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Trinità e creazione nel pensiero di Wolfhart Pannenberg

di Gaetano Iaia (Roma, 26-28 maggio 2011)

Alla base della proposta cosmologica elaborata dal teologo evangelico tedesco Wolfhart Pannenberg vi è la convinzione che la teologia sia una disciplina accademica rigorosa, capace di interagire criticamente con la filosofia, con la storia, con le scienze. Specie con questa ultime il rapporto può essere proficuo, poiché parlano dello stesso universo e della medesima realtà e non possono quindi vivere come in compartimenti separati. Per una ricostruzione sistematica della teologia si deve quindi aprire e mantenere un dialogo con il pensiero scientifico, lasciando che l'intenzionalità propria al progetto e alle scoperte scientifiche possa guidare anche una loro eventuale rilettura teologica.

Per questo nostro studio ci concentreremo brevemente su tre aspetti della sua riflessione, avvicinando quella che egli definisce una "nuova" idea di Dio -- che da lui viene posto a confronto con la nozione di campo fisico -- per poi soffermarci sulla Creazione (in quanto Creatio ex nihilo) e sul rapporto tra questa e la Trinità.

1. Una nuova idea di Dio

Il merito fondamentale della teologia della creazione elaborata da Pannenberg sta nell'aver dato un'interpretazione di quest'ultima compatibile con lo sviluppo intellettuale del mondo moderno. Il suo proposito è di riconsiderare la dottrina e la terminologia tradizionali, cercando di fare chiarezza sui concetti che esprimono analogicamente la divinità e rintracciando al tempo stesso nuove e migliori modalità di esposizione.

Uno dei primi compiti cui egli si sottopone, è quello di determinare i concetti, le metafore, i simboli da adottare per articolare il discorso su Dio, anche alla luce del vocabolario tradizionale della fede cristiana. I termini storicamente più comuni sono, infatti, Padre, Figlio, Spirito Santo, ma sono stati usati anche amore, ragione, sapienza, volontà; il teologo tedesco aggiunge a essi espressioni come "infinito reale", potere del futuro, "Colui che determina tutta la realtà".

Dopo aver esposto questa "grammatica", Pannenberg passa alla costituzione di una gerarchia tra i termini, verificando quali siano da considerarsi di primaria importanza e quali invece possano essere ritenuti secondari. A suo dire la tradizione cristiana, articolando nel suo sviluppo storico la comprensione della natura di Dio -- specie per quel che riguarda lo Spirito -- ha ritenuto come fondamentali i concetti di "ragione" e "volontà"; la domanda che egli si pone è se questi termini possano essere realmente adeguati. Non solo in essi permane, infatti, una traccia della finitudine -- risultante dalla loro relazione con l'esperienza umana -- ma sono a suo avviso anche derivanti da un'eccessiva intellettualizzazione e antropomorfizzazione della figura divina.

Volendo riconcettualizzare il discorso su Dio egli allora elabora la sua proposta, finalizzata a correggere le divergenze ormai esistenti tra la dottrina su Dio e il discorso biblico da una parte e, dall'altra, tra il pensiero cristiano e i risultati delle scienze fisiche.

Di tutte le provocatorie e radicali modifiche che egli propone alla dottrina su Dio, nessuna lo è quanto quella che egli pone in essere a proposito della terminologia: egli, infatti, sostituisce alle nozioni di ragione e volontà il concetto di infinito campo di forza e potenza,1 adoperando il concetto di campo nel senso inteso dalla fisica moderna.

Se Dio è realmente il Creatore di tutte le cose, per una esaustiva comprensione del mondo naturale è allora essenziale un riferimento all'idea di Dio:

Nessuna realtà finita può essere compresa nella sua profondità senza un riferimento a Dio [...] Tuttavia, se il parlare di Dio è una rivendicazione di verità, deve essere possibile dimostrare che le descrizioni secolari della realtà sono realmente astrazioni della totalità della sua natura [...] Deve essere possibile puntare alle tracce della dipendenza da Dio, se questa è davvero costitutiva della natura e dell'esistenza di un'entità.2

Con quest'affermazione egli non vuole sostenere che alla base di ogni conoscenza del cosmo debba esservi la dimostrazione delle relazioni esistenti tra ogni aspetto del cosmo stesso e Dio, quanto piuttosto che, se si considera Dio come Creatore, lo status creaturale di tutte le entità create deve essere considerato come uno dei costituenti essenziali della loro natura. Di conseguenza, sarà possibile dimostrare la relazione esistente tra creazione e Creatore solo se si colgono dettagliatamente tutti gli aspetti della realtà.

Pur evitando facili concordismi, una possibilità di comprensione ulteriore viene dall'idea che l'elaborazione teologica sulla persona del Dio cristiano possa contenere degli elementi confrontabili con quelli della comprensione naturale propria delle scienze fisiche. Per questo, egli pone a confronto il concetto biblico di Dio -- considerato come Spirito -- con le teorie fisiche sulla costituzione del cosmo e sulla priorità del campo fisico rispetto ai corpi.

Su questa base può allora interpretare la creazione utilizzando come chiave interpretativa il termine "forza". Punto di partenza per la sua analisi è l'affermazione per la quale la tradizione cristiana avrebbe purtroppo visto il progressivo sviluppo di una visione antropomorfica di Dio, non in accordo con la visione biblica del Dio-Spirito.3

La sua preoccupazione è quella di evitare proprio questa antropomorfizzazione della persona divina che, nella tradizione cristiana, si è solidificata anche mediante l'uso dei concetti di ragione e coscienza, fortemente radicati nell'auto-esperienza umana e quindi inadeguati a definire Dio. Applicare a Lui tali concetti richiederebbe, per il teologo tedesco, notevoli e radicali modifiche al significato loro proprio e a quello dei fenomeni ad essi associati, ad esempio il processo conoscitivo e quello razionale.

La visione biblica, piuttosto -- egli afferma -- considera lo Spirito di Dio come "forza". Il termine ebraico Ruah non significa infatti ragione o coscienza,4 ma una forza misteriosa e invisibile, che svela se stessa specialmente nel movimento del vento.5 Nell'AT questa forza è all'origine di tutta la vita (Sal 104, 29; Gb 34, 14ss) e può essere vista anche come l'alito che dona la vita (Gen 2, 7) e che ritorna a Dio con il nostro ultimo alito vitale (Eccle 12, 7). Nel NT, inoltre, Dio non è visto come Noûs supremo e incorporeo; nella teologia di Paolo (1Cor 2, 11; 2Cor 3, 17) e Giovanni (4, 24) Dio è ritratto come Pneûma, ma quest'idea non è in alcun rapporto con il concetto ellenistico del Dio-noûs.6 Le affermazioni del NT circa lo Spirito e la sua opera sarebbero quindi da comprendersi alla luce della visione ebraica,7 per la quale lo Spirito di Dio è il «principio vivificante cui tutte le creature devono la loro vita, moto e attività. Ciò vale in modo particolare per gli animali ed i vegetali, e insieme ad essi per l'essere umano».8

Vi è quindi un punto di contatto tra lo Spirito di Dio e lo spirito degli esseri umani: com'è attestato dalla Scrittura, lo Spirito di Dio venne alitato nelle creature (Gen 2, 7). Secondo il teologo tedesco questo "alito di Dio" altri non è se non lo stesso Spirito di Dio.9 Vi è una relazione diretta tra lo Spirito divino e spirito umano, questi è dipendente da quello:

Lo Spirito non è l'individuo, ma il potere divino che fa vivere l'individuo. Lo spirito umano non è una realtà indipendente, ma una mera partecipazione allo spirito divino.10

Lo spirito umano è quindi nient'altro che un'espressione partecipata dello spirito divino.11

L'ambiguità connessa a quest'associazione può essere superata se la si analizza da un altro punto di vista: se lo spirito di Dio è l'origine e la sorgente della vita, è grazie a questo spirito divino che l'umano (ed il suo spirito) ha origine e continua a vivere, ricevendo la sua vita da questa divina sorgente. Lo spirito umano potrà vivere come tale fino a quando continuerà a vivere nello spirito di Dio, in quanto possiede una certa somiglianza con lo spirito divino, anche se tale somiglianza è da intendersi solo in senso generale.12

Dio è quindi Colui che determina tutto, è il vero "mistero che tutto trascende" e dal quale ogni esistenza dipende:13 Pannenberg, per affermare questo mistero in categorie nuove -- «sintesi finale del mio pensiero»14 -- adotta il concetto di campo.

Giunge a questo modello confrontandosi con tre affermazioni sull'essenza di Dio, la prima di tipo metafisico e le altre due di tipo biblico. Anzitutto, nei confronti della dottrina di Dio come causa, egli propone l'idea di un Dio infinito, riprendendo il pensiero di Gregorio di Nissa:

Il contributo epocale che Gregorio di Nissa ha offerto alla teodicea cristiana sta nell'aver mostrato che la forma fondamentale dell'idea di Dio non va considerata come quella propria della Causa prima, come sostenevano gli avversari ariani, bensì come quella di Infinito.15

È questo il concetto minimo filosofico su Dio; cosa significhi per Dio essere infinito è possibile comprenderlo solo grazie ad un confronto con i dati biblici e teologici. Le affermazioni bibliche Dio è Spirito (Gv 4, 24) e Dio è amore (1Gv 4, 8. 16) sono le sole che riguardano chiaramente l'essere di Dio come tale e si oppongono all'interpretazione tradizionale di Es 3, 14, «che erroneamente la tradizione teologica ha interpretato come affermazione ontologica».16 La concezione cristiana di Dio come amore è

la figura concreta di un essere divino qualificato come 'Spirito' e contrassegnato dal concetto di Infinito.17

I concetti utili a dire Dio sono dunque quelli di Dio-Amore, di Dio-Infinito e di Dio-Spirito. Per Pannenberg, Dio è l'infinito spirito di amore che può essere detto anche attraverso l'analogia del campo:

Nelle persone di Padre, Figlio e Spirito si tratta della triplice figura dell'esistenza di Dio nel mondo ed anche oltre il mondo. In esse il Dio uno non è presente soltanto in modo indeterminato e atematico, come in quel campo illimitato che costituisce la condizione per delimitare ogni oggetto finito mediante la delimitazione, e che trascende gli oggetti finiti nella loro singolarità e nella loro totalità. Questo campo di infinito, a cui originariamente è aperto lo spirito umano, non era stato ancora determinato come esistenza di Dio. Nel Padre, Figlio e Spirito, invece, l'essenza divina ha la figura determinata della sua esistenza: non soltanto quella delle sue figure, ma la sua figura propria, poiché le tre Persone costituiscono un'unica, complessiva costellazione. Ma la figura determinata dell'esistenza di Dio come Padre, Figlio e Spirito coincide realmente con il campo illimitato della presenza atematica di Dio nella sua creazione [...] Già nel mistero indeterminato, quello che tutto riempie e tutto trascende e nel quale tutte le cose sono comprese, il Padre è ad esse vicino attraverso il suo Figlio e nella forza del suo Spirito.18

La sfera del divino va quindi considerata come un "infinito campo ontologico", mentre l'emergere dello spirito umano in esso va visto come espressione della moltitudine delle manifestazioni dello spirito divino.19

Nello spirito-campo viene vista la sorgente di ogni potere, l'origine della vita e il centro della forza, i cui effetti e influenze devono essere considerati in maniera analoga a come il concetto di campo serve a spiegare in fisica taluni fenomeni naturali. Dio non è il campo descritto dalla fisica ma, in quanto infinito campo di forza e potenza, è alla base e dà luogo al continuum energetico spazio-temporale, componente essenziale dell'universo.20

Il Dio-Spirito non va quindi considerato come il Noûs, quanto piuttosto come dinamica creatrice e vivificante: lo Spirito è come il "campo di forza" della potente presenza di Dio.21 Dio quindi, se considerato nel suo essere Creatore del mondo, può essere visto come lo "sfondo unificante" del cosmo:

Dio deve essere concepito come lo sfondo unificante di tutto l'universo, se viene visto come creatore e redentore. Il concetto di campo può quindi essere usato in teologia, onde indicare l'effettiva presenza di Dio in ogni singolo fenomeno intelligibile.22

Se si considera poi il rapporto che la scienza postula tra forza e campo, di esso può anche essere colta una rilevanza teologica, sebbene

le differenze di fondo che rileviamo tra l'osservazione fisica e quella teologica nel descrivere la realtà ci vietano comunque d'interpretare le teorie fisiche di campo in termini direttamente teologici. Esse possono essere spiegate soltanto come approssimazioni -- in sintonia con la peculiare osservazione scientifica del reale -- a quella realtà che è pure oggetto di enunciati teologici sulla creazione.23

Per il teologo tedesco, alla teologia spetta quindi il compito di

trovare, nella sua stessa tematica, delle motivazioni che le consentano di ricorrere ad un concetto fondamentale elaborato dalle scienze della natura, come quello di 'campo', risalendo alla sua connotazione prefisica e filosofica. Solo in tal caso essa risulterà legittimata a sviluppare in modo adeguato questi concetti all'interno di una sua propria tematica e articolare autonomamente il proprio linguaggio anche rispetto all'uso linguistico che ne fanno le scienze della natura.24

2. La creatio ex nihilo

Affrontando il tema della creazione, Pannenberg precisa che il concetto di creatio ex nihilo è una posteriore formulazione dell'idea biblica della "creazione per mezzo della Parola". Questa idea dimostrerebbe al meglio l'illimitata libertà di Dio nell'atto della creazione. Per questo motivo, la creazione biblica è differente da altre cosmogonie sorte nei vari ambiti culturali e religiosi dell'antico Oriente,25 in quanto è anche tesa a eliminare ogni possibile visione dualistica dell'origine del mondo: Dio non opera insieme a un altro principio o modellando la materia senza forma per mezzo di un demiurgo.26 L'origine del mondo deve essere pensata in un unico modo: il mondo è da Dio portato dal nulla all'esistenza per mezzo del suo Spirito creativo e del suo Logos.

2.1. Una interpretazione metafisica dell'origine del mondo

Come detto in precedenza, per Pannenberg i modelli elaborati dalla religione sono eccessivamente antropomorfici. Parlando dell'emergenza del mondo mediante la creazione dal nulla egli afferma che anche il concetto delle "idee divine" -- quali modelli preesistenti delle cose -- e del loro ordine nella mente divina è eccessivamente antropomorfico:

Un simile approccio, infatti, non suppone soltanto una distinzione ed associazione troppo antropomorfe fra intelletto e volontà in Dio, ma pregiudica anche quei momenti di contingenza e di storicità che derivano da una realtà mondana prodotta dall'agire creatore di Dio e che inevitabilmente qualificano anche la fede biblica nella creazione.27

Per rendere giustizia a questa fede biblica egli adotta l'idea hegeliana di auto-distinzione, attribuendo a Hegel il merito di aver sostituito il tradizionale concetto statico di un intelligibile "mondo delle idee" con quello di un principio che genera la pluralità e la distinzione delle realtà creaturali.28

Per Pannenberg la dimostrazione dell'auto-distinzione del Figlio dal Padre è però da rintracciarsi nella persona storica di Gesù di Nazareth. Alla base di questa sua scelta vi sono sia la necessità di fornire una solida validità storica al suo metodo teologico, sia il desiderio di superare la fondazione hegeliana, troppo speculativa ed astratta:

L'idea hegeliana della processione della finitudine dal Figlio, considerato il principio dell'esser-altri, merita [...] una correzione critica, poiché Hegel ha combinato insieme l'affermazione di un auto-sviluppo logicamente necessario dell'Assoluto con la produzione di un mondo del finito. In effetti tale affermazione non si concilia con la fede nella creazione.29

L'esistenza del Gesù storico trova la sua base in Dio, il Creatore del mondo, a partire dall'auto-distinzione del Figlio eterno dal Padre: l'eterno Figlio, quindi, non solo precede l'esistenza storica di Gesù ma è anche fondamento della sua esistenza creaturale. Analogamente, il Figlio eterno costituisce la base ontica dell'esistenza umana di Gesù nella sua relazione con Dio come Padre:30 il Gesù umano è quindi la rivelazione terrena dell'eterno Figlio.

Nel suo atto di auto-distinzione dal Padre, il Figlio si porta fuori dall'unità della deità lasciando «che il Padre solo sia Dio»,31 attualizzando se stesso nella forma dell'altro e aprendo la possibilità all'emergenza delle creature distinte dal Padre. In questo modo l'auto-distinzione del Figlio eterno dal Padre può essere considerata come lo sfondo metafisico per l'esistenza del mondo:

Come nella vita intratrinitaria di Dio l'auto-distinzione del Figlio dal Padre rappresenta una condizione della sua unità con il Padre mediante lo Spirito, allo stesso modo pure le creature, nel loro distinguersi da Dio, sono al tempo stesso a lui riferite come al proprio Creatore e nel loro distinguersi fra di esse sono al contempo riferite le une alle altre.32

L'emergere e l'esistere del mondo non sono però elementi "necessari" all'intima vita di Dio: in questa vi è solo l'eterna auto-distinzione tra le Persone della Trinità, auto-distinzione che è condizione per la loro compagnia nell'unità della vita divina. «La vita divina si presenta dunque come un cerchio chiuso in se stesso, che non ha bisogno di niente al di fuori di sé».33

2.2. Il Logos, "Divino principio generativo"

Lo sfondo metafisico dell'alterità delle esistenze creaturali è l'auto-distinzione del Figlio dal Padre. Accanto a questo concetto -- e collegato ad esso -- c'è l'idea del Logos come "Divino principio generativo". Ciò che caratterizza la realtà del mondo -- afferma il teologo tedesco -- è l'esistenza di una pluralità di creature:34 l'essere finito è quindi limitato dagli altri esseri. Non limitato solo da ciò che è infinito, ma anche da ciò che come lui è finito: ogni creatura esiste in diretta connessione con le altre creature finite. In e per mezzo di questa relazione, le creature differiscono le une dalle altre.

Queste differenze sono il risultato dell'auto-distinzione di ogni creatura rispetto alle altre, processo da non pensarsi come risultato di un singolo evento ma che piuttosto procede con l'espansione dell'universo.35

La visione patristica dei logoi delle creature, concentrati nell'unico Logos, rivela il senso universale del Logos come origine ed unità della creazione nella sua pluralità.36

Il Lógos è l'ordine non astratto bensì concreto del mondo. E ciò perché nel concetto di Lógos divino non si può dissociare il dinamismo eterno dell'autodistinzione (il lógos ásarkos) dalla sua realizzazione in Gesù Cristo (il lógos énsarkos). Il Lógos universale opera soltanto in quanto produce il lógos particolare delle singole, specifiche creature. Comunque il Lógos universale si unifica pienamente con il lógos particolare di una specifica figura creata, cioè con la 'carne' di un individuo umano, soltanto nella persona di Gesù di Nazareth.37

L'autore biblico, unificando tutte le creature nei cieli e sulla terra in Gesù (Ef 1, 10), testimonia ugualmente l'indissolubile relazione tra l'eterno Figlio e il Gesù terreno:

In quanto principio creatore dell'ordine del mondo, il Lógos non è dunque una struttura universale senza tempo -- come lo sono la legge naturale ed ogni sistema teoretico di ordine naturale -- bensì principio dell'ordine concreto, storicamente sviluppato, del mondo, il principio dell'unità della sua storia.38

Di conseguenza, il Logos universale viene ad essere orizzonte fondamentale sia dell'alterità di tutte le creature mondane sia delle differenze esistenti tra esse, è il Divino principio generativo in quanto genera la pluralità delle creature. La creazione assume quindi il suo significato grazie alla mediazione del Logos:

Il Figlio va inteso piuttosto come origine creativa della singolarità di ciascuna creatura e al tempo stesso come totalità concreta delle sue manifestazioni in tutta la loro varietà [...] Inoltre il rapporto delle creature con il Lógos divino non può essere considerato un'esemplificazione concreta di una realtà astrattamente universale, in quanto la destinazione delle creature alla comunione con Dio [...] non risulta immediatamente realizzata nella loro esistenza concreta.39

Questa funzione generativa del Logos può anche essere descritta come il principio dell'unità del mondo: «c'è bisogno di una storia capace di superare le tendenze che portano le creature a rendersi autonome da Dio e di comporre i conflitti che ne derivano con le con-creature».40 Pannenberg vede la forma concreta di questo principio unificatore del Logos nell'incarnazione, che costituisce il "centro integrativo" dell'ordine storico del mondo, che «risulterà pienamente realizzato nel futuro escatologico, quando conoscerà il suo perfetto compimento e verrà trasformato in Regno di Dio».41 In questo modo l'incarnazione non è più la risposta divina al peccato umano, quanto piuttosto il "mezzo" grazie al quale la divinità fissa e guida l'ordine del mondo:

L'incarnazione non può essere considerata come una mera aggiunta alla creazione, puro effetto di una reazione del Creatore alla caduta di Adamo, ma andrà vista essa stessa come la chiave di volta dell'ordine divino del mondo, come la concretazione estrema della presenza di un Logos che opera nel creato.42

Destino esistenziale di ogni singola creatura -- creazione ed espressione del Logos divino nella sua distinzione dalle altre creature -- è allora quello di glorificare il Padre nella propria esistenza creaturale: il destino della creatura è corrispondente alla relazione dell'eterno Figlio con il Padre e alla glorificazione del Padre mediante il Figlio. Se il Figlio infatti glorifica il Padre in quanto distinto da esso, il destino di ogni creatura è di onorare il Padre come suo Creatore nella sua specificità creaturale,43 prendendo parte alla relazione filiale del Logos con il Padre. È in questo senso che il Logos divino può essere considerato come il "modello strutturale" di tutte le altre creature.

3. La creazione in prospettiva trinitaria

Oltre che nella prospettiva del Logos, la relazione venutasi a instaurare tra Dio e il mondo con la creazione può essere analizzata anche -- e soprattutto -- in prospettiva trinitaria, sottolineando il significato delle singole relazioni che intercorrono tra il mondo creato e ogni Persona della Trinità.

3.1. Il Padre, "Signore" del mondo

La creazione del mondo non ha niente in comune con la vita divina di Dio, essa è una pura espressione della bontà-libertà-liberalità divina. Da questa riflessione sorge una domanda: la bontà-libertà-liberalità di Dio può considerarsi la sola ragione per la creazione del mondo? Pannenberg risponde:

Anche se il mondo, in quanto oggetto della sua signoria, non è indispensabile alla divinità di Dio ed esiste perché originato dalla libertà creatrice di Dio, vero è anche che l'esistenza di un mondo non è conciliabile con la divinità di Dio senza la signoria che Dio stesso su di esso esercita. Proprio per questo la signoria appartiene alla divinità di Dio.44

Creazione e signoria sono intimamente connesse e non sono separabili; Pannenberg esplicitamente afferma:

Se Dio non regnasse sulla sua creazione non sarebbe nemmeno Dio. L'atto creatore deriva dalla libertà di Dio. Ma una volta che il mondo della creazione è entrato nell'esistenza, il potere che su di esso Dio esercita è condizione e dimostrazione della sua divinità. Se il Creatore fosse solo l'Autore dell'esistenza del mondo, ma non dominasse anche ciò che ha creato, egli non sarebbe Dio in verità né potrebbe venir qualificato in senso pieno come Creatore del mondo.45

Sottostante all'idea della signoria è anzitutto l'auto-assoggettamento delle creature a Dio Padre, ma anche la Sua glorificazione "in" e "mediante" questo auto-assoggettamento; ulteriore elemento è l'auto-distinzione delle creature da Lui e da ogni altra esistenza creaturale, idea che trova fondamento nel fatto che il Figlio è modello strutturale e destino delle creature. Egli è "modello strutturale" per la sua auto-distinzione dal Padre, fatta accogliendo la propria distinzione da Lui, mentre la glorificazione del Padre da lui compiuta nell'assoggettamento rinvia al destino delle creature:

Il Figlio "sostiene l'universo" (Eb 1, 3) nella sua autonomia creaturale che lo differenzia da Dio ed al tempo stesso costituisce la finalità del governo divino del mondo, in quanto realizza "nella pienezza dei tempi il disegno di ricapitolare tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" (Ef 1, 10), rende cioè partecipe ogni creature del rapporto di figliolanza di cui Gesù gode con il Padre, della comunione con Lui mediante la sua autodistinzione dal Padre.46

Opposto all'assogettamento è l'atteggiamento dell'ergersi delle creature contro il Creatore, quando esse si auto-nominano divinità di loro stesse; l'autonomia che Dio ha concesso alle creature, finalizzata alla differenziazione da Dio ed all'assoggettamento nei suoi confronti può quindi divenire un occasione di abuso:

Il Creatore ha voluto che le creature fossero autonome: proprio questo è lo scopo cui mira l'atto della creazione. Ma potremmo aver anche l'impressione che i nessi causali che scopriamo nel mondo creato godano di una tale autonomia da rendere superflua, per la comprensione del mondo della natura, l'idea di Dio.47

Il Signore della creazione rischia quindi di divenire il "grande Assente" della creazione; l'esistenza creata attesta l'amore del Creatore, che le ha concesso la possibilità di esistere e la sostiene con amore paterno, ma rischia anche di "emanciparsi" totalmente da Dio, abusando della sua libertà:

Dio, il Padre celeste, diventa per questa creatura che vive in modo autonomo l'Assente... La creatura, certa della sua autonomia e fiduciosa delle sue possibilità, esperimenta il potere di Dio soltanto come un limite, non potendo disporre della sua origine e del suo futuro ultimo.48

La perdita della Signoria divina sulla creazione comporta la distruzione dello scopo e dell'intenzione originaria di questa, in quanto le creature non glorificano più Dio subordinandosi a Lui, ed è in connessione con ciò che Pannenberg riflette sul senso dell'invio del Figlio nel mondo da parte del Padre: lo scopo di quest'invio diviene infatti il ristabilimento della signoria divina sul mondo.

Inviando il Figlio nel mondo il Padre gli concede il suo potere rendendo la signoria che a Lui è propria dipendente da quella del Figlio e realizzando altresì questa signoria nel compimento della missione del Figlio,49 accettando il rischio di affidare al Figlio la sua potenza. In questo modo il Padre permette che la sua divinità divenga dipendente dagli eventi storici del mondo stesso e, conseguentemente, che la prospettiva del compimento mondano possa dirsi realizzata solo quando la sua storia troverà la sua consumazione escatologica.

3.2. Il ruolo del Figlio nella creazione

Il Nuovo Testamento caratterizza in maniera singolare Gesù di Nazaret. Pannenberg riconosce la tensione esistente tra la prospettiva "escatologico-soteriologica" di alcuni testi e quella "archetipo-cosmologica" di altri sottolineando che, per capire l'importanza di Gesù Cristo, non si tratta di scegliere fra l'una o l'altra di queste prospettive, quanto piuttosto di ben comprendere la loro reciproca articolazione.50

Per questa nostra trattazione scegliamo di approcciare soltanto la seconda prospettiva, quella "archetipo-cosmologica", visto che grazie a quest'approccio è possibile ricomprendere il pensiero del teologo tedesco sulla creatio ex nihilo in prospettiva trinitaria.

Come abbiamo visto, la divina persona del Figlio è "principio di differenziazione" all'interno della vita divina e quindi principio della creazione. L'auto-distinzione del Figlio infatti «serve a capire anche l'alterità e l'autonomia dell'esistenza creaturale»,51 diventandone in qualche modo il punto di partenza mediante l'incarnazione (Fil 2, 6).

Anche se dal punto di vista (temporale) delle creature l'incarnazione del Figlio non può essere vista come il punto di partenza storico della creazione, essa è condizione per la possibilità della creazione se considerata secondo la prospettiva della vita divina (eterna). Per il teologo tedesco l'incarnazione non è soltanto significativa per la storia umana ma è la base per l'esistenza distinta e indipendente di tutta la creazione:

Se infatti il Figlio eterno esce, nell'umiltà della sua autodistinzione dal Padre, dall'unità della divinità, lasciando che il Padre soltanto sia Dio, vuol dire che la creatura viene alla luce come una controparte del Padre, o più precisamente ancora che ha avuto origine una creatura per la quale il rapporto con Dio ora si tematizza come rapporto con il Padre e Creatore: ha avuto origine l'uomo.52

Il NT può essere considerato come interamente dedicato allo sviluppo di questa tematica generale: Cristo è la manifestazione della Sapienza divina preesistente (cfr Prov 8, 22-31), anche se per dire questo approfondimento viene utilizzato in primis il concetto greco di Logos (Cfr Gv 1, 1ss; Col 1, 15-20; Eb 1, 2ss.).

È indubbio che su questo aspetto Pannenberg è debitore nei confronti del suo "maestro" Hegel, quando afferma che il Figlio è il principio di alterità all'interno della vita divina, ma al tempo stesso divorzia da Hegel quando insiste nel dire che la manifestazione ad extra del Figlio non è uno sviluppo necessario.53 Alla luce del carattere attivo delle relazioni intratrinitarie -- afferma Pannenberg -- Dio non ha bisogno di esternalizzare se stesso onde attualizzarsi come Soggetto Assoluto.54 Il Figlio è per questo sia modello strutturale della creazione nella sua esistenza indipendente, sia origine sostanziale di questa esistenza. Infatti, tale esistenza trova il suo fondamento nel «libero autodistinguersi» del Figlio rispetto alla divinità.55

Nel già citato Grundzüge der Christologie Pannenberg caratterizza il Figlio come il mediatore di tutta la creazione, affermando che l'origine trinitaria della creazione la rende non un'aggregazione di parti quanto piuttosto una totalità:

Nel suo dono al Padre ed alla sua missione per l'umanità, Gesù possiede in certo qual senso anche il carattere di esemplarità per la struttura di ogni singolo evento. Ogni cosa è quella che è solo nel passaggio ad un'altra; niente sussiste per sé. Ogni particolarità possiede la sua verità nel limite che le è proprio; per esso, non è solo chiusa in se stessa, ma è assunta in una più ampia totalità. Mediante la dedizione della sua particolarità, ogni cosa è messa in comunicazione con il tutto e -- al di là della sua finitezza -- con Dio, il quale ha voluto questa realtà particolare entro l'intero della sua creazione.56

L'unità della creazione -- afferma -- non deve quindi essere colta separatamente dalla sua molteplicità, la quale rinvia alla sua finitudine: «Una cosa è finita perché limitata da altro, e non semplicemente dall'infinito, ma da altro finito».57 La separazione spaziale è condizione necessaria per la pluralità, mentre l'esistenza temporale crea la possibilità di una diversificazione formale. Teologicamente, questa pluralità può essere intesa nel senso che tutte le particolarità partecipano del loro principio generativo, il Figlio. Come principio originante, questi «è principio dell'ordine concreto, storicamente sviluppato, del mondo, il principio dell'unità della sua storia».58

Il Figlio «non è solo trascendente alle creature, ma è presente ed operante in esse, in quanto ne costituisce l'esistenza particolare nella sua identità».59 In altre parole, il Figlio è principio della creazione sia formalmente -- come base della possibilità dell'esistenza "al di fuori di Dio" -- sia sostanzialmente -- nella misura in cui il "venire fuori" del Figlio dalla divinità è l'atto della creazione, considerato dal punto di vista divino.

3.3. Il ruolo unificante dello Spirito

Pannenberg pone notevole attenzione sul fatto che il ruolo dello Spirito nell'atto della creazione è menzionato anche da Lutero e Calvino, sebbene «nessuno di essi sviluppò in maniera sistematica le conseguenze [di tale ruolo] per una comprensione della natura».60 I teologi protestanti successivi, in particolare quelli del movimento pietista, confinarono lo Spirito nel regno della soteriologia, rendendolo quindi «un elemento dell'esperienza soggettiva, piuttosto che un principio [oggettivo] per la spiegazione della natura».61 Sebbene l'idealismo tedesco abbia riscoperto il ruolo dello Spirito nella creazione, l'identificazione dello spirito con la mente umana permise di considerare il primo come un'autoproiezione della seconda, argomento che divenne fondamento dell'ateismo professato da Ludwig Feuerbach e dai suoi successori.62

Questo background storico sollecita Pannenberg alla ricerca di una nuova teologia dello Spirito, che si spinga oltre la spinta soggettivista della filosofia dei secoli moderni per scoprire il ruolo attivo dello Spirito in tutta la creazione.63

Per descrivere l'unità di Padre e Figlio anche quando quest'ultimo si sveste della sua divinità (Fil 2, 7), Pannenberg fa appello al ruolo dello Spirito. Il Padre e il Figlio sono tenuti nell'unità della loro libera decisione dal legame dello Spirito, «l'elemento che rappresenta la comunione delle creature con Dio e la partecipazione alla sua vita, ferma restando la loro diversità da Dio».64 Lo Spirito, quindi, mantiene unita la creazione così come tiene uniti Padre e Figlio, ed è grazie a questo che lo Spirito merita quello che è uno dei titoli più antichi ad esso attribuiti: «Datore di vita».

Per Pannenberg l'opera dello Spirito è strettamente legata all'opera del Figlio, sebbene da essa differisca. Se infatti il Figlio è considerato come "principio di distinzione", lo Spirito può allora essere visto come "principio di comunione e di partecipazione". Egli considera la finitudine di tutta la creazione «l'opera peculiare che lo Spirito svolge nel creato»65 e vede la dinamica generale della vita come una crescente presenza dell'auto-trascendenza nella creazione.

4. Per una conclusione

La ricostruzione della dottrina su Dio elaborata da Wolfhart Pannenberg costituisce una stimolante sfida al pensiero teologico, la quale continua ancora oggi a provocare dibattiti. In ogni caso, al teologo tedesco va ascritto il merito di aver tentato un serrato dialogo con la cultura contemporanea in generale e con le scienze fisiche e filosofiche in particolare.

La sua comprensione della relazionalità divina si spinge fino ad analizzare l'indipendenza di Dio dal mondo e la sua libertà da esso, per quanto l'esposizione manchi in alcuni passaggi di sufficiente chiarezza.

La nostra investigazione ci ha -- in ogni caso -- permesso di rilevare come il concetto di campo sia l'orizzonte di esplicazione della realtà mondana nei suoi aspetti ontologici: Dio è il fondamento di tutta la realtà. Essa, infatti, trova esistenza e continuazione in quanto è situata all'interno della sfera della vita divina. Questa intima connessione -- e l'affermazione, a essa collegata, di Dio come "base unificatrice" del campo cosmico -- ha suscitato notevoli critiche e fraintendimenti, ma non manca di affascinare gli studiosi.

Pannenberg, infatti, non identifica Dio con il campo cosmico; piuttosto, la sua visione si avvicina a quella di Isaac Newton, allorquando il grande fisico inglese parlava dello spazio come del sensorium Dei.66 Quello che egli, presentando Dio come la base unificatrice del campo cosmico, vuole affermare è la comprensione della onnipotenza divina nei confronti di tutto l'universo nei termini di una forza immateriale e non, letteralmente, come un campo empirico di forza.

La creazione del mondo è quindi espressione della bontà divina e, in quanto tale, essa trova la sua origine nell'amore di Dio, che intende avere e mantenere una profonda relazione con il mondo fin dal principio. Quest'ultimo non deve essere quindi considerato come isolato, ma piuttosto come vivente nella compagnia di Dio. Questa intenzione divina è anche riflessa nella visione degli uomini creati "ad immagine somigliantissima" di Dio: questo concetto esprime una vita vissuta interamente nella compagnia divina, cosa che si è manifestata in maniera eminente nel rapporto esistente tra Gesù Cristo e il Padre. Se si considera quindi la creazione del mondo a partire dal concetto di immagine di Dio, si può affermare che il mondo, fin dalla sua prima origine, trova inscritto al suo interno il piano salvifico di Dio.

Quando il teologo tedesco parla di "salvezza", egli vuole affermare che «lungo le linee del messaggio di Gesù la salvezza che egli ha mediato consiste nella compagnia di Dio e in una vita ad essa collegata, la quale abbraccia anche un rinnovamento della compagnia con gli altri».67 Questa affermazione mostra come il concetto di salvezza sia dal teologo tedesco inteso più in modo relazionale che non in maniera giuridica:68 dando alla salvezza un senso relazionale, l'intenzione originaria di Dio nel creare il mondo non può che essere soteriologica. Anche se il mondo rifiutasse di avere una relazione con Dio, questi non verrebbe meno alla sua intenzione originaria e continuerebbe a tentare di dare ad essa compimento, al fine di riguadagnare il mondo alla sua originaria relazione.69 Questo è il motivo per il quale il Figlio e lo Spirito sono stati inviati nel mondo.

Il teologo tedesco, in pratica, sintetizza nel suo modello trinitario di creazione i concetti di contingenza e di campo; la sua abilità in questo processo di sintesi è ancora più rimarchevole allorquando egli parla di creazione nel e per mezzo del Figlio e dello Spirito, spiegando la pluralità di creature esistenti nel mondo-creatura per mezzo del concetto di logos e l'emergenza del mondo per mezzo dello Spirito come sorgente di energia.

Il modello hegeliano, che costituisce lo sfondo del suo pensiero, permette al teologo tedesco di fondare l'idea di auto-differenziazione nella rivelazione storica di Dio in Gesù Cristo, fondando altresì, in questo modo, la sua dottrina della Trinità su una base assai solida. Pannenberg non è un hegeliano, nel senso che egli si limita ad adattare il contenuto della fede cristiana al pensiero del filosofo di Stoccarda, ma alcuni aspetti del pensiero hegeliano sono centrali nella sua teologia. L'influenza di Hegel su di lui appare notevole non solo quando ricostruisce l'influenza della categoria filosofica di infinito, ma anche quando definisce Dio come die alles bestimmende Wirklichkeit, relazionando tale definizione proprio alla nozione di infinito e sostituendo alla teologia dell'essere la dinamica storica propria del pensiero ebraico e facendo divenire quest'ultima il parametro di riferimento della concettualità.

La deduzione delle relazioni intratrinitarie a partire dalla relazione personale di Gesù Cristo con il Padre, in ogni caso, gli ha permesso di sviluppare in termini relazionali il concetto di unità divina; in questo modo egli può accompagnare lo studioso, o il semplice lettore, fino alla soglia del mistero, coniugando l'insegnamento biblico con la responsabilità della ragione:

Si deve sempre parlare di mistero quando una cosa o una persona, o un qualsiasi essere, ci si dischiude soltanto a partire dal suo intimo. In un mistero non si può penetrare dall'esterno, non lo si può penetrare con violenza. Dall'esterno non vi è alcun accesso al mistero. Le sue porte si aprono soltanto dall'interno. Se però si aprono, allora il mistero diviene non soltanto esperibile, ma anche interamente comprensibile senza tuttavia cessare di essere un mistero. Non è quindi che noi affermiamo l'inconoscibilità di Dio, quando ci limitiamo semplicemente a dire di Lui che è un mistero, il mistero per eccellenza. E non è affatto che Dio cessi di essere un mistero, se noi veniamo a conoscerlo. È questo che distingue il mistero dall'enigma: il fatto che, quando viene compreso, esso non cessa di essere misterioso.70

Copyright © 2011 Gaetano Iaia

Gaetano Iaia. «Trinità e creazione nel pensiero di Wolfhart Pannenberg». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**56 B].

Note

  1. Annotiamo che egli non elimina i due concetti classici, quanto piuttosto li ritiene secondari rispetto a quello di campo di forza: Cfr W. Pannenberg, Systematische Theologie, Band 1, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen 1988; tr. it: Teologia Sistematica/1, Queriniana, Brescia 1990., pp. 419-432. Da ora in poi indicheremo la Teologia Sistematica con TS seguito dal volume e dalla pagina (o dalle pagine) di riferimento. Testo

  2. W. Pannenberg, An Introduction to Systematic Theology, Eerdmans, Grand Rapids 1991, p. 10. Testo

  3. L'idea antropomorfica di un Dio al tempo stesso pneûma (spirito razionale) e noûs (mente) è a suo giudizio il risultato del contatto che il cristianesimo ha avuto con l'ellenismo: precisamente, il concetto di pneûma divino è conseguenza dell'influenza stoica, mentre la visione di Dio come noûs è segno dell'influenza di Platone. Cfr TS 1, p. 421. Testo

  4. TS 1, p. 419. Testo

  5. Idem, p. 420. Testo

  6. Idem, p. 418. Testo

  7. Idem, p. 420. Testo

  8. W. Pannenberg, Systematische Theologie, Band 2, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen 1991; tr. it: Teologia Sistematica/2, Queriniana, Brescia 1994 [TS 2], pp. 94ss. Testo

  9. W. Pannenberg, «Spirit and Mind», in Toward a Theology of Nature. Essays on Science and Faith, Westminster/John Knox Press, Louisville 1993, p. 152. Testo

  10. W. Pannenberg, «The working of the Spirit in the creation and in the people of God» in C. E. Braaten - A. Dulles - W. Pannenberg (eds.), Spirit, Faith and Church, Westminster Press, Philadelphia 1970, p. 17. Testo

  11. Pannenberg distingue tra spirito e mente; la mente infatti è per lui l'attività mentale dell'essere umano, mentre lo spirito è la vita dell'essere umano, specificamente quella forza vitale che rende l'uomo ''vivente''. Per un'ulteriore approfondimento, cfr Pannenberg, «Spirit and Mind», pp. 148-161. Testo

  12. Idem. Testo

  13. TS 1, p. 133. Testo

  14. W. Pannenberg, «Forward», in S. Grenz, Reason for Hope: The Systematic Theology of Wolfhart Pannenberg, Oxford University Press, New York-Oxford 1990, ix. Testo

  15. TS 1, p. 444. Testo

  16. Idem, p. 445. Testo

  17. Ibidem. Testo

  18. TS 1, p. 404. Testo

  19. W. Pannenberg, «Theological appropriation of Scientific Understanding: Response to Hefner, Wicken, Eaves and Tipler», Zygon, 24(1989), p. 258. Testo

  20. Diversamente, la sua posizione sarebbe stata evidentemente panteistica. Testo

  21. TS 1, p. 431. Testo

  22. W. Pannenberg, «The Doctrine of Creation and Modern Science», in Toward a Theology of Nature. Essays on Science and Faith, Westminster/John Knox Press, Louisville 1993, p. 39. Testo

  23. TS 2, p. 101. Testo

  24. Idem, p. 102. Testo

  25. TS 2, pp. 24ss. Testo

  26. TS 2, p. 28. Testo

  27. TS 2, p. 38. Testo

  28. Idem. Secondo la tesi hegeliana, il Figlio nella Trinità è principio di alterità, punto di partenza per l'emergere del "finito", da considerarsi come ciò che è "assolutamente altro" dalla deità. Tale tesi non solo descrive la transizione dalla vita divina all'esistenza del finito, ma offre anche una motivazione alla molteplicità del finito, in quanto il concetto di "alterità" viene in essa considerato come principio generativo della molteplice realtà creaturale (cfr TS 2, pp. 39ss.). Testo

  29. TS 2, pp. 39-40. Testo

  30. TS 2, pp. 40ss. Testo

  31. TS 2, p. 42. Testo

  32. TS 2, p. 43. Testo

  33. TS 2, p. 40. Testo

  34. TS 2, p. 76. Testo

  35. TS 2, pp. 77ss. Testo

  36. Idem. Testo

  37. TS 2, pp. 78-79. Testo

  38. Ibidem. Testo

  39. TS 2, pp. 80ss. Testo

  40. TS 2, p. 81. Testo

  41. TS 2, p. 80. Testo

  42. Idem. Testo

  43. Idem. Testo

  44. TS 1, p. 353. Testo

  45. TS 2, p. 438. Testo

  46. TS 2, p. 73. Testo

  47. TS 2, p. 439. Testo

  48. TS 2, p. 440. Testo

  49. Cfr TS 1, pp. 351ss. Testo

  50. Cfr TS 2, pp. 32ss. Testo

  51. TS 2, p. 33. Testo

  52. TS 2, p. 33. Testo

  53. Si potrebbe qui pensare che Pannenberg sia desideroso di esplorare l'idea di Cristo come Logos, ma egli è stato sempre particolarmente sospettoso nei confronti di un simile itinerario cristologico. Cfr W. Pannenberg, Grundzüge der Christologie, Gütersloher Verlaghaus Gerd Mohn, Gütersloh 1964; tr. it: Cristologia - Lineamenti fondamentali, Morcelliana, Brescia 1974, pp. 204ss.; nella prima edizione di tale libro egli ha rifiutato la cristologia del Logos come un'astrazione fatta rispetto alla Trinità sebbene, nella conclusione alla V edizione tedesca, egli abbia lasciato intravedere la possibilità di costruire un approccio al Logos basato sulla dialogo con la scienza moderna. Pannenberg, Cristologia - Lineamenti fondamentali, pp. 555-556. Nel II volume della Teologia Sistematica, come abbiamo visto, egli ha connesso il concetto di Logos con quello di informazione, considerato come modalità per parlare del Figlio come principio strutturale ed ordinativo della creazione. Cfr TS 2, pp. 131ss. Testo

  54. Cfr G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della religione, Laterza, Bari 1983. Testo

  55. TS 2, p. 41. Testo

  56. Pannenberg, Cristologia - Lineamenti fondamentali, p. 557. Testo

  57. TS 2, p. 76. Testo

  58. TS 2, p. 79. Testo

  59. TS 2, p. 76. Testo

  60. Pannenberg, «The Doctrine of the Spirit and the Task of a Theology of Nature», p. 127. Testo

  61. Idem. Testo

  62. Ibidem. Testo

  63. Idem, p. 128. Testo

  64. TS 2, p. 43. Testo

  65. Idem, p. 44. Testo

  66. Il teologo tedesco ha anche più volte sottolineato come la visione newtoniana fosse stata falsamente malinterpretata e, di conseguenza, criticata da Leibniz. Cfr ad esempio W. Pannenberg, «God and Nature», in Toward a Theology of Nature, pp. 59-63. Testo

  67. TS 2, p. 400. Testo

  68. Questo è il motivo per il quale Pannenberg avvicina in maniera estremamente cauta la comprensione e l'interpretazione giuridica paolina della salvezza. Cfr TS 2, pp. 399ss. Testo

  69. Annotiamo qui che Pannenberg non condivide l'idea di una riconciliazione del mondo con Dio attuata per mezzo del sacrificio espiatorio di Gesù, idea che che a suo giudizio è originata da una visione giuridica della salvezza; per il teologo tedesco il punto fondamentale della riconciliazione si trova invece nel fatto che il mondo è riconciliato con Dio in Cristo. Cfr TS 2, pp. 406ss. Testo

  70. E. Jüngel, «Che cosa significa dire: Dio è amore?», in Protestantesimo, 56(2001), pp. 160-161. Testo

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