal diverso modo nel quale l'Ontologo e il Teologo si procacciano que'concetti.2

Rosmini afferma che l'uomo non possiede una visione innata di Dio. Se l'Assoluto sussistente è il fondamento ultimo di tutto ciò che esiste, il pensare umano non può tuttavia incominciare da esso, ma può postularne l'esistenza attraverso un processo dialettico integrante. Dal punto di vista della ragione, mediante l'idea dell'essere, l'uomo può affermare l'esistenza di Dio, anche se non può dire nulla circa le modalità di esistenza di Dio. Solo la Rivelazione cristiana ci rivela la verità sull'essenza di Dio. Da ciò deriva la polemica rosminiana con l'ontologismo di Gioberti e con le molteplici forme del falso misticismo o fideismo.

Nell'ordine naturale, l'uomo trascende i confini dell'esperienza e può conoscere l'esistenza dell'infinito sussistente mediante l'integrazione. Il ragionamento è radicato nell'essere oggettivo, ma si avvale anche dei risultati della percezione del reale finito: «Il pensiero filosofico lavora sempre su quello che gli è dato innanzi, non lo può creare, cioè non può trovare nulla che sia per intero nuovo, poiché la funzione stessa dell'integrazione non fa che passare dal termine dato d'una relazione essenziale all'altro termine trascendente in virtù di una legge nota».3 La Teosofia, come del resto anche il Nuovo Saggio, dimostra la possibilità di un'integrazione della conoscenza percettiva e di un'integrazione della conoscenza intuitiva.

L'integrazione della conoscenza oggettiva è la base della dimostrazione a priori dell'esistenza di Dio che, nel discorso teosofico, manifesta un approfondimento ontologico inedito. Analogamente, l'integrazione della percezione assume una giustificazione metafisica solo nella Teosofia, la quale tiene debitamente conto delle critiche di Gioberti a Rosmini. Il primo concetto assoluto di cui l'uomo dispone è quello dell'essere ideale intuito o essere iniziale indeterminato. Considerata nella sua solitudine, questa idea non fa conoscere né il mondo né Dio, né altra cosa, ma rivela tutta la sua potenzialità solo all'occasione delle percezioni del reale. L'uomo acquista il secondo concetto dell'essere assoluto quando si accorge della necessità che l'infinito contemplato nell'idea sia anche reale. Mediante l'integrazione della cognizione intuitiva, si perfeziona il concetto di essere assoluto e dall'idea dell'essere si perviene all'idea di Dio. In questo primo concetto di Dio non c'è ancora il pensiero e il concetto del mondo. Tuttavia, quando si concepisce l'essere assoluto attuale nella sua forma morale, Dio è anche la ragione e la causa deontologica del contingente. Il Bene essenziale produce tutta la bontà morale e la felicità che egli vuole partecipare alle creature. Rosmini, dunque, distingue il concetto di essere assoluto che contiene tutto in sé, in quanto è la ragione suprema del contingente e del mondo, ed il concetto imperfetto dell'assoluto che racchiude l'idealità e la realtà, ma non espressamente la forma morale.4

È necessario però ripercorrere la genesi del concetto di Dio nell'uomo e verificare la possibilità di una dimostrazione pura ed a priori dell'esistenza divina, mediante l'idea dell'essere. Nella prospettiva rosminiana, l'idea di Dio non è semplicemente un'immobile e sterile apparizione eidetica, ma coinvolge la totalità dell'esperienza spirituale dell'essere umano il cui fondamento ontologico rivela l'apertura all'infinito. L'essere universale intuito non rivela alcuna sussistenza al di fuori della mente umana, ma al tempo stesso non è un accidente o una modificazione dello spirito soggettivo poiché è un oggetto intrinsecamente necessario, assolutamente immutabile e indipendente da ogni mente finita. L'essere iniziale è l'atto conoscibile di tutte le cose e il fonte di tutte le cognizioni. L'oggettività dell'essere manifesta una forza ineluttabile e una virtù infinita. La causa dell'intelligibilità oggettiva non può essere altro che una Mente eterna e assoluta che ha la proprietà di essere per sé intelligibile e di comunicare una porzione della propria intelligibilità, un essere diminutum, ad altri soggetti.

A questo primo ragionamento, Rosmini ne fa seguire un altro. Considerando l'essere in sé come initium comune di tutti gli enti conoscibili, la mente umana vede la similitudine che esso ha rispetto ai reali finiti e al Reale infinito. Perciò, l'essere iniziale si può predicare univocamente di Dio e delle creature. L'essere comunissimo, privo di qualsiasi determinazione, può attuarsi e determinarsi davanti alla mente, sebbene non allo stesso modo in Dio e nelle creature. Soltanto Dio, propriamente parlando, è l'essere per essenza; gli altri enti partecipano dell'essere. Rosmini dirime la polemica tra scotisti e tomisti attraverso la distinzione che egli pone chiaramente tra l'essere e l'ente. In sintesi, solo l'essere -- secondo la precisa accezione rosmiana -- si predica univocamente, non l'ente. La predicazione dialetticamente univoca non pregiudica la questione dell'essenza di un ente determinato, a tal punto che la differenza infinita tra il contingente e l'Assoluto sussistente è indicata da Rosmini mediante il rapporto di partecipata similitudine di analogia entis, sempre operante nel discorso teosofico. Nella contemplazione permanente dell'essere iniziale, l'uomo comprende che l'essere come tale non potrebbe sussistere senza i suoi termini propri:

Non vedendo dunque in lui una sussistenza assoluta, tuttavia pel principio di assoluta sussistenza (che dice: ciò che esiste relativamente suppone ciò che esiste assolutamente, e nasce dall'essere allo stesso modo che quello di sostanza), giudichiamo ch'egli deva ridursi e terminarsi in una sussistenza assoluta, della quale sussistenza egli è un'appartenenza mentale.5

Tale sussistenza non può essere finita poiché il reale finito non è un termine adeguato e proprio dell'essere:

L'essere ideale esige un'attuazione infinita, sostanziale, per la quale egli abbia non solo l'esistenza logica, davanti alla mente, ma altresí l'esistenza assoluta, e ... metafisica, o in se medesima, esistenza piena ed essenziale; e un tale essere è l'essenza divina. Per tal modo l'essere necessario sussistente o metafisico, s'identifica con l'essere necessario logico a cui s'aggiunga il natural suo termine: e quindi non esistono propriamente per sé due necessità, l'una logica, l'altra metafisica; ma una sola la quale ad un tempo è nella mente e in se stessa.6

L'Ente necessario è un ente che non può non essere poiché la sua non esistenza implicherebbe contraddizione. Il principio di non contraddizione è la necessità logica interpretata alla luce del rapporto che la mente istituisce tra l'esistenza di un ente e la sua possibile non esistenza. Nell'impossibilità della non-esistenza consiste in ultima analisi la necessità logica della sussistenza alla quale corrisponde nella realtà la necessità metafisica. Il rapporto tra essere necessario e essere logico consiste nel fatto che il primo ha una natura essenzialmente intelligibile. Diversamente, l'essere non sarebbe assolutamente necessario perché dipenderebbe da una mente e da un'idea diversa da sé. Nel Nuovo Saggio Rosmini pone le condizioni ideologiche e metafisiche per una dimostrazione pura dell'esistenza di Dio che si fonda sul carattere della necessità dell'essere ideale, senza con ciò risolvere tutte le difficoltà che si riscontrano in una siffatta prova. Ma non si dimentichi che il Nuovo Saggio presenta solo alcuni cenni e non un ragionamento compiuto in ogni sua parte. Inoltre nessuna dimostrazione razionale di Dio, benché debba essere rigorosamente fondata, può presentarsi sotto forma di una dimostrazione matematica. Nella Teosofia l'argomentazione si inserisce nel contesto del sintesismo teosofico, in stretto rapporto con la dialettica trascendentale integrante, via di accesso all'Essere assoluto. Il centro dell'attenzione è la necessità dell'essere o necessità metafisica da cui deriva la necessità logica.

Dal punto di vista storico e teoretico, la classica formulazione dell'argomento ontologico, che ha subito critiche e riformulazioni nella storia del pensiero medievale, moderno e contemporaneo, risale a Sant'Anselmo. Dopo aver affermato che anche l'insipiens si rende conto del significato dell'idea di Dio che è «aliquid quo maius nihil cogitari potest», Sant'Anselmo conclude:

Convincitur ergo etiam insipiens esse vel in intellectu aliquid quo nihil maius cogitari potest, quia hoc cum audit intelligit, et quidquid intelligitur in intellectu est. Et certe id quo maius cogitari nequit, non potest esse in solo intellectu. Si enim vel in solo intellectu est, potest cogitari esse in re, quod maius est. Si ergo id quo maius cogitari non potest, est in solo intellectu: id ipsum quo maius cogitari non potest, est quo maius cogitari potest. Sed certe hoc esse non potest. Existit ergo procul dubio aliquid quo maius cogitari non valet, et in intellectu et in re.7

Per S. Anselmo il passaggio dall'idea all'esistenza è legittimo solo nel caso di Dio, l'Essere di cui non si può pensare il maggiore. In base all'argomento ontologico anselmiano, osserva Rosmini, la sussistenza che si può trarre dal concetto di Dio è al massimo una sussistenza ipotetica, non una vera e reale sussistenza. San Tommaso8 aveva osservato che nell'argomento ontologico anselmiano il passaggio dall'idea di Dio alla sua esistenza extra-intellettuale era ingiustificato, a meno di non voler supporre tale esistenza, come appunto fa S. Anselmo. Riconoscendo che l'essere appartiene necessariamente all'essenza divina, San Toomaso osservava che tale appartenenza è una verità nota solo quoad se e non quoad nos.9 L'ordine ontologico non coincide con l'ordine psicologico della conoscenza umana. Infatti, l'intelletto umano è finito e limitato e non possiede nell'ordine naturale l'intuizione dell'essenza divina come è in sé. Qual è la posizione di Rosmini a tal proposito? Mentre Sant'Anselmo argomenta l'intima necessità dell'esistenza di Dio a partire dall'essenza di Dio come ciò di cui non si può pensare nulla di piú grande, Rosmini assume come punto di partenza la necessità dell'essere ideale che nell'ordine del ragionamento umano è il primo noto. «L'estraneità interiore» o «interiorità oggettiva» è data all'uomo nell'atto costitutivo dell'intuizione intellettuale immediata. Questo è il primo modo di conoscere che precede la riflessione filosofica. Rosmini non ripete in maniera pedissequa l'argomento ontologico di Anselmo, ma coglie l'aspetto di verità in esso contenuto, avendo ben presente l'istanza critica e problematica posta da San Tommaso, di cui condivide l'impostazione metodologica. Nonostante l'imperfezione dell'atto dell'intuizione intellettuale, l'essere mostra sempre in se stesso una necessità assoluta:

Necessaria è una proposizione quando la sua contraria involge contraddizione. Ora che l'essere non sia necessario involge contraddizione. Perocché se l'essere non è necessario, potrebbe non essere. Ma essere e non essere sono termini contraddittori, che non possono stare insieme. Dunque la proposizione contraria involge contraddizione. Dunque l'essere non può non essere, ossia l'essere è di sua natura necessario.10

La riflessione deduce che quell'essere identico che a noi si comunica come ideale deve avere tutto ciò che è condizione indispensabile per la sua esistenza. In fondo, la necessità dell'ente di cui parla Rosmini, è la proposizione fondamentale della scuola italiana d'Elea. Due erano le vie della ricerca secondo Parmenide: il sentiero della persuasione che conduce alla verità insegna che l'essere è e non è possibile che non sia; l'altra insegna che non è e che è necessario che non sia.11 Se si applica all'ente relativo quella proposizione che è valida solo per l'ente essenziale e assoluto, si genera il panteismo. La dimostrazione rosminiana persevera nell'ordine ideale e si configura pertanto come una dimostrazione ideale negativa. Tuttavia, il fondamento è ontologico. L'essere che è per sua natura necessario appare alla mente umana nella forma ideale che si dice anche essere possibile:

nelle proposizioni nelle quali si predica qualche cosa dell'ente, il subietto della proposizione è l'ente possibile o ideale. E infatti tali proposizioni che sono giudizi analitici, riguardano le doti e qualità proprie dell'essenza dell'ente. Ora l'essenza dell'ente è quella che s'intuisce nell'idea. La proposizione adunque, che l'essere è di natura sua necessario è una proposizione che versa intorno all'essere ideale.12

L'essere ideale è per sé noto e necessario (se l'essere non fosse necessario potrebbe non essere, il che è contraddittorio). L'essere ideale è necessario ed è il termine oggettivo della mente. Tra l'oggetto e il soggetto c'è una relazione essenziale o dianoetica, poiché non è possibile concepire l'uno senza l'altro. L'essere ideale però è termine estraneo (straniero) dell'intelligenza umana, la quale non è il principio proprio dell'oggetto ideale. Quest'ultimo è del tutto indipendente dalla mente finita e non cessa di esistere se si considera diviso da quel soggetto. Diviso dalla mente finita non potrebbe continuare ad esistere se non avesse un altro principio che non può essere di nuovo estraneo. Se così non fosse, si ripeterebbe all'infinito lo stesso ragionamento. Conviene dunque fermarsi ad un principio proprio dell'essere ideale il quale rinvia ad un'intelligenza di cui l'essere è termine proprio:

ma il termine proprio è quello nel quale l'ente è identico quale è nel principio ... Cosí in ogni atto di un subietto vi è l'identico subietto, benché in ogni atto non vi siano tutti gli altri atti. L'essere adunque è identico nel principio e nel termine proprio. Ma qui il termine è l'essere ideale, il quale ha i caratteri della necessità, della universalità, dell'eternità, dell'immutabilità, e tant'altri caratteri divini. Se l'ente considerato nel termine ha tutti questi caratteri, dunque egli dee avere i medesimi caratteri anche nel principio proprio, perché altramente non sarebbe l'ente identico. Ma il principio proprio dell'essere ideale è l'intelligenza, ossia un ente soggetto intelligente. Dunque l'intelligenza che è principio proprio dell'essere ideale dee essere anch'essa necessaria, universale, eterna, immutabile, ecc. Ma una tale intelligenza è infinita e assoluta. Dunque l'essere ideale non può stare senza un'intelligenza infinita ed assoluta.13

La mente umana riconosce con il ragionamento la sussistenza di Dio perché l'oggetto essenziale esige necessariamente un Soggetto assoluto, infinito, personale e realmente esistente. L'essere, proprio perché necessario, deve avere tutte le condizioni adeguate alla sua natura infinita, cioè la forma reale e morale. Tuttavia, rimane nella mente un concetto imperfetto di Dio poiché non sappiamo come Dio sia in sé e per sé. Ciò significa avere un concetto negativo ma vero di Dio stesso. Poiché nell'ordine naturale l'essere umano non ha una comunicazione diretta con Dio, egli deve adoperare i concetti di realtà e personalità di cui dispone grazie alle percezioni intellettuali degli altri enti finiti. Tali concetti sono sufficienti, anche se inadeguati, ad istituire la cognizione dell'essere divino per analogia. La riflessione ontologica e deontologica, ricercando quale sia la condizione di esistenza assoluta, trova la determinazione completa dell'essere nelle sue tre forme sussistenti, termini propri dell'essere. Questi termini propri dell'Essere assoluto non appaiono a noi immediatamente e intuitivamente nell'ordine della natura, come si ricava dalla sensata obiezione fatta da S. Tommaso a coloro che volevano dimostrare l'esistenza di Dio a partire dal suo concetto. Dall'intima necessità dell'essere si postula l'esistenza in sé di Dio.14

Rosmini, insomma, non argomenta dal concetto di Dio, ma dall'idea dell'essere, stabile fondamento della certezza. Per questa ragione, le critiche di San Tommaso all'argomento ontologico, non valgono nei confronti dell'essere necessario, che si dice ideale in quanto è manifesto e intelligibile.

Il primo passo dell'argomentazione rosminiana è l'essere iniziale su cui si fonda il pensiero di semplice indicazione del reale: miseria e ricchezza della cognizione umana. Non bisogna tuttavia confondere l'ordine delle cognizioni con l'ordine della realtà. Dalla necessità assoluta dell'essere ideale, Rosmini deduce la necessità assoluta dell'Intelligenza infinita, suprema ed eterna di Dio, attraverso la dialettica trascendentale. L'essere ideale è un punto fermo sul quale si appoggia la leva filosofica che conduce il ragionamento umano fuori dallo stesso essere ideale, fino alla certezza indubitabile di un soggetto reale sussistente e necessario:

pervenuti a priori nel regno della realità, varcato il ponte che unisce la possibilità colla sussistenza, non ci siamo fermati; ma siamo venuti fino a conchiudere con logica illazione che l'intelligenza che dee per necessità sussistere dee anche essere infinita, ed assoluta, e quindi esser Dio. Or fino che arguivamo un'intelligenza, non eravamo ancora usciti dalle cose che cadono sotto l'umana esperienza; poiché noi abbiamo veramente esperienza non solo di materia, di corpi, di principio sensitivo, ma ben anco d'intelligenza; ché la coscienza nostra ci attesta che siamo, noi uomini, esseri intelligenti. Ma quando poi ci slanciammo con un procedimento logico fino all'intelligenza assoluta ed infinita, allora abbandonammo intieramente col nostro volo il mondo esperimentale, e pervenimmo in una regione incognita, nella regione appunto dell'infinito. Questo è ancora ragionamento sintetico a priori, ma perché egli eccede l'esperienza, merita la denominazione ... di ragionamento dialettico trascendentale.15

La ricerca metafisica è una disposizione naturale, ma anche una scienza i cui limiti sono inerenti alla costituzione dell'intelligenza finita e dell'esperienza umana. Ridurre la metafisica all'esperienza soggettiva significa però precludersi la strada prima ancora di iniziare il cammino. La metafisica è sì esperienza del soggetto, ma è metafisica dell'essere oggettivo, fondamento stesso della soggettività finita e aurora della soggettività infinita. Il giudizio sintetico a priori o estensivo, applicato alla metafisica, consente la trascrizione logica della necessità metafisica dell'oggetto il quale rivela -- ben al di là dell'esperienza sensibile, empirica e trascendentale -- la ragione per la quale la mente umana è obbligata ad ammettere, o meglio sente l'esigenza profonda e intima e insopprimibile, di affermare l'esistenza di Dio. L'essere ideale porge all'intelligenza umana la ragione dell'essere assoluto, non nel senso che Dio abbia una ragione fuori di sé. L'essere intuito, benché separato dall'essenza divina, è un'appartenenza di Dio, è il divino nell'uomo ma non è Dio sussistente.

4. Metafisica e teologia della creazione

La prospettiva metafisica e teologica rosminiana rivela una costituzione onto-teologica. La distinzione e la reciproca integrazione di ordine naturale e ordine soprannaturale è essenziale quanto la differenza tra ente finito ed ente infinito. L'ontologia, essendo la scienza dell'essere in universale, cioè dell'essere comunissimo è una prefazione alla teologia, che tratta dell'Essere assoluto (Dio). In un frammento della Teosofia,16 riferendosi allo Ps. Dionigi, autore del libro De divinis nominibus, Rosmini afferma che la scienza divina si divide in tre parti.

  1. L'Essere Assoluto nella sua forma reale soggettiva è, nel linguaggio cristiano, il Padre che ama eternamente il Figlio e lo Spirito e da questi è amato.
  2. L'Intelligibile Eterno contenente tutte le cose o Essere Assoluto nella sua forma Oggettiva e sussistente è il Figlio o Verbo di Dio, generato e non creato, della stessa sostanza del Padre. Per mezzo di Lui tutte le cose sono state create. Egli ama eternamente il Padre e lo Spirito ed è amato dal Padre e dallo Spirito. Il mistero rivelato dell'Incarnazione, morte e resurrezione di Cristo è un evento storico che sollecita la ragione ad allargare i propri orizzonti;
  3. Lo Spirito Santo è l'Amore personale di Dio che procede dal Padre e dal Figlio, l'Amabilità pura, l'Amore eterno e l'Amato.

La creazione è opera della libertà creatrice di Dio, è un'azione libera e potente dell'Essere assoluto sussistente, Uno e Trino. L'Essere assoluto nella sua forma soggettiva ama infinitamente se stesso inteso nella sua forma oggettiva: «l'Essere ama infinitamente l'Essere. Questo amore lo porta ad amare l'essere in tutti i modi nei quali è amabile e nei quali può essere amato. Per amarlo in tutti i modi, non solo l'ama come l'Essere assoluto ed infinito, ma come essere relativo ed infinito: quest'amore è l'atto creativo».17 Dio crea un oggetto finito e amabile, cioè il mondo. Per crearlo, l'uomo suppone che Egli debba prima concepirlo sia perché il Principio creativo è Intelligenza suprema sia perché non si può amare ciò che non si intende. In secondo luogo, Egli deve realizzarlo, perché se l'oggetto dell'amore non fosse realmente in sé, non esisterebbe, ma sarebbe solo possibile e ciò che si ama nella possibilità si vuole che esista. Rosmini deduce che i due elementi, l'essenza ed il reale, sono creati dal nulla e formano gli enti che costituiscono il mondo. Nella creazione del mondo non si riscontra alcuna successione, ma tutto è fatto nell'istante dell'eternità. Tuttavia, Rosmini espone l'ordine logico delle divine operazioni come se fossero distinte e successive. Del resto, ciò è conforme al bisogno dell'intelligenza umana limitata. Sarà poi compito della riflessione purificare il discorso da tutto ciò che è imperfetto.

L'Intelligenza dell'Essere Assoluto, Soggettivo e sussistente (il Padre) intende l'Essere Assoluto Oggettivo e Sussistente (il Verbo), generato e non creato, della stessa sostanza del Padre. Inoltre, il Padre fece anche un altro atto di intelligenza con il quale liberamente astrasse dall'Essere assoluto oggettivo e sussistente (il Figlio) l'essere iniziale. La prima operazione dell'Intelligenza suprema di Dio, in riferimento all'ente finito, si può chiamare dunque astrazione divina, in analogia con quanto fa normalmente la mente umana che ha il potere di dividere un oggetto unico e indivisibile e fissa lo sguardo in uno degli elementi. L'uomo ha bisogno di questa operazione per acquistare il sapere; Dio, invece, non ha bisogno di perfezionare la sua conoscenza poiché Egli è la Sapienza eterna. Mentre l'astrazione umana spesso è un'imperfezione, in Dio si può concepire come una manifestazione della perfezione di Dio al quale non manca mai l'intelligenza dell'essere infinito. L'essere iniziale astratto non è identico all'Essere Assoluto oggettivo, ma è un prodotto della mente di Dio che crea appunto un proprio oggetto in cui sono contenuti virtualmente tutti gli enti finiti nella loro possibilità, attraverso la limitazione del proprio sguardo rivolto all'Essere assoluto oggettivo e sussistente. L'oggetto prodotto dalla mente divina è la cognizione divina dell'essere finito possibile, il fondamentale elemento della creatura, la luce che, in quanto si comunica agli uomini, si può dire creata. Questa prima creatura, l'essere iniziale non ha alcuna sussistenza, ma solo un'esistenza oggettiva relativa alla Mente di Dio. In altre parole, l'essere iniziale esiste in virtù dell'atto della Mente e davanti alla Mente. L'atto della Mente la creò questo oggetto iniziale guardando l'Oggetto assoluto e in sé sussistente, ma l'essere iniziale non è l'Oggetto assoluto in sé sussistente. L'essere iniziale è qualche cosa del Verbo divino, una sua appartenenza. Per questo, annota Rosmini, i primi principi, quorum cognitio est nobis innata, si trovano contenuti nell'intuito dell'essere e sono chiamati da S. Tommaso e da molti Padri della Chiesa «similitudine dell'increata Verità».18

Per analogia con le creature, che sono le uniche realtà che conosciamo positivamente, possiamo chiamare la seconda operazione immaginazione divina. L'Intelligenza amorosa e libera dell'Essere Assoluto nella sua forma soggettiva pensa i reali finiti:

L'Intelligenza operativa e libera di Dio si porta nell'Amabilità dell'Essere oggettivo (sussistente) ossia essenzialmente inteso, e in quest'Amabilità si porta con tutta l'infinita forza del suo amore. Si porta dunque in esso tanto con il potere necessario, quanto con il suo potere libero. Con il potere necessario si porta nell'Essere oggettivo assoluto, semplice ed indivisibile; con il potere libero si porta in tutte quelle limitazioni ... ch'ella vuole creare guidata dall'amabilità dell'essere limitato. L'istinto dell'Amore nel mare luminoso dell'Essere assoluto trova tutto ciò che è amabile anche limitato, e a questo si limita lo sguardo della Mente operante libera. Se noi vogliamo dare un nome anche a questa operazione, la potremmo chiamare immaginazione divina.19

Dio è amore che si dona e che dona l'essere, creando dal nulla gli enti ed effondendo l'amore che lega il Padre, il Figlio e lo Spirito. L'astrazione separa nell'Oggetto assoluto, considerato nella sua esistenza relazione alla Mente del Padre e non considerato nella sua esistenza in sé (che non si può mai dividere), il principio dal termine per pensare l'inizio dell'essere o essere iniziale. Invece, con l'immaginazione l'Essere assoluto nella sua forma soggettiva (il Padre) limita ossia immagina limitato il termine reale o realtà dell'universo.

Infine, per mezzo di una terza operazione, cioè la sintesi divina, Dio vede ad un tempo e crea tutta la serie e l'ordine degli esseri che formano il Mondo. Rosmini parla dell'unione dei due elementi: l'essere iniziale, inizio comune di tutti gli enti finiti, e il reale finito o, meglio, i diversi reali finiti, termini diversi dello stesso essere iniziale. Il complesso ordinato e armonico delle essenze intelligibili di tutte le cose finite, che sono viste nell'essere iniziale oggettivo, costituisce l'Esemplare del mondo. Questo complesso di idee è pesato dall'Intelligenza amorosa e libera di Dio. La Mente divina operante non solo pensa il finito, ma fa sussistere con il suo sguardo libero il reale che essa immagina limitato. In base a precise e spesso complicate distinzioni di ragione, Rosmini traccia il percorso della graduale comprensione umana della creazione del mondo che, dal punto di vista di Dio, è un atto in sé unico: «Non pretendiamo alzare il velo misterioso che copre l'atto creativo, ma solo descriverlo fin dove è concepibile all'uomo».20

In un'ontologia dinamica della creazione non si può non tener conto del rapporto tra creazione ed evoluzione del mondo e del vivente. L'evoluzione, intesa in un senso non strettamente darwinista, rende conto del movimento evolutivo dell'ente creato (l'uomo e il mondo), che seguendo le leggi naturali, manifesta anche il progetto del Creatore. Tutta la tradizione teologica cristiana, da San Paolo in poi, ha sempre riconosciuto che è possibile procedere dalla conoscenza del mondo creato all'esistenza di Dio Creatore. Il principio di causalità del mondo pone il problema e la domanda metafisica sul fine del mondo. Piuttosto che di evoluzionismo, è forse più corretto parlare di teoria delle evoluzioni e anche delle reciproche e inaspettate involuzioni o regressioni degli enti che aspirano al fine proprio, pensato nell'eternità dal Creatore. Si delinea così una metafisica della carità improntata alla concezione dell'essere come dono e atto di amore che ha in Dio la sua scaturigine e il fondamento ultimo: «Dio è amore e chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in Lui».21

5. L'assenso della fede e la libertà del filosofare

L'assenso è un atto reale e non una mera adesione nozionale. La fede è un volontario assenso all'autorità di Dio che si rivela; invece, la filosofia è una scienza che ricerca le ragioni ultime delle cose. La fede contiene verità che possono essere provate con il ragionamento naturale, ma la fede contiene anche alcune verità che superano e trascendono la ragione. La fede si fonda sull'autorità di Dio rivelante che non condanna e non esclude, ma anzi perfeziona la natura. Invece, la filosofia trae le sue ragioni unicamente dall'intima natura delle cose e dai nessi che hanno tra di loro. Dio ha creato il mondo su cui la filosofia si interroga e ha dato agli uomini la fede che è un nuova realtà su cui si rivolge il ragionamento filosofico. Questa nuova materia non distrugge la prima, ma la accresce e la completa. Rosmini indica l'armonia tra fede, natura e ragione umana, che non implica però alcuna confusione. Il riconoscimento di una legittima autonomia dei saperi non significa separazione ma armonica e sinfonica cooperazione. La fede non costituisce solo il punto di arrivo di un processo di lenta e graduale scoperta, ma è anche una fonte di realtà e verità. In questo senso, è lecito parlare di un intellectus quaerens fidem, ma anche di un intellectus fidei o fides quaerens intellectum. Emblematico è il caso delle forme dell'essere che, nonostante la loro giustificazione naturale, antropologica ed epistemologica, trovano il loro ultimo riferimento e fondamento nel dogma rivelato della Santissima Trinità. Rosmini non parla di forme dell'essere, ma di Persone sussistenti e della loro circuminsessione: Una natura e Tre Persone che vivono in comunione.

L'assenso al vero è ciò che ci mette in possesso della verità, al di fuori della quale non si dà scienza, ma solo ignoranza, dubbio, che è un'ignoranza maggiore oppure errore, che è l'ignoranza massima. Solo la verità rende l'uomo libero. La natura specifica dell'uomo consiste nella congiunzione e nella visione immediata e innata della verità oggettiva dell'essere indeterminato. Nonostante la congiunzione o connubio naturale con la verità dell'essere ideale e con il bene, l'uomo è libero perché fa sempre quello che vuole ed è responsabile delle sue azioni. Con quest'oggetto egli perfeziona se stesso, non limita la propria natura, ma accresce e potenzia il proprio essere, trovando «un'immortale dilettazione in cui si acquieta l'ardore della sua anima».22 Poiché la volontà dell'uomo è debole,

venne il Creatore in soccorso ... comunicando all'uomo di nuovo la verità, ma in misura più copiosa, in un modo più intimo, in una nuova forma più sublime, che non sia quella in cui egli la consegnò prima universalmente alla natura umana; e così la libertà dell'uomo contro alla cieca violenza de'suoi articolari e parziali istinti fu guardata e assicurata da Dio medesimo. Egli fece una grande promessa agli amici della verità: Se ascolterete le mie parole sarete miei testimoni e conoscerete la verità; e la verità vi farà liberi.23

La filosofia nasce dal desiderio umano di scoprire e contemplare la verità, «penetrarla e visitarle negli ultimi suoi recessi, dove ella più disvelata si manifesta, per ivi refrigerare la sete ardentissima, che n'ha la natura umana all'acque di una più pura e più alta sorgente».24 Sulla base del riferimento universale alla verità dell'essere, possiamo dire che non esiste vera libertà al di fuori della verità perché solo la verità ci rende liberi. La verità non è solo ideale e oggettiva, ma si è manifestata nella Persona del Verbo. Proprio il riferimento alla Verità di Cristo che salva l'uomo garantisce la libertà del filosofare nella fede. Al di là dalla problematica della filosofia cristiana, che ha suscitato un ampio dibattito negli anni '30 del Novecento, bisogna rilevare che il non credente non è disposto ad accettare proprio la verità della religione cristiana. Dal punto di vista metodologico è dunque essenziale ragionare sulla religione stessa e mostrare la ragionevolezza e la verità intrinseca della fede cristiana. Quest'ultima non limita la libertà del filosofia, ma anzi libera dagli errori e rende più facile e sicura la soluzione delle questioni filosofiche e ontologiche. Anche Sant'Agostino rileva la necessità di individuare un metodo giusto:

A ciò si applica quel che è scritto: Se desideri la sapienza, osserva i comandamenti e il Signore te la concederà (Sir 1, 33). I comandamenti sono quelli pertinenti alla giustizia. La giustizia, poi, è quella che viene dalla fede e che si muove in mezzo alle incertezze delle prove, al fine di conseguire, credendo piamente in ciò che ancora non comprende, anche il merito della comprensione. Il senso del passo della Scrittura che ho appena ricordato: Se desideri la sapienza, osserva i comandamenti e il Signore te la concederà, penso sia il medesimo di quest'altro: Se non crederete, non comprenderete (Is 7, 9), perché ci sia mostrato che la giustizia appartiene alla fede, mentre l'intelligenza alla sapienza. In quelli che ardono d'un grande amore per la verità perspicua (limpida) non si deve rimproverare questo studio (desiderio), ma richiamarlo all'ordine in modo che incominci dalla fede e con la bontà dei costumi si sforzi di arrivare dove tende», cioè alla verità, commenta Rosmini. «La virtù, in ragione dell'ambito in cui si muove, è travagliata: la sapienza, in ragione di ciò a cui tende, è luminosa. " Che bisogno c'è di credere -- dice -- a ciò che non mi si mostra chiaro? Proferisci una qualche parola, per la quale io possa vedere il principio di tutte le cose! È questo infatti ciò per cui l'animo razionale, se è desideroso del vero, massimamente e soprattutto si infiamma ". Si dovrebbe rispondere: ciò che desideri è bello, e degno in sommo grado di essere amato ... Questo ardore ti valga non a rifiutare l'ordine, ma piuttosto ad accettarlo, ché senza di esso non si può giungere a ciò che con tanto ardore si ama. Quando si sarà giunti lì, allo stesso tempo si possiederà in questo mondo non solo la bella intelligenza, ma anche la faticosa giustizia.25

I motivi della credibilità devono essere esaminate dal ragionamento e fornire le ragioni della speranza cristiana. La questione metodologica posta da Rosmini ci introduce nel circolo ermeneutico che qualifica l'intelligenza della fede. Il percorso era già stato tracciato da Agostino:

  1. Credo ut intellegam: per comprendere o meglio per entrare nel mistero di Dio è necessario avere fede.
  2. Intelligo ut credam.

Rosmini rileva il pregiudizio erroneo di quei filosofi che pretendono di assumere come cosa certa il fatto che la fede cristiana sia del tutto cieca, una credenza ingiustificata. Emerge in questo giudizio l'ignoranza della dottrina religiosa e della fede cristiana, sintomo dell'agnosticismo e del laicismo contemporaneo. È ragionevole richiamare i non credenti a questa discussione nella quale non sarà difficile dimostrare che

l'intelligenza nell'uomo cattolico precede, accompagna e sussegue la fede di maniera che la fede cattolica non va giammai scompagnata dalla luce dell'intelligenza, quando se più addentro è dato di penetrare, la fede stessa è una parte, la parte migliore di questa luce.26

Il circolo ermeneutico rosminiano si ritrova anche nella Fides et ratio: il secondo capitolo è intitolato Credo ut intelligam ed il terzo capitolo intelligo ut credam. La verità di fede non è nozionale, ma reale. Essa implica cioè un assenso alla realtà, ragion per cui si parla di esperienza di fede e non soltanto dei motivi di credibilità. Questi ultimi sono supportati da quella, cioè dalla testimonianza della vita e delle opere. Si vuole affermare l'intima connessione tra fede e opere e tra fede cristiana e pensiero. Tutto è connesso dentro l'uomo e tutto tende ad un unico fine. Bisogna tendere a questa unità e a questa sapienza integrale per riunire l'uomo così miseramente dimezzato. L'adesione alla legge morale, al bene e la pratica della virtù costituisce la vera libertà dell'uomo e la realizzazione della sapienza i cui caratteri sono l'unità e la totalità della verità e dell'amore. Il libertinaggio o libertinismo in filosofia o in morale è una pura illusione.

Rosmini riconosce la necessaria e legittima autonomia di ragione e fede, i rispettivi ambiti di competenza, ma afferma anche la necessaria integrazione che implica un rapporto circolare. Mentre Kant ha dovuto sopprimere il sapere per fare spazio alla sua fede, Rosmini ricerca le condizioni di possibilità dell'accordo sinergico di ragione e fede nell'esperienza integrale dell'uomo che è quell'ente intelligente finito che ragiona, crede e spera. Questo implica naturalmente un percorso educativo alla fede e al pensiero che non è affatto scontato, come dimostra l'emergenza educativa del nostro tempo. In Rosmini, come del resto prima di lui in Tommaso, emerge la distinzione tra ragione e fede e al contempo la necessità del loro accordo. Rosmini intende delineare una filosofia di cui possa avvalersi anche la teologia. La filosofia è amica e fedele ancella della teologia, nel senso che la filosofia, essendo la sentinella delle domande fondamentali sul senso dell'essere, è aperta alla verità rivelata di Dio. Il Vangelo «risplende al di sopra di tutti gli umani sistemi, siccome il sole a cui le nubi della terrena atmosfera non giungono ... il cielo e la terra trapasseranno, ma la Parola di Dio non passerà mai».27 La sapienza divina è in sé perfetta. Tuttavia, tra la Rivelazione e la filosofia

non può sorgere alcun dissidio, non potendo la verità essere contraria alla verità, come quella che, una e semplicissima nella sua origine, è consentanea mai sempre a se medesima; ... la filosofia, dove non i diparta dalla verità, giova alla mente dandole una naturale disposizione e una cotale preparazione rimota alla fede di cui fa sentire all'uomo la necessità; ché gli errori, le prevenzioni, i dubbi che nascono dall'imperfezione della ragione, e che frappongono altrettanti ostacoli al pieno assenso da prestare alle verità rivelate, possono e devono risolversi e dissiparsi colla ragione medesima; che la stessa Chiesa cattolica invita ed eccita i filosofi (specialmente nell'ultimo Concilio di Laterano 1512-17: la concordia della ragione con la fede; la stessa convinzione viene espressa nella costituzione dogmatica sulla fede cattolica Dei filius) a prestar quest'ufficio co'loro studi; che la rivelata dottrina non può esporsi compiutamente a modo di scienza senza supporre le verità dimostrate dal filosofico ragionamento, giacché a religione non distrugge ma perfeziona la natura, la divina rivelazione non abolisce, ma completa e sublima la ragione, e però la natura e la ragione sono i due postulati le due condizioni o pre-nozioni del Vangelo e le prime basi su cui s'innalza l'edificio della sacra Teologia.28

6. La visione filosofico-teologica della storia

Che rapporto c'è tra storia e ontologia e tra ontologia e storia? Il rapporto tra ontologia e storia è vitale per la riflessione filosofica che non voglia cadere nell'astratto razionalismo ontologista o nello storicismo. Tra questi estremi è difficile trovare un'alternativa poiché da una parte l'ontologia aspira all'universale che si innalza sulla contingenza storica, dall'altra, la storia esige un ancoraggio alla realtà e al fluire del tempo in cui siamo situati e da cui siamo attraversati. È possibile una filosofia della storia dopo la Rivelazione o non è preferibile parlare di una Teodicea? Vico insegna che la storia è scienza del vero in quanto è il factum, cioè la realtà fatta dall'uomo, anche se nella storia degli uomini e nel corso delle nazioni agisce la Provvidenza di Dio che inclina senza necessitare. Il progetto ideale eterno della Provvidenza si chiarisce con il succedere delle epoche storiche, fermo restando la libertà e la responsabilità dell'uomo. Infatti, nell'esistenza concreta e storica si esercita la libertà dell'esistenza umana protesa verso la progressiva maturazione, attraverso l'adesione al progetto ideale eterno, oppure minacciata dal fallimento a causa del tradimento della storia ideale eterna. La domanda metafisica sull'esistenza e sul senso dell'essere intreccia l'esperienza storica individuale e sociale, vale a dire il contesto fenomenologico ed ermeneutico degli uomini che vivono in relazione. In altri termini, la domanda sul senso della storia personale e sul senso della storia dell'umanità, segnata da interni e continui rivolgimenti epocali, è inerente alla condizione umana il cui fondamento è ontologico-metafisico, nonostante la reticenza della post-modernità a questo tipo di approccio:

Un atteggiamento, questo, sul quale influiscono sia una certa mentalità nichilista, che non ha più il coraggio di affrontare domande forti; sia un certo materialismo, frutto della globalizzazione economica delle democrazie occidentali, che ci rende distratti verso problemi attinenti allo spirito, quasi venissimo -- coll'inseguire certi temi -- a sottrarre tempo prezioso alla ricerca del profitto e del benessere materiale.29

Benché Rosmini elabori compiutamente la legge del sintesismo ontologico nella Teosofia, è possibile rilevare le manifestazioni incipienti del suo pensiero nelle opere precedenti: la continuità e l'approfondimento della riflessione si svolgono in piena coerenza con la prospettiva metafisica, che non impedisce la riformulazione del linguaggio nella riflessione più matura. In un frammento che contiene in nuce la dottrina delle forme dell'essere nella prospettiva di una filosofia della storia universale, Rosmini cita Bossuet e Vico per il quale la storia è il factum:

1. Forma Reale: Necessità storica come rapporto causa/effetti, che ha come rischio per eccesso il fatalismo e come base prima la Psicologia.

2. Forma Ideale: La storia dell'umanità come realizzarsi di un tipo, modello, paradigma, onde il principio che nulla vale se non le essenze realizzate. Di qui la storia divina e fatidica di Vico. La base di questo secondo approccio è offerto dalla Ideologia.

3. Forma Morale: La storia dal punto di vista del fine a cui tende (diremmo eschaton) come dinamismo ed antagonismo, cioè tensione (per esempio tra vero e falso). L'autore citato a questo proposito è Bossuet e la scienza che ne pone le basi è l'Etica.30

La priorità della forma morale dell'essere presuppone la coessenzialità e pari dignità di tutte e tre le forme dell'essere. In effetti, la moralità non è altro che la sintesi del reale e dell'ideale, la conformazione della soggettività reale all'oggettività ideale del bene conosciuto dalla mente e amato dalla volontà libera e responsabile di ogni uomo che vive nel mondo e nella storia.

L'opinione di Croce, relativa alla scarsa attitudine di Rosmini per la storia e per la politica, è confutata dall'attenzione costante riservata alla persona intesa come ente storicamente situato, in prospettiva filosofica e teologica. La vulnerabilità dell'esistenza, segnata da gioie e patimenti interiori, è assunta e redenta dal Verbo di Dio in cui è possibile cogliere tutta l'immensità de'tempi, tutta la vastità degli spazi insieme adunati, e raggiunti nella più intera e perfetta unità, pendendo ogni atomo, ogni movimento da un solo fine eternamente fisso e degno di Dio».31 La storia è il luogo concreto di questo incontro ma può essere anche il luogo in cui si concretizza il rifiuto dell'Altro e della sua trascendenza.

Tale riflessione è ampiamente sviluppata nella Teodicea, pubblicata nel 1845-46, opera della maturità che assume e integra molte riflessioni del periodo giovanile, la Storia dell'amore cavate dalle Sacre Scritture e nei Frammenti di una storia dell'empietà (1834) in cui Rosmini confuta gli errori sulla religione di Consant e di Saint Simon. Infine, la visione metafisica e teologica che qualifica l'approccio rosminiano alla storia si evince dall'autobiografia intellettuale intitolata Degli Studi dell'autore -- un saggio che appartiene alla miscellanea Introduzione alla Filosofia -- e dalla Teosofia, opera rimasta incompiuta e pubblicata postuma. Anche le Cinque piaghe della Santa Chiesa rivelano una profonda penetrazione delle dinamiche inerenti alla storia della Chiesa, che non si traduce nel puro vezzo dell'erudizione intellettuale ma sgorga dall'avvertita necessità di una riforma della comunità e della cultura cristiana.

Le questioni classiche della Teodicea, già individuate da Leibniz, vale a dire il governo di Dio sul mondo e la libertà degli uomini, l'origine del male, la distribuzione del bene e del male, la morte e la malattia, la sofferenza del giusto e dell'innocente, sono illuminati dalla Rivelazione cristiana da cui discende una Teodicea che non è razionalistica, ma si configura come teologia della storia. Il Cristianesimo è la Rivelazione di Cristo Verbo di Dio, sapienza incarnata che rivelando se stesso, rivela anche il mistero ed il senso della vita e della morte, della storia e del tempo. In questo contesto, testimoniare la carità intellettuale significa non solo promuovere l'inculturazione della fede, ma anche vivere una forma di diaconia nella storia.

Con il peccato originale l'uomo e la donna si sono allontanati da Dio, ma Egli non ha abbandonato le sue creature. Infatti, la storia della salvezza si realizza con il mistero dell'Incarnazione, morte e resurrezione di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Con l'incarnazione l'Eterno si piega nel tempo e si fa uomo per divenire via, verità e vita. Cristo è il Maestro che conduce l'uomo alla sapienza, alla verità tutta intera, cioè a Dio, Uno e Trino.

quel maestro, che Platone desiderava venisse sopra la terra, per svelare agli uomini le cose più necessarie e per arrecare loro la certezza; quel maestro, Iddio, che è ad un tempo lume, oggetto unico ed essenziale dello scibile, persona, Verbo divino, si fece carne ed apparve in mezzo agli uomini, vero uomo anch'egli senza cessar d'esser vero Dio: GESÙ Cristo ebbe nome, Salvatore, Unto di Dio. Egli insegnò a conoscere il Padre32 [...] Così l'Iddio Uno e Trino fu disgelato agli uomini: il Maestro svelò se stesso, e compì lo scibile nell'umanità. [...] (l'uomo) Si trovò improvvisamente trasportato a quel punto infinitamente distante, a cui implicitamente voleva andare: si trovò in quell'essere infinito che cercava: si trovò quivi per miracolo, non in virtù d'alcun ragionamento, ma in virtù della fede.33

Solo in Dio riposa il desiderio umano, si appaga l'inquietudine e la nostalgia dell'Assoluto. Egli dischiude l'orizzonte sapienziale della Verità e dell'Amore integrale nel sacramento del Battesimo: «Ora questo infinito reale è dato inizialmente all'uomo nel lume soprannaturale, che Iddio gratuitamente gli aggiunge: la percezione di questo lume sostanziale e sussistente è la percezione del divino Verbo; quivi il desiderio riposa, quivi l'uomo, in un cotal modo, anche nella vita presente si sazia».34

Il realismo della fede in Cristo è qui affermato con forza da Rosmini. Il Verbo, il lume soprannaturale è l'Essere reale completo, il lume sostanziale e sussistente. Che ne è della filosofia nel contesto della fede cristiana? La filosofia, espressione vitale di carità intellettuale, è un sapere virtuoso, una tensione incessante dell'uomo alla sapienza che configura la sua perfezione intellettuale e morale. Già il Teeteto di Platone aveva indicato l'essenza della sapienza nella «perfetta congiunzione della giustizia e della santità con la prudenza».35 Questa forma alta e sublime di sapienza non è mai solo scienza, ma è sempre anche «arte», ossia orientata all'azione reale, alla virtù che consiste nella bontà morale e nell'esercizio della carità. Verità e Carità sono indissolubili e irriducibili. Ciò vale non solo nella prospettiva naturale, ma anche in quella soprannaturale. Infatti, l'opera della sapienza cristiana è la carità esercitata nella verità. Nella prospettiva soprannaturale, i due elementi della sapienza configurano la dimensione escatologica:

non solo contengono la sapienza dell'uomo nella presente vita, ma altresì la beatitudine della futura: di maniera che questo riceve il discepolo da una tale scuola, d'avere in sé una sapienza, che, dopo averlo appagato in mezzo alle sofferenze presenti, e datogli una somma dignità e una somma pace in mezzo alla lotte che attorno a lui s'agitano o dalla natura in perpetui e fatali attriti, o dall'umanità in incessanti e volontari dissidi, si rivela colla morte temporale, e si cangia in eterna beatitudine.36

La vicenda storica dell'umanità è segnata da alterni periodi, corsi e ricorsi storici di vichiana memoria, in cui sembra prevalere ora l'errore e ora la verità. Testimonianza indiretta di ciò, è la rimutabilità delle rispettive forme dialettiche. Ciò avviene non in base ad una visione manichea o fatalistica, ma secondo un preciso piano della Provvidenza che inclina senza necessitare e che indica il fine senza obbligare:

E così nella storia dell'umanità è segnata una via di alterni periodi, negli uni de'quali prevalgono i sofisti, negli altri i filosofi, negli uni l'errore baldanzoso s'arroga il nome di filosofia e il comune degli uomini sorpreso dalla nuova foggia del ragionare non glielo contende; negli altri lo stesso errore rimane spoglio con ignominia di quel nome malamente usurpato, riconoscendo pressoché tutti, che in coloro, i quali prima si chiamavano filosofi, non v'era in fondo che un'ignorantissima petulanza. E questo alternare di periodi di un fallace e di un vero sapere è una di quelle molte maniere di vicende, che regolate a misura di tempo e quasi a battuta, dalla provvidenza, come fisse leggi, regolano il corso dell'umanità sulla terra, e uscendo dal male il trionfo del bene, rendono quel corso, quasi contemperato di varie note, una cotal musica dilettevole al divin intelletto.37

La Provvidenza non violenta le potenze e la volontà, ma «presiede allo sviluppo dell'umanità e con infallibile effetto l'ottiene, sia permettendo il male, che lo provoca quasi stimolo, sia producendo ed operando quel bene che lo compie».38 Come scrisse efficacemente Manzoni nel capolavoro I Promessi Sposi, Dio non toglie mai la gioia ai suoi figli se non per prepararne loro una più grande. Dio permette (ma non produce, non essendone lui la causa) i mali; allo stesso tempo, Egli riesce a trarre dal male il trionfo del bene. È questo il modo misterioso di agire della Provvidenza, che dirige l'umanità verso il bene rispettando la libertà di ogni uomo. L'errore non annienta l'amore dell'uomo per la verità. Infatti, esso non potrebbe conquistare e abbagliare la mente degli uomini se non si «ammantasse» con il vestito della verità alla quale rende indirettamente testimonianza. I sofisti negano l'esistenza di una verità assoluta e oggettiva, ma ciò induce gli ingegni che amano la verità ad abbandonare la loro naturale mitezza e a rintracciare la verità sotto i veli dell'errore. Tale è l'eterogenesi dei fini nella storia di cui parla anche Vico.

7. Il problema del male

Se Dio è il Sommo bene, perché esiste il male, l'ingiustizia e l'aberrante e tragica esperienza del dolore innocente e della sofferenza del giusto? Rosmini non resta indifferente all'immane potenza del negativo, ma è profondamente convinto del trionfo del bene e della verità. L'uomo possiede una conoscenza amativa del vero. Nell'accezione rosminiana il male è privatio boni dediti, è il frutto della scelta libera dell'uomo che è responsabile delle sua azioni e delle sue omissioni. Perciò, la causa del male non è Dio. Rosmini descrive inoltre il ritrarsi di Dio dalla natura a causa dell'irruzione del peccato originale, «germe di disordine e di corruzione che contagia l'uomo, la natura e la storia, propagandovi il male morale e temporale».39 Nella mentalità veterotestamentaria era diffusa la convinzione che il male fisico fosse la conseguenza dei peccati commessi, sulla base di un concetto di giustizia distributiva: il benessere e la felicità erano il premio che Dio assegnava ai giusti, mentre la sofferenza ed il dolore erano la punizione inflitta agli ingiusti. Ci chiediamo ora: perché coloro che commettono ingiustizie sembrano trionfare e gli ingiusti sembrano perire? Nel libro di Giobbe, il giusto subisce catastrofi personali e familiari, la sua vita e la sua fiducia in Dio è messo a dura prova. La sofferenza però non è la risposta ai peccati di un uomo, quanto piuttosto il luogo della prova, segnata dal carattere umano della protesta contro Dio e dalla pazienza di Giobbe che è sinonimo dell'attesa di Dio e della sua redenzione:

Non v'ha un solo male nell'universo, onde una sapienza infinita non cavi dei beni.40

In ultima analisi, la risposta al problema del male e della morte proviene dal mistero incarnato e rivelato del Verbo di Dio, Logos del cosmo e della storia e perciò Redentore del cosmo e della storia. La giustizia di Dio non è altro che la sua misericordia infinita. Non si tratta di un ossimoro, ma del mistero incontenibile dell'amore di Dio.

Copyright © 2009 Silvio Spiri

Silvio Spiri. «Metafisica, teologia e storia nel pensiero di Antonio Rosmini». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno, Parma 20-21 marzo 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [77 KB].

Note

  1. Teosofia, vol. 12 dell'enc, p. 75. Testo

  2. Id., nota c Testo dell'intero f. 25 v cancellato; p. 79. Testo

  3. L'idea della sapienza, in Introduzione alla filosofia, vol. 2 dell'enc, p. 129. Testo

  4. Teosofia, vol. 15 dell'enc, p. 492. Testo

  5. Nuovo Saggio sull'origine delle idee, vol. 5 dell'enc, pp. 315-318; Rinnovamento della filosofia in Italia del Conte Terenzio Mamiani della Rovere esaminato da Antonio Rosmini Serbati a dichiarazione e conferma della Teoria Ideologica esposta nel «Nuovo Saggio sull'Origine delle Idee», cit., p. 493: dimostrazione a priori dell'esistenza di Dio. Testo

  6. Id., p. 318. Testo

  7. Sancti Anselmi Proslogium seu Alloquium de Dei existentia, in j.p. migne, Patrologiae Latinae tomus CLVIII, Parisiis 1853, 228A; cfr. anche S. Anselmi Cantuariensis Episcopi Opera Omnia, ad fidem codicum recensuit Franciscus Salesius Schmitt O. S. B., Vol. I, Th. Nelson, Edimburgh 1956: «Convincitur ergo etiam insipiens esse vel in intellectu aliquid, quo nihil majus cogitari potest; quia hoc cum audit, intelligit; et quidquid intelligitur, in intellectu est. Et certe id, quo majus cogitari nequit, non potest esse in intellectu solo. Si enim vel in solo intellectu est, potest cogitari esse in re, quod majus est. Si ergo id quo majus cogitari non potest, est in solo intellectu, id ipsum, quo majus cogitari non potest, est quo majus cogitari potest: sed certe hoc esse non potest. Existit ergo procul dubio aliquid, quo maius cogitari non valet, et in intellectu, et in re». Cfr. S. Anselmi, Cantuariensis episcopi Opera Omnia, ad fidem codicum recensuit Franciscus Salesius Schmitt O. S. B., Vol. I, Th. Nelson, Edimburgh 1956, pp. 101-102. Testo

  8. Sancti Thomae Aquinatis Doctoris Angelici / Opera omnia / iussu impensaque Leonis XIII P. M. edita / Tomus Quartus / Prima Pars Summae Theologiae / A quaestione I ad quaestiones XLIX / Ad codices Manuscriptos Vaticanos exacta / Cum commentariis Thomae De Vio Caietani Ordinis Praedicatorum S. R. E. Cardinalis / cura et studio Fratrum eiusdem ordinis / Romae / Ex Typographia Polyglotta / S. C. De Propaganda Fide / mdccclxxxviii, Quaestio ii, art. i, ad 2 m; cit. in Teosofia, vol. 16 dell'enc, p. 172: «Ad secundum dicendum quod forte ille qui audit hoc nomen Deus, non intelligit significari aliquid quo maius cogitari non possit, cum quidam crediderint Deum esse corpus. Dato etiam quod quilibet intelligat hoc nomine Deus significari hoc quod dicitur, scilicet illud quo maius cogitari non potest; non tamen propter hoc sequitur quod intelligat id quod significatur per nomen, esse in rerum natura; sed in apprehensione intellectus tantum. Nec potest argui quod sit in re, nisi daretur quod sit in re aliquid quo maius cogitari non potest, quod non est datum a ponentibus Deum non esse» «Dato anche che ciascuno intenda con questo nome Dio, significarsi ciò di cui nulla si può pensare maggiore, tuttavia indi non segue che ciò che viene significato dal nome sia nella natura delle cose; ma segue solo che sia nell'apprensione dell'intelletto. Né si può arguire che sia in realtà, se prima non si conceda che in realtà vi sia qualche cosa di cui nulla si può pensare maggiore; il che non si concede da quelli che pongono Iddio non essere». Cfr. anche sancti thomae aquinatis doctoris angelici / Opera omnia / iussu edita Leonis XIII P. M. / Tomus decimus tertius / Summa Contra Gentiles / Ad codices Manuscriptos praesertim Sancti Doctoris Autographum exacta et Summo Pontifici Benedicto XV dedicata / Cum commentariis Francisci De Sylvestrys Ferrariensis / cura et studio Fratrum Praedicatorum / Romae / Typis Riccardi Garroni / MCMXVIII, Liber primus, capitulum 11: «Non enim inconveniens est, quolibet dato vel in re vel in intellectu, aliquid maius cogitari posse, nisi ei qui concedit esse aliquid, quo maius cogitari non possit, in rerum natura». Inoltre nel Commento alle sentenze, S. Tommaso critica l'argomento del Proslogion: «Ad quartum dicendum, quod ratio Anselmi ita intelligenda est. Postquam intelligimus Deum, non potest intelligi quod sit Deus, et possit cogitari non esse; sed tamen ex hoc non sequitur quod aliquis non possit negare vel cogitare, Deum non esse; potest enim cogitare nihil hujusmodi esse quo majus cogitari non possit; et ideo ratio sua procedit ex hac suppositione, quod supponatur aliquid esse quo majus cogitari non potest». s. tommaso, Scriptum super Sententiis, d. 3, q. 1, a. 2, ad 4. Posta l'esistenza di Dio, S. Anselmo intende dimostrare che è contraddittoria e addirittura impensabile la sua non esistenza. S. Tommaso rileva tuttavia che l'argomento del Proslogion procede «ex hac suppositione, quod supponatur aliquid esse quo maius cogitari non potest». Testo

  9. Sancti Thomae Aquinatis Doctoris Angelici / Opera omnia / iussu edita Leonis XIII P. M. / Tomus decimus tertius / Summa Contra Gentiles / Ad codices Manuscriptos praesertim Sancti Doctoris Autographum exacta et Summo Pontifici Benedicto XV dedicata / Cum commentariis Francisci De Sylvestrys Ferrariensis / cura et studio Fratrum Praedicatorum / Romae / Typis Riccardi Garroni / MCMXVIII, Liber primus, capitulum 11. L'essere appartiene necessariamente all'essenza divina, ma tale appartenenza, è una verità nota solo quoad se e non quoad nos. Testo

  10. Teosofia, vol. 16 dell'enc, p. 170. Testo

  11. Parmenide, Poema sulla natura, fr. 2; cir. in Teosofia, vol. 16 dell'enc, p. 171. Testo

  12. Teosofia, vol. 16 dell'enc, p. 171. Testo

  13. Id., p. 175. Testo

  14. Teosofia, vol. 12 dell'enc, p. 312-313; p. 391; Teosofia, vol. 16 dell'enc, pp. 171-172; Teosofia, vol. 15 dell'enc, pp. 416-417. Assai significativa e sintetica mi pare questa formulazione rosminiana: «L'essere ... che ci splende innanzi se dicesi ideale e manifestante in quant'è oggettivo, mostra dover esser soggettivo in quant'è egli stesso manifestato; ma non dimostra già la sua stessa soggettività, ma la necessità universale che ogni ente, acciocché sia ente sia (s)oggettivo. Onde noi argomentiamo «L'essere ideale è necessario, eterno, illimitato ... Dunque v'ha un essere reale necessario, eterno, illimitato ec.» il quale è Dio». Teosofia, vol. 15 dell'enc, p. 417. Testo

  15. Teosofia, vol. 16 dell'enc, pp. 177. Sulla distinzione kantiana tra giudizi sintetici e analitici e, conseguentemente, sulla questione dei giudizi primitivi di esistenza o giudizi sintetici a priori, cfr. Nuovo Saggio sull'origine delle idee, vol. 3 dell'enc, pp. 426-427. Rosmini dopo aver affermato con Kant che pensare è giudicare, prende le distanze da Kant allorché riconoscendo nell'intuizione intellettuale dell'essere la condizione necessaria di ogni giudizio e di ragionamento. Testo

  16. Teosofia, vol. 17 dell'enc, p. 193. Testo

  17. Teosofia, vol. 12 dell'enc, pp. 425-426 Testo

  18. San Tommaso d'Aquino, De Veritate, q. X, VI, ad 6m. Testo

  19. A. Rosmini, Teosofia, vol. 12 dell'enc, p. 429. Testo

  20. Id., p. 430. Testo

  21. 1 Gv 4,16. Testo

  22. A. Rosmini, if, p. 57. Testo

  23. Id., p. 58. Testo

  24. Ibidem. Testo

  25. Sant'Agostino, Contro Fausto manicheo, libro XXII, 53; cit. in a. rosmini, IF, par. 29, p. 61. Testo

  26. A. Rosmini, Introduzione alla filosofia, p. 61. Testo

  27. Id., p. 40. Testo

  28. IF, pp. 40-41. Testo

  29. A. Muratori, in «Cristianesimo senza Teodicea?», V corso dei «Simposi Rosminiani», Centro Studi Rosminiani, Stresa, 25-28 agosto 2004, « Rivista Rosminiana», fascicolo II-III, aprile-settembre 2005. Testo

  30. N. Galantino -- G. Lorizio, Sapere l'uomo e la storia. Interpretazioni rosminiane, San Paolo, 1998, pp. 109-110. Cfr. a. rosmini, Storia dell'umanità, schizzo inedito. Missione provvidenziale dei popoli nello spazio e nel tempo, in «Rivista Rosminiana», 1 (1906), pp. 1-2. Testo

  31. A. Rosmini, Teodicea, a cura di U. Muratore, Città Nuova, Roma 1977, n. 61. Testo

  32. Id., p. 159. Testo

  33. Id., p. 160. Testo

  34. Id., p.156-157. Testo

  35. Id., p. 118. Testo

  36. Id., p. 191. Testo

  37. Id., p. 19. Testo

  38. Id., p. 20. Testo

  39. N. Galantino -- G. Lorizio, Sapere l'uomo e la storia, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, p. 109. Testo

  40. A. Rosmini, Teodicea, n. 611. Testo

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