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Origene: una teologia trinitaria anti-subordinazionista

di Ilaria Ramelli (Roma, 26-28 maggio 2011)

Anche se Origene è stato ripetutamente (e talora è ancora) accusato di avere precorso l'arianesimo e di avere sostenuto una posizione subordinata del Figlio rispetto al Padre, in realtà la sua teologia trinitaria è anzi la prima decisamente anti-subordinazionista nella storia della teologia cristiana. La teologia trinitaria di Origene, basata sulla distinzione di tre ipostasi o hypostaseis che condividono la stessa essenza-sostanza o ousia divina, ispirerà direttamente i grandi Cappadoci, specialmente Gregorio di Nissa, e sarà alla base della formulazione del dogma niceno-costantinopolitano. Un numero impressionante di testi conforta la mia tesi, provenienti sia da Origene stesso sia da testimonianze antiche, nonché l'esame dell'In Illud: Tunc et Ipse Filius del Nisseno e una disamina dei più antichi documenti concernenti Nicea. Cercherò qui, per quanto concesso dai limiti di battute e di tempo, di addurre alcuni esempi significativi da questa ricca messe di prove.

Come ho avuto occasione di dimostrare di recente,1 nell'opera di Gregorio Nisseno a commento di 1Cor 15, 28, intitolata convenzionalmente In illud: Tunc et Ipse Filius,2 le argomentazioni e perfino i minimi dettagli esegetici derivano interamente da Origene; non mancano nemmeno riecheggiamenti letterali. Gregorio, in questa breve ma importante opera, polemizza contro un'interpretazione di 1Cor 15, 28 («allora anche il Figlio stesso si sottometterà a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti») che implicasse la subordinazione del Figlio al Padre, un'interpretazione che ai suoi tempi poteva considerarsi "ariana". La spiegazione di Gregorio nell'In illud è la stessa che aveva già offerto Origene di 1Cor 15, 28, e anche Origene l'aveva già fornita in polemica con avversari -- al suo tempo, non ancora "ariani" -- che ne sostenevano un'esegesi subordinazionista (princ. III 5, 6-7; hom. in Lev. 7, 2; comm. in Rom. VII 3, 60-68). Sia Origene sia Gregorio spiegano che il versetto paolino non indica una presunta inferiorità del Figlio al Padre, bensì la sottomissione salvifica di tutti gli esseri umani -- che costituiscono il corpo di Cristo -- a Dio. A sottomettersi al Padre sarà l'umanità di Cristo, e non la sua divinità, che in quanto tale è pari a quella del Padre ed è anzi la stessa divinità del Padre. Ma non solo la tesi generale di Gregorio, bensì, come ho potuto dimostrare minuziosamente, ogni passo del suo In illud e tutti i suoi aspetti teoretici ed esegetici mostrano di ispirarsi direttamente a Origene, dalla struttura argomentativa fino ai minimi dettagli esegetici e alla scelta stessa delle citazioni scritturali di supporto.

Già il fatto che il Nisseno abbia potuto riprendere direttamente da Origene un'argomentazione anti-subordinazionista e "antiariana" getta forti sospetti sul cliché di un Origene subordinazionista e precursore dell'arianesimo. Ma c'è tantissimo altro che dimostra che Origene non subordinava minimamente il Figlio al Padre, ma anzi considerava le tre Persone, o meglio Ipostasi,3 della Trinità dotate della medesima divinità, in quanto esse condividono la stessa sostanza o essenza (οὐσία) e sono Dio allo stesso titolo. È decisamente Origene, infatti, l'ispiratore della formula dogmatica dei Padri cappadoci, «una sostanza, tre ipostasi», ed è probabilmente ancora Origene l'ispiratore dell'espressione ὁμοούσιος che esprime la consustanzialità del Figlio al Padre, usata sia a Nicea sia poi dai cappadoci stessi. Certamente, inoltre, Origene fu propugnatore dell'idea della coeternità del Figlio al Padre, come un corollario della sua consustanzialità e della sua perfetta divinità.

Proprio perché Origene era ben lontano dal precorrere gli ariani, Panfilo, il suo primo apologista e maestro di Eusebio, sentì la necessità di difenderlo dall'accusa di postulare due principi innati (duo innata), ossia il Padre e il Figlio. L'accusa nasceva dal fatto che Origene faceva del Figlio una hypostasis distinta dal Padre ma avente la sua stessa (ousia) divina. Parallela, e originata da questo stesso fatto, era la possibile accusa di fare del Figlio un secondo Dio (ἕτερος θεός, dial. cum Heracl. 2, 22-25, dove Origene respinge l'accusa precisando che le hypostaseis sono diverse, ma la ousia di Padre e Figlio è la stessa, e dunque essi sono lo stesso Dio e non due dèi). La connessione tra questo pensiero di Origene e la sua tesi della coeternità del Figlio al Padre emerge chiaramente da princ. IV 4, 1, non a caso formulato contro "eretici" precursori dell'arianesimo che criticavano la tesi di Origene che rifiutava di vedere nel Figlio una creatura creata da Dio ex nihilo, e gli obiettavano che, se il Padre ha generato il Figlio dalla sua stessa sostanza, allora una parte della sostanza del Padre si sarebbe trasformata nel Figlio, determinando così una diminuzione della sostanza paterna:

Non enim dicimus, sicut haeretici putant, partem aliquam substantiae Dei in Filium versam, aut ex nullis substantibus Filium procreatum a Patre, id est extra substantiam suam, ut fuerit aliquando quando non fuerit.

La posizione degli avversari di Origene, veri precursori dell'arianesimo, presupponeva anche la negazione della coeternità del Figlio con il Padre: se infatti il Figlio è creato ex nihilo e non è generato dalla stessa sostanza del Padre, allora chiaramente «vi fu un tempo in cui il Figlio non esisteva», in greco ἦν ποτε ὅτε οὐκ ἦν, un'espressione che di lì a poco sarebbe divenuta una massima ariana. Ma già Origene la usava per combatterla (è anzi probabile che Origene stesso l'avesse "importata" dalla filosofia greca al dibattito cristiano, come ho suggerito altrove).4 Nel prosieguo del passo citato, Origene insiste sulla propria tesi: «non vi fu mai un tempo in cui il Figlio non esistesse» (Numquam fuit quando non fuit), poiché il Figlio è Dio e fa parte della Trinità divina, e qualsiasi termine implicante temporalità non può essere applicato propriamente a Dio, in nessuna delle Ipostasi della Trinità, che trascende ogni tempo: Haec enim sola Trinitas est quae omnem sensum intellegentiae non solum temporalis, verum etiam aeternalis excedit. In verità, Dio è superiore non solo alle intelligenze umane, ma anche a quelle angeliche.

In un frammento affidabile del De principiis (fr. 33) conservato in greco da Atanasio, de decr. Nic. syn. 27, 1-2 (p. 23, 17-30 Opitz), Origene afferma molto chiaramente che il Figlio, immagine della sostanza individuale o hypostasis del Padre, esiste insieme con il Padre eternamente (ἀϊδίως συνεῖναι τῷ Πατρί), ossia dall'eternità e per l'eternità. La coeternità del Figlio al Padre è dichiarata ripetutamente da Origene, ad esempio anche in Princ. I 2, 2. 11 e in un passo conservato nell'originale greco: hom. in Ier. 9, 4: il Padre «genera sempre/eternamente [ἀεί] il Figlio [...] il Salvatore è generato sempre/eternamente [ἀεὶ γεννᾶται] [...] il Salvatore è generato sempre/eternamente [ἀεὶ γεννᾶται] dal Padre».

Quando dunque in comm. in Rom. I 7, 4, Origene dice del Figlio che non erat quando non erat, e allo stesso modo in princ. I 2, 9 dichiara, sempre a proposito del Figlio, che non est autem quando non fuerit, non si tratta certamente di un'invenzione di Rufino. Analogamente, la coeternità del Figlio al Padre è dichiarata da Origene in comm. in Rom. I 7, 15-19, anche qui nuovamente in polemica contro avversari che per le loro tesi possono essere considerati precursori dell'arianesimo: Haec nobis dicta sint propter eos qui in unigenitum Filium Dei impietatem loquuntur [...] qui [...] semper fuit sicut et Pater.

Origene non solo affermò espressamente la coeternità del Figlio e del Padre, ma anche la loro pari dignità, che richiede il tributo di un onore pari, in comm. in Rom. VIII 4, 25-26: unum utrique honorem deferendum, id est Patri et Filio. Anche questo contraddice il cliché secondo cui Origene avrebbe subordinato il Figlio al Padre. Ibi VII 12, 146-147 Origene ribadisce l'idea che il Figlio non ha il Padre sopra di sé o prima di sé: super omnia est super se neminem habet. Non enim post Patrem est ipse, sed de Patre. Il Figlio viene dal Padre, essendone il figlio, ma non viene dopo il padre o al di sotto del Padre. Allo stesso modo, non ha fondamento l'accusa a Origene di avere subordinato il Figlio al Padre con il sostenere che il Padre conosce il Figlio ma il Figlio non conosce il Padre, in quanto in fr. in Io. 13, conservato nell'originale greco, Origene è chiarissimo nell'affermare che il Figlio conosce il Padre ed anzi è il solo a conoscerlo: «è solo il Figlio che lo conosce, poiché esso è compreso dal Padre e a sua volta comprende il Padre».

La negazione della subordinazione del Figlio al Padre deriva dall'attribuzione della stessa ousia, essenza o natura, a entrambi da parte di Origene, che di nuovo afferma la propria posizione contro quella di «eretici» precursori dell'arianesimo suoi contemporanei: haeretici [... ] male separant Filium a Patre ut alterius naturae Patrem alterius Filium dicant [... ] qui autem bene adnuntiat bona, proprietates quidem Patri et Filio et Spiritui Sancto suas cuique dabit, nihil autem diuersitatis esse confitebitur in substantia uel natura (ibidem). La distinzione non sta nella ousia che è comune a tutte e tre le persone della Trinità, bensì nelle sostanze individuali o hypostaseis, che hanno ciascuna caratteristiche proprie. Fa riscontro a questo passo un altro conservato nell'originale greco: comm. in Matth. XVII 14. Qui Origene polemizza contro quanti confondono le rispettive hypostaseis o sostanze individuali del Padre e del Figlio, riducendole a una sola e sostenendo che i due possano essere distinti solo concettualmente, ma non ontologicamente. Anche in un altro passo conservato nell'originale greco, comm. in Io. X 37, 246, Origene critica quanti considerano il Padre e il FIglio caratterizzati non solo da una medesima ousia (che è quello che pensa egli stesso), ma anche da una medesima hypostasis o sostanza individuale. Origene invece postula una hypostasis particolare per ciascuna delle tre Persone della Trinità.

Questo è evidente in un altro passo di indiscussa autenticità e conservato in greco: CC VII 12. Qui Origene sostiene che l'essenza o ousia di Dio è una sola, e che il Padre e il Figlio sono due cose diverse nella loro sostanza individuale o hypostasis: δύο τῇ ὑποστάσει πράγματα. Allo stesso modo, in un altro passo conservato in greco e certamente autentico, comm. in Io. II 10, 75, Origene dichiara esplicitamente che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono tre distinte hypostaseis (τρεῖς ὑποστάσεις).

Questo è ciò che faranno anche i cappadoci, sulla scorta di Origene stesso, sostenendo la formula μία οὐσία, τρεῖς ὑποστάσεις, che si trova già in Origene, sch. in Matth. 17, 309:

Uno è il Padre vivente, il Figlio e lo Spirito Santo. Ed è uno non per la confusione di questi tre, bensì per l'unità dell'essenza [οὐσίᾳ μιᾷ]. Tre invece sono le sostanze individuali [τρεῖς δὲ ὑποστάσεις], perfette e compiute in tutti e tre, e in relazione reciproca [κατάλληλοι]. Il Padre generò il Figlio dalla propria natura [κατὰ φύσιν]; perciò il Figlio fu generato della stessa sostanza del Padre [ὁμοούσιος ἐγεννήθη].

Se la ousia è una nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, il Figlio ha la stessa ousia del Padre ed è quindi homoousios con il Padre. Mostrerò presto che questo termine chiave è attestato per Origene anche in altri passi di più sicura autenticità. Per ora importa notare che anche nei passi greci di comm. in Io. II 10, 74 e 23, 149, di indiscussa autenticità e attendibilità, la ousia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo è considerata comune, così come la considereranno i cappadoci. Per questo, Origene può dichiarare il Figlio «Dio per natura o essenzialmente», κατ᾽ οὐσίαν (fr. 1 in Io.) .5 Questo è esattamente l'opposto delle tesi "ariane" che Origene è stato spesso accusato di avere precorso.

Se Origene avesse veramente sostento tesi simili a quelle che poi andarono sotto il nome di "ariane", ma diametralmente opposte, non solo non avrebbe mai scritto egli stesso tutti i passi che ho citato finora e molti altri, ma Gregorio di Nissa non ne avrebbe ripreso le argomentazioni e tanti dettagli nel suo In illud, i cappadoci non ne avrebbero ripreso la formula trinitaria «una ousia, tre hypostaseis», e Atanasio non lo avrebbe mai ammirato e citato, proprio in materia trinitaria, oltre a costituire capo del Didaskaleion alessandrino Didimo, un origeniano fedelissimo e, significativamente, un deciso avversario dell'arianesimo. L'ammirazione di Atanasio per Origene è attestata sia da Atanasio stesso sia da Socrate. Nel suo In Illud: Qui dixerit verbum in Filium (PG XXVI 649, 21) Atanasio esprime tutta la propria ammirazione per Origene, che egli celebra come «coltissimo e laborioso», πολυμαθὴς καὶ φιλόπονος, e il suo fedelissimo seguace Teognosto come «mirabile e diligente», θαυμάσιος καὶ σπουδαῖος. Atanasio afferma di stare precisamente leggendo le loro opere, e in effetti riporta anche le esegesi che Origene e Teognosto davano di un passo di Matteo, dapprima paragrasandole, e poi copiando in citazione un lungo passo di Origene.

Socrate (HE VI 13) osserva che i detrattori di Origene, lungo tutto il IV secolo, non lo hanno criticato affatto riguardo all'ortodossia trinitaria, il che dimostra, come nota Socrate stesso, che Origene era perfettamente ortodosso sotto questo rispetto -- perfino secondo i canoni niceni e costantinopolitani, pur venuti molto dopo di lui. Questo si spiega bene -- aggiungo io -- con il fatto che le stesse dottrine di Nicea e di Costantinopoli, che dichiarano Cristo nato dalla ousia del Padre e homoousios con il Padre, e le tre Persone della Trinità aventi una sola ousia e tre hypostaseis, erano basate sul pensiero di Origene. Esso arrivò a Nicea probabilmente tramite Eusebio, e a Costantinopoli tramite i cappadoci.6

Socrate prosegue ossrvando che Atanasio, il quale combatté ad oltranza per la fede nicena («la fede homoousios») citò Origene a testimonianza di questa fede nella sua opera, o nei suoi discorsi, contro gli ariani (ἐν τοῖς κατὰ Ἀρειανῶν λόγοις). La citazione da Atanasio che Socrate introduce subito dopo può riferirsi a de decr. Nic. syn. 27, oppure a un altro passo perduto in cui Atanasio invocava nuovamente Origene quale autorevole testimone contro le dottrine ariane: «Il mirabile [θαυμάσιος] Origene, laborioso in massimo grado [φιλοπονώτατος], rende la seguente testimonianza alla nostra dottrina riguardo al Figlio di Dio, dichiarandolo coeterno al Padre [συναΐδιος τῷ Πατρί]».

Il passo più importante, da cui emerge tutta l'ammirazione che Atanasio nutriva per Origene, è de decr. Nic. syn. 27, 1-2 (p. 23, 13-30 Opitz). Qui, non solo Atanasio loda Origene come instancabile lavoratore (φιλόπονος), ma insiste anche sulla sua dottrina trinitaria, e in particolare sulla sua affermazione della coeternità del Figlio con il Padre, attestando di nuovo, nel frammento che cita in originale greco, l'uso di Origene della formula οὐκ ἔστιν ὅτε οὐκ ἦν:

Circa il fatto che il Logos esiste eternamente con il Padre e che non ha un'essenza o sostanza diversa dal Padre, bensì che è il Figlio proprio della sostanza del Padre, come hanno detto i partecipanti al concilio [sc. di Nicea], potete udirlo di nuovo anche dal laborioso Origene [...]:

«Se è immagine del Dio invisibile, è un'immagine [εἰκών] invisibile. Personalmente, oserei perfino aggiungere che, siccome possiede anche la somiglianza [ὁμοίωσις] con il Padre, non c'è un tempo in cui non esistesse [οὐκ ἔστιν ὅτε οὐκ ἦν]. Infatti, quando mai Dio [...] non ebbe lo splendore della propria gloria, in modo tale da dover osarsi postulare un inizio dell'esistenza del Figlio, che prima invece non sarebbe esistito? Quand'è che non sarebbe esistita l'immagine della sostanza individuale del Padre ineffabile, innominabile e indicibile, la sua "impronta"? Quand'è che il Logos, che conosce il Padre, non sarebbe esistito? Chi osa affermare: "Vi fu un tempo in cui non c'era [ἦν ποτε ὅτε οὐκ ἦν] il Figlio" badi bene che affermerà anche che vi fu un tempo in cui non esisteva la Sapienza, in cui non esisteva il Logos, in cui non esisteva la vita».

Origene demolisce l'assunto "pre-ariano" tramite un ragionamento per assurdo. È impossibile che il Padre abbia potuto mai esistere senza la sua Sapienza, senza il suo Logos, senza la vita. Così Origene confutò in anticipo lo "slogan" ariano ἦν ποτε ὅτε οὐκ ἦν. Il frammento citato da Atanasio è di eccezionale importanza: Atanasio è fonte fededegna, in quanto non avrebbe avuto motivo di inventare un passo di Origene per sostenere la propria posizione, che egli presenta come corroborata dal concilio niceno. Innanzitutto, infatti, se Atanasio avesse inventato questo passo, o ne avesse alterato le parole, i suoi accaniti avversari avrebbero potuto smentirlo. Inoltre, Origene era già oggetto di forti critiche e Atanasio stesso, nella sezione che ho qui omesso per brevità, sente la necessità di difenderlo distinguendo le sue affermazioni dogmatiche e il suo metodo zetetico. Se Origene non avesse scritto queste precise parole, Atanasio non lo avrebbe mai citato a sostegno della propria tesi, e non lo avrebbe di certo mai ammirato se avesse anche solo sospettato che fosse stato veramente un precursore dell'arianesimo.

Nell'ultimo paragrafo la citazione di Origene è perfettamente coerente con quanto ho discusso finora del pensiero trinitario di Origene. Egli riteneva che il Figlio avesse la stessa ousia del Padre e che pertanto fosse nato da questa ousia divina, non creato da qualche altra sostanza o dal nulla, e che pertanto fosse coeterno al Padre. Questo chiaramente implica che «non vi fu un tempo in cui non esistesse».

Se, come ho mostrato, Origene sosteneva che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo condividono la stessa ousia, per Origene era naturale pensare al Figlio come homoousios con il Padre. Ho già addotto un passo dalla Commentariorum in Matthaeum series. È vero che la sua paternità non può essere considerata del tutto certa, ma altre importanti attestazioni confermano che Origene vedeva il Figlio come homoousios con il Padre. Origene, infatti, non solo usa questo aggettivo, ὁμοούσιος, contro gli gnostici, i quali a loro volta lo impiegavano, nel contesto della dottrina valentiniana delle tre nature o physeis o ousiai di esseri umani, ilici, psichici e pneumatici,7 ma in un altro passo, Fr. in Ps. 54, 3-4, dichiarava il Figlio homoousios al Padre: «Il Figlio del Padre, sovrano homoousios, che però porta la forma di un servo. I due passi dai frammenti in commento ai Salmi e dal commento a Matteo (ser.) sono corroborati da un frammento di Origene su Ebr 1, 3 conservato da Panfilo nella sua apologia (99 = p. 166 Amacker-Junod). Basandosi appunto su Ebr 1, 3 Origene sostiene che Cristo, la Sapienza di Dio, procede dal Padre come un soffio o un vapore, ed è generato dalla stessa sostanza del Padre:

ex ipsa substantia Dei generatur [...] communionem substantiae esse Filio cum Patre; ἀπόρροια enim ὁμοούσιος videtur, id est unius substantiae, cum illo corpore ex quo est vel ἀπόρροια vel vapor.

Poiché il Figlio è presentato in Ebr 1, 3 come un vapore emanato dal Padre, Origene osserva nel suo commento che un'emanazione o un'evaporazione deve necessariamente essere della stessa sostanza di ciò che la ha prodotta, dunque il Figlio è homoousios o della stessa sostanza del Padre, generato dalla sostanza stessa di Dio. Traducendo in latino, Rufino ha mantenuto i termini-chiave: sia ἀπόρροια, glossato da lui con vapor, sia ὁμοούσιος, glossato con id est unius substantiae.8

È impossibile che Rufino, nella sua traduzione, abbia tacitamente alterato il frammento di Origene citato da Panfilo, introducendo surrettiziamente il termine-chiave ὁμοούσιος, in quanto nel suo de adulteratione librorum Origenis (1) egli dichiara espressamene che Origene aveva usato questo termine in riferimento al Padre e al Figlio: Patrem et Filium unius substantiae, quod graece homoousion dicitur, designavit. Anche qui, come nel passo tradotto dall'apologia di Panfilo, Rufino dà sia la forma greca di homoousios sia la sua traduzione latina.

Mi sembra di estrema importanza rilevare che, precisamente nel frammento conservato da Panfilo, Origene usasse il termine homoousios in rapporto all'interpretazione di Ebr 1, 3 (il Figlio è «l'effulgenza della sua gloria e l'impronta della sua sostanza individuale», sc. del Padre) e di Sap 7, 25-26 (la Sapienza è «un vapore della potenza di Dio, un'emanazione purissima della gloria dell'onnipotente [...] è infatti un'effulgenza della luce eterna [...] uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e immagine della sua bontà»). Questi sono esattamente gli stessi passi che Origene cita in in Princ. 1, 2, 6 (cfr. 2, 10), just before stating that the imagery used in these loci expresses the unity of "nature and substance" between the Father and the Son: naturae ac substantiae Patris et Filii continet unitatem. "Nature and substance" is the translation of ou) si/a. Origene presenta l'esegesi di questi due passi scritturali anche in comm. in Io. XIII 25. Non è infatti un caso che l'applicazione di Sap 7, 25-26 al Figlio ritorni precisamente in autori molto vicini a Origene e memori della sua esegesi, come Dionigi di Alessandria (ap. Athan. Dion. 9. 15. 23 PG XXV 492B. 504A. 513B), Teognosto (hypot. fr. 2; PG X 240A) e lo stesso Eusebio (DE IV 3). Il passo di Teognosto in particolare è di estremo interesse, in quanto riflette esattamente l'esegesi di Origene e la preoccupazione per la consustanzialità del Figlio con il Padre: «La ousia del Figlio non è una che sia stata trovata provenire dal di fuori [ἔξωθεν], bensì deriva per natura dalla ousia del Padre [ἐκ τῆς τοῦ Πατρὸς οὐσίας ἔφυ] [...] come vapore acqueo [...] La ousia del Figlio né è il Padre stesso né è estranea al Padre [οὔτε αὐτός ἐστιν ὁ Πατὴρ οὔτε ἀλλότριος], ma è una emanazione della ousia del Padre [ἀπόρροια τῆς τοῦ Πατρὸς οὐσίας]». La sostanza del Figlio non viene dall'esterno, da qualcos'altro che non sia Dio, non è estranea al Padre, come sarebbe se il Figlio fosse una creatura, ma viene dalla sostanza del Padre, e per natura, trattandosi di generazione e non di creazione. Questo conferma ulteriormente che Origene si basava sulla comunanza di ousia tra il Padre e il Figlio per concepire il Figlio non come creatura, bensì come generato dal Padre.

È indicativo che nel misterioso Dialogo di Adamanzio -- in cui io credo sia esposto molto più del vero pensiero di? rigene di quanto generalmente non si ritenga9 -- in I 2 Adamanzio (che i cappadoci e Rufino identificavano direttamente con Origene) faccia del Figlio «il Logos divino consustanziale [ὁμοούσιος] proveniente dal Padre»; la versione di Rufino è: Verbum eius consubstantivum ei.

Se Origene considerava il Figlio homoousios al Padre, sospetto che possa provenire da lui, seppure indirettamente -- e cioè con ogni probabilità tramite Eusebio -- , l'introduzione della formula homoousios nel credo niceno. Il resoconto cronologicamente più antico e più attendibile10 di come avvenne il concilio di Nicea e come fu introdotto nel suo credo il termine chiave homoousios è fornito da Eusebio, nella Lettera alla sua chiesa citata da Atanasio in de decr. Nic. syn. 33 e poi da Socrate in HE I 8.

Secondo Eusebio (§ 4), la prima formula del credo, su cui i padri conciliari avevano convenuto, suonava così nella sua parte relativa al Figlio: «credo in un solo Signore Gesù Cristo, il Logos di Dio, Dio da Dio, luce da luce, vita da vita, Figlio unigenito, primogenito di tutta la creazione, generato dal Padre prima di tutti i secoli». Eusebio aggiunge (§ 7) che a quel punto, però, Costantino volle fare includere il termine homoousios, cosicché la nuova formula del credo, nel suo passo relativo al Figlio, venne a risultare:

Credo in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, nato come unigenito dal Padre, ossia dalla ousia del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato e non creato, della stessa ousia del Padre [ὁμοούσιον τῷ Πατρί] [...] La chiesa cattolica anatematizza coloro i quali affermano che «vi fu un tempo in cui non esisteva» [ἦν ποτε ὅτε οὐκ ἦν] e «prima di essere generato non esisteva», e che «venne all'essere dal nulla [ἐξ οὐκ ὄντων] », o «da un'altra sostanza o essenza (sc. diversa da quella del Padre)»,11 o vanno dicendo che il Figlio di Dio è creato, o alterabile, o mutevole.

Le aggiunte più importanti, homoousios e «dalla ousia del Padre», sembrano derivare precisamente dalla teologia di Origene, che riferiva già entrambe queste espressioni al Figlio. La derivazione del Figlio dalla essenza del Padre e non da qualcosa di esterno implicava a sua volta che il Figlio fosse generato e non creato, poiché le creature sono create da Dio non dalla sua stessa sostanza, ma dal nulla (e questa è una dottrina che sosteneva già Origene).12 Anche l'aggiunta relativa alla condanna della formula ἦν ποτε ὅτε οὐκ ἦν è esattamente nella linea di Origene, che l'aveva ripetutamente negata nelle sue opere contro i "pre-ariani" del suo tempo, sostenendo che «non vi fu mai un tempo in cui non ci fosse il Figlio».

I commenti che Eusebio fa seguire nella sua lettera mi sembrano confermare che la fonte primaria di ispirazione per questa formula era proprio Origene. Nel § 9 egli fa presente che le formule aggiunte al credo, in un secondo momento, relative all'identità di ousia tra il Padre e il Figlio furono attentamente discusse dai padri conciliari e non furono aggiunte senza ottime ragioni. È questa evidentemente una difesa di queste stesse formule, derivate, come Eusebio ben sapeva, da Origene, il pensatore cristiano da lui più ammirato e seguito e difeso in assoluto. I padri conciliari osservarono che l'espressione ἐκ τῆς οὐσίας significava che il Figlio era nato al Padre, dall'essenza del Padre e non da qualcosa di esterno, ma non significava che il Figlio fosse una parte o un frammento o uno delle membra del Padre. Ora, esattamente questa chiarificazione e giustificazione dell'espressione ἐκ τῆς οὐσίας in riferimento alla generazione del Figlio era già stata data da Origene in princ. IV 4, 1, fr. 31 (da Marcello di Ancira, citato dallo stesso Eusebio in c. Marc. I 4, dunque in un passo di Origene che era ben noto ed Eusebio!). Per Origene, il Figlio non fu generato come una parte o un frammento del Padre, in modo tale da dividere e da diminuire la sostanza del Padre, poiché la generazione del Figlio è completamente diversa da quella degli animali (incluso l'uomo). Che questa fosse una preoccupazione concettuale di Origene è pienamente confermato da un altro passo, sicuramente autentico e pervenuto né in citazione né in traduzione, ma per tradizione diretta: comm. in Io. XX 18, 157. Qui Origene contesta che

il Figlio possa essere detto generato dall'essenza del Padre [ἐκ τῆς οὐσίας] nel senso che il Padre dovesse subire una diminuzione e una perdita nella sostanza [οὐσία] divina che prima possedeva, nel momento in cui genera il Figlio. [...] Quanti pensano qualcosa di simile necessariamente finiscono per affermare anche che il Padre sia un corpo e che il Figlio abbia scisso il Padre [...] così classificheranno il Padre tra ciò che è corporeo.

Allo stesso modo, anche in princ. IV 4, 1 Origene confutava l'idea, sostenuta da alcuni "eretici» ai giorni suoi, che, con la nascita del Figlio, una parte della sostanza di Dio si fosse staccata da Dio Padre per andare a costituire il Figlio. Si noti anche che in questo passo la polemica contro questa idea si associa anche alla polemica contro la tesi, poi ariana, che «vi fu un tempo in cui il Figlio non esisteva»: Non enim dicimus, sicut haeretici putant, partem aliquam substantiae Dei in Filium versam, aut ex nullis substantibus Filium procreatum a Patre, id est extra substantiam suam, ut fuerit aliquando quando non fuerit.

Eusebio dunque attribuisce ai padri conciliari sia la formula di Origene, che il Figlio sia nato dalla stessa ousia del Padre, sia le chiarificazioni dello stesso Origene riguardo ad essa, che cioè non è una generazione corporea e non implica una diminuzione della ousia del Padre alla nascita del Figlio come se questi fosse una parte della sostanza del Padre. Eusebio nella sua lettera (§ 10) dichiara che solo dopo le dovute chiarificazioni -- che erano quelle di Origene -- egli accettò il credo con le formule ἐκ τῆς οὐσίας e ὁμοούσιος. E dichiara di averlo accettato per non uscire dalla ὀρθὴ διάνοια, ossia dall'ortodossia, di cui evidentemente Origene era il rappresentante.

Eusebio spiega allo stesso modo anche il motivo per cui a Niceo egli accettò la definizione del FIglio come FIglio e non come creatura (§ 11). Anche questa era un'idea che Origene aveva propugnato, sostenendo, come ho dimostrato, che il Figlio non è nato dal nulla o da qualche altra sostanza che non sia quella del Padre. È infatti ancora una volta sulla scorta di Origene che Eusebio spiega che homoousios significa che la generazione del Figlio non avvenne per scissione della ousia del Padre (si noti il concetto e addirittura il lessico di Origene in comm. in Io. XX 18, 157) né per alterazione della sostanza del Padre, e significa che il Figlio non deriva da una qualche altra sostanza o ousia, bensì da quella del Padre.

Subito dopo avere addotto le stesse spiegazioni che dava Origene delle due formule origeniane ὁμοούσιος e ἐκ τῆς οὐσίας, non a caso Eusebio, non a caso Eusebio aggiunge un'altra giustificazione per il loro uso, ossia la loro presenza, e specialmente la presenza di ὁμοούσιος, in alcuni autori che comprendevano innanzitutto Origene stesso: «alcuni dotti e illustri vescovi e autori antichi, come sappiamo, usarono il termine homoousios nei loro scritti teologici in riferimento al Padre e al Figlio». Origene non era tra i vescovi, come Ippolito,13 ma era tra gli autori; nei suoi scritti teologici egli aveva riferito homoousios al Figlio e al Padre, come Eusebio -- redattore oltretutto dell'apologia di Panfilo -- sapeva bene. È primariamente sull'autorità di Origene che homoousios fu introdotto a Nicea. Non essendo questo termine presente nella Scrittura, era necessaria un'autorità molto forte per giustificarlo. Agli occhi di Eusebio, Origene era certamente tale, e aveva anche il vantaggio di basare la sua asserzione che il Figlio è homoousios al Padre sulla Scrittura stessa (Ebr 1, 3), precisamente nel passo antologizzato da Panfilo, che Eusebio conosceva molto bene.

Esattamente perché Eusebio intendeva difendere le formule di Origene introdotte a Nicea, egli insiste straordinariamente sulla loro giustificazione, e ancora nel § 14 della sua lettera ribadisce che sia egli stesso sia gli altri padri conciliari accettarono queste formule dopo averle meditato a lungo e averne verificato l'esattezza. Egli giustifica altresì gli anatematismi apposti al credo dicendo che questi sconfessavano espressioni non attestate nella Scrittura riguardo al Figlio, e mi sembra estremamente significativo che, ancora una volta, le formule anatematizzate comprendono due espressioni-chiave, ἐξ οὐκ ὄντων ed ἦν ποτε ὅτε οὐκ ἦν, che Origene aveva già confutato in princ. IV 4, 1 (non enim dicimus [...] ex nullis substantibus Filium procreatum a Patre [...] ut fuerit aliquando quando non fuerit) e altrove, come ho già mostrato.

Che Eusebio abbia potuto fare da tramite per l'introduzione del termine chiave homoousios a Nicea è reso anche più probabile dal fatto che egli stesso usasse questo termine nella sua opera, anche al di fuori della citata lettera alla sua chiesa. Anche il cliché di Eusebio come semiariano, infatti, è da sfatare. Eusebio era un oigeniano, non un ariano. In DE V 4, 8 la sua affermazione che il Padre è «primo Dio» e il Figlio «secondo Dio» non va inteso in senso subordinazionistico, ma nel senso della distinzioen delle ipostasi o sostanze individuali del Padre e del Figlio, che sono però lo stesso Dio. È questo un pensiero origeniano.

Potrebbe essere stato per consiglio di Eusebio che Costantino fece introdurre a Nicea la formula homoousios (e forse anche le altre formule origeniane che ho illustrato). Eusebio avrebbe ascritto l'introduzione formalmente a Costantino stesso per ammantarla di autorità. Non a caso, infatti, è Eusebio che spiega la tesi di Costantino (il quale, dopo tutto, era un politico e un guerriero ben più che un dotto e sottile teologo) in or. ad Sanct. coetum 9. Qui, il credo niceno per quanto concerne il Padre e il Figlio è difeso -- formalmente da Costantino, suo ufficiale promotore -- e dichiarato coerente con la teologia platonica (naturalmente si trattava, storicamente, di medioplatonismo e del primo neoplatonismo). Ora, questa, più che una convinzione di Costantino, era ben più una tipica convinzione di Eusebio, che si trova espressa ad esempio in PE 11-13. Qui Eusebio -- che riposa ovviamente sulla tradizione di Filone, Clemente e Origene stesso -- vede il platonismo come la filosofia che concorda più di tutte con la filosofia ebraico-cristiana. Filone (precorso da Aristobulo), Giustino, Clemente e Origene potevano spiegare questa convergenza con la tesi apologetica della dipendenza di Platone dalle Scritture giudaiche; Eusebio articola maggiormente questa spiegazione, ma rimane sulla stessa linea. Egli ipotizza infatti che Platone, «il più eccellente tra i filosofi greci» (PE XI 1, 3), potesse avere appreso la "filosofia giudaica" per via orale, oppure potesse avere scoperto la verità da sé, o ancora potesse essere ispirato da Dio. In PE XIV 5-9 Eusebio dispiega le sue competenze in fatto di storia dell'Accademia fino a Carneade, basandosi su Numenio, il medioplatonico e neopitagorico ben noto anche a Origene, e intitola PE XI 21 Περὶ τῶν τριῶν ἀρχικῶν ὑποστάσεων, lo stesso identico titolo che Porfirio aveva dato all'Enneade V 1di Plotino, forse dietro influsso di Origene.14 Eusebio si basa sulla Seconda Lettera attribuita a Platone -- la stessa su cui si basava Plotino in enn. V 1, 8 per la sua teoria dei tre principi o archaí -- , per sostenere che la supposta teologia trinitaria di Platone dipendeva dalla Scrittura, e in particolare dal libro della Sapienza. Secondo Eusebio, «gli esegeti di Platone», ossia Plotino e i neoplatonici, avevano interpretato la teologia trinitaria di Platone applicandola ai tre principi o hypostaseis, mentre i cristiani la interpretavano in riferimento alla Trinità. Tra questi cristiani spiccava Clemente d'Alessandria, che aveva interpretato i tre re della Seconda Lettera in riferimento sia alla Trinità sia ai tre principî platonici In PE XI 15-19 Eusebio a sua volta identifica la Sapienza bibica, che per Origene è Cristo, con il Logos di Filone, con il secondo Dio di Numenio, e con il Nous di Plotino.

In de decr. Nic. syn. 3, 3, Atanasio parla molto favorevolmente della lettera di Eusebio, osservando che egli appoggiò fin dall'inizio le formule homoousios e «dalla ousia del Padre». Con grande probabilità egli le promosse anche presso l'imperatore e i padri conciliari. Il fatto che egli, come Atanasio nota, la giustifichi presso la sua chiesa, non va probabilmente interpretato come un volerla scusare, come se Eusebio si sentisse imbarazzato di fronte ad essa (secondo l'ipotesi di Atanasio), bensì come un volerla motivare, un volerne mostrare la fondatezza. Ancora una volta, Eusebio, come nell'apologia di Panfilo e come nel libro VI della Historia ecclesiastica, stava difendendo Origene, a cui le formule introdotte a Nicea appartenevano. Come Atanasio nota, Eusebio «condannò gli ariani». Questo non è certo sorprendente, ma è una logica conseguenza del fatto che Eusebio fosse un convinto origeniano. Le posizioni anti-ariante ante litteram di Origene erano note ad Atanasio stesso. Il De decretis Nicenae synodi non è solo l'opera in cui egli cita la lettera di Eusebio, ma, non a caso, è anche quella in cui egli loda Origene e lo cita a sostegno della propria posizione trinitaria decisamente anti-ariana. Sia Atanasio sia, più, ancora, Eusebio, e poi Gregorio di Nissa e Socrate, sapevano bene che le radici del credo niceno (e poi costantinopolitano) affondano nella teologia di Origene, il quale era esattamente l'opposto di un "precursore dell'arianesimo".

Copyright © 2011 Ilaria Ramelli

Ilaria Ramelli. «Origene: una teologia trinitaria anti-subordinazionista». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**43 B].

Note

  1. "In Illud: Tunc et Ipse Filius... (1Cor 15,27-28): Gregory of Nyssa's Exegesis, its Derivations from Origen, and Early Patristic Interpretations Related to Origen's," in Studia Patristica; ulteriori argomenti in "The Trinitarian Theology of Gregory of Nyssa in his In Illud: Tunc et ipse Filius: His Polemic against 'Arian' Subordinationism and the Apokatastasis," International Congress on Gregory of Nyssa and Trinitarian Theology, Tübingen September 2008, ed. V.H. Drecoll, Leiden 2011. Testo

  2. Ne ho fornito traduzione, introduzione e commento in Gregorio di Nissa sull'anima e la resurrezione, Milano 2007. Testo

  3. Origene non usa mai πρόσωπον per le Persone della Trinità, bensì ὑπόστασις. Per lui πρόσωπον è un termine per lo più retorico, mentre ὑπόστασις è il termine filosofico. Testo

  4. Cfr. il mio "Maximus" on Evil, Matter, and God: Arguments for the Identification of the Source of Eusebius PE VII 22, in pubblicazione in «Adamantius». Testo

  5. Cfr. anche, sebbene di incerta autenticità, Schol. in Apoc. 20, p. 29 Harnack: ἅγιος, ἀληθινὸς ὁ μὴ μετουσίᾳ ἀλλ’ οὐσίᾳ ὤν τοιοῦτος, αὐτός ἐστιν ὁ Θεὸς λόγος. P. Tzamalikos (in un'importante opera in pubblicazione a Leiden che ho letto come peer-reviewer) sostiene che questi Scholia siano stati compilati da Cassiano il Sabaita (VI sec.) in base a un commento all'Apocalissi di Didimo il Cieco. Anche in tal caso, comunque, Didimo dipendeva fortemente da Origene ed è probabile che questi Scholia riflettano in buona parte il pensiero di Origene. Testo

  6. Dimostrazione nel mio Origen's Anti-Subordinationism. Testo

  7. Cfr. documentazione nel mio Origen's Anti-Subordinationism, dove dimostro anche che questo termine era usato da alcuni autori cristiani noti a Origene o seguaci di Origene. Testo

  8. Per il ruolo, che io credo essere stato determinante, dell'esegesi di Ebr 1, 3 nella formazione del concetto origeniano di ipostasi cfr. l'estesa discussione nel mio Hypostasis, in pubblicazione. Testo

  9. Cfr. il mio Dialogue of Adamantius. Testo

  10. Gli altri documenti sono di molto posteriori ai fatti, e alcuni sono perfino dei falsi, come ha sostenuto H. Pietras, Lettera di Costantino alla Chiesa di Alessandria e Lettera del sinodo di Nicea agli Egiziani (325) -- i falsi sconosciuti da Atanasio?, «Gregorianum» 89, 3 (2008) 727-739. Testo

  11. In questo sintagma dei padri conciliari ousia e hypostasis sono trattati come sinonimi, come spesso fa Atanasio e come Basilio nella sua prima fase; Origene invece li distingueva chiaramente in ambito trinitario (cfr. il mio Hypostasis). Testo

  12. Cf. il mio Dialogue of Adamantius. Testo

  13. Per Ipplito cfr. il mio Origen's Anti-Subordinationism. Testo

  14. Per l'influsso che Origene potrebbe avere esercitato su Porfirio su questo punto cfr. il mio Hypostasis. Testo

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