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Un compito infinito. La Trinitätslehre di Friedrich D.E. Schleiermacher tra dogma e vissuto religioso

di Emanuela Giacca (Roma, 26-28 maggio 2011)

1. Introduzione

In un Postscript aggiunto nel 1836 al Tract 73, riferendosi alla dottrina trinitaria schleiermacheriana, l'allora sacerdote anglicano e teologo John Henry Newman risolutamente la annoverava tra le «Sabellian tendencies of the day».1 Questo giudizio, a tutta prima sorprendente, si rivela tutt'altro che estemporaneo se si pensa che già nel 1825 Ernst Wilhelm Sartorius, professore alla Facoltà evangelica russa di Dorpat, scrive una censura succincta2 in cui, nel discutere il «sabellianismo» eterodosso instaurato da Schleiermacher, vi oppone una puntuale riformulazione dell'ortodossia atanasiana. Nello stesso giro di anni, da ambienti cattolici si levano critiche analoghe e in parte sovrapponibili a quella di Sartorius. La reazione di Johann Adam Möhler, rappresentante della scuola cattolica di Tubinga, è registrata in una breve sezione dedicata a Schleiermacher nel contesto dell'opera del 1826 dal titolo Athanasius der Größe und die Kirche seiner Zeit, besonders im Kampfe gegen den Arianismus.3 L'argomentazione di Möhler è esemplificativa sotto diversi punti di vista. Vi si legge, ad esempio:

Il Padre era Padre prima che creasse il mondo, il Figlio era Figlio prima che si incarnasse, e lo Spirito era Spirito prima che sorgesse la chiesa. Dio è in sé Padre, Figlio e Spirito; e non lo è divenuto dapprima col mondo, con l'incarnazione e con la chiesa. Ciò che egli è ora in sé, lo è immutabilmente dall'eternità, anche perché egli lo è in sé.4

L'affermazione, di sapore atanasiano, viene resa dal teologo tubinghese in polemica con la concezione economica della Trinità ascrivibile a Schleiermacher. Il problema che vi si condensa introduce uno dei nodi teorici cruciali della Trinitätslehre: il rapporto tra la pluralità delle Persone trinitarie e l'unità dell'essenza divina; più precisamente, la questione della preesistenza e della funzione delle Persone in ordine alla dinamica redentiva. È agevole notare come la critica di Möhler riproduca l'annoso contrasto tra una visione tradizionale, ortodossa, e una rappresentazione di stampo sabelliano della Trinità. Come vedremo, proprio intorno a questo contrasto si raccoglie la storia che abbraccia lo sviluppo della dottrina in Schleiermacher. È una storia che ha assunto invero uno spessore piuttosto esiguo nel quadro delle riflessioni complessivamente sviluppatesi sulla scorta della sua teologia e che, se presa in esame, viene per lo più concepita in riferimento ai paragrafi sulla Trinità posti a chiusura della Glaubenslehre. Una diffusione minore sembra incontrare, all'opposto, l'altro momento che la compone, e che è nelle stesse intenzioni dell'Autore il più decisivo: il saggio intitolato, appunto, Über den Gegensatz zwischen der Sabellianischen und der Athanasianischen Vorstellung von der Trinität.5 Allo scritto, apparso per la prima volta nel 1822 sulle pagine della berlinese «Theologische Zeitschrift», si riferisce l'intreccio di voci appena schizzato.6 Ad esso Schleiermacher affida, infatti, il non facile tentativo di assolvere il compito annunciato, nel 1821/22, nelle ultime battute de La dottrina della fede. Apparentemente eccessiva sulla sola base dei succinti accenni al sabellianismo contenuti in quelle pagine della Glaubenslehre, l'accusa di eterodossia sabelliana non si svela quindi altrettanto sorprendente se si pone mente al fatto che nella Trinitätsschrift l'Autore s'impegna in una vera e propria trattazione monografica, a carattere storico-ricostruttivo e apologetico, della dottrina trinitaria di Sabellio. Di quest'ultima si mostrano nel saggio i vantaggi teorici, con l'auspicio di una sua una imminente ripresa. Lo stesso Newman, cui si alludeva in apertura, conosce lo scritto e vi fa esplicito riferimento -- citandone alcuni passi -- nell'includere la proposta di Schleiermacher nel novero delle «odierne tendenze sabelliane». Difatti, egli ha disposizione la traduzione fattane dall'americano Moses Stuart, pubblicata nel 1835 su The biblical repository and quarterly observer sotto il titolo On the discrepancy between the Sabellian and Athanasian method of representing the doctrine of the Trinity.7

Sebbene i pochi accenni fatti testimonino di una propagazione in ambiti dalle diverse tradizioni religiose ed esegetico-dottrinali, lo scritto sulla Trinità risulta, come detto, ancora insufficientemente valorizzato. Mentre ciò è addebitabile, per quanto concerne la ricezione immediata, non solo al tecnicismo del saggio, ma anche al modesto successo del numero della rivista in cui venne pubblicato per la prima volta,8 la sua scarsa fortuna negli studi contemporanei, con qualche eccezione negli ultimi anni,9 non è da ritenersi altrettanto accidentale. Essa va piuttosto riportata alla difficoltà intrinseca dello scritto, sotto il profilo sia stilistico che interpretativo. Potrebbe essere questa, dunque, la ragione della centralità assunta dalla sezione conclusiva della dogmatica come luogo precipuo in cui rinvenire un'elaborazione della dottrina trinitaria. Sulla base della Glaubenslehre si è venuta inoltre affermando, sino a divenire tradizionale, la critica che fa capo all'argomento di una presunta marginalizzazione della Trinità. Il teologo ne avrebbe ridotto la dignità teorica e dottrinale, relegandone la trattazione in «appendice» al sistema: così viene sovente definita, con un fraintendimento forse più che terminologico, la Conclusione (Schluß) de La dottrina della fede.10 Ad ogni modo, la questione che verte sul posto da assegnare al dogma trinitario nella teologia di Schleiermacher resta, ad oggi, ancora ampiamente dibattuta, tanto da potersi considerare lontana dall'essere univocamente risolta.

Muovendo da queste premesse, nelle pagine che seguono si prende in esame l'evolvere complessivo della dottrina trinitaria schleiermacheriana tra la prima (1821/22) e la seconda edizione (1830/31) della Glaubenslehre, alla luce del momento dirimente rappresentato dallo scritto Über den Gegensatz zwischen der Sabellianischen und der Athanasianischen Vorstellung von der Trinität (1822). Si mira così a saggiare la fecondità euristica del potenziale ortodosso da Schleiermacher riconosciuto alla visione sabelliana e, più in generale, a offrire uno spaccato delle stringenti questioni storiche, interpretative e dottrinali, le quali innervano il costituirsi e consolidarsi del dogma trinitario, sin nei tentativi contemporanei di una sua rivitalizzazione.11

2. La Trinità, «chiave di volta» della dottrina cristiana

Cinque sono, nel complesso, i paragrafi che nella prima edizione della Glaubenslehre Schleiermacher riserva alla trattazione della Trinità. La prima enunciazione di principio, che apre il paragrafo 186, recita: «Tutto l'essenziale nella seconda parte, appena conclusa, della nostra esposizione è anche l'essenziale nella dottrina della Trinità [Lehre von der Dreieinigkeit], e questa è perciò la vera chiave di volta [Schlußstein] della dottrina della fede cristiana».12 La seconda parte cui Schleiermacher allude è quella che ha a oggetto la dottrina del peccato, della grazia e della redenzione. Due dati emergono, con la massima evidenza, già da queste poche righe. Il primo parrebbe smentire immediatamente il dato spaziale summenzionato, sulla cui base si è giunti ad affermare la marginalità della Trinitätslehre nell'edificio dogmatico schleiermacheriano: l'assioma con cui si apre la Conclusione della Glaubenslehre assegna al problema trinitario un significato e un ruolo qualitativamente centrali nella struttura complessiva dell'edificio teologico. La dottrina trinitaria vi viene definita infatti, senza mezzi termini, come la chiave di volta della dottrina cristiana.

Il secondo dato riduce a sua volta la portata del primo, introducendo un elemento di limitazione su cui non si può mancare di fare qualche osservazione. Esso depotenzia immediatamente la seconda tesi, sorta in opposizione alla prima, secondo cui la dottrina trinitaria formulata nella Conclusione della Glaubenslehre, in quanto «chiave di volta», avrebbe più il senso di un coronamento dell'intera opera che non quello di un'appendice inessenziale alla sua architettura complessiva.13 Se le due opposte tesi risultano tutto sommato speculari nell'assolutizzare un dato solo relativamente determinante -- quello spaziale e tassonomico, nell'un caso, quello qualitativo e assiologico, nell'altro -- il testo sembra imporre, all'opposto, una visione decisamente più complessa, non esente da problematicità. Schleiermacher scrive infatti che ciò che è essenziale nella dottrina della grazia e della redenzione è «anche» l'essenziale nella dottrina della Trinità. Occorre a nostro avviso soffermarsi sul senso di quell'«anche». Stando al passo citato, la dottrina trinitaria avrebbe lo stesso contenuto delle proposizioni fondamentali della Parte seconda, quelle che compendiano, beninteso, le dottrine cristologica e pneumatologica.14 Il significato dell'affermazione è chiaro, tanto che l'Autore asserisce in tono sbrigativo che la «prima parte di questa proposizione [...] quasi non necessita di una spiegazione».15 Essa si riferisce, difatti, da un lato, all'essere di Dio in Cristo su cui si basa la redenzione, dall'altro, all'essere di Dio nello Spirito in virtù del quale la chiesa cristiana si fa carico, nell'opera di santificazione, di rinnovare e proseguire l'azione redentiva. Che questo sia anche l'oggetto della dottrina trinitaria, sentenzia d'altronde Schleiermacher, «non vi è alcun dubbio».16 Sin dalle sue origini infatti, che affondano le radici nel politeismo, essa non fa altro che affermare la comunanza d'essenza sussistente tra Dio, Cristo e lo Spirito. Resta però ancora da comprendere il significato limitativo di quell'«anche» con cui Schleiermacher ritiene di coordinare dottrina trinitaria e dottrina redentiva.

Un chiarimento in tal senso ci può venire dal paragrafo successivo (§ 187), in cui entra in questione il problema dello statuto delle asserzioni sulla Trinità: «Lo scopo dell'intera dottrina non è allora nient'altro che quello di raccogliere e combinare insieme»17 diversi elementi -- scrive l'Autore. Se espressa nel modo corrente («nell'unica e indivisa essenza divina sussistono tre Persone aventi ognuna la medesima essenza e uguale potenza»),18 essa differisce dalle dottrine propriamente cristiane e non ha lo stesso valore di quelle, ma soltanto una funzione di raccordo e di collegamento. Non è questa la sede per soffermarsi sul senso dell'autocoscienza immediata, fulcro della dogmatica schleiermacheriana, né sulla causalità divina dalla cui azione dipendono le modificazioni dell'autocoscienza religiosa.19 Basti ricordare, però, al fine di comprendere il ruolo riconosciuto al dogma trinitario, che esso viene distinto proprio da quelle proposizioni che «sono immediate espressioni di una determinata modificazione della nostra autocoscienza religiosa».20 Tali sono, appunto, «le dottrine sull'unione dell'essenza divina con la natura umana in Cristo e nella chiesa cristiana».21 Le asserzioni di tipo cristologico e pneumatologico, ribadisce Schleiermacher, sono espressione autentica del medesimo contenuto o modificazione dell'autocoscienza religiosa che sta alla base delle proposizioni trinitarie. Queste ultime, in quanto non rappresentano, al contrario, un'autentica espressione di tale autocoscienza, si muovono nella perenne oscillazione tra due estremi: l'affermazione dell'identità e quella della differenza, l'unità e la trinità, senza riuscire a trovare espressioni adeguate allo scopo. Ma su questo aspetto torneremo più avanti. Ad ogni modo, per rimarcare il carattere negativo di tali espressioni, specifica Schleiermacher nel paragrafo 188 che esse «sono propriamente cautele»,22 le quali riescono nel loro fine soltanto in quei rari casi in cui «non assumono l'apparenza di toccare l'estremo opposto a quello che volevano evitare».23 Il loro valore, oltre che negativo, è per di più temporalmente limitato, in quanto, per la loro origine polemica, esse «potrebbero perdere nel tempo il loro valore, se il pericolo di fraintendimento su cui si fondano dovesse dissolversi».24

Definiti il contenuto e lo statuto della dottrina, l'Autore articola, negli ultimi due paragrafi, le difficoltà interne alla sua elaborazione. Scrive nella proposizione 189 che non possiamo rappresentarci le Persone come qualcosa di eternamente sussistente nell'essenza divina se non salvaguardando la trinità a discapito dell'unità e viceversa. Dunque nessuna formulazione sembra potersi conformare al presupposto fondamentale: «Il presupposto è infatti che l'essenza e la potenza che accomunano le tre Persone siano l'essenza e la potenza divine».25 Tuttavia, noi non siamo in grado di rappresentarci una simile condizione se non tramite l'analogia coi concetti di genere e individuo. L'analogia suonerebbe nel modo seguente: la divinità è in ognuna delle tre Persone «come il concetto di genere nelle singole cose».26 Anche in questo caso, però, la dottrina si troverebbe di fronte a un'oscillazione di fondo. In che senso l'essenza di Dio è presente nelle tre Persone? La comunanza d'essenza può essere rappresentata in due modi: realisticamente, o nominalisticamente. Col prevalere del realismo, si consolida «il presupposto monoteistico»,27 ossia si afferma l'unità dell'essenza divina, ma si perde di vista la differenza tra le Persone; con lo sbilanciamento sul versante nominalistico avviene invece l'opposto: viene sì messa in risalto la divinità di Cristo e dello Spirito, ma a detrimento dell'unità dell'essenza. Gli estremi dell'oscillazione sono in definitiva -- come anticipato -- l'affermazione di un'unità in cui sfuma ogni differenza e l'approdo a un triteismo che vanifica l'unità d'essenza tra le Persone divine. Schleiermacher ne desume che, nel momento in cui si vuole affermare l'eterna sussistenza delle Persone all'interno dell'essenza divina, «non vi è alcuna via di mezzo tra queste due»28 e che la situazione che si profila è quella di un perenne «oscillare [...] che non si addice in alcun modo alla sicurezza con cui nella fede dei cristiani viene posto il divino nel redentore e nello Spirito Santo».29 La dottrina trinitaria non è in grado di esprimere con sufficiente solidità la presenza di Dio in Cristo e nella chiesa. Tuttavia, è tale presenza quella che viene vissuta dall'autocoscienza pia in ogni momento della sua vita religiosa, e che nell'esperienza della grazia e della santificazione si ripete con la medesima certezza. Si presti ancora attenzione al fatto, che appare sin d'ora della massima importanza, che l'ostacolo a un adeguato ripensamento del rapporto tra identità e differenza viene riconosciuto nell'affermazione dell'eternità delle Persone. Su questi presupposti, una soluzione parrebbe potersi rinvenire nella negazione di quella eternità e nella posizione di un rapporto temporale tra le Persone trinitarie e l'unità dell'essenza. Per ora, tuttavia, non siamo legittimati a concludere in tal senso. Schleiermacher non presenta infatti nessuna possibile via d'uscita alle difficoltà enunciate.

Il passo successivo che viene compiuto inizia a inclinare, però, in questa direzione. Si prova a concepire la relazione Dio-Persone prescindendo dall'assunzione dell'eternità di Padre, Figlio e Spirito Santo e articolando il nesso tra le Persone divine non "in sé", nell'immanenza dell'essenza divina, bensì "per sé", in rapporto alla causalità che essa esercita sull'autocoscienza religiosa. Si pensi ai momenti che scandiscono tale azione: creazione e conservazione, da un lato, redenzione e santificazione, dall'altro. Due sono le possibili vie: attribuire le attività all'unica e indivisa essenza divina, o, alternativamente, assegnarle alle tre Persone in quanto tali. La prima affermazione, rifiutata dai padri ortodossi, finisce per subordinare la trinità all'unità; la seconda, all'inverso, preservando la trinità e la differenza tra le Persone divine, rischia di sconfinare nel triteismo di una visione «quasi politeistica».30 Sia la via essenziale dell'immanenza che quella dinamica della causalità divina, tentate da Schleiermacher, sembrano condurre allora, seppur per diverse vie, al medesimo esito. Disperando della possibilità di risolvere il compito, il teologo annota in proposito:

Difficilmente si può trovare un motivo per preferire l'una visione all'altra; e così sorge anche qui lo stesso oscillante discernere l'unità a discapito della trinità, che pure è ugualmente eterna, o, viceversa, la trinità a discapito dell'unità; perché una via di mezzo tra le due, tramite la quale potremmo essere liberati a questo riguardo, deve ancora essere trovata.31

Il paragrafo che chiude la Glaubenslehre nella sua prima edizione raccoglie i risultati delle riflessioni appena ricostruite e lo fa in particolare sulla base del rapporto tra le determinazioni dell'autocoscienza religiosa e le espressioni dottrinali corrispondenti. La proposizione 190 ribadisce, infatti, come l'adeguatezza della dottrina all'autocoscienza religiosa imporrebbe che vi fosse perfetta eguaglianza fra le tre Persone, in quanto in esse l'autocoscienza riconosce proprio la medesima essenza divina. Tuttavia, conclude Schleiermacher, tale obiettivo, «perseguito ovunque, non è stato realmente raggiunto in alcuna esposizione [Darstellung] ecclesiastica».32 E insiste ancora sulle difficoltà insite nel tentativo di stabilire una relazione idonea tra unità e pluralità nell'essenza divina.

Volendo stilare uno schema sintetico del percorso finora compiuto, potremmo scandirlo secondo una triplice sequenza: essenza divina -- causalità divina -- Persone divine. Se infatti nel §189 si esibiva quel rapporto di oscillazione ed esclusione reciproca che sussiste tra unità e trinità -- prima in relazione all'essenza divina stessa, poi in riferimento alla causalità esercitata sull'autocoscienza religiosa -- nell'ultimo paragrafo (§ 190) si mostra, nello specifico, l'impossibilità di tenere ferma la differenza tra le Persone nel momento in cui se ne afferma l'identità d'essenza. Sorte sotto l'impulso di un'esigenza polemica storicamente determinante, quella di preservare la divinità del redentore e dello Spirito, al fine di contrastare «le rappresentazioni in cui il sovrumano in Cristo e nello Spirito Santo viene riportato a una qualche essenza subordinata alla divinità»,33 le proposizioni trinitarie, consolidandosi in dottrina, incorrono in una fondamentale, ultima difficoltà. Affermata in funzione prudenziale l'identità dell'essenza divina nelle tre Persone, e dunque la loro uguaglianza in essenza (Wesen), gloria (Herrlichkeit) e potenza (Macht), bisogna di nuovo differenziare reciprocamente le Persone stesse: «ma sembra che questo compito fino ad ora non sia stato risolto».34 Si prenda in esame, in primo luogo, la relazione tra il Padre e il Figlio. Se si tenta di distinguerli l'uno dall'altro affermando che il Padre è l'ingenerato, mentre il Figlio è generato dall'eternità, incapace a sua volta di generare, si afferma, in virtù del limite che il Figlio presenta rispetto al Padre, un rapporto di dipendenza che finisce per subordinare il primo al secondo. Lo stesso vale per lo Spirito, giacché, sia che si segua la rappresentazione della chiesa greca, secondo la quale esso procede soltanto dal Padre, sia che si voglia assumere quella in vigore nella chiesa latina, secondo cui esso procede dal Padre e dal Figlio, non si perviene ad altro che a un rapporto di subordinazione: nell'un caso, lo Spirito è uguale al Figlio in quanto procedono entrambi dal Padre, nell'altro, lo Spirito risulta subordinato non solo al Padre, ma anche al Figlio da cui pure esso procede. Il Figlio peraltro, avendo in comune col Padre la facoltà di generare lo Spirito, risulta pur sempre inferiore al Padre stesso, in quanto -- a sua volta -- generato. «In ogni caso» -- sintetizza Schleiermacher -- «il Padre sta al di sopra dei due, e ciò che è in discussione è soltanto se questi due stiano entrambi in una comune subordinazione al Padre, o se, anche tra di loro, l'uno sia subordinato all'altro».35 Questo è il rilievo critico che il teologo muove alla concezione origeniana ed è altresì la tendenza che viene rintracciata in molte delle esposizioni ortodosse che da tale concezione prendono esplicitamente le distanze. Laddove si tratta dell'essenza delle Persone trinitarie, osserva Schleiermacher, si suole dilungarsi in dimostrazioni relative al Figlio e allo Spirito, dando per assunta l'inabitazione dell'essenza divina nel Padre. Una simile consuetudine porta, come esito ultimo, a riconoscere nel Padre proprio l'essenza divina in sé, trattando la prima Persona non come una delle tre, in cui quell'essenza è presente allo stesso modo che nelle altre due, ma come la divinità stessa, unica e indivisa. Anche qui, dunque, l'uguaglianza fra le Persone sfugge alla presa teorica della formulazione dottrinale. Come si è visto, nel vorticoso argomentare schleiermacheriano ogni soluzione prospettata conduce a un'aporia insolubile.

Di fatto, in base a quanto detto si potrebbe concludere che la trattazione della dottrina trinitaria sia in questa fase esclusivamente di tipo critico-negativo. Sennonché, in entrambe le edizioni, a chiudere la ponderosa opera è apposta una breve aggiunta -- alla quale non si è ancora fatto cenno -- il cui significato appare di primo acchito oscuro. Il passo è estremamente complesso, e rappresenta il punto di raccordo esplicito con la Trinitätsschrift. Stabilito che il destino della dottrina è l'oscillazione e il costante fluttuare fra due estremi, si precisa che ciò non implica che non si possano fornire almeno alcune «indicazioni» per una sua «futura elaborazione».36 Interviene dunque, finalmente, una pars construens, che occupa all'incirca lo spazio di due pagine. Schleiermacher è particolarmente scrupoloso, però, nel sottolineare il carattere soltanto «provvisorio» della duplice «supposizione»37 che viene ad articolare. Vediamone i passaggi. In primo luogo, il teologo osserva che l'esposizione ecclesiastica depositata nel simbolo niceno si è spinta fin troppo oltre nell'opporsi alla dottrina sabelliana, tanto da incorrere nell'estremo opposto. Essa infatti è riuscita, per un verso, nello scopo di respingere le «aberrazioni arianizzanti»,38 affermando di contro a queste la presenza del divino in Cristo e nello Spirito. Per altro verso però, e in virtù della medesima affermazione, nel rifiutare la visione sabelliana ha finito per introdurre «un'eterna, duplice differenza nell'essere divino».39 Questa asserzione ci riconduce a una delle difficoltà sopra esposte. Abbiamo osservato infatti in precedenza come l'Autore si limitasse a individuare nella separazione eterna delle Persone il principale ostacolo a un corretto ripensamento del rapporto fra unità e trinità divina, senza offrire tuttavia un'alternativa valida. In queste righe Schleiermacher sembra fornire le coordinate per una possibile soluzione. Tale soluzione si costruisce attraverso un ripensamento di quella via dinamica cui abbiamo fatto cenno, e che inizialmente pareva condurre a un vicolo cieco. Egli allude infatti all'opportunità di modificare la dottrina ortodossa ripensando in una forma temporale le attività dell'essere divino (creazione, conservazione, redenzione e santificazione), attività su cui si basa, come abbiamo visto, il suo rapporto all'umano. La dottrina si configurerebbe dunque nel modo seguente: tenendo ferma l'immutabilità dell'eterna essenza divina e, con essa, la sua inconoscibilità, lo svolgimento temporale -- l'unico modo in cui possiamo rappresentarci l'azione divina in rapporto all'umanità -- verrebbe riferito soltanto alla Erfüllung del divino stesso, alla sua causalità (Ursächlichkeit). Per scandire il rapporto tra unità e trinità divina Schleiermacher fa ricorso, in definitiva, alla distinzione fra il divino in sé, considerato nella staticità della sua eternità immanente, e il divino in rapporto all'autocoscienza, considerato cioè nel suo dinamico rivelarsi attraverso una causalità temporalmente dispiegata. La soluzione profilata si rifà allora a quella «differenza tra il Dio nascosto e il Dio rivelato»40 cui il teologo enigmaticamente si riferiva qualche riga sopra.

La seconda e ultima proposta, strettamente connessa alla prima, è relativa al ripensamento del rapporto subordinante che la dottrina ecclesiastica tende a instaurare tra il Padre, da un lato, il Figlio e lo Spirito, dall'altro. Schleiermacher suggerisce che un modo per evitare la subordinazione potrebbe consistere nel non pensare il rapporto tra il Figlio e il Padre come se l'espressione «Figlio di Dio» designasse soltanto il divino in Cristo. Lo stesso varrebbe per l'essenza divina che dimora nello Spirito. Si dovrebbe cioè valutare l'opportunità di identificare Cristo col Figlio tout court, lo Spirito con l'istanza divina che lo inabita e il Padre con l'essenza divina stessa. Piuttosto che separare l'istanza divina in Cristo dalla sua umanità, incorrendo in ogni caso in una tendenziale identificazione del Padre con l'essenza divina e, quindi, in una sostanziale subordinazione ad esso delle altre due Persone, sarebbe preferibile -- agli occhi del teologo -- seguire la Scrittura e identificare il Figlio, lo Spirito e il Padre con l'essenza divina stessa, spostando la separazione intra-personale sul piano della causalità. Stabilito ciò, Schleiermacher interrompe bruscamente la trattazione e demanda a una più «compiuta critica»41 il compito di chiarire il significato delle indicazioni abbozzate.

3. Ripensare l'ortodossia. Il sabellianismo della Trinitätsschrift

Composto, con ogni probabilità, appena dopo la pubblicazione della Glaubenslehre, il saggio Über den Gegensatz zwischen der Sabellianischen und der Athanasianischen Vorstellung von der Trinität si fa carico di completarne la trattazione della dottrina trinitaria sul versante storico-critico. Esso si riallaccia immediatamente, dunque, a quelle complesse indicazioni relative a Sabellio e la dottrina ecclesiastica su cui ci siamo da ultimo soffermati. «Queste pagine» -- vi esordisce Schleiermacher -- «non esauriscono quanto annunciato».42 Anche qui l'Autore definisce fin da subito i limiti del tentativo compiuto: ciò che vi si offre è soltanto una serie di indicazioni utili ad articolare quell'opposizione alla dottrina sabelliana su cui si baserebbero le principali oscurità delle formule ecclesiastiche. Scopo dello scritto è, precisamente, «dare un nuovo impulso alla ricerca»43 sul sabellianismo, in direzione di una saldatura tra discorso storico e teologia dialettica. Come si è visto, la dottrina ortodossa nasce secondo Schleiermacher da una duplice istanza polemica: ostacolare, da un lato, l'eresia ariana, dall'altro, l'affermarsi di tendenze sabelliane. Se però l'arianesimo è stato già esaminato e studiato in ogni dettaglio, il teologo lamenta come, in virtù della sua minore rilevanza storica, la dottrina sabelliana non sia stata ancora fatta oggetto di un'adeguata disamina. Le riflessioni propriamente dedicate a Sabellio occupano invero, nel saggio schleiermacheriano, all'incirca la metà dello spazio complessivo. Ciò che precede è una ricostruzione delle dottrine avvicendatesi nella definizione di quel contrasto tra visione atanasiana e sabelliana che dà il titolo allo scritto. In particolare, il teologo si sofferma non solo sui precursori di Sabellio, individuati in Prassea, Noeto, Berillo, ma anche sulle figure che, confutando le tesi di questi ultimi, hanno contribuito in modo più o meno diretto al processo di formazione della dottrina ecclesiastica: Tertulliano, la cui concezione viene sottoposta a serrata critica, Ippolito, Origene.

Sin da questo livello si configura quell'oscillare fra unità e pluralità già al centro della sezione trinitaria della Glaubenslehre. Le prime figure menzionate, anticipatrici della dottrina sabelliana, vengono poste sul versante dell'affermazione dell'unità divina, i precursori della dottrina ecclesiastica, al contrario, vengono da Schleiermacher collocati sul versante della tendenza al subordinazionismo e al triteismo. Ora, l'interesse primario del saggio, oltre che nella ricostruzione storica, pur rilevante, risiede nel fatto che esso permette di configurare una visione d'insieme senz'altro più soddisfacente rispetto a quella che si potrebbe ricavare dalla sola Glaubenslehre. Problemi fondamentali, rimasti insoluti nella prima edizione de La dottrina della fede, vi trovano infatti una ricca ed estesa trattazione, i cui frutti sul versante dogmatico confluiranno nella seconda edizione di quella monumentale opera, determinando -- lo si vedrà -- mutamenti e spostamenti di prospettiva di vario genere.

Veniamo ora ai momenti principali che ci pare vadano isolati nel saggio in esame. Abbiamo sopra fatto riferimento a Berillo di Bostra. Nell'esposizione, la figura di Berillo viene posta nel solco della dottrina noeziana, trattata immediatamente di seguito a quella di Prassea. Ciò che appare significativo nella sua dottrina è, segnatamente, il concetto di Umschreibung, περιγραφή o circumscriptio.44 Ricostruiamo brevemente il percorso attraverso cui Schleiermacher vi giunge. Se Noeto e Prassea si sono messi sulla via di una dottrina trinitaria, tenendo ferma al contempo l'unità dell'essenza divina, essi hanno lasciato d'altro canto aperti alcuni problemi, tra cui, ad esempio, quello di chiarire «come Dio si unisca all'uomo Gesù e in che cosa consista la distinzione del suo essere in Cristo».45 Nell'attaccare la visione, rispettivamente, di Prassea e Noeto, Tertulliano e Ippolito incorrono, per parte loro, in una forma di triteismo, in un «forte avvicinamento alla deviazione ariana».46 Al fine di affermare la trinità, Ippolito finisce per ridurre l'unità a mero accordo e cooperazione delle Persone divine. Tertulliano invece, che ha il merito di aver trattato, a differenza di Prassea e Noeto, anche la Persona dello Spirito, pur asserendo di voler mirare all'uguaglianza, giunge infine all'affermazione di una visione subordinante: se infatti il λόγος deriva dal Padre, come si può dire che esso sia uguale a ciò da cui deriva? Il Figlio manca di quella eternità e immutabilità originarie che contraddistinguono il Padre, cosicché la sua divinità appare in definitiva soltanto derivata, inferiore a quella di Dio e del Padre stesso. La nozione di περιγραφή viene valorizzata proprio in riferimento a questo stato di cose. Il concetto sta a indicare che l'essenza divina è la medesima nelle tre Persone, "circoscritta" in ognuna in modo determinato e distinto rispetto alle altre. Con tale immagine Berillo giunge a colmare il limite della dottrina noeziano-prasseana. Vale a dire, egli riesce a conciliare unità e trinità, discernendo al contempo la divinità in sé da quella posta nelle Persone: l'essenza divina in sé non è la medesima essenza nel momento in cui viene circoscritta nelle singole Persone; o meglio, essa è bensì la medesima, ma si distingue peculiarmente in virtù del suo agire e inabitare all'interno di ognuna di esse. Infine, Berillo concorda con gli avversari rispetto al presupposto per cui non c'è distinzione tra la divinità del Padre e quella del redentore, tuttavia se ne discosta nel momento in cui associa a questa un'altra convinzione, quella secondo cui il Figlio di Dio non sussiste già prima dell'incarnazione in quanto Umschreibung dell'essenza divina stessa. Ciò significa che la Umschreibung è posta soltanto in rapporto alla storia della salvezza e risulta ad essa funzionale. Berillo rifiuta, cioè, l'affermazione della preesistenza eterna del Figlio in quanto περιγραφή, giacché essa gli sembra introdurre una pluralità all'interno dell'unità divina. Schleiermacher esalta a più riprese l'idoneità della dottrina di Berillo in rapporto all'«interesse della fede»,47 e lo fa in base a due ordini di motivi: in primo luogo, perché vi rinviene una compiuta conciliazione di μοναρχία e οἰκονομία, ovvero di unità divina e centralità dell'economia redentiva. Questo è un punto che si rivelerà della massima importanza in rapporto alla seconda edizione della Glaubenslehre. In secondo luogo, la dottrina di Berillo presenta il vantaggio di esser sorta a prescindere da qualunque interesse estraneo, scevra di «tutto quel platonizzare che si ritrova tra gli avversari, teologi che raffigurano le Persone [personbildenden Theologen]».48 Da ciò la sua semplicità e chiarezza, utili a un'adeguata formulazione della dottrina trinitaria.

L'asserzione appena citata sottende un riferimento polemico a Origene, la cui figura viene presentata successivamente a quella di Berillo. La dottrina origeniana viene accostata da Schleiermacher a una forma di gnosticismo, per aver sovraordinato Dio al λόγος e il λόγος a ogni cosa diveniente. Come gli gnostici, Origene affermerebbe una sorta di emanazione del λόγος dal Padre. Soltanto, tale emanazione verrebbe depurata del suo carattere fisico e corporeo. Secondo Schleiermacher, Origene oscillerebbe inoltre tra l'affermare la separazione di Padre e Figlio, da un lato, e l'uso di espressioni volte a evitare la separazione stessa, dall'altro. Se egli tenta, in tale oscillazione, di tenere ferma l'unità immutabile del divino, nel distinguere il Figlio dal Padre -- al fine di salvaguardarne l'autonomia -- finisce per porre la sua divinità come diveniente. In questa visione, però, il Padre viene ritenuto tale solo in relazione al Figlio, e viceversa. Infatti, il Padre si chiama così ma non è tale prima di aver generato il Figlio; il Figlio si chiama Figlio ma non è tale prima di essere stato generato. In tal modo, conclude Schleiermacher, «né il Padre è Padre [...] né il Figlio è Figlio».49 Così Origene è costretto, infine, a «negare l'inizio del Figlio, accanto all'inizio di ogni cosa»50 e a postulare un concetto di generazione eterna da cui sorgono difficoltà ancora maggiori. Ciò che ci pare decisivo, in questa argomentazione, è che le incongruenze della rappresentazione origeniana vengano ricondotte a quella stessa mescolanza tra interesse filosofico e interesse religioso cui viene riportato il sorgere dell'eresia ariana. Si legge in proposito:

L'innegabile oscillazione delle teorie così sorte tra l'equiparazione delle cosiddette Persone nella divinità e la subordinazione delle stesse già rivela che qui entra in gioco, accanto a quello religioso, anche un interesse originariamente non religioso [...] . S'impone allora il sospetto che quest'altro sia stato un interesse di tipo cosmologico, dunque filosofico, ovvero l'interesse a trovare un punto d'inizio per la serie degli esseri spirituali e colmare l'abisso fra l'infinito per eccellenza, l'αὐτόθεος, e il finito.51

Molto più che nella Glaubenslehre, ove l'argomento resta costretto nello spazio di sparuti accenni, nella Trinitätsschrift si insiste sulla purezza come elemento discriminante della dottrina cristiana.52 In ciò va peraltro individuato, a nostro avviso, il motivo cardine della preferenza accordata a Sabellio. Tant'è che nelle ultime pagine del saggio, tirando le fila del ragionamento appena concluso, Schleiermacher evidenzia come la dottrina sabelliana sia rimasta esente da ogni oscillazione e conflitto, conseguendo un grado di semplicità e chiarezza del tutto estraneo all'opposta rappresentazione ecclesiastica. Da quest'ultima, scrive Schleiermacher riecheggiando quasi alla lettera passi della Glaubenslehre, «sorge nel complesso la grande quantità di formule che hanno solo il carattere di cautele negative, e tutto ciò prova abbastanza chiaramente che l'intera dottrina [Lehrweise] si forma meno su un fondamento determinato che non in base allo sforzo di evitare altre affermazioni e di districarsi tra di esse»; al contrario -- conclude -- «non si può negare alla dottrina sabelliana un'attestazione di originarietà e autonomia».53

In cosa consiste, più precisamente, la proficuità che viene riconosciuta alla dottrina sabelliana? Una risposta ulteriore va cercata proprio nell'affermazione della centralità dell'economia redentiva, da noi già messa in evidenza rispetto a Berillo. Stando a Schleiermacher, Sabellio avrebbe infatti ripreso e portato a compimento la summenzionata nozione di περιγραφή. Il teologo ricorda a questo riguardo un'affermazione sabelliana contestata da Atanasio, che ci pare esemplare. Secondo Sabellio, la natura del Figlio è tale che egli potrebbe in ogni momento cessare di essere περιγραφή dell'essenza divina e tornare nell'unità. Mentre Atanasio vede in questa rappresentazione una concessione all'immagine stoica del dio che alternativamente si contrae e si espande, Schleiermacher vi rinviene un'affermazione estrema, di carattere polemico, sotto la quale si cela nient'altro che la volontà di conservare un perfetto «equilibrio tra la μοναρχία, dottrina dell'unità essenziale di Dio, e l'οἰκονομία, come dottrina delle differenze in Dio che si rapportano al mondo e alla salvezza [Heilsordnung]».54 Sabellio vuole opporsi, cioè, all'idea per cui l'ipostatizzazione sarebbe «qualcosa di necessario nell'essere divino e di indipendente da ogni οἰκονομία»55 -- e ricondurre le distinzioni nell'essenza divina alla dinamica creativa e redentiva. Così, la περιγραφή dell'essenza divina che si produce nell'incarnazione sussiste solo «in relazione a noi», «tanto che se noi cessassimo anch'essa cesserebbe».56 Analogamente, la περιγραφή del Padre sussiste soltanto in relazione al mondo e alla sua creazione, di modo che, se il mondo cessasse, anch'essa cesserebbe. Sabellio riesce dunque, secondo Schleiermacher, a conciliare unità e trinità attraverso una visione dinamica, che sposta sul piano della causalità divina la separazione delle Persone, conservando d'altro canto l'unità essenziale del divino stesso.

È da cogliere qui un'indicazione che riporta a quanto visto nelle ultime battute della Glaubenslehre. Abbiamo detto che la visione dinamica che vi si profila si articola sulla base dell'opposizione, cui Schleiermacher allude oscuramente, tra Dio nascosto e Dio rivelato. Alla luce della Trinitätsschrift si può concludere che egli desuma questa soluzione proprio dalla teoria sabelliana. Nel testo vi fa infatti riferimento più volte, elogiando la formulazione sabelliana di quella opposizione, e del suo rapporto alla rappresentazione della Trinità, come la più compiuta, la più acuta che si possa osservare nella storia della dottrina. Sabellio vi ricorre, precisamente, ponendo che «l'intera Trinità è il Dio rivelato, l'essenza divina in sé e per sé è invece nella sua unità il Dio nascosto».57 La visione che egli tratteggia può essere esposta, a grandi linee, nel modo seguente. La μονάς, la divinità unica e indivisa, forma nell'unione, rispettivamente, col mondo, il redentore e la chiesa, le tre Persone, le quali costituiscono, ognuna, una specifica περιγραφή del divino. In tale unione l'essenza divina rimane tuttavia la medesima, unica, indivisa ed eterna, senza subire essa stessa nel processo di unione alcun mutamento. Come per Berillo, le singole Umschreibungen, ovvero le Persone divine, non preesistono all'unione col divino. Così i tre elementi (mondo, redentore, chiesa), dalla cui unione con Dio si formano le Persone trinitarie, vengono propriamente creati in quel processo. Ognuna delle unioni attraverso cui la divinità diviene Persona rappresenta, in definitiva, un processo «creativo»58: il divenire Padre della divinità è al contempo creazione del mondo; lo stesso vale per il Figlio e lo Spirito Santo in rapporto, nell'un caso, al redentore, nell'altro, alla chiesa. Le proprietà o funzioni che Sabellio assegna alle Persone trinitarie, infine, sono così configurate: al Padre spettano creazione, conservazione, legislazione; al Figlio pertengono le funzioni relative alla grazia e alla redenzione; lo Spirito, infine, funge nella santificazione dei membri della chiesa e nella prosecuzione dell'attività redentiva di Cristo.

Diverse sono le accuse mosse a Sabellio dai suoi avversari. La sua concezione viene considerata irreligiosa e inaccettabile. A prescindere dai singoli argomenti che gli vengono mossi, talora capziosi, spesso viziati alla radice -- l'origine della disputa, dunque la differenza fondamentale tra visione sabelliana e dottrina ecclesiastica, risiede per Schleiermacher nel fatto che, mentre per Sabellio la Trinità sussiste solo in rapporto ai diversi modi di azione di Dio (nel mondo, in Cristo e nella chiesa), per gli avversari le Persone costituiscono vere e proprie ipostasi divine e la Trinità, di conseguenza, qualcosa che sussiste in Dio indipendentemente dai suoi effetti. Sabellio rigetta, in definitiva, il presupposto dell'eternità delle Persone. Un'altra ragione, oltre a questa, ha determinato la disputa: Sabellio, diversamente dalla dottrina ecclesiastica, non riconosce nel Padre l'essenza divina stessa, bensì lo considera soltanto una delle tre Persone, posta sullo stesso piano delle altre. Il rapporto tra μονάς e τριάς che viene configurandosi è, come anticipato, un rapporto di tipo dinamico, che nemmeno va rappresentato -- rimarca l'Autore -- secondo l'analogia col rapporto tra la specie e le cose affini che vi sono incluse.59 Quelli appena enunciati costituiscono, anch'essi, dei significativi punti di raccordo con la sezione conclusiva della Glaubenslehre. Vedremo infatti che il rifiuto del presupposto dell'eternità delle Persone, già presente nella prima edizione, viene nella seconda notevolmente accentuato. Rispetto al secondo punto, è sufficiente ricordare quanto Schleiermacher viene stabilendo, già nella prima edizione, a proposito di quella tendenza al subordinazionismo che si manifesta nell'identificazione del Padre con l'essenza divina. È appena necessario, infine, sottolineare l'affinità tra le affermazioni rese sul rapporto specie-cose singole e quelle riguardanti l'impossibile scansione del nesso divinità-Persone secondo il rapporto tra genere e individui.

Torniamo, in chiusura, sull'oscillazione fra triteismo e visione unitaria da cui abbiamo preso le mosse. Si è visto che Schleiermacher rinviene nell'oscillazione il limite precipuo della dottrina atanasiana. Per comprenderne il senso può essere forse utile rifarsi brevemente -- e con qualche necessaria approssimazione -- ad alcune considerazioni svolte nella Trinitätsschrift in merito ad arianesimo e scuola alessandrina. Nella sua ricostruzione, Schleiermacher riconduce le tre configurazioni dell'idea trinitaria (atanasiana, ariana, alessandrina) a una comune matrice. La cristologia alessandrina viene da Schleiermacher accostata all'arianesimo in virtù del rapporto di subordinazione stabilito tra il Padre e il Figlio. Essa se ne distingue soltanto nella rappresentazione del λόγος ipostatizzato, volta a preservare, di contro agli ariani, la divinità di Cristo. Ora, la visione atanasiana, onde evitare ogni apparenza di politeismo, rinuncia invece al presupposto, comune alle altre due, della subordinazione e, volendo tener ferma l'identità, esalta oltre misura il Figlio, così da renderlo quasi uguale al Padre. Per altro verso, essa si oppone alla sabelliana affermazione dell'unità, insistendo, di nuovo, sulla separazione sussistente fra le Persone.60 L'esito è, appunto, quel fluttuare fra unità e trinità, uguaglianza e subordinazione, che rappresentava, già nella prima edizione della Glaubenslehre, lo sbocco aporetico di ogni tentativo di pensare il rapporto fra l'essenza e le Persone divine. Scrive Schleiermacher: «E non solo una tale oscillazione sul versante sabelliano non c'è, per quanto la storia ci mostra; ma sarebbe anche difficile comprendere come un simile oscillare avrebbe potuto mai prodursi dai suoi semplici elementi, se questa dottrina avesse continuato a fiorire».61

4. Dalla Dreieinigkeits- alla Trinitätslehre

Durante i quasi dieci anni che separano le due edizioni de La dottrina della fede intervengono, nei paragrafi che sono oggetto della nostra analisi, variazioni e rimaneggiamenti che non possono in alcun modo venir trascurati. Anzitutto, perché sono anni di una intensa, convulsa ricezione critica dell'opera schleiermacheriana.62 Si potrebbe legittimamente obiettare che la dottrina trinitaria non rappresenta il bersaglio privilegiato di critiche e apprezzamenti. Sta di fatto, però (e questa è la ragione più decisiva), che alla luce della Trinitätsschrift le differenze tra le due edizioni assumono un peso tanto più rilevante, di cui occorre mettere in luce il significato.

Si è sopra ricostruito l'insieme dei passaggi compiuti da Schleiermacher nei paragrafi conclusivi della prima edizione. Ne richiamiamo brevemente i momenti. L'origine della dottrina trinitaria, «chiave di volta» della Glaubenslehre, viene riportata a un'istanza polemica, quella di difendere la visione ortodossa secondo cui l'unica e indivisa essenza divina dimora in Cristo così come nello Spirito Santo. In tal senso, essa presenta lo stesso contenuto delle dottrine cristologica e pneumatologica, su cui si fonda la fede nella redenzione e nella santificazione. La dottrina trinitaria perciò non ha il compito di veicolare nuove determinazioni dell'autocoscienza pia, ma soltanto quello di raccogliere e assemblare quell'intreccio di espressioni che ruotano intorno alla divinità di Cristo e dello Spirito. Nata con una funzione negativa e di raccordo, essa incorre però, nel corso del suo sviluppo, in irresolubili contraddizioni, tanto che la sua forma attuale risulta sotto ogni rispetto insufficiente. Due sono gli ostacoli fondamentali, di cui si è detto. Il primo riguarda il rapporto tra l'autocoscienza religiosa e le espressioni corrispondenti. Se la dottrina trinitaria fosse autenticamente cristiana, dovrebbe presentare fedelmente i vissuti dell'autocoscienza religiosa, ovvero le determinazioni di tale autocoscienza sorte sulla base della causalità divina. Ora, questa esperisce con una certezza incrollabile, sul piano della fede, la presenza dell'essenza divina in Cristo e nella chiesa; e la vive nell'opera perenne di redenzione e santificazione. La dottrina tuttavia, comunque formulata, non si mostra idonea a tradurre tali vissuti, in quanto nel pensare il rapporto tra le Persone e l'essenza divina (e in ciò è il secondo ostacolo) incorre in un perenne «fluttuare, da un lato, fra uguaglianza e subordinazione, dall'altro, fra il triteismo e una visione unitaria inconciliabile con la venerazione per il redentore e con la fiducia nella potenza eterna della sua redenzione».63 In particolare, l'esposizione ecclesiastica vigente viene posta sul versante del triteismo e del subordinazionismo di stampo origeniano: da una parte, essa non è in grado di preservare l'unità delle Persone, dall'altra, tende a subordinare il Figlio e lo Spirito al Padre, identificando quest'ultimo con l'essenza divina stessa. Da ciò Schleiermacher conclude, nel paragrafo 188, che non è affatto possibile trovare una formula universalmente valida, «in base alla quale poter rigettare tutte le deviazioni da essa come non cristiane»,64 e che, con ogni probabilità, il destino della dottrina consiste proprio nel suo «rimanere in costante movimento».65 Nonostante ciò, vengono proposte in chiusura delle indicazioni per la prosecuzione del compito. Esse inclinano verso una ripresa delle potenzialità riconosciute alla concezione sabelliana. Dagli accenni finali si può ricavare, infatti, l'abbozzo di una visione economica della Trinità, basata sulla centralità della dinamica redentiva e sulla distinzione fra Dio nascosto e Dio rivelato.

A risultati analoghi il Nostro parrebbe approdare nella seconda edizione. Il paragrafo 172 della seconda edizione riproduce di fatto in maniera pressoché fedele il contenuto di quello che nella prima era il § 188. Vi si legge:

Siccome noi possiamo tanto poco ritenere come compiuta questa dottrina in quanto col consolidamento della chiesa evangelica essa non ha subito alcuna nuova elaborazione, deve essere imminente per essa ancora una trasformazione che ritorni ai suoi primi inizi.66

Ora, non è possibile, né sarebbe utile, fornire qui una panoramica complessiva delle variazioni che intervengono tra le due edizioni. Ci concentriamo allora esclusivamente sugli aggiustamenti che si registrano negli snodi cruciali isolati nell'analisi precedente. La prima differenza, che è anche la più macroscopica, investe la struttura formale della Conclusione. Nella nuova edizione i paragrafi dedicati alla dottrina trinitaria si riducono da cinque a tre (§§ 170-172), occupando nel complesso uno spazio leggermente più ampio. Tale modifica, se si guarda allo svolgimento dell'argomentazione, sembra essere frutto di uno sforzo in direzione di una maggiore chiarezza, di una semplificazione espositiva. La trattazione appare più compatta e ordinata. Il problema dell'oscillazione tra unità e trinità, che occupava lo spazio di due paragrafi (§§ 189 e 190), viene concentrato in un unico paragrafo, il secondo (§ 171). Gli altri due mettono a tema, rispettivamente, il nesso fra dottrina trinitaria e dottrina redentiva (§ 170), e -- lo si è appena visto -- la necessità di una nuova elaborazione della dottrina stessa (§ 172).

La seconda sfasatura è relativa alla definizione della dottrina trinitaria come «chiave di volta» della dogmatica. Abbiamo visto che nell'edizione del 1821/22 essa occupa un posto di prim'ordine, essendo inclusa nell'assioma che apre il primo paragrafo (§ 186) della Conclusione. Ora, ci pare degno di rilievo il fatto che nel 1830/31 la proposizione venga scorporata dall'assioma e spostata all'interno del paragrafo esplicativo. Essa assume così un tono certamente più sfumato:

Ora in forza di questa contestualità noi consideriamo giustamente la dottrina trinitaria [die Trinitätslehre], nella misura in cui questi elementi sono depositati in essa, come la chiave di volta della dottrina cristiana; e con ciò consideriamo anche quest'equiparazione del divino in ciascuna di queste unioni con quello nell'altra, e così pure l'equiparazione del divino in ambedue con l'essere divino in sé, come la sostanza essenziale della dottrina trinitaria.67

Gli «elementi» cui si allude sono i medesimi: la dottrina trinitaria ha a oggetto l'unione di Dio con Cristo e con la chiesa, e si connette essenzialmente alla dottrina della redenzione e santificazione. Se si guarda, in terzo luogo, all'enunciato che apre il paragrafo in questione (nonché la Conclusione tutta) salta agli occhi un'altra variazione lampante, che intrattiene peraltro un legame intrinseco con quella appena ricordata. Scrive Schleiermacher:

Tutto l'essenziale in quest'altro versante della seconda parte della nostra esposizione è posto anche nella sostanza della dottrina trinitaria [Trinitätslehre]; questa dottrina stessa però, nella sua formulazione ecclesiastica, non è un'espressione immediata dell'autocoscienza cristiana, bensì solo un intreccio di parecchie di tali espressioni.68

Va annotato, in prima battuta, che all'identificazione della dottrina trinitaria con la «chiave di volta» della Glaubenslehre, di cui abbiamo detto, viene sostituita una riserva critica già presente, seppure in maniera più diluita, nella prima edizione. Ci riferiamo allo statuto della dottrina trinitaria e al suo differire dalle dottrine della grazia e della redenzione in quanto «intreccio» inautentico di espressioni dell'autocoscienza. Si tratta, ancora una volta, dell'incapacità della dottrina di rispecchiare i vissuti religiosi. Vi torneremo più avanti. La trasformazione che più ci interessa è però di tipo strettamente lessicale: per designare la dottrina trinitaria Schleiermacher non ricorre più alla perifrasi utilizzata nella prima edizione, «Lehre von der Dreieinigkeit», bensì al termine «Trinitätslehre». Lo stesso vale per il passo citato immediatamente prima. È un dato nient'affatto accessorio se si pensa a quanto egli va osservando di seguito a quest'ultimo. Stabilito il nesso tra la dottrina trinitaria e quella della redenzione, scrive il Nostro:

Ma potremmo anche fermarci qui, e potremmo non accordare lo stesso valore all'ulteriore sviluppo di questo dogma, che solo giustifica altresì il tentativo corrente. Infatti il sostantivo trinità [Dreieinigkeit] riposa in primo luogo sul fatto che si riconducono le due unioni ad una separazione posta già indipendentemente da esse ed in modo eterno nello stesso Essere supremo [...] . Ora però già quel presupposto di una separazione eterna nell'Essere supremo non è un'asserzione relativa ad un'autocoscienza religiosa, nella quale appunto ciò non potrebbe mai ricorrere.69

Ci pare significativo che in questo passo si offra un'esplicitazione dell'argomento riguardante l'eternità della separazione nell'essere divino. Vi abbiamo fatto riferimento in rapporto alla prima edizione, mettendo in luce come già a quel livello il massimo impedimento a un'adeguata articolazione del nesso unità-trinità venisse rinvenuto proprio nel presupposto dell'eternità delle Persone. Lo stesso argomento, inoltre, veniva ripercorso nello scritto sulla Trinità in relazione alla dottrina sabelliana. Qui Schleiermacher lo rifiuta ancor più decisamente, in quanto esso non corrisponde al vissuto dell'autocoscienza religiosa, né si può ricavare su basi scritturistiche.70 Proprio al rigetto dell'eternità delle Persone ci sembra vada ricondotta, allora, la sostituzione del termine «Dreieinigkeit» nei punti salienti dell'esposizione. Il termine è ritenuto inadeguato in quanto allude, nell'etimologia stessa, a una «triplice unità», al presupposto di un'originaria (ergo eterna) separazione nell'essenza divina. Così, quando non deve riferirsi alla dottrina ortodossa, Schleiermacher utilizza di preferenza il termine «Trinität». Il caso del paragrafo § 170, su cui abbiamo insistito, è particolarmente degno di nota proprio perché qui Schleiermacher non si riferisce alla dottrina trinitaria nella sua formulazione corrente (giacché in tal caso avrebbe optato per la «Dreieinigkeit»), ma al contenuto essenziale che essa veicola e che condivide con le più autentiche dottrine su grazia e santificazione.71

A tale spostamento si lega in modo sostanziale un'ulteriore difformità rispetto all'edizione del '21/22: la maggiore insistenza sull'affermazione dell'unità divina. Si prenda in analisi il paragrafo centrale dell'Epilogo (§ 171). Abbiamo detto sopra che esso ha a oggetto il problema, già centrale nella prima edizione, dell'oscillazione tra unità e trinità:

La dottrina trinitaria della chiesa [Dreieinigkeitslehre] esige che noi dobbiamo pensare ciascuna delle tre persone uguale all'essenza divina e viceversa, e ciascuna delle tre persone uguale alle altre; ma noi non siamo in grado di pensare né l'una né l'altra cosa, bensì possiamo rappresentare le persone solo in una gerarchia, e parimenti l'unità dell'essenza possiamo rappresentarla o minore delle tre persone o viceversa.72

È da notare come, differentemente da quanto fatto nella prima edizione, Schleiermacher non richiami esclusivamente alla necessità di stabilire una perfetta uguaglianza fra le Persone trinitarie, ponendo in ognuna la medesima essenza divina. Egli rimarca anche, a più riprese, l'esigenza di porre sullo stesso piano le singole Persone, da un lato, e l'essere divino in sé, dall'altro. È questo un dato che si mostra estremamente significativo alla luce della Trinitätsschrift. Sulla scorta del lavoro storico-critico ivi svolto, Schleiermacher radicalizza, infatti, la concezione tratteggiata nelle battute conclusive della prima edizione della Glaubenslehre e precisa: se, da un lato, occorre evitare la subordinazione tra le Persone -- è il caso, ancora una volta, della pratica corrente di identificare il Padre con l'essenza divina in sé73 -- allo stesso modo bisogna pensare il rapporto fra le Persone e l'essenza divina in modo che quelle non risultino subordinate a questa. Infatti proprio dalla corretta posizione di tale rapporto dipende l'autenticità dell'esperienza di fede vissuta nella redenzione e nella santificazione. Ciò significa che, perché «la nostra comunione di vita con Cristo, come la nostra partecipazione allo Spirito Santo» sia veramente la «comunione con Dio»,74 il divino nelle Persone deve essere lo stesso divino in sé, non posto al di sopra di quelle. L'insistenza sull'unità divina ci pare dunque essenzialmente legata alla centralità assegnata all'autocoscienza religiosa. Avvalendosi di questo ulteriore elemento, il ragionamento di Schleiermacher rimane per il resto invariato. Egli torna sull'analogia col rapporto tra genere e individui, mostrandosi ancor più scettico rispetto alle possibilità di una sua applicazione,75 e passa poi a riconsiderare la questione sotto il profilo della causalità divina, riproducendo l'esito già annunciato nella prima edizione: il fluttuare della dottrina fra nominalismo e realismo, visione unitaria e triteismo, che si risolve nella necessità di un suo eterno movimento. Sono ancora presenti, dunque, i tre piani che abbiamo enumerato nel seguire la prima edizione: essenza divina, Persone trinitarie, azione di Dio sull'autocoscienza.

Vale la pena soffermarsi su un ultimo punto, già toccato invero diverse volte. Si è osservato come, rispetto all'edizione precedente, un posto di maggior rilievo venga assegnato al terzo dei livelli appena enumerati: il rapporto dell'autocoscienza religiosa ai princìpi dottrinali. Nel paragrafo di chiusura Schleiermacher tira le fila del discorso svolto. Come nella prima edizione, afferma che, a causa delle oscillazioni e dei fraintendimenti in cui la dottrina trinitaria incorre per il suo carattere polemico, essa rappresenta un compito che «può essere risolto solo per approssimazione»76 e che non è possibile «enunciare una formula sufficiente per tutti i tempi».77 E aggiunge: ciò che si può auspicare, in proposito, è, da un lato, «una critica di fondo della forma finora invalsa di codesta dottrina», dall'altro, la predisposizione di «una trasformazione adeguata alla condizione attuale delle dottrine della fede affini».78 Schleiermacher ritiene infatti che la dottrina trinitaria abbia raggiunto uno sviluppo minore rispetto a quello conseguito da compiti posti solo successivamente, in virtù della sua scarsa aderenza ai vissuti dell'autocoscienza religiosa.79 A tal proposito annota:

Ora a questo scopo costituisce almeno un primo passo preliminare la collocazione che la dottrina trinitaria ha avuto qui. Infatti un credente nel senso ecclesiale della parola non può essere armato del necessario equilibrio, né per una critica imparziale del procedimento finora adottato, né per una nuova elaborazione, se non ha dimostrato a se stesso che la nostra fede nel divino in Cristo e nella comunità cristiana può trovare la sua espressione dogmatica adeguata prima che si faccia anche solo parola di queste definizioni più dettagliate che formano la dottrina trinitaria.80

L'approdo della posizione schleiermacheriana in questa edizione consiste nell'affermazione di una duplice precedenza: l'anteriorità delle asserzioni cristologiche e pneumatologiche rispetto alla dottrina trinitaria e, più a monte, l'anteriorità del vissuto religioso rispetto all'espressione dottrinale che ne fissa i momenti. Il compito che il teologo vi assolve in vista di una nuova elaborazione della Trinitätslehre consiste, in ultima analisi, nell'affermazione del carattere pre-dogmatico della fede. Si vedano, infine, le battute conclusive. Vi vengono riprodotti quasi fedelmente quegli accenni alla dottrina sabelliana già contenuti nell'edizione del '21/22. La trattazione, ancora una volta, viene articolata in due momenti, ognuno dei quali mira a proporre una soluzione ai limiti della dottrina ecclesiastica: da un lato, la separazione introdotta nell'essenza divina, dall'altro, la disuguaglianza nel rapporto fra le Persone trinitarie.

5. Considerazioni conclusive

Nel complesso, le variazioni che si registrano nella seconda edizione mostrano una maggiore insistenza sull'unità dell'essenza divina, insistenza che si lega d'altra parte alla più ferma negazione del presupposto, vigente nella dottrina ecclesiastica, di una separazione eterna nella divinità. Tutti i rimaneggiamenti messi in luce ci sembrano rivelativi del consolidarsi di una concezione economico-cristologica della Trinità, basata sulla centralità della storia soteriologica e sull'opposizione fra Dio nascosto e Dio rivelato: fra l'eterna, indivisa essenza divina e la sua manifestazione dinamica nella causalità temporalmente esercitata sull'autocoscienza. Le premesse di tale visione sono già presenti, allo stato germinale, negli ultimi paragrafi della prima edizione della Glaubenslehre e vengono portate a maturazione, come si è visto, tramite il complesso lavoro storico-critico compiuto nella Trinitätsschrift. Nell'accostarsi alla dottrina di Sabellio, Schleiermacher vi rinviene, in ultima istanza, un potenziale inespresso di ortodossia, una proficuità teorica misconosciuta eppure ancora spendibile. Questa consiste, segnatamente, nella sua capacità di tradurre i vissuti dell'autocoscienza, evitando, al contempo, «gli scogli in cui incappa la traduzione concettuale (Darstellung) della chiesa».81 La rappresentazione sabelliana, infatti, concependo la Trinità in funzione redentiva e santificante, centralizza il vissuto religioso per eccellenza dell'autocoscienza cristiana: la comunione col divino in Cristo e nella chiesa. In ciò non riesce, al contrario, la dottrina ecclesiastica, che tende a sfociare, alternativamente, in una forma triteistica o in un sostanziale subordinazionismo.

La proposta di Schleiermacher non è esente però, a sua volta, da forti problematicità. La causalità cui egli pensa appare fortemente sbilanciata sul versante della redenzione. La Trinità, non immanente ma economica, è eminentemente funzionale alla redenzione in Cristo e, in seconda battuta, alla prosecuzione dell'attività redentiva tramite la santificazione nello Spirito Santo. Schleiermacher inclina a trascurare così, nel riprendere la concezione sabelliana all'interno della sezione conclusiva della Glaubenslehre, gli altri momenti della causalità divina, creazione e conservazione, e -- con essi -- la figura del Padre. La situazione paradossale che si profila è allora quella di un possibile riprodursi, all'interno della stessa visione schleiermacheriana, delle medesime incognite individuate nelle dottrine discusse. Si potrebbe, infatti, volgere contro lo stesso Schleiermacher, rovesciandolo, l'argomento da questi usato contro la dottrina tradizionale -- la denuncia della tendenza a dipingere il Padre come l'essenza divina per eccellenza, sovraordinandolo alle altre due Persone.82 Inutile sottolineare, infine, i rischi docetistici insiti in una visione di questo tipo,83 nonché, per altro verso, la sua sovrapponibilità -- e pour cause -- a una rappresentazione monarchiano-modalistica della Trinità.84

Di queste difficoltà il teologo è del tutto consapevole. Ancora nel 1830/31, a poco meno di dieci anni di distanza dalla Trinitätsschrift, egli non ritiene affatto, a dispetto di tutti i tentativi compiuti, di essere pervenuto a una qualche soluzione positiva. Scrive nelle battute conclusive della Glaubenslehre: «si giustifica da sé che in questa sede non si possa andare al di là di questi accenni, e quindi non si possa risolvere il compito stesso».85 Che egli non arrivi a porre fine a quel fluttuare fra unità e trinità, e che ciò avvenga, per di più, proprio in relazione al dogma il quale al di sopra di ogni altro dovrebbe rappresentare la «chiave di volta» della dottrina cristiana, è forse qualcosa di più che l'indice di un'insolubile aporia interna. È uno stato di cose che riveste, all'opposto, un preciso valore simbolico. Soltanto nell'apertura perenne di quello iato tra dogma e vissuto religioso, di quello spazio d'«indipendenza»86 che si profila nell'oscillazione, la fede può continuare, difatti, a sorgere in autenticità.87 Le difficoltà connesse alla Trinitätslehre parrebbero scaturire proprio dal suo peculiare statuto di «chiave di volta», dalla pretesa di voler chiudere e fissare la serie degli elementi che compongono l'edificio della dogmatica. Quest'ultima, infatti, non può inglobare né eccedere i limiti dell'autocoscienza religiosa, pena lo sconfinamento nella speculazione:

Se mai fosse riuscito, o se mai potesse riuscire, di rendere perspicua in base a concetti generali o a priori oppure di dimostrare, sia pure sulla spinta della nostra dottrina ecclesiastica [...], una trinità di Dio, ma tuttavia senza riferimento ai rapporti della redenzione e senza richiamarsi alla Scrittura, una simile dottrina trinitaria non potrebbe trovare alcun posto in una dottrina della fede cristiana, anche se fosse stata sviluppata molto più perfettamente di quanto sia riuscito finora, o possa mai riuscire, alla dottrina trinitaria della chiesa legata alle realtà di fatto fondanti del cristianesimo.88

Copyright © 2011 Emanuela Giacca

Emanuela Giacca. «Un compito infinito. La Trinitätslehre di Friedrich D.E. Schleiermacher tra dogma e vissuto religioso». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**92 B].

Note

  1. J.H. Newman, On the Introduction of Rationalistic Principles into Revealed Religion, in «Tracts for the Times», vol. 3 (1835-36), p. 56. Testo

  2. Cfr. E.W. Sartorius, Sabellianismi a summo reverendo Schleiermachero instaurati censura succincta, Dorpat 1825. Il titolo completo è riportato nella Einleitung a F.D.E. Schleiermacher, Kritische Gesamtausgabe [→ KGA] I/10, Theologisch-dogmatische Abhandlungen und Gelegenheitsschriften, hg. v. Hans-Friedrich Traulsen unter Mitwirkung v. Martin Ohst, de Gruyter, Berlin - New York 1990, p. LXVII. Testo

  3. Cfr. J.A. Möhler, Athanasius der Größe und die Kirche seiner Zeit, besonders im Kampfe gegen den Arianismus (2 voll.), Mainz 1827, «Prüfung der Schleiermacher'schen Abhandlung "über den Gegensatz der athanasianischen und sabellianischen Trinitätslehre"», vol. I, pp. 304-325. Testo

  4. Ivi, pp. 323-324. Testo

  5. Cfr. KGA I/10, pp. 223-306. Testo

  6. Per un quadro completo della vicenda editoriale e della storia della ricezione, cfr. ivi, pp. LXI-LXIX. Testo

  7. Cfr. The biblical repository and quarterly observer, vol. V, Andover - Boston 1835, No. XVIII, pp. 265-353, No. XIX, pp. 1-116. Testo

  8. Cfr. KGA I/10, p. LXVI. Testo

  9. Si veda, tra i saggi più recenti, quello di G. Walter, Trinity as Circumscription of Divine Love according to Friedrich Schleiermacher, in «Neue Zeitschrift für Systematische Theologie und Religionsphilosophie», Vol. 50, No. 1 (giugno 2008), pp. 62-74. Si legge a p. 63: «Questa discussione è una parte della più ampia considerazione della dottrina schleiermacheriana di Dio. Quest'ultima ha ricevuto un'estesa analisi, con attenzione alla sua coerenza filosofica, al suo posto all'interno del metodo teologico e alla dottrina degli attributi. Meno celebrata è la dottrina della Trinità. Nessuna trattazione della dottrina schleiermacheriana della Trinità ha finora esaminato le implicazioni costruttive del trattato sabelliano in congiunzione con la Glaubenslehre». Testo

  10. Cfr. P.J. DeHart, Ter mundus accipit infinitum: The Dogmatic Coordinates of Schleiermacher's Trinitarian Treatise, in «Neue Zeitschrift für Systematische Theologie und Religionsphilosophie», Vol. 52, No. 1 (luglio 2010), pp. 17-39, in part. p. 18, nota 3: ogni presentazione che si fa della dottrina trinitaria della Glaubenslehre come «appendice» - in «Welch e innumerevoli altri interpreti» - oltre a basarsi su una traduzione erronea di quella che è, nel testo, la «Conclusione» (Schluß) della dogmatica, risponde a una tesi polemicamente viziata, all'origine, dall'esigenza di respingere la trattazione schleiermacheriana della dottrina stessa. Il testo di C. Welch cui si fa riferimento contiene la formulazione più tradizionale della tesi in questione; si tratta dell'opera intitolata In This Name: The Doctrine of the Trinity in Contemporary Theology, Charles Scribner's Sons, New York 1952. Testo

  11. Cfr. DeHart, Ter mundus accipit infinitum, cit. DeHart auspica una ripresa dell'approccio dialettico schleiermacheriano di contro al proliferare - nella teologia contemporanea e nella «crescita iper-rigogliosa del dibattito trinitario» - «di trinità "sociali" e altre simili istanze di fantasmagoria speculativa», dovuto alla «concomitante dimenticanza dei limiti della conoscenza e del linguaggio dell'uomo intorno a Dio» (p. 38). Testo

  12. KGA I/7, Der Christliche Glaube nach den Grundsätzen der evengelischen Kirche im Zusammenhange dargestellt (1821/22), hg. v. H. Peiter, de Gruyter, Berlin - New York 1980 (2 voll.), vol. II, p. 357. Traduciamo di seguito dal testo tedesco dell'edizione citata. I riferimenti, salvo specificazioni, sono relativi al secondo volume dell'opera. Testo

  13. È l'idea sostenuta da R.R. Niebuhr (Schleiermacher on Christ and Religion: A New Introduction, Charles Scribner's Sons, New York 1964); una tesi affine, anche se più sfumata, è quella secondo cui la dottrina trinitaria, lungi dall'essere marginale, avrebbe la funzione di raccogliere gli elementi fissati in precedenza, ovvero la teoria degli attributi divini (segnatamente, amore e sapienza), nonchè l'intera dottrina di Dio sviluppata lungo tutta la Glaubenslehre. Si veda, ad esempio, F.S. Fiorenza, Schleiermacher's understanding of God as triune, in J. MariÑA (a cura di), The Cambridge Companion to Friedrich Schleiermacher, Cambridge University Press, New York 2005, pp. 171-188, in part. pp. 186-187. Testo

  14. Sull'argomento, si veda lo studio di E. Brito, La pneumatologie de Schleiermacher, Leuven University Press, Leuven 1994. Testo

  15. KGA I/7, vol. II, p. 357. Testo

  16. Ibid. Testo

  17. Ivi, p. 359. Testo

  18. Ivi, p. 358. Testo

  19. Rimandiamo, in proposito, a S. Sorrentino, Fede cristiana e produttività storica nella Glaubenslehre di Schleiermacher, in F.D.E. Schleiermacher, La dottrina della fede esposta sistematicamente secondo i principi fondamentali della chiesa evangelica, Paideia, Brescia 1981 (2 voll.), vol. I, pp. 9-124. Testo

  20. KGA I/7, vol. II, p. 359. Testo

  21. Ibid. Testo

  22. Ivi, p. 362. Testo

  23. Ibid. Testo

  24. Ibid. Testo

  25. Ivi, p. 363. Testo

  26. Ivi, p. 365. Testo

  27. Ibid. Testo

  28. Ivi, pp. 365-366. Testo

  29. Ivi, p. 366. Testo

  30. Ivi, p. 367. Testo

  31. Ibid. Testo

  32. Ibid. Testo

  33. Ivi, p. 368. Testo

  34. Ibid. Testo

  35. Ivi, pp. 368-369. Testo

  36. Ivi, p. 370. Testo

  37. Ivi, p. 371. Testo

  38. Ibid. Testo

  39. Ibid. Testo

  40. Ivi, p. 370. Testo

  41. Ivi, p. 372. Testo

  42. KGA I/10, p. 225. Si traduce dall'edizione tedesca citata. Testo

  43. Ibid. Testo

  44. Si veda il puntuale saggio di Walter, Trinity as Circumscription of Divine Love, cit. Testo

  45. KGA I/10, p. 246. Testo

  46. Ibid. Testo

  47. Ivi, p. 256. Testo

  48. Ivi, p. 267. Testo

  49. Ivi, p. 260. Testo

  50. Ivi, p. 264. Testo

  51. Ibid. Testo

  52. Cfr. ivi, pp. 267-268, ove Schleiermacher, contestando l'argomento secondo cui la dottrina trinitaria non sarebbe mai sorta se non si fosse verificata una contaminazione dell'interesse della fede con la speculazione, mette in luce l'origine puramente religiosa della visione sabelliana di contro al carattere platonizzante di quella atanasiana. Testo

  53. Ivi, p. 306. Testo

  54. Ivi, p. 281. Testo

  55. Ibid. Testo

  56. Ibid. Testo

  57. Ivi, p. 290. Testo

  58. Ivi, p. 289. Testo

  59. Cfr. ivi, p. 296. Testo

  60. Ne consegue che il Padre viene posto al di sopra delle altre due Persone e il Figlio, generato dal Padre, viene ritenuto a sua volta superiore allo Spirito, il quale sfuma, per parte sua, nella vaghezza di inafferrabili espressioni figurate (cfr. ivi, p. 305). Testo

  61. Ibid. Testo

  62. Sulla dottrina trinitaria esposta nella prima edizione della dogmatica venivano talora espressi anche pareri positivi: si pensi, ad esempio, agli apprezzamenti del teologo e filosofo J.G. Rätze. Si possono qui soltanto menzionare, inoltre, due momenti significativi legati, l'uno, alle accuse di panteismo e idealismo avanzate da F.C. Baur, l'altro, alle diverse fasi del confronto con Hegel. Si vedano in proposito le indicazioni contenute nella Einleitung, KGA I/7, vol. I, pp. XV-LX. Testo

  63. Ivi, vol. II, p. 370. Testo

  64. Ivi, p. 361. Testo

  65. Ibid. Testo

  66. KGA I/13, Der christliche Glaube nach den Grundsätzen der evangelischen Kirche im Zusammenhange dargestellt. Zweite Auflage (1830/31), hg. v. Rolf Schäfer, de Gruyter, Berlin - New York 2003 (2 voll.), vol. II, p. 527 [tr. it. a cura di S. Sorrentino, La dottrina della fede, cit., vol. II, p. 619]. Salvo indicazioni contrarie, tutti i riferimenti rimandano, per entrambe le edizioni, al secondo volume dell'opera citata. Testo

  67. Ivi, p. 516 [608]. Testo

  68. Ivi, p. 514 [607]. Testo

  69. Ivi, p. 516 [609]. Testo

  70. Schleiermacher si riferisce in particolare al «discorso sul Logos» di Giovanni (Gv 1, 1-14), erroneamente interpretato in chiave trinitaria: cfr. ivi, pp. 516-517 [609-610]. Si veda anche la prima edizione della dogmatica: KGA I/7, vol. II, pp. 360-61. Testo

  71. Occorre sottolineare, tuttavia, che Schleiermacher non assume rigidamente la distinzione tra i due termini, facendone un uso che possa dirsi tecnico in senso stretto. Vi sono infatti, oltre ai passi citati, alcuni luoghi, certo più marginali, in cui essi vengono usati in maniera neutrale, venendo alternati l'uno all'altro indifferentemente. Testo

  72. KGA I/13, vol. II, p. 519 [612]. Si noti come anche qui l'Autore, dovendo riferirsi alla dottrina trinitaria ecclesiastica, ricorra proprio al termine «Dreieinigkeit». Testo

  73. Cfr. ivi, pp. 526-527 [618-619]. Come nella prima edizione, l'argomento viene svolto in riferimento alla dottrina dell'essenza e degli attributi divini. Nelle esposizioni dogmatiche la dottrina assegna infatti una sostanziale superiorità al Padre: l'essenza e gli attributi vengono trattati dapprima rispetto a Dio stesso o al Padre concepito come unità, solo in un secondo momento e attraverso procedimenti dimostrativi, invece, in rapporto al Figlio e allo Spirito. Ne deriva che la prima Persona viene identificata con l'essenza divina in sé e che le altre due risultano, di conseguenza, subordinate ad essa. È il caso, ancora una volta, della dottrina di Origene, «secondo cui il Padre è Dio in assoluto, invece il Figlio e lo Spirito sono Dio solo mediante la partecipazione all'essenza divina; una concezione che è sì respinta senz'altro dai dottori della chiesa ortodossa, ma tuttavia segretamente è soggiacente ovunque al loro procedimento»; ivi, p. 527 [619]. Testo

  74. Ivi, p. 520 [613]. Testo

  75. In ciò si riconosce chiaramente, come anticipato, un ulteriore importo della Trinitätsschrift. Testo

  76. KGA I/13, vol. II, p. 529 [620]. Testo

  77. Ivi, p. 528 [620]. Testo

  78. Ivi, p. 530 [622]. Testo

  79. Cfr. ivi, p. 529 [621]: «Con questa situazione della questione ci si potrebbe al massimo meravigliare che mentre tanti altri compiti posti solo più tardi sono stati assolti in modo abbastanza soddisfacente, proprio questo che assomma tanto materiale sia rimasto fermo al punto, che offre poca soddisfazione, al quale è stato per così dire promosso di primo acchito. Ma proprio quelle questioni successive, soprattutto quella sulla persona di Cristo e sugli effetti della grazia dello Spirito, affrontavano la medesima materia dal lato prospiciente all'interesse immediato della fede». Testo

  80. Ivi, p. 530 [622]. Testo

  81. Ivi, p. 531 [623]. Testo

  82. Si ricordino i paragrafi 186 e 170, rispettivamente, della prima e della seconda edizione della dogmatica: proprio la centralità della redenzione è ciò che fa della dottrina trinitaria la «chiave di volta» della Glaubenslehre. La Trinitätsschrift offre invece, attraverso Sabellio, una raffigurazione certamente più bilanciata delle tre Persone e delle corrispondenti attività divine. Il Padre (e col Padre le attività di creazione, conservazione e legislazione) vi trova infatti, sotto questo rispetto, una trattazione più estesa. Si noti che il già menzionato DeHart (Ter mundus accipit infinitum, cit., p. 38) individua esattamente in questo punto il pericolo insito nelle rivisitazioni contemporanee della dottrina trinitaria. Ormai distanti dai «presupposti soteriologici, epistemologici e metafisici» delle formulazioni "classiche", esse rischiano «di concettualizzare la Trinità a prescindere dalla teologia della creazione», mentre nella teologia schleiermacheriana si darebbe, secondo DeHart, uno stabile equilibrio tra economia redentiva e attività creatrice: «perché egli non ha mai dimenticato di situare, con un rigore concettuale che ricorda la grande Scolastica, le "economie" dell'unione divino-umano che informano la sua concezione della dottrina all'interno dell'austera trama della radicale alterità dell'atto creativo di Dio». Ciò ci appare, tuttavia, più esatto in considerazione della Parte prima della Glaubenslehre che non in rapporto alla concezione trinitaria in sé. Piuttosto si profila, a nostro avviso, nella visione di Schleiermacher, quella «dissoluzione della Trinità immanente nella Trinità economica» efficacemente descritta da E. Brito, L'apport spécifique de Schleiermacher au problème trinitaire, www.catho-theo.net 6 (2007/3), pp. 295-310, in part. p. 307. L'aporia fondamentale che si condensa nella ripresa schleiermacheriana della dottrina di Sabellio - rileva opportunamente Brito - risiede non solo nell'impossibilità di passare dall'identità dell'immanenza divina alla pluralità delle cose finite, ma anche e soprattutto nella dissociazione della realtà intradivina dalla sua storicità, nell'indiscernibilità di Dio al di qua delle sue manifestazioni trinitarie. L'approdo finale è la vanificazione della distinzione Dio nascosto-Dio rivelato (mutuata anch'essa da Sabellio), a vantaggio dell'immagine di un Dio celato, inerte e comunque inconoscibile. Testo

  83. È il rilievo sollevato da Karl Rosenkranz, nella recensione alla Glaubenslehre, in connessione con le critiche alla dottrina trinitaria schleiermacheriana. Si ricordi, inoltre, l'analogo nesso causa-effetto stabilito da F.A. Staudenmaier tra la carenza sul versante della Trinitätslehre e l'inadeguatezza della cristologia ne La dottrina della fede (si veda la Einleitung a KGA I/13, vol. I, pp. LXI-LXVII). Testo

  84. Contro la legittimità di un appiattimento di Schleiermacher su Sabellio si è espresso, di recente, F.S. Fiorenza, Schleiermacher's understanding of God as triune, cit., in part. pp. 185-186: «un'analisi della riflessione sull'essere di Dio in Cristo e nella chiesa mostra una concezione della Trinità che non dovrebbe essere equiparata alla visione sabelliana, come si fa di solito. Schleiermacher sottolinea che l'unico Dio è creatore, redentore e santificatore, e che questo dovrebbe essere applicabile a tutte e tre le Persone. La sua enfasi sull'essere di Dio in Cristo e nella comunità lo porta a fare dell'essere dello Spirito nella comunità qualcosa che dipende e fluisce dall'essere di Dio in Cristo. Una simile interpretazione è più vicina al tradizionale filioque che al modalismo sabelliano». Testo

  85. KGA I/13, vol. II, p. 532 [624]. Testo

  86. Ivi, p. 530 [622]. Testo

  87. Cfr. ivi, pp. 529-530 [621]: «Infatti succede con questo come con la dottrina su Dio in generale, che molti non solo danno ad intendere, ma credono di essere oppositori di qualsiasi fede in Dio, mentre in realtà si oppongono solo alle espressioni correnti di essa, ma non hanno allontanato da sé tutti i vissuti [Gemüthszustände] che riposano sulla coscienza di Dio. Allo stesso modo è naturale che coloro i quali non possono rassegnarsi alle difficoltà e alle imperfezioni di cui sono tuttora sempre piene le formule vigenti nella dottrina trinitaria, relativamente a se stessi affermino di negare tutto ciò che è connesso con codesta dottrina, mentre invece alla loro religiosità non manca il marchio cristiano peculiare». Testo

  88. Ivi, pp. 518-519 [611]. Cfr. inoltre ivi, pp. 530-531 [622]: «il carattere dogmatico dell'intera esposizione viene guastato, e quindi né la critica né il punto di aggancio per una nuova elaborazione può essere posto su una base corretta, se quella dottrina, che direttamente non asserisce nulla intorno alla nostra autocoscienza cristiana, viene tuttavia enunciata come una dottrina fondamentale, e pertanto naturalmente in modo speculativo, e allora ciò si estende anche alla dottrina relativa al redentore e allo Spirito Santo come dipendente da quella, e quindi si spalancano tutte le porte alla penetrazione di elementi speculativi». Testo

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