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L'homousion nello pseudo-fulgenziano Liber de Trinitate: fondamenti scritturistici e ascendenze patristiche

di Rocco Schembra (Roma, 26-28 maggio 2011)

Nella complessa definizione del dogma trinitario in epoca patristica e in area occidentale,1 oltre alle più notevoli operazioni di sintesi, quali quelle di Mario Vittorino,2 Ilario di Poitiers3 o di Agostino,4 non vanno dimenticate altre figure, di certo meno originali e di spessore infinitamente minore, ma che tuttavia contribuiscono a dimostrare quanto sentita fosse l'esigenza di indottrinare su tale verità di fede, che risulta tra le più caratterizzanti, ma anche tra le più complesse e sfuggenti, della religione cristiana. Tale indottrinamento ha sovente trovato forma nella compilazione di florilegi,5 un genere letterario cristiano che comincia a manifestarsi già a partire dal III sec. Prima di entrare nel vivo della nostra discussione, che consisterà nell'analizzare nel dettaglio uno di questi florilegi, ossia lo pseudo-fulgenziano Liber de Trinitate, sarà bene spendere qualche parola su questo genere.

Per florilegio, com'è noto, si intende una raccolta di excerpta, ossia di estratti dalle opere di uno o più autori. Esso non va confuso né con le antologie, perché queste ultime sono una selezione di opere intere; né con le catene, che sono una successione di passi dei Padri tutti inerenti ad un medesimo passo biblico e volti a formare un unico commentario; né ancora con gli omiliari, che sono libri di sermoni da utilizzare durante l'anno liturgico. All'interno del genere va fatta un'ulteriore distinzione tra: florilegi biblici, ossia composti di estratti di passi scritturistici, che, abbastanza diffusi nel tardoantico, vedranno diminuire la loro importanza nel Medioevo; florilegi esegetici o patristici puri, che consistono nella selezione di brani di un unico scrittore (come tanti ce n'erano, ad esempio, di Agostino, ma si pensi anche alla Filocalia di Origene a cura di Basilio e Gregorio di Nazianzo); florilegi misti, che nascono dall'accostamento di passi di diversi autori per aderenze soprattutto tematiche, uniti anche a citazioni bibliche. Il più antico florilegio cristiano latino, com'è noto, sono i Testimonia ad Quirinum di Cipriano,6 ma ad esso ne seguirono altri in età tardoantica, tra cui mette conto di ricordare: i Testimonia di Pelagio, purtroppo perduti per via del loro contenuto eretico;7 i Canones di Priscilliano,8 di cui possediamo una versione emendata ad opera del vescovo spagnolo Peregrinus; la Concordia Epistularum Pauli,9 opera sicuramente di un pelagiano; il Liber de diuinis Scripturis;10 e infine il Pro fide catholica aduersus Pintam episcopum arianum dello pseudo-Fulgenzio, che è l'operetta di cui ci occuperemo noi e che nella più recente edizione reca il titolo di de Trinitate.11 Con quest'ultima presenta grandi affinità un florilegio tramandatoci anonimo da un codex unicus, il Fuldensis Bonifatianus 2,12 sec. VIII, ff. 47v-53v, e il cui titolo è Testimonia de Patre et Filio et Spiritu Sancto, la cui editio princeps è stata curata dal De Bruyne.13 Le motivazioni per le quali venivano allestiti tali florilegi erano varie, ma le più significative erano certamente tre: la prima, e la più importante, era legata alla controversistica teologica che animava i gruppi di cristiani dell'epoca e che stava alla base dell'opposizione tra eretici e ortodossi, che si rifacevano entrambi all'auctoritas della Scrittura o dei Padri per difendere le loro tesi;14 la seconda era di natura dogmatica, e dunque si prefissava come obiettivo l'insegnamento e l'indottrinamento, e la sua più naturale destinazione erano le comunità monastiche; la terza, infine, anch'essa verosimilmente per i medesimi destinatari, era di natura morale, in quanto dalla Parola di Dio si estraevano numerosi moniti e raccomandazioni.

Tra i vari Testimonia relativi al dogma trinitario ci soffermeremo, come abbiamo già detto, su quello che, nell'ultima edizione, a cura del Fraipont (CChSL 90) del 1961, viene intitolato de Trinitate e sulla cui paternità si omette da parte nostra ogni azzardato giudizio. In effetti, nell'editio princeps, risalente al 1649,15 a cura di Pierre-François Chifflet,16 gesuita francese, l'operetta, pubblicata assieme alle opere del diacono Ferrandus, veniva attribuita a Fulgenzio di Ruspe, ma già il Sirmond nella sua Opera uaria del 169617 ne avrebbe contestato l'attribuzione. La tappa successiva negli studi, invero assai esigui, sul de Trinitate va rintracciata nel già citato lavoro del De Bruyne del 1930, il quale riconosce all'opera la natura di florilegio e dice che essa «n'est autre chose qu'un recueil dogmatique de Testimonia en cinq chapitres, auquel le pseudo-Fulgence a ajouté une préface et quelques remarques».18 Niente a che vedere, dunque, con il vescovo nordafricano di Ruspe e con le sue dispute teologiche all'epoca in cui era re dei Vandali Trasamondo, il quale, pur non ricorrendo a metodi violenti, aveva attuato una politica vessatoria ai danni dei cristiani, soprattutto mediante la pena dell'esilio. Fulgenzio, com'è noto, aveva replicato ai Dicta Regis Trasamundi con un'opera dal titolo Responsiones, che confutava tutte le false argomentazioni del monarca; e ancora, ad un'altra opera del sovrano redatta per mettere in difficoltà il vescovo, egli aveva risposto con la celebre Ad Trasamundum regem, scritto così ricco di sapienza teologica e di dottrina che Trasamondo non osò più replicare. Al posto del re, però, prese la parola uno dei suoi falsi vescovi, di nome Pinta,19 cui Fulgenzio rispose con l'Aduersus Pintam, opera purtroppo andata perduta e con la quale non va assolutamente confuso il nostro de Trinitate, nell'editio princeps appunto erroneamente intitolato Pro fide catholica aduersus Pintam episcopum arianum. Lo stesso De Bruyne aveva riconosciuto: l'area di provenienza dell'opera, individuandola come nordafricana, visti l'innegabile filiazione da Agostino e alcuni riferimenti alle persecuzioni dei cattolici contro i donatisti e dei Vandali contro i cattolici; nonché il periodo di composizione, da lui circoscritto al V sec. Inequivocabile risulta infine la natura ortodossa dell'opera, che è stata scritta in evidente prospettiva antiariana. Ancora il De Bruyne discute in maniera esaustiva circa le affinità tra il nostro testo e gli anonimi Testimonia tramandatici dal già citato Bonifatianus 2 di Fulda, arrivando alla conclusione che lo pseudo-Fulgenzio non deriverebbe direttamente da questo, né da un onciale dell'VIII sec., purtroppo deperditus, il Sessorianus 77, che oggi corrisponde al ms. 2107 della Biblioteca Vittorio Emanuele di Torino, di cui sopravvivono soltanto l'indice e gli scritti di Eucherio di Lione, mentre la parte relativa al florilegio è andata perduta.20 L'opinione del De Bruyne è, invece, che il de Trinitate deriverebbe da un florilegio assai simile ai Testimonia da lui editi per la prima volta e mostrerebbe un testo corretto sulla Vulgata.

Noi ci baseremo per le nostre considerazioni sull'edizione di Fraipont per il Corpus Christianorum edita nel 1961.21 Essa ci presenta un testo articolato nelle seguenti sezioni: ad un'introduzione, priva di un titolo specifico che non sia quello dell'opera intera, ossia Incerti auctoris Liber de Trinitate, seguono cinque capitoli di Testimonia, il primo de uno Deo, il secondo de aequalitate Patris et Filii, il terzo de Filii deitate, il quarto de Trinitate, il quinto de Spiritu Sancto quia Deus est. Essi sono poi seguiti da una parte conclusiva che reca il titolo di Fides Catholica. Iniziamo soffermandoci sulla parte introduttiva:

Catholicae fidei fidissimum fundamentum post Christum apostolos esse, certa fidei testatur integritas. quam rationem, ipsa forsitan praedicatione cessante, occulta nescio quae operatio spiritus sancti in mentibus fidelium seminat atque insinuat. quis tam bene credentium ignorat quia haereses omnes de catholica ecclesia exierunt, tamquam sarmenta inutilia de uite proiecta? ipsa autem manet in radice sua, in uite sua, in caritate sua. Portae inferorum non praeualebunt aduersus eam. ecclesia una, ecclesia uera, ecclesia catholica, contra omnes haereses pugnans, pugnare potest, expugnari non potest.22

Tale incipit, com'è possibile verificare agevolmente, si struttura su tre idee, che pongono i presupposti per lo svolgimento del tema centrale, che è appunto la dimostrazione dell'errore dell'arianesimo. Esse sono: 1) il concetto di traditio apostolica, secondo il quale, com'è noto, la "Grande Chiesa", ossia quella in origine costituita dagli apostoli, tanto quelli di Gerusalemme, quanto quelli legati a Paolo, è l'unica a derivare direttamente da Cristo e dal suo insegnamento; 2) il concetto secondo cui tutte le devianze dalla fede cattolica, ovvero le eresie, sono paragonabili a dei tralci inutili gettati via dalla vite; 3) infine il concetto, che è ovvia derivazione dei due precedenti, secondo il quale la Chiesa, che è unica, vera e cattolica, ossia universale, non può e non potrà mai essere espugnata. Questi tre assi portanti del brano in questione trovano considerevoli corrispondenze con alcuni brani di Agostino, il quale, come avremo modo di vedere più volte nel corso di questo contributo, rappresenta il modello ispiratore del nostro anonimo e di quest'ultimo sembra confermare la provenienza africana. E infatti, relativamente al primo tema, che è d'altra parte una evidente derivazione da 1 Cor 3. 11,23 si trova un certo punto di contatto con Aug. enchir. 1. 5, all'interno del quale è citato proprio il passo paolino: certum uero propriumque fidei catholicae fundamentum christus est: 'fundamentum enim aliud', ait apostolus, 'nemo potest ponere praeter id quod positum est, quod est christus iesus'.24 Anche il confronto istituito tra le eresie e i tralci di vite ritenuti inutili e dunque gettati via trova un riferimento in alcuni passi del vescovo di Ippona. Tra questi ce ne sono alcuni specificamente incentrati su questo tema, come Aug. in epist. Ioh. 2. 2: interea cum omnes tenet, aliqua sarmenta inutilia uisa sunt agricolae praecidenda, et fecerunt haereses et scismata.25 Per una migliore comprensione del brano, lo si consideri nella sua interezza e si vedrà come la scarna, ma pur essenziale, affermazione del de Trinitate, sia una sua diretta emanazione:

Nemo dubitet de Ecclesia, quia per omnes gentes est; nemo dubitet, quia ab Ierusalem coepit, et omnes gentes implevit. Agnoscimus agrum ubi vitis plantata est: cum autem creverit, non agnoscimus, quia totum occupavit. Unde coepit? Ab Ierusalem. Quo pervenit? Ad omnes gentes. Paucae remanserunt, omnes tenebit. Interea dum omnes tenet, aliqua sarmenta inutilia visa sunt agricolae praecidenda; et fecerunt haereses et schismata. Non vos inducant praecisa, ut praecidamini; hortamini magis quae praecisa sunt, ut iterum inserantur.26

L'anonimo autore del de Trinitate avrà anche avuto presente un altro brano agostiniano, che, benché si riferisca non ad un'eresia trinitaria, ma allo scisma dei donatisti, tuttavia adotta la stessa immagine secondo la quale gli eretici vengono paragonati a dei ramoscelli staccati, immagine che potrebbe essere a sua volta l'eco di qualche passo scritturistico, come Is 18. 527 e Rm 11. 17-19.28 Si tratta di Aug. epist. 185, 57. 8:

sic ergo catholica mater bellantibus aduersus eam quid aliud quam filiis suis, quia utique ex ipsa magna arbore, quae ramorum suorum porrectione toto orbe diffunditur, iste in africa ramusculus fractus est, cum eos caritate parturiat, ut redeant ad radicem, sine qua ueram uitam habere non possunt, si aliquorum perditione tam multos ceteros colligit, praesertim quia isti non sicut absalon casu bellico sed spontaneo magis interitu pereunt, dolorem materni cordis lenit et sanat tantorum liberatione populorum.29

Ma non c'è dubbio che il passo del vescovo di Ippona che ha avuto maggiore peso nell'allestimento dell'incipit del de Trinitate è in realtà Aug. symb. 6, in quanto in esso si trovano congiunti tanto il tema di cui stiamo adesso discutendo, ossia il paragone degli eretici a ramoscelli staccati, quanto il terzo tema che vi abbiamo individuato, ossia la definizione della natura della Chiesa, espressa mediante la triplice aggettivazione una, uera e catholica, il che è garanzia di verità circa i pronunciamenti di fede in ambito dogmatico. Questo le permette di essere trionfalmente pugnans contro tutti gli eretici, e dunque, si legge tra le righe, anche contro gli ariani, per confutare i quali il florilegio è confezionato. Il passo agostiniano recita come segue:

ipsa est ecclesia sancta, ecclesia una, ecclesia uera, ecclesia catholica, contra omnes haereses pugnans: pugnare potest, expugnari tamen non potest. haereses omnes de illa exierunt, tamquam sarmenta inutilia de uite praecisa, ipsa autem manet in radice sua, in uite sua, in caritate sua. portae inferorum non uincent eam.30

A parte la rimozione dell'aggettivo sancta tra quelli attribuiti alla Chiesa, e l'inversione delle due parti che costituiscono il brano, per il resto siamo realmente davanti a un esempio di tecnica centonaria, che poi era quella su cui si basava la composizione di tali florilegi perché fondati sull'auctoritas dei Padri. Ci sono ancora altri passi di Agostino in cui è presente il tricolon aggettivale in riferimento alla Chiesa nell'ordine esatto in cui si presenta anche nel de Trinitate. Essi sono, solo per citarne alcuni, Aug. serm. 4. 32: omnis spiritalis uidet quia ecclesia per totum orbem terrarum est una, uera, catholica;31 o ancora Aug. pat. 28: ... ad dei filios pertinere, qui sunt corpus christi et membra, id est ecclesia dei una, uera, germana, catholica, tenens piam fidem.32

Entriamo adesso nel vivo della nostra discussione, che trae alimento dall'analisi degli snodi concettuali più importanti del par. 2 del de Trinitate, in cui l'anonimo si sofferma a discutere sull'homousion, del quale intende provare la fondatezza scritturistica. Com'è noto, infatti, una delle accuse più ricorrenti mosse ai niceni era quella secondo la quale il concetto di consustanzialità da loro tanto difeso era espresso con un termine, homousion appunto, che non trovava corrispondenza nella Bibbia. L'anonimo compilatore comincia col dire che sono proprio gli ariani che adoperano il termine homousiani ovvero unisubstantiani per attaccare i loro avversari: Verum quia quidam, proprio spiritu actus, eius fidei cultores homousianos uel unisubstantianos uocandos esse praesumpsit, eius imperitiae respondendum.33 Anche questa affermazione è tolta dall'ipponate, come si può leggere in Aug. c. Iul. op. imperf. 1. 75: Athanasianos vel Homousianos Ariani Catholicos vocant, non et alii haeretici.34 E tuttavia, come spesso accade, chi era intenzionato a fare del male, vede convertire quest'ultimo in bene per volontà divina, esattamente come il sommo sacerdote Caifa -- ci ricorda l'anonimo anche in questo caso attingendo ad Agostino35 -- il quale in Io 18. 14, allorché Gesù fu condotto al suo cospetto perché su di lui egli esprimesse la condanna, pronunciò la famosa frase: «È meglio che un uomo solo muoia per il popolo», espressione con la quale egli predisse la redenzione degli uomini. Tuttavia, argomenta ancora l'autore del nostro florilegio, proprio il termine homousios è stato fondamentalmente frainteso dagli ariani in almeno due aspetti rilevanti. Il primo consiste nel fatto che, a differenza di quanto ritenevano gli eretici, tale parola non è vero che non ha fondamento scritturistico, ma sarebbe addirittura l'esatto corrispondente della celebre pericope di Io 10. 30: «Io e il Padre siamo una cosa sola», in quanto al verbo sumus (= siamo) fa riferimento ousia (= essenza), ad unum (= una cosa sola) fa riferimento homos. Quest'ultima affermazione, in realtà, è un po' una forzatura, visto che, com'è noto, homos significa più esattamente «lo stesso» e non «uno solo». Eppure, solo per fare un esempio, tale passaggio linguistico si trovava già in Lucifero di Cagliari e precisamente in Lucif. non parc. 18. 20 Diercks, in cui il termine greco homousios all'interno del simbolo niceno viene tradotto in latino con l'espressione unius substantiae cum patre.36 Ritornando dunque alla pericope giovannea (Ego et pater unum sumus), lo pseudo-Fulgenzio ne mette in rilievo tutta la valenza antieretica, addirittura in duplice prospettiva e comunque sempre in difesa del dogma della Trinità. Con l'uso del plurale sumus, infatti, l'evangelista ha previsto di contrastare il modalismo sabelliano, testimoniando l'esistenza delle tre persone della Trinità; con l'espressione unum ha creato i presupposti per sconfiggere l'arianesimo, evitando che il Figlio venisse considerato una creatura e dunque inferiore al Padre. Il versetto giovanneo, così centrale nell'analisi dell'anonimo, è una chiara derivazione agostiniana, in quanto proprio in quel grande capolavoro dell'ipponate che è il de Trinitate più volte egli ricorre a questo passo scritturistico per sostenere le proprie argomentazioni.37

Il secondo motivo di fraintendimento del termine homousios da parte degli ariani, secondo il nostro compilatore, consiste nel fatto che gli eretici erroneamente accusano gli ortodossi come se homousiani significasse seguaci di un uomo in particolare, il capo di una setta, così come, ad esempio i Simoniani traggono il loro nome da Simone, i Menandriani da Menandro, i Marcioniti da Marcione, i Valentiniani da Valente, i Manichei da Mani e ancora i Sabelliani da Sabellio, gli Ariani da Ario, gli Eunomiani da Eunomio etc. Ma sono proprio le stesse parole giovannee, quelle cui prima facevamo riferimento (ego et pater unum sumus), che inchiodano la falsità delle affermazioni di costoro. Non un uomo qualunque, ancorché ispirato, né un settario o un eretico danno il nome agli homousiani, ma lo stesso Padre e lo stesso Figlio della Trinità, che, in quanto unum secondo il fondamento biblico, motivano l'espressione nicena. Non possiamo anche in questo caso non ricordare che esiste un altro passo agostiniano, appartenente all'opera già più volte citata, ossia l'Opus imperfectum contra Iulianum, in cui viene esattamente affrontata la medesima tematica di cui abbiamo appena discusso e che abbiamo riscontrato nel de Trinitate, ossia il fatto che il termine homousiani non fa riferimento e non trae il suo nome da quello di un uomo. Il passo in questione, che per l'esattezza è Aug. c. Iul. op. imperf. 1. 76, recita come segue:

Nam cum proponerent Ariani, qui rerum ea tempestate potiebantur, Homousion sequi uultis, aut Christum? Responderunt continuo, quasi in nomen religiosi, Christum se sequi; homousion repudiauere; atque ita exeunt gestientes, uelut qui Christo crederent, quem iam negauerant, homousion, id est unius cum Patre substantiae, denegando.38

Omettendo la discussione sui testimonia, che certo costituiscono il nucleo centrale del florilegio, ma che null'altro sono se non una successione di citazioni scritturistiche vetero e neotestamentarie volte a suffragare il dogma trinitario, passiamo direttamente alla conclusione dell'opera, che reca il titolo di fides catholica e che esprime, pur con parole non sue, la concezione dell'anonimo sulla Trinità. Dicevo con parole non sue, perché in effetti tutta questa parte finale null'altro è se non un centone, che accosta, senza modifica alcuna, parti tratte dall'omelia de fide di Basilio nella traduzione di Rufino, dal contra Maximum di Agostino, dal de Trinitate di Agostino, dall'orazione de pentecoste di Gregorio di Nazianzo nella traduzione di Rufino e ancora dal contra Maximum di Agostino. In questa sede cercheremo di tracciare il profilo del pensiero teologico dell'anonimo, perché è chiaro che la scelta antologica da lui operata all'interno delle opere dei Padri su citati deve inevitabilmente coincidere con il suo pensiero, o quanto meno da lui essere condivisa. Il punto di partenza è il ricorso alla teologia apofatica nella definizione della Trinità che, dunque, può essere solo espressa per uiam negationis.39 Così si esprime lo pseudo-Fulgenzio, saccheggiando Rufino traduttore di Basilio: ineffabilem illam diuinitatis substantiam uel natura, humanis uerbis exprimere impossibile est. E della Trinità elenca le caratteristiche di inalterabilità, immutabilità, impassibilità, purezza, indivisibilità, ineguagliabilità, virtù, grandezza infinita, gloria invisibile, bontà e grazia; caratteristiche, però, che egli afferma non è possibile descrivere compiutamente. Alla definizione icastica della Trinità (ibi est pater et filius et spiritus sanctus) fa seguire il riferimento alla sua natura increata, l'unica tale, e la descrizione dei rapporti che legano le prime due persone: il Padre inizio e fonte di ogni cosa, il Figlio generato dal Padre, dotato di tutti gli attributi del Padre. Dal settimo libro del de Trinitate di Agostino, invece, l'anonimo trae spunti di natura morale, nel senso che la purezza ineffabile della Trinità è tale da offrire modello di sé sia agli spiriti immateriali che la contemplano in cielo sia agli uomini corrotti a causa del peccato originale. Essa è esempio per i sani perché perseverino, per gli infermi perché guariscano, sicché lo pseudo-Fulgenzio, con le parole del vescovo di Ippona, esorta tutti ad amarla e ad congiungersi a lei.40 Ma è dall'orazione de pentecoste del Nazianzeno, anche questa nella traduzione di Rufino, che l'anonimo trae tutte le sue argomentazioni sullo Spirito Santo, che fino ad ora era rimasto alquanto in ombra. D'altra parte, se, come appare assai verosimile, l'opera deve collocarsi nel V sec., siamo ormai in un'epoca in cui il dibattito sullo Spirito Santo si era praticamente concluso con la proclamazione del dogma della sua divinità. Ecco perché in un florilegio di quell'epoca, sia esso di natura catechetica, antieretica, dogmatica, è assolutamente normale che dello Spirito Santo si parli definendolo luce, bontà, Signore di ogni cosa, colui che manda gli apostoli e distribuisce i suoi doni secondo il suo talento. Spirito di verità, sapienza ed intelletto, è grazie a lui che il Padre viene conosciuto e il Figlio glorificato. L'opera si conclude, infine, con un'esortazione, tratta dal contra Maximum di Agostino, e rivolta a coloro che ancora non comprendono il mistero della Trinità, ai quali l'anonimo dice: qui nondum potest, oret ut capiat, credat ut capiat. Questo il grande mistero della Trinità, che il nostro compilatore trasceglie, considerandolo probabilmente il più emblematico, da quel grande pensatore che fu Agostino: occorre pregare perché se ne abbia la comprensione, ma questa non giungerà se prima non vi si crede. La ragione è, dunque, bandita, la Trinità rimane dominio esclusivo della fede.

Copyright © 2011 Rocco Schembra

Rocco Schembra. «L'homousion nello pseudo-fulgenziano Liber de Trinitate: fondamenti scritturistici e ascendenze patristiche». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**48 B].

Note

  1. Si confrontino, innanzi tutto, studi come M.T. Clark, The Trinity in Latin Christianity, in B. McGinn - J. Meyendorff - J. Leclercq (a c. di), Christian spirituality. Origins to the twelfth century, London 1986, 276-290; V. Grossi, La categoria teologica di persona nei primi secoli del cristianesimo: l'ambito latino, «Lateranum» 58.1 (n.s.), 1992, 11-45. Più in generale, sul dogma trinitario in epoca patristica, cfr. F. Dünzl, A brief history of the doctrine of the Trinity in the early church, London 2007; V. Twomey - L. Ayres (a c. di), The mystery of the Holy Trinity in the fathers of the Church. Proceedings of the fourth Patristic Conference, Maynooth 1999, Dublin 2007. Si confrontino anche E.J. Fortman, The triune God. A historical study of the doctrine of the trinity, London 1972; G. O'Collins, The tripersonal God: understanding and interpreting the Trinity, Mahwah (N.J.) 1999. Ovviamente ometto qui la citazione dei numerosissimi studi sulla Trinità in prospettiva meramente teologica e senza particolari riferimenti all'epoca patristica. Testo

  2. Cfr. P. Henry, The Adversus Arium of Marius Victorinus, the first systematic exposition of the doctrine of the Trinity, «JThS» 1 (n.s.), 1950, 42-55; P. Hadot, L'image de la Trinité dans l'âme chez Victorinus et chez saint Augustin, in F.L. Cross (a c. di), Studia patristica, 6: Papers presented to the third international Conference on Patristic Studies Oxford 1959, Berlin 1962, 409-442; M.T. Clark, A Neoplatonic commentary on the Christian Trinity: Marius Victorinus, in D.J. O'Meara (a c. di), Neoplatonism and Christian thought, Albany (NY) 1981, 24-33. Testo

  3. Tra i non molti studi si confronti almeno M. Simonetti, Note sulla struttura e la cronologia del De Trinitate di Ilario di Poitiers, «StudUrb» 39, 1965, 274-300. Uno studio comparato del de trinitate di Ilario e di Agostino è, invece, W. Kainz, Augustinus' und Hilarius' Werke De Trinitate, Wien 1975. Testo

  4. Tra gli innumerevoli studi sulla formulazione del dogma trinitario di Agostino, si guardi con attenzione almeno a questa selezionata bibliografia: E. Bailleux, La sotériologie de saint Augustin dans le De Trinitate, «MSR» 23, 1966, 149-173; N. Blázquez, El concepto de substancia según San Agustín. Los libros De Trinitate, «Augustinus» 14, 1969, 305-350; E. Bailleux, La christologie de saint Augustin dans le De Trinitate, «RecAug» 7, 1971, 219-243; E. Hill, St Augustine's De Trinitate. The doctrinal significance of its structure, «REAug» 19, 1973, 277-286; F. Bourassa, Théologie trinitaire de saint Augustin, «Gregorianum» 58, 1977, 675-718; J.A. Doull, Augustinian trinitarianism and existential theology, «Dionysius» 3, 1979, 111-159; W.R. O'Connor, The concept of the person in St. Augustine's De Trinitate, «AugStud» 13, 1982, 133-143; D. Pintaric, Sprache und Trinität. Semantische Probleme in der Trinitätslehre des hl. Augustinus, München 1983; F. Genn, Trinität und Amt nach Augustinus, Einsiedeln 1986; M.T. Clark, Augustine's theology of the Trinity: its relevance, «Dionysius» 13, 1989, 71-84; J. Arnold, Begriff und heilsökonomische Bedeutung der göttlichen Sendungen in Augustinus' De Trinitate, «RecAug» 25, 1991, 3-69; B. Studer, History and faith in Augustine's De Trinitate, «AugStud» 28.1, 1997, 7-50; J. Brachtendorf (a c. di), Gott und sein Bild: Augustins De Trinitate im Spiegel gegenwärtiger Forschung, Paderborn 2000; B. Studer, Augustins «De Trinitate» in seinen theologischen Grundzügen, «FZPhTh» 49.1-2, 2002, 49-72; B. Studer, Augustins «De Trinitate»: eine Einführung, Paderborn 2005; R. Kany, Augustins Trinitätsdenken: Bilanz, Kritik und Weiterführung der modernen Forschung zu «De Trinitate», Tübingen 2007. Testo

  5. Una bibliografia minima sui florilegi può essere considerata la seguente: M. Richard, Notes sur les florilèges dogmatiques du Ve et du VIe siècle, in Actes du VIe Congrès d'Études byzantines (Paris, 27 juillet - 2 août 1948), 1, Paris 1950, 307-318; H.M. Rochais - Ph. Delhaye - M. Richard, Florilèges spirituels, in «DS» 5, Paris 1962, 435-512; H. Chadwick, Florilegium, «RLAC», 56, 1969, 1131-1159; J.T. Lienhard, The earliest Florilegia of Augustine, «AugStud» 8, 1977, 21-32; M.A. Rouse - R.H. Rouse, Florilegia of patristic texts, in Les genres littéraires dans les sources théologiques et philosophiques médiévales, Actes du Colloque international de Louvain-la-Neuve, 25-27 mai 1981, Louvain-la-Neuve 1982, 165-180; P.-I Fransen, D'Eugippius à Béde le Vénérable. À propos de leurs florilèges augustiniens, «RBen» 97, 1987, 187-194; M. Spallone, I percorsi medievali del testo: «accessus», commentari, florilegi, in G. Cavallo - P. Fedeli - A. Giardina (a c. di), Lo spazio letterario di Roma antica, 3: La ricezione del testo, Roma 1990, 387-471; E. Dekkers, Quelques notes sur des florilèges augustiniens anciens et médiévaux, «Augustiniana» 40.1-4, 1990, 27-44. Testo

  6. Editi criticamente per la prima volta in W. Hartel (a c. di), S. Thasci Caecili Cypriani opera omnia, «CSEL» 1-3, Wien 1868-1871, tale edizione fu successivamente considerata insoddisfacente in C.H. Turner, Prolegomena to the Testimonia and Ad Fortunatum of St. Cyprian I, «JThS» 29, 1928, 113-136; e in Id., Prolegomena to the Testimonia and Ad Fortunatum of St. Cyprian II, «JThS» 31, 1930, 225-246. Lo studioso gettava così le basi per una nuova edizione critica, quale si sarebbe avuta molti decenni dopo grazie all'opera di R. Weber e M. Bévenot, ai quali si deve la pubblicazione di Cyprianus, Opera I. Ad Quirinum. Ad Fortunatum. De lapsis. De ecclesiae catholicae unitate, «CCSL» 3, Turnhout 1972 (per l'esattezza l'editore del florilegio Ad Quirinum è solo Weber, così come dell'Ad Fortunatum, mentre delle restanti opere è il Bévenot). Sui Testimonia cfr. anche A. Quacquarelli, Note retoriche sui Testimonia di Cipriano, «VetChr» 8, 1971, 181-209. Testo

  7. Ne abbiamo qualche frammento grazie alle citazioni di alcuni Padri in «PL» 48, 593-596. Testo

  8. Per l'edizione cfr. Priscilliani quae supersunt maximam partem nuper detexit adiectisque commentariis criticis et indicibus primus edidit Georgius Schepss, «CSEL» 18, Praha - Wien - Leipzig 1889. Cfr. anche I. Wordsworth - H.I. White, Nouum Testamentum Domini Nostri Iesu Christi latine secundum ed. S. Hieronymi ad codicum fidem, 2, Oxford 1913, 20. Testo

  9. Cfr. Wordsworth - White, op. cit., 12. Testo

  10. Edito in A. Mai, Spicilegium Romanum, 9: Graeca uetera Eusebii Alex., S. Ioh. Damasceni, Photii, Latina uetera Priscilliani, Sedulii, Claudii Taur., Odoramni, Chronicon Palat., Fragmenta sacra etc., Roma 1843; riedito qualche anno dopo in Id., Patrum nova bibliotheca, 1.2: Tomus primus continens sancti Augustini novos ex codicibus Vaticanis sermones. Item eiusdem speculum et alia quaedam cum diversorum Patrum scriptis et tabulis XVI, Roma 1852; e infine in Sancti Aureli Augustini opera, 3.1: S. Aureli Augustini Hipponensis episcopi Liber qui appellatur Speculum; et Liber de diuinis scripturis siue Speculum quod fertur S. Augustini recensuit et commentario critico instruxit Franciscus Weihrich, «CSEL» 12, Wien 1887. Testo

  11. Cfr. B. Schwank - D. De Bruyne - J. Fraipont, Florilegia biblica africana saec. V, «CCSL» 90, Turnhout 1961. Nel caso specifico del De Trinitate, l'editore che se n'è occupato è stato il Fraipont. Testo

  12. Cfr. C. Scherer, Die Codices Bonifatiani in der Landesbibliothek zu Fulda, in G. Richter - C. Scherer, Festgabe zum Bonifatius-Jubiläum 1905, 2, Fulda 1905. Testo

  13. Cfr. D. de Bruyne, Un florilège biblique inédit, «ZNTW» 29.1, 197-208. Testo

  14. Cfr., e.g., C.A. Montanari, Per figuras amatorias. L'Expositio super Cantica Canticorum di Guglielmo di Saint-Thierry: esegesi e teologia, Roma 2006, 148, n. 165, il quale però, com'è ovvio, si riferisce ad un periodo storico ben diverso da quello di nostra pertinenza: «Le grandi controversie dell'epoca dei Padri o medievale avevano convinto i compositori dei florilegi a raccogliere testi autorevoli riguardanti un certo argomento, al fine di dimostrare quale fosse la dottrina dei loro predecessori. Si può pensare, a titolo esemplificativo, per quanto riguarda l'Antichità, alle controversie nestoriana, monofisita, monotelita, alla questione del Filioque, ecc. Con questi strumenti veniva messo a portata di mano il pensiero della tradizione, al fine di opporlo alle novità del momento». Testo

  15. Cfr. P.-F. Chifflet, Fulgentii Ferrandi Carthaginiensis ecclesiae diaconi Opera, junctis Fulgentii et Crisconii africanorum episcoporum opusculis relatiuis, Dijon 1649. Testo

  16. Su P.F. Chifllet, cfr. B. de Vregille, Pierre-François Chifflet, S.J., découvrer et éditeur des Péres (1592-1682), in E. Bury - B. Meunier, Les Péres de l'Église au XVIIe siècle, Paris 1993, 237-251. Testo

  17. Cfr. J. Sirmond, Opera uaria nunc primum collecta ex ipsius schedis emendatiora, notis posthumis, epistolis et opuscolis aliquibus auctiora. Accedunt S. Theodori Studitae epistolae, aliaque scripta dogmatica, nunquam antea Graece Vulgata, pleraque Sirmondo interprete, 5 voll., Paris 1696. Testo

  18. Cfr. D. de Bruyne, Un florilège..., cit. Testo

  19. Sul nome cfr. N. Wagner, Namen von Germanen bei Fulgentius von Ruspe. Abragila-Eterpamara, Pinta, Scarila, «BN» 17, 1982, 361-368. Testo

  20. L'indice è stato pubblicato da K. Wotke, S. Eucherii Lugdunensis opera omnia, «CSEL» 31, 1, Wien - Leipzig 1894, VII. Testo

  21. Cfr. B. Schwank - D. De Bruyne - J. Fraipont, Florilegia..., cit. Testo

  22. «La genuina integrità della fede attesta che il fondamento più sicuro della religione cattolica dopo Cristo sono gli Apostoli. Questo principio, se anche cessa la predicazione, una non so quale occulta operazione dello Spirito Santo propaga ed insinua nelle menti dei fedeli. Chi, infatti, tra coloro che credono fermamente, ignora che tutte le eresie uscirono fuori dalla Chiesa cattolica come tralci inutili gettati via dalla vite? Essa tuttavia permane nella sua radice, nella sua vite, nella sua carità. Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. La Chiesa unica, la Chiesa vera, la Chiesa cattolica, combattendo contro tutte le eresie, è in grado di combattere, ma non può essere espugnata» (la trad., qui come altrove, è mia). Testo

  23. Fundamentum enim aliud nemo potest ponere praeter id, quod positum est, quod est Christus Iesus. Cfr. E. Nestle - K. Aland, Novum Testamentum, Graece et Latine, Stuttgart 196322. Testo

  24. «È Cristo, poi, il fondamento certo ed esclusivo della fede cattolica: Infatti nessuno può porre un fondamento diverso -- dice l'Apostolo -- da quello che già vi si trova, che è Gesú Cristo» (i passi agostiniani nonché le loro traduzioni sono tratti dal sito www.augustinus.it). Testo

  25. «Frattanto mentre (scil. la Chiesa) giunge a tutte (scil. le genti), l'agricoltore ha ritenuto necessario tagliare alcuni rami inutili, che produssero eresie e scismi». Testo

  26. «Nessuno può dubitare che la Chiesa non sia presente in tutto il mondo; nessuno può dubitare che essa ha avuto inizio da Gerusalemme e ha raggiunto tutte le nazioni. Abbiamo conosciuto il campo dove fu piantata la vite: quando questa ormai è cresciuta, non riconosciamo più il campo, avendolo essa tutto ricoperto. Da dove ha preso l'avvio? Da Gerusalemme. Dove è giunta? A tutte le genti. Poche ne mancano, ma presto le raggiungerà tutte. Frattanto mentre giunge a tutte, l'agricoltore ha ritenuto necessario tagliare alcuni rami inutili, che produssero eresie e scismi. Ciò che è stato tagliato non abbia influsso su di voi, per non correre il rischio che anche voi siate tagliati; pregate anzi perché le parti tagliate vengano di nuovo inserite». Testo

  27. Etenim ante vindemiam, cum consummatus fuerit flos, / et uva germinans maturescens erit, / praecidet ramusculos falcibus / et propagines abscindet et proiciet. Cfr. Noua Vulgata Bibliorum Sacrorum editio, Città del Vaticano 1979. Testo

  28. Quod si aliqui ex ramis fracti sunt, tu autem cum oleaster esses, insertus es in illis, et socius radicis, et pinguedinis oliuae factus es, noli gloriari aduersus ramos. quod si gloriaris: non tu radicem portas, sed radix te. dices ergo: fracti sunt rami ut ego inserar. Cfr. E. Nestle - K. Aland, Novum Testamentum..., cit. Testo

  29. «Allo stesso modo la nostra Madre, la Chiesa Cattolica, si è trovata di fronte alla guerra sferratale da questi scismatici, che son pur sempre suoi figli, poiché non son altro che un ramoscello staccatosi in Africa dal grande albero che stende i suoi rami su tutta la faccia della terra: essa nel suo amore per loro non fa che soffrire i dolori del parto, affinché tornino alla radice, avulsi dalla quale non possono avere la vita. Pur nel deprecabile caso che qualcuno si perda, essa può accoglier di nuovo al suo seno il gran numero di tutti gli altri suoi figli, tenendo soprattutto presente che costoro periscono non tanto per uno scontro bellico, come Assalonne, quanto piuttosto affrontando la morte di loro spontanea volontà. La Chiesa perciò allevia e compensa il dolore del suo cuore materno con la salvezza procurata a tanti altri fedeli». Testo

  30. «Ma la stessa Chiesa è santa, una, vera, cattolica, che combatte contro tutte le eresie; combattere può, ma non essere vinta. Tutte le eresie sono uscite da lei ma come gli inutili tralci tagliati via dalla vite. Essa rimane sulla sua radice, nella sua vite, nella sua carità. Le porte degli inferi non prevarranno su di lei». Testo

  31. «Ogni uomo spirituale vede che la Chiesa in tutta la faccia della terra è una, vera, cattolica». Testo

  32. «...si riferiscono a quei figli di Dio che sono corpo e membra di Cristo, cioè che sono la Chiesa di Dio, una, vera, fraterna, cattolica, saldamente ancorata nella santa fede». Testo

  33. «Ma poiché qualcuno, spinto dalla propria arroganza, ritenne che bisognava chiamare i cultori di questa fede homousiani ovvero sostenitori dell'unica sostanza in Dio, occorre rispondere all'ignoranza di costui». Testo

  34. «A chiamare atanasiani, oppure homousiani i cattolici sono gli ariani e non anche gli altri eretici». Testo

  35. Cfr., e.g., Aug. serm. 162/A.3: «Caifa, sommo sacerdote, era persecutore di Cristo, eppure pronunziò una profezia affermando: È meglio che muoia un solo uomo, e non perisca la nazione intera. Nel proseguire, l'Evangelista ha spiegato la profezia e ha detto: Questo non lo disse da se stesso ma, essendo sommo sacerdote, profetizzò». Testo

  36. Questa di Lucifero è una delle più antiche testimonianze del simbolo niceno. La prima in assoluto è l'Epistula ad Caesarienses di Eusebio (cfr. Eus. ep.Caes. 3.1 ap. Socr. h.e. 1.8), ma si ricordino ancora l'Epistula ad Jovianum di Atanasio (cfr. Ath. ep.Jou. 3 ap. Thdt. h.e. 4.3) e infine il De synodis di Ilario (cfr. Hil. syn. 84). Per un quadro generale risulta utile leggere G.L. Dossetti, Il simbolo di Nicea e di Costantinopoli, Roma 1967. Testo

  37. Cfr. Aug. trin. 1.8.17; 1.9.18; 1.11.22; 1.12.27; 2.1.3; 4.9.12; 4.20.29; 5.3.4; 5.9.10; 6.2.3; 6.3.4; 7.6.12. Soltanto e.g. riporto in traduzione, tra quelli supra citati, il passo 5.3.4, che riveste un ruolo centrale nella definizione dogmatica della Trinità in opposizione all'arianesimo: «Fra i tanti argomenti che gli Ariani sogliono contrapporre alla fede cattolica ve n'è uno che essi sembrano considerare come l'espediente più ingegnoso. È quando dicono: "Quanto si enuncia o si pensa di Dio, si predica non in senso accidentale, ma in senso sostanziale. Perciò il Padre possiede l'attributo di ingenerato secondo la sostanza, come anche il Figlio possiede secondo la sostanza l'attributo di generato. Ma non è la stessa cosa essere ingenerato ed essere generato. Di conseguenza la sostanza del Padre e la sostanza del Figlio sono differenti". Noi rispondiamo: "Se tutto ciò che si predica di Dio, si predica secondo la sostanza, allora l'affermazione: Io e il Padre siamo una cosa sola, riguarda la sostanza. Perciò unica è la sostanza del Padre e del Figlio"». Testo

  38. Infatti gli ariani che allora spadroneggiavano proposero: "Volete seguire l'homousios o il Cristo?" Costoro, quasi si trattasse di un personaggio ecclesiastico, risposero immediatamente che seguivano il Cristo e ripudiarono l'homousios. E così uscirono esultanti come se credessero al Cristo che avevano già rinnegato negando che fosse homousios, ossia dell'unica sostanza del Padre. Testo

  39. Per un primo approccio alla teologia negativa, specialmente in età patristica e in riferimento ai suoi antecedenti filosofici, oltre alle due voci sul Dictionnaire de spiritualité (A. Gouhier, Néant, «DS» 11, 64-80; A. Solignac, Théologie négative, «DS» 15, 509-516), cfr.: M. Corbin, Négation et transcendance dans l'œuvre de Denys, «RSPh» 69, 1985, 41-76; R. Mortley (a c. di), From Word to Silence, 2: The Way of Negation, Christian and Greek, Frankfurt a.M. 1986; D. Carabine, The Unknown God. Negative Theology in the Platonic Tradition: Plato to Eriugena, Louvain - Grand Rapids (MI) 1995; C. Steel, Beyond the Principle of Contradiction? Proclus' «Parmenides» and the Origin of Negative Theology, in M. Pickavé (a c. di), Die Logik der Transzendentalen. Festschrift für Jan A. Aertsen zum 65. Geburtstag, Berlin - New York 2003, 581-599. Testo

  40. Cfr. Aug. trin. 7.3.5: «Quoniam quippe spiritibus mundis intellectualibus qui superbia non lapsi sunt in forma Dei, et Deo aequalis, et Deus praebet exemplum, ut se idem exemplum redeundi etiam lapso praeberet homini qui propter immunditiam peccatorum poenamque mortalitatis Deum videre non poterat semetipsum exinanivit, non mutando divinitatem suam, sed nostram mutabilitatem assumendo; et formam servi accipiens, venit ad nos in hunc mundum, qui in hoc mundo erat, quia mundus per eum factus est; ut exemplum sursum videntibus Deum, exemplum deorsum mirantibus hominem, exemplum sanis ad permanendum, exemplum infirmis ad convalescendum, exemplum morituris ad non timendum, exemplum mortuis ad resurgendum esset, in omnibus ipse primatum tenens. Quia enim homo ad beatitudinem sequi non debebat nisi Deum et sentire non poterat Deum, sequendo Deum hominem factum sequeretur simul et quem sentire poterat, et quem sequi debebat. Amemus ergo eum et inhaereamus illi, caritate diffusa in cordibus nostris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis». Testo

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