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De mystica circulorum

di Andrea Fiamma (Roma, 26-28 maggio 2011)

Trinità sovraessenziale oltremodo divina ed oltremodo buona, custode della sapienza dei Cristiani relativa a Dio, guidaci verso la cima oltremodo sconosciuta, oltremodo risplendente ed altissima dei mistici oracoli, dove i misteri semplici, assoluti ed immutabili della teologia vengono svelati nella tenebra luminosissima del silenzio che inizia all'arcano: là dove c'è più buio essa fa brillare ciò che è oltremodo risplendente, e nella sede del tutto intoccabile ed invisibile ricolma le intelligenze prive di vista di stupendi splendori.

Dionigi, Teologia Mistica, I

1. Introduzione

Si conceda -- come suggerisce il cardinale Nicola Cusano nell'opera De ludo globi1 -- che «ci sono tre mondi: il piccolo mondo, che è l'uomo; il mondo massimo, che è Dio; il mondo grande che si chiama universo. Il piccolo è l'immagine di quello grande, il grande l'immagine di quello massimo»;2 se si concede questo, allora il mondo massimo non può che mantenere e mantener-si in una salda relazione con il piccolo e il grande mondo, permeandoli di sè. Grazie all'ausilio dell'aenigma del gioco della palla, il Cusano può mostrare come in realtà il Deus Trinitas sia «causa efficiente, formale e finale di ogni creatura e della sua materia»,3 ossia dell'anima, con il suo itinerario di visione-ascesi in Dio, e del mondo, che è in Dio «in modo complicato e non svolto, come il circolo è nel punto».4 Il De ludo globi, una delle opere mature, consiste in un dialogo tra il cardinale e i principi di Baviera Giovanni (libro I) e Alberto (libro II); in questo testo Cusano riesce sapientemente ad intrecciare una quantità straordinaria di temi e dottrine, offrendo così un'immagine ricca e splendente dell'anima umana e dell'universo; in essa cercheremo di penetrare e così di esplicitare proprio quel ligamen tra Dio, l'uomo e il mondo attraverso l'analisi filosofica dell'aenigma del gioco, del movimento e della vita, del circolo e del suo centro paradossale, ovvero quel Deus Trinitas la cui divina presenza ci guida ad ogni passo del nostro cammino.

2. Il gioco della palla

L'aenigma proposto dal cardinale nel De ludo globi riguarda «un gioco scoperto da poco che tutti comprendono facilmente e giocano volentieri»5: è il ludus globi, molto in voga6 nella Roma della metà del XV secolo. Non deve stupire come lo spunto provenga da un gioco, poichè anche i giochi -- precisa subito il Cusano -- custodiscono «un'alta speculazione».7 Esso consiste in una competizione a punti tra i partecipanti, che si sistemano intorno ad un "campo da gioco", corrispondente ad una figura circolare disegnata a terra. Il giocatore prende in mano la palla e la lancia nella zona delimitata dalla figura, al cui interno e intorno al suo punto centrale -- almeno nella versione raccontata dal Cusano8 -- sono stati tracciati nove cerchi concentrici, che a loro volta individuano tante corone circolari quante sono il numero delle circonferenze. Inoltre ad ogni corona circolare viene assegnato un valore numerico, il massimo al centro (10) e, a scalare, sempre più piccolo fino al limite esterno della circonferenza maggiore, dove è minimo (1) .9 Ogni giocatore lancia dunque la palla nella figura a cerchi concentrici e, in base al valore che è stato assegnato all'area dove si è fermata la palla, acquisisce dei punti. Il punteggio raccolto è ovviamente maggiore nella misura in cui la palla si avvicina al centro del cerchio, che è la mèta di ogni lancio; così facendo, ogni giocatore accumula man mano dei punti fino a raggiungere un tetto massimo, toccato il quale si proclama il vincitore del gioco. Il punteggio necessario alla vittoria è concordato all'inizio della partita -- e Cusano lo stabilisce, non a caso, nel numero 34. La palla (globus)10 utilizzata nel gioco non è perfettamente tonda, ma è lavorata al tornio in modo particolare: da un lato essa è il più possibile sferica, mentre dall'altro ecco che cambia il profilo e si ottiene così «una figura di mezza sfera, per così dire concava»;11 per questo, a causa della forma della palla, il giocatore non può prevedere agevolmente la direzione del suo lancio, come può avvenire nel caso in cui maneggi una palla rotonda. Il movimento della palla allora «non è nè completamente retto nè completamente curvo»,12 ma «a elica, a spirale o a curva avvolta su se stessa».13 Queste e altre condizioni contingenti14 aumentano tanto la componente casuale, che Cusano chiama fortuna,15 tanto l'imprevedibilità e la difficoltà del gioco.16

3. La rotondità e il movimento

Il movimento irregolare, si è visto, è causato dalla forma di mezza sfera che il tornitore ha impresso alla palla, dato che per un verso, quello convesso, essa scorre con naturalezza sul pavimento, ma per l'altro, concavo, si generano saltelli e frenate, ma soprattutto improvvisi cambi di direzione. In un certo senso, rivolgendoci alla palla, la convessità ne rappresenta il movimento perché essa scorre appena poggia sul lato convesso; invece la concavità, che frena la corsa della palla, indica la tendenza opposta per cui la palla si ferma: rotolando, la palla tocca il piano prima sul lato convesso -- per cui subisce un'accellerazione del moto -- , poi su quello concavo, che ne può determinare un cambio di direzione o un brusco rallentamento della corsa. In definitiva, la forma della palla sembra davvero poco adatta al movimento; «ma se la palla fosse perfettamente rotonda -- nota Cusano -- , [...] il suo moto non si esaurirebbe mai».17 Così, se avessimo a disposizione una sfera con il profilo tutto convesso e perfettamente rotonda, la vedremmo muoversi di moto perpetuo poichè «toccherebbe il piano solo nell'atomo. Con il [suo] movimento essa descriverebbe una linea invisibile e retta in modo massimo».18 Il ritmo della discussione tra il cardinale e il principe Giovanni diviene sempre più serrato e inizia ad alzarsi il livello teoretico: grazie al classico esperimento mentale cusaniano, ossia quello di trasferire all'infinito (trasferre) le qualità delle realtà presenti, come la rotondità e la perfezione del piano, si esprime così una prospettiva "ipotetica" che introduce poi il lettore a considerare lo statuto degli enti finiti. Il principio qui esposto, come si evince già da questi cenni, lega indissolubilmente la perfezione del rotondo al movimento, in quanto «la forma della rotondità è convenientissima alla perpetuità del moto».19 Eppure questa prospettiva è condannata a restere "ipotetica" in quanto nel nostro mondo di enti finiti non è mai possibile giungere alla perfetta rotondità di una sfera, che si ottiene soltanto all'infinito: «anche se una cosa rotonda è più perfetta di un'altra in rotondità, non si troverà mai che essa sia così rotonda da essere la rotondità stessa, ossia che non se ne possa trovare un'altra più rotonda. E questa è una regola universalmente vera, perchè in tutti gli esseri che ricevono il più e il meno, non si arriva mai al massimo o al minimo puro e semplice, del quale non vi è niente di più grande e di più piccolo ancora».20

La palla del gioco, si diceva, muta invece direzione di tanto in tanto e perciò non descrive una linea retta e invisibile ma, piuttosto, una spezzata, che si interrompe nel punto dove la palla si ferma. Per quest'ordine di motivi, la spezzata ci induce a pensare un movimento violento e non conforme alla natura della palla. In ogni caso, sia che si tratti del moto perpetuo di una sfera perfetta -- come l'ultima sfera dell'universo, che «è mossa senza violenza e fatica»21 -- sia che la palla descriva una andatura incerta e irregolare, in origine è sempre necessaria una spinta, un inizio del moto, una causa efficiente che imprima il movimento stesso. L'altra componente del moto della palla è allora il suo inizio: da dove si genera? Questo impetus,22 così come lo chiama il cardinale, è una vera e propria scintilla iniziale: essa origina il movimento e si esaurisce nell'attimo stesso in cui si realizza.23 Sul piano del finito, per concludere, il movimento della palla si esplica grazie ad una spinta del giocatore attraverso un determinato percorso che essa segue più o meno secondo natura e che è determinato da componenti contingenti ma soprattutto dalla struttura della palla.

La serie di riflessioni appena esposte non è fine a se stessa: tramite la forma della palla, il cardinale porta razionalmente alla luce l'esistenza di un nesso, che poi dimostra essere decisivo, tra la perfetta rotondità e l'infinità del movimento -- oppure, in termini più congeniali all'andamento del De ludo globi, tra la circolarità e il perpetuo. Tale legame si può intendere a partire dal piano del finito, osservando come la palla più rassomigli ad una sfera e più sia adatta al moto; ma, maggiormente, è rintracciabile all'infinito, dove è possibile giungere seguendo i passi del Cardinale. In tal modo, il Cusano sparge i semi del fiore dell'infinito nelle menti del principe Giovanni, del fratello Alberto e di tutti i lettori. La prospettiva di misura del finito, che è propria della mens, appunto, non basta: per corrispondere appieno al desiderio di conoscenza è necessario stare nel finito, abitarlo, e tramite la mens misurarlo e pensarlo radicalmente, attraversalo e uscirne, seguendo coerentemente quell'infinito Presupposto a cui esso fa segno: «per questo getterò nelle vostre nobili menti solo alcuni semi di scienza. Se saranno ricevuti e custoditi da voi, genereranno un frutto di luce di grande chiarezza su ciò che ognuno massimamente desidera conoscere».24

4. Il moto dell'anima

Il cardinale, prestando attenzione al movimento della palla, nota che «possiamo dire la stessa cosa dell'anima umana: l'uomo si muove in quanto nel corpo c'è l'anima».25 A questo punto, Cusano può introdurre la dottrina platonica dell'anima, così come la assume dalla tradizione precedente, poiché «non c'è, forse, esempio più appropriato per intendere la creazione dell'anima da cui dipende il movimento dell'uomo. Dio non è l'anima, nè lo spirito di Dio muove l'uomo, ma è stato creato in te il movimento che muove se stesso (secondo i platonici) e questo movimento è l'anima razionale che muove se stessa e tutte le cose che le appertengono».26 A partire da questo spunto, il dialogo si concentra sulla struttura dell'anima27 e sul proprio Principio Trinitario, che riluce in lei quando, sulla base del movimento, essa adempie alle sue funzioni; quando, ad esempio, vive e vivifica il corpo. Lì, vita e movimento sono allora tutt'uno: «il vivere è un certo moto».28

L'anima, insegnano i maestri platonici,29 è incorporea e semovente (autokínetos) e per natura è movimento e vita.30 Il movimento si esplica attraverso l'esercizio di diverse funzioni, che essa esercita autonomamente o attraverso il corpo, dato che, appunto, per un verso è legata al corpo,31 che da lei è reso vivo, ma per un altro, simul, ne è indipendente e così si muove di moto intellettuale. Nel secondo senso, ovvero se ci riferiamo alle funzioni dell'anima espresse grazie alla sua virtù intellegibile, l'anima razionale prende anche il nome di mente32: in quanto tale, essa è movimento dell'intelligenza, o pensiero -- e questo è il senso che più interessa al cardinale, anche perchè, propriamente, «la virtù dell'anima è il ragionare; dunque, ragionare è anima».33

Questo movimento, che muove intellettualmente se stesso, è sussistente in sè ed è sostanziale. Il movimento che non muove se stesso è invece accidente, mentre quello che muove se stesso è sostanza. Il movimento non sopraggiunge accidentalmente a ciò la cui natura è movimento: come accade nella natura dell'intelletto che non può essere intelletto senza il movimento intellettuale per il quale è in atto. Così il movimento intellettuale è sostanziale e muove se stesso. Pertanto non si esaurisce mai. Vivificare è movimento di vita che sopravviene al corpo che non è vivo per sua natura. Infatti il corpo è un vero corpo quando è senza vita. Pertanto il movimento che sopravviene al corpo può cessare; ma non per questo cessa il movimento sostanziale che muove se stesso. Quella virtù che prende anche il nome di mente, abbandona il corpo quando essa cessa, in questo, di vivificare, sentire, immaginare. La virtù della mente compie queste operazioni nel corpo, ma, anche se non le esercita, permane perpetuamente, sebbene sia separata localmente dal corpo. Una tale virtù, anche se è circoscritta nel luogo sì da esser solo qui, non occupa nessun luogo perchè è spirito.34

In effetti, benchè anche la virtù razionale si attualizzi soltanto nell'uomo -- ossia pur sempre quando l'anima è legata ad un corpo -- questa virtù dell'intelligenza si esprime grazie ad un movimento che è comunque indipendente dal corpo, poichè non abbisogna di un organo contratto attraverso il quale realizzarsi, come, all'inverso, avviene ad esempio nel caso della vista,35 che abbisogna degli occhi corporei. Pertanto, diversamente dalle funzioni corporee, per esercitare appieno il pensiero è necessario liberarsi il più possibile da ciò che lega l'anima al mondo del corporeo e delle passioni. L'intelligenza si muove tanto più la palla-anima diviene rotonda, ossia, tanto più viene levigata e così purificata dalle sue imperfezioni: in tal modo essa può correre libera dagli impedimenti delle passioni;36 per esercitare l'anima intellettiva è difatti necessario un progressivo distacco37 dalla situazione contingente e determinata, ovvero una vera e propria purificazione dalle passioni: bisogna rimuovere i legami (apháiresis) con il corpo e le passioni, affinchè l'anima resti sola con se stessa e possa esercitare liberamente il proprio lògos e si apra così la visione della pianura della verità.38

Si iniziano perciò a delineare alcune caratteristiche decisive: anzitutto, l'impetus non è esterno, ma l'anima è semovente; il suo movimento, che è vita, si esplica nell'esercizio di varie funzioni, tra cui il movimento dell'intelligenza è il più alto e perfetto; similmente alla palla, anche l'anima deve "farsi" rotonda per meglio muoversi, difatti «l'anima si ritrae dal corpo per quanto le è possibile in modo da pensare, considerare e determinare meglio».39 Il movimento dell'intelligenza è dunque del tutto incorporeo perchè l'intelligenza stessa è spirito, vita e movimento. Ancora, di quale moto si tratta? Ebbene, insegna Cusano, l'intelligenza si muove in tre momenti, ovvero attraverso il pensare, il considerare e il decidere; essi sono introdotti come le tre fasi tra loro implicantesi dell'attualizzarsi dell'unico movimento dell'intelligenza. Per individuare questo particolare moto che muove se stesso, il Cusano si affida ancora una volta ad un aenigma: presentando il moto intellettuale che egli stesso ha compiuto nel momento in cui, ad inizio libro, ha cercato di inventare il gioco della sapienza, egli prova così ad esemplificare quel paradossale moto di pensiero, cercando anzitutto di enucleare le tre fasi:

  1. «pensavo di inventare il gioco della sapienza,
  2. e ho riflettuto su come si dovrebbe fare;
  3. poi l'ho condotto a termine così facendo.

Il pensiero, la considerazione e la definizione sono virtù dell'anima nostra. [...] Queste sono virtù della ragione viva che si chiama anima. E sono vive, perché non possono essere senza il movimento della ragione viva».40 Pertanto, se in quanto legata al corpo l'anima vivifica, sente e immagina, quando questa esercita la virtù dell'intelligenza, la più alta, essa è propriamente spirito in quanto si muove da se stessa e libera dal corpo; non solo, questo unico movimento si esplica attraverso le tre fasi del pensare, considerare e decidere. Cusano va oltre: queste tre fasi non si susseguono come una progressione, ma si implicano a vicenda e perciò descrivono un unico moto circolare, sul calco della struttura uni-trinitaria del Principio:

Quando, dunque, penso, considero e determino, che altro accade se non che lo spirito razionale, che è forza pensante, considerante e determinante, si muove da solo? [...] E in ciò trovo che l'anima muove se stessa con un movimento circolare perchè questo movimento ritorna su se stesso. Quando penso di pensare, il movimento è circolare e muove se stesso. Dunque il movimento intellettuale dell'anima, che è vita, è perpetuo, perchè è circolare e riflesso su se stesso.41

Il moto è perciò uni-trino, nella misura in cui si compone di tre momenti distinti, in cui ognuno di essi implica e contiene gli altri due, benché si tratti di un unico movimento. L'anima è, pertanto, semovente e, alla sua espressione più alta, si muove di moto intellettuale, che è circolare -- ma non si era poc'anzi evidenziato come una palla perfettamente sferica, se fosse data sul piano del finito, si muoverebbe di moto perpetuo e lungo una linea retta? In tal senso, dunque, il moto circolare è perpetuo. Tuttavia la distinzione dei tre momenti non separa, non rompe e non de-cide, ma si attua potentemente all'interno dell'unità del discurrere del pensiero. La struttura uni-trinitaria è allora l'unica che può tenere insieme l'eternità del movimento (circolo) con il suo dispiegarsi in tre momenti o virtù tra loro implicantisi (trino); a loro volta, queste virtù rendono possibile l'esplicarsi del movimento nelle varie funzioni che l'anima adempie quando è legata o è indipendente dal corpo. In definitiva, quando l'anima si muove di moto intellettuale, attualizza il moto attraverso tre virtù, «delle quali l'una non è l'altra, perché la prima è il pensiero, la seconda la considerazione e la terza la determinazione. Il pensiero genera la considerazione e la determinazione procede da entrambe. Esse sono un unico movimento vivo che muove perfettamente se stesso. In ciò vedo che l'anima intellettiva deve essere una virtù unitrina».42 In questo senso, allora, l'anima è davvero lo speculum del Principio, poichè ne riproduce la stessa struttura perfettissima sia in essenza che in funzioni; in essa emerge lo stesso tenere-insieme tanto il movimento e la vita quanto la perfetta unità del Principio.

5. I circoli e i cori angelici

Quei tre passi che l'autoriflessione del pensiero scandisce sono distinti eppure uniti: il loro rapportarsi vicendevole che si attualizza nel movimento e nella vita non si dimentica, man mano, della proprià massima unità, perché «l'unità unitrina è la più perfetta».43 Non esiste, difatti, un'unità più stretta (religata), che stringa a sè (religio) la vita, che l'uni-trinità, il cui movimento interno è vita intrapersonale; ma questo movimento di divina autocoscienza non si sviluppa fuori dal Principio, bensì si situa proprio al suo interno, tenendo insieme, simul, la perfetta quiete dell'unità e la massima figura del movimento.44 A questo punto è bene tornare alla raffigurazione del gioco: «ho tracciato nel centro del campo -- scrive Nicola Cusano -- il circolo nel cui centro è il seggio del re, ed il suo regno è il regno della vita, incluso nel cerchio e, dentro al cerchio, [ne ho inclusi] nove altri».45 Ma circolari sono anche i cerchi concentrici che individuano il percorso del moto della palla, che tende al centro del cerchio. Seguendo il Cusano nell'interpretazione del ludo globi, quale nesso si può perciò istaurare tra il movimento, i circoli e il centro, che è a tutti loro comune?

I circoli, dunque, rappresentano qui il movimento della vita. I movimenti che hanno più vita sono rappresentati dai circoli più vicini al centro che è la vita, perchè la vita è il centro, del quale non si può trovare nè un [centro] più grande, nè uno più piccolo. Nel centro è contenuto ogni movimento vitale che non può essere fuori della vita. E se in ogni moto vitale non ci fosse la vita, esso non sarebbe tale. Il moto, che è la vita del viventi, è, dunque, circolare e centrale. E quanto più il circolo è vicino al centro, tanto più rapidamente esso può girare. Quel circolo che lo è in modo tale da essere anche il centro, può girare nell'istante. Esso sarà, allora, un movimento infinito. Il centro è il punto immobile: il suo movimento sarà il movimento massimo (ossia infinito) e insieme il minimo, in cui identici sono il centro e la circonferenza. E lo chiamiamo vita dei viventi, fissa nella sua eternità, che complica ogni movimento possibile della vita.46

Nella struttura circolare e concentrica entro cui giunge la palla, si ripropone quello stretto legame tra il movimento e la vita: tanto più ci si avvicina al centro, più le circonferenze dei nove circoli in questione si riducono e più il moto circolare accellera, fino al centro, dove la massima rapidità coincide con il minimo di moto, ossia, con la quiete.47 Tuttavia, come insegna la dottrina platonica sull'anima e come è stato poc'anzi evidenziato, il movimento dell'anima come mens è movimento intellettuale che si esplica in forma unitrina e con un moto circolare; il che implica, seguendo la figura a cerchi concentrici, che più l'anima si avvicina al centro dei circoli, più il suo moto intellettuale accellera e si fa rapido -- ovvero, si allontana sempre più dal discurrere e dal proporzionare della mens e si avvicina all'intuizione im-mediata del centro. A partire dal gioco, dunque, il Cusano si spinge a trattare prima l'anima e poi il cosmo, fatto anch'esso a immagine di Dio -- quel Deus Trinitas che, seppur mai tematizzato, sta accompagnando passo passo il nostro cammino.

Non sorprende perciò che per Cusano i circoli rappresentino «i gradi della visione»48: il vero oggetto della speculazione è allora il progressivo cammino di conoscenza dell'anima, che, attraverso i circoli, si imbatte in infiniti Nomi divini, per infinite figure angeliche49 -- come Dante, che con esse «rota»50 -- , fino a giungere alla perfetta visio (dei) ;51 l'approssimarsi al centro è allora attingere alla Verità che lì riposa. In questo momento l'anima intellettuale che è semovente e che si muove di moto circolare e unitrino non è più da pensare singolarmente, ma come inserita nella struttura a cerchi concentrici del cosmo. In quale punto dobbiamo pensarla? Non in un luogo fisso, ma a seconda del grado di visione che attualizza: nel suo itinerarium in Deum, essa deve risalire la struttura circolare esercitando la visione sempre più rapidamente. A partire dal centro, difatti, si sviluppa a cascata tutta una concezione dell'explicatio del Principio, il cui unico criterio è gerarchico,52 ed è la rapidità del pensiero, è la virtù intellettiva, è, in definitiva, il grado di visione che riesce ad esprimere; ecco allora che il cosmo diviene Uni-versum,53 ossia: tutto il creato si rivolge all'unico centro, dove moto e quiete coincidono. I nove circoli che Cusano disegna nel gioco della palla, lì dove, dopo tanto pelegrinar, l'anima-palla si ferma in attesa di raggiungere il regno della vita, individuano dunque i nove cori angelici e per ognuno di essi tanti nomi divini -- quei nomi che l'Angelo custodisce per il nostro theorein: «gli angeli sono intelligenze e, poichè sono diversi, bisogna che le loro visioni intelligenziali e le loro distinzioni si distinguano in modo intellettuale secondo gli ordini e i gradi, dal più basso fino al più alto [...] . Per questa distinzione si determinano tre ordini e in ognuno tre cori»54:

  1. Il primo ordine è chiamato «degli spiriti intelligibili»55 e la loro intelligenza si muove di moto così veloce che essi intuiscono im-mediatamente nel centro e «comprendono tutte le cose senza successione temporale o naturale, simultaneamente»;56 questi angeli sono, per questo, eterni;
  2. Il secondo è l'ordine «delle intelligenze»57 ed è formato dagli angeli che comprendono «immediatamente tutte le cose, ma non senza la successione naturale»58 e perciò non sono eterni ma perpetui; rispetto ai primi, vi è «un certo indebolimento della conoscenza»;59
  3. Il terzo ordine è degli spiriti «razionali»,60 che intendono la verità del centro secondo una successione temporale e naturale; a questo livello il moto dell'intelligenza è più lento degli altri ed è più simile agli uomini.

I nove cori angelici si chiudono, come la figura disegnata dal Cusano, in un decimo, che è il centro ed è il più alto e che «si chiama Cristo e l'angelo del grande consiglio»;61 ecco allora che la figura prende ora un profilo più definito e l'aenigma della palla può essere finalmente inteso al massimo del suo splendore:

Dico che questo gioco esprime il movimento della nostra anima che va dal suo regno al regno della vita in cui è la quiete e la felicità eterna. Nel centro di questo regno siede, come monarca, Gesù Cristo, nostro re, che ci ha donato la vita. In quanto è simile a noi, egli muove la sfera della sua persona in modo da riposare nel centro della vita. Poiché egli ci ha lasciato il suo esempio, facciamo come egli ha fatto. La nostra palla segua la sua, anche se è impossibile che una palla diversa raggiunga la quiete nel medesimo centro di vita in cui riposa la palla di Cristo. Dentro il circolo ci sono, infatti, infiniti luoghi e fermate. La palla di ognuno si ferma nel punto e nell'atomo suo proprio che nessun altro potrà mai raggiungere.

L'anima, che è moto intellettuale e vita, viene dunque a percorre la struttura a cerchi concentrici del cosmo e, a seconda del grado di visione che attualizza, essa deve risalire i vari cori, accompagnata da altrettanti Nomi divini e Angeli, creature mediatrici, che rivolgendosi all'unica Luce sanno guidare l'anima fino al centro, dove si è fermata la palla del Cristo. Il centro dei circoli, che è il regno della vita, è allora, fuor di metafora, «il Cristo, che è la vita, è anche sapienza, e cioè scienza gustosa»;62 egli è «la via e l'accesso, la vita e la verità»63 e attraverso lui si rivela «il padre come padre. Uno solo è il padre di Cristo e il padre nostro, che è la paternità stessa che è in tutti i padri e nella quale sono, e sono contenuti, tutti i padri. Ma poichè -- scrive Cusano -- vedi chiaramente che Cristo è la rivelazione del padre, considera che egli è la verità».64 Cristo è la «luce rivelativa»65 che illumina tutto il cammino e rende possibile, con la sua luce, l'ascesa dell'anima al decimo gradino, ossia al centro, a Cristo stesso.

6. Conclusioni

Nelle pagine altissime del De ludo globi il procedere trinitario si salda indissolubilmente con la figura del circolo, che si impone come vero signum dell'eternità del Principio; il circolo, ossia quella aenigmatica figura senza inizio nè fine -- anzi, dove l'inizio è la fine -- fa segno ad un moto in perfecta circulatione; esso, come si è visto, riposa su una struttura unitrina, la cui unità non sacrifica il movimento della vita, che a sua volta, inevitabilmente, non può che sciogliersi su una molteplicità ternaria. Al centro della figura, nella regione della vita, abita il Deus Trinitas, finalmente mèta del viaggio dell'anima: Egli (Dio) è la causa prima dell'anima (Uomo) e dell'Uni-verso (Mondo) e, «in quanto creatore, non può essere che trino e uno»;66 non solo, la struttura unitrina costituisce al profondo, s'è visto, anche l'anima umana, che rivela così il suo stretto legame (filiazione) con il Deus Trinitas, a cui essa anela di amor intellectualis, in quanto «Cristo, che è la vita, è anche sapienza, è cioè scienza gustosa».67 Il cammino di approssimazione al centro è scandito dal pellegrinar per un Uni-versum, che è reso tale -- ossia, appunto, Unitas -- dal suo essere intimamente legato (religio) al centro unico; e tale religio si scandisce secondo l'ordine gerarchico dei nove cori angelici, che cantano «la gloria di colui che la 'nnamora e la bontà che la fece cotanta».68 Così il Deus Trinitas, che abbraccia e permea ogni ente creato, «è quel circolo il cui centro è dappertutto»69 e che quindi sostanzia e sostiene ogni passo dell'uomo verso la conoscenza mistica, che avviene lì nel centro, «in cui è il seggio del re delle virtù, mediatore di Dio e degli uomini». In quell'Itinerarium dell'anima, grazie alla guida del Cristo, il movimento dell'intelligenza si fa sempre più rapido finchè non accada, nell'attimo, l'intuizione intellettuale, la visio Dei, oltre il muro70 della coincidentia tra quiete e movimento.

Copyright © 2011 Andrea Fiamma

Andrea Fiamma. «De mystica circulorum». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**66 B].

Note

  1. Nicola Cusano, De ludo globi (1460), tr.it. G. Federici Vescovini, Città Nuova, Roma 2001, d'ora in poi DLG. Testo

  2. DLG, p. 77. Testo

  3. Ibid, p. 81. Testo

  4. Ibid, p. 82. Testo

  5. Ibid, p. 83. La stessa struttura argomentativa per la quale Cusano introduce alla speculazione attraverso l'esperienza personale di un determinato aenigma è presente anche in altri testi; in particolare in questa sede può essere interessante il riferimento all'incipit del De visione Dei, che esordisce, davvero in parallelo al De ludo globi, sostenendo la facilità della teologia mistica ed esponendo immediatamente l'aenigma dell'icona: «Vi mostrerò ora, fratelli carissimi, quanto un giorno vi avevo promesso circa la facilità della teologia mistica» (corsivo nostro), De visione Dei, cap. I, in Nicola Cusano, Scritti filosofici, testo latino e trad. it. a cura di G. Santinello, Zanichelli, Bologna 1980. D'altro canto, nonostante le affinità, il De visione Dei, scritto in forma di saggio, e il dialogo De ludo globi si sviluppano poi diversamente: nel De visione Dei, dopo aver introdotto e descritto l'aenigma dell'icona, Nicola Cusano si preoccupa di guidare i monaci del Tegernsee all'esperienza sempre più profonda della docta ignorantia; in questo caso, invece, l'esperienza del gioco viene data pressoché per scontata. Il De ludo globi inizia difatti con una lunga riflessione sul gioco della palla, sulle sue proprietà e sulla rotondità della sfera; questo dato fa pensare che, quantomeno, il cardinale supponesse la conoscenza del gioco nei suoi lettori. In questo senso, probabilmente, l'aenigma funziona ancora meglio che nel caso del De visione Dei. In merito alla lettura del De visione Dei mi permetto di rimandare al mio A. Fiamma, Commento al De visione Dei di Nicola Cusano in "Rivista di Ascetica e Mistica" 1/2010 e soprattutto al saggio A. Fiamma, La ricerca cusaniana dell'infinito nel De Visione Dei, in C. Catà, A caccia dell'Infinito. L'Umano e la ricerca del divino nell'opera di Nicola Cusano, Aracne editrice, Roma 2010, nel quale ho offerto una lettura fortemente incentrata sul cammino umano di visione-ascesi. Sul nostro stesso filone interpretativo si muove anche H. Lawrence Bond, che nel saggio The journey of the soul to God in Nicholas of Cusa's "De ludo globi", in G. Christianson e T. M. Izbicki (a cura), Nicholas of Cusa in search of God and Wisdom, E.J. Brill, Leiden -- New York -- København -- Köln 1991, p. 71-88, tenta di avvicinare il De ludo globi alla stessa tradizione mistica che abbiamo tentato di evidenziare nel De visione Dei. Testo

  6. Il gioco viene definito a più riprese dal Cusano come «nuovo e divertente» (DLG, p. 51) oppure «scherzoso» (DLG, p. 53), sottolineandone così la facilità e l'apparente fivolezza; è possibile che anche questa caratterizzazione sia intenzionalmente funzionale a mostrare come in realtà le riflessioni più alte e sublimi siano nascoste nel semplice e nell'umile, nel senso etimologico di humilis, «aderente alla terra», rozzo, non nobile, basso. Testo

  7. DLG, p. 51. In queste pagine sembra riproporsi la logica sottesa alla raccolta Idiota, per la quale «la sapienza grida fuori, nelle piazze» (La sapienza I, p. 63, in Nicola Cusano, Scritti filosofici, op.cit.), perchè essa non si trova nei libri, ma «dovunque» (Ibidem) -- ossia, anche nei giochi. Testo

  8. La versione del gioco presentata dal cardinale sembrerebbe essere una variazione del gioco originale, che, invece di svilupparsi in senso circolare, probabilmente si giocava su un campo rettangolare. In Nicola Cusano, Il gioco della palla, p. 51, G. Federici Vescovini ritiene che si tratti «del comune gioco delle "bocce"», ipotesi già avanzata, tra l'altro, da W. Röd nel saggio Nicola Cusano, un pensatore tra medioevo ed età moderna. Riflessioni sul dialogo del gico delle sfere, in 1500 circa: De ludo globi, Skira, Milano 2000, p. 210B; sulla forma rettangolare o circolare interviene anche G. Cuozzo, che puntualizza come, in virtù delle riflessioni cusaniane presenti nel testo, si potrebbe persino postulare una struttura a forma di spirale: «è doveroso osservare, tuttavia, che dal punto di vista filosofico (dovendosi infatti il gioco intendere come altae speculationis figuratio), anziché sfere concentriche, bisognerebbe postulare una traiettoria di avvicinamento al centro di tipo "spiraliforme". In tal senso si può vedere lo schizzo presente nel manoscritto del De ludo globi (1463) di Cracovia (cod. BJ 682, Biblioteca Jagiellonska), in cui oltre a nove cerchi concentrici sviluppantesi intorno ad un punto centrale a forma di stella, è riportato un elemento spiraliforme, che si avvicina al centro più esterno» (G. Cuozzo, Mystice Videre. Pensiero religioso ed esperienza mistica in Nicola Cusano, Trauben, Torino 2002, p. 314). Sulla questa stessa linea sembra anche a noi ragionevole notare una certa distinzione tra il gioco della palla o "delle bocce" e la versione che presenta Cusano in queste pagine, in cui la figura, come nota G. Cuozzo, sembra piuttosto essere spiraliforme; d'altronde questo passaggio sembra essere confermato da Cusano stesso quando ad un certo punto dell'argomentazione si riferisce non più al gioco della palla ma ad un gioco della sapienza, che evidentemente consiste nella versione da lui illustrata, e spiega: «pensavo di inventare il gioco della sapienza, e ho riflettuto su come si dovrebbe fare» (DLG, p. 70), oppure «nessun animale pensa di inventare un gioco nuovo» (ibid). Testo

  9. Molti autori hanno rappresentato graficamente il ludo globi, spesso allegando un disegno alle pubblicazioni del testo e delle traduzioni del testo di Nicola Cusano; tra di esse possiamo ricordare il già citato schizzo allegato al manoscritto del De ludo globi (1463) di Cracovia (cod. BJ 682, Biblioteca Jagiellonska), o le figure presenti nell'editio Parisiensis (1514) a cura di Lefèvre d'Étaples, vol. I fol. 152, e nell'editio Basiliensis (1565), curata da H. Petri, vol I p.209, che riportano entrambi lo stesso errore di numerazione: la serie di numeri da 1 a 10 è difatti invertita e vengono così assegnati il 10 alla circonferenza esterna e a scalare fino all'1 del centro (fig). Testo

  10. Il termine globus utilizzato nel testo può essere correttamente tradotto con il termine "palla", come qui riportato, ma anche con "sfera", indicando così quell'ultima sfera dell'universo che, come vedremo, si muove di moto perpetuo; in tal senso, allora, De ludo globi sarebbe traducibile anche con "gioco della sfera", indicando non tanto la palla del gioco ma piuttosto l'ultima sfera del mondo, che non a caso è subito oggetto di speculazione. D'altra parte è chiaro che questa ambiguità, così evidente per la lingua latina, non può essere conservata nella traduzione italiana, dove, inevitabilmente, il traduttore è costretto a distinguere i due termini. Sulla difficoltà di traduzione del De ludo globi scrive anche H.G. Senger nel Vorbemerkung zur zweisprachigen Ausgabe, in Nikolaus von Kues, Gespräch über das Globusspiel, Felix Meiner Verlag, Hamburg 2000, p. VII. Testo

  11. DLG, p. 53. In più occasioni è stato notato come questa palla "particolare" sia la risultante dell'intersezione di due sfere e come, seppur a livello materiale, essa rappresenti la coincidentia tra gli opposti del concavo (e quindi anche della quiete) e del convesso (come la palla sferica, ossia in perpetuo movimento); cfr., ad esempio, G. Cuozzo, Mystice Videre, op. cit., p. 313. Testo

  12. Ibid, p. 54. Testo

  13. Ibid, p. 53. Testo

  14. Ibid, p. 55: «sono molti i motivi che provocano la diversità [del movimento della palla]: il pavimento, le fessure delle pietre che ne impediscono il corso e lo arrestano, la sporcizia della palla, anzi la spaccatura che ne deriva e altrettanti fattori». Testo

  15. La fortuna, ovvero «ciò che accade al di fuori dell'intenzione», era non a caso uno dei temi più ricorrenti nelle letture medievali della fisica aristotelica; difatti Aristotele, discutendo la posizioni cosmologiche di Democrito, riteneva che proprio nella fortuna ci fosse lo scarto tra il mondo sublunare e le cose celesti, dove nulla accade per caso. Nel nostro contesto, questo tipo di distinzione non può che richiamare alla mente l'insistenza con cui Cusano ribadisce più volte l'incommensurabilità tra l'infinito e il piano del finito e del molteplice (cfr., ad esempio, Nicola Cusano, De docta ignorantia, I,1 p.5). Testo

  16. Questo tipo di imprevedibilità e di assenza di controllo viene paragonata durante l'argomentazione alla stessa mutevolezza delle passioni, aprendo così tutta una prospettiva etica, che tuttavia non approfondiremo in questo contributo. Su questo tema, cfr. R. Lazzarini, Il De ludo globi e la concezione dell'uomo del Cusano, Francesco Perella, Roma, 1938 e soprattutto H.G. Senger, Ludus sapientiae, Brill, Leiden 2002, in particolar modo il capitolo 5c, Spiel als moralisierendes Symbol, p. 98. Testo

  17. DLG, p. 65. Testo

  18. Ibid, p. 64. In queste pagine straordinarie, sulle quali non possiamo soffermarci, Nicola Cusano intuisce il principio d'inerzia, che sarà poi ripreso più tardi da Leonardo da Vinci e formulato quasi due secoli dopo da Galileo Galilei nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632). Galileo riprende di pari passo lo stesso aenigma della palla qui esposto e rovescia così la prospettiva aristotelica. Non è dunque un caso se il destino del De ludo globi e la stessa immagine del cardinale di Cusa in un primo momento furono legati soprattutto alla filosofia della scienza e alla gnoseologia, che poi è proprio il senso con cui lo recupera E. Cassirer nel celebre Individuum und Kosmos in der Philosophie der Renaissance, Leipzig, G.B. Teubner 1927; trad. it. di F. Federici, Individuo e cosmo nella filosofia del rinascimento, La nuova Italia, Firenze 1963, pp. 79-118. Testo

  19. Ivi. Testo

  20. Ibid, p. 59. Viene qui presentata una delle argomentazioni tipiche del cardinale; cfr. DI, I, 1. Testo

  21. Ibid, p. 65. Il cardinale fa riferimento all'ultima sfera dell'universo, la cui natura, appunto, è quella di muoversi «sopra se stessa in modo da essere il centro del suo movimento» (DLG, p. 64). Nel nostro contibuto non toccheremo i temi dell'infinità dell'universo e della sua forma, pertanto rimandiamo a letture più sostanziose, come ad esempio E.J. Butterworth, Form and significance of the sphere in Nicholas of Cusa's De Ludo Globi, in G. Christianson e T. M. Izbicki (a cura), Nicholas of Cusa in search of God and Wisdom, op.cit., in cui l'autore enuclea il tema della sfera del mondo in relazione con la riflessione filosofica e matematica di Alano di Lilla. Testo

  22. La teoria medievale dell'impetus venne teorizzata da G. Buridano intorno al 1330 a partire da un commento alla Fisica di Aristotele e «venne poi ripresa -- scrive C. Vasoli -- da maestri parigini come Giorgio da Bruxelles, Tatareto e Bricot; da numerosi commentatori aristotelici tedeschi, spagnoli, polacchi; da un pensatore di orientamento platonico come Niccolò Cusano; dai più famosi professori dell'università di Padova, come Paolo Veneto e Gaetano da Thiene, che pure cercarono di restare il più vicini possibile all'originaria dottrina dello Stagirita» (C. Vasoli, Le filosofie del Rinascimento, Bruno Mondadori, Milano 2002, p. 101); sul tema cfr. anche G. Federici Vescovini, Cusano e lo Studio scientifico di Padova agli inizi del secolo XV, in G. Gembilla (a cura di), Filosofia e scienze: studi in onore di Girolamo Cotroneo, Rubbettino, Catanzaro 2005. Testo

  23. L'impetus, dunque, non accompagna la palla, ma, per così dire, è ab-soluto dal movimento che la palla assume, poichè esso dipende, come abbiamo visto, dalla sua forma e dalla situazione contingente. Questo inizio è parimenti causa efficente del moto -- e perciò il movimento successivo della palla è ad esso indissolubilmente legato -- e, al contempo, è solo Padre del movimento della palla, poiché, in quanto abbrivio, non la segue per tutto il cammino; questo tema sarà poi funzionale per illustrare il rapporto signorile di Dio con il mondo e dell'anima con il corpo. La metafora dell'anima come signore del corpo arriva direttamente da Aristotele, Etica Nicomachea 1178a, ma è qui riproposta in chiave cristiana; cfr. DLG, p.78. Testo

  24. DLG, p. 53. Testo

  25. Ibid, p. 65. Testo

  26. Ivi. Testo

  27. Sulla concezione cusaniana dell'anima come quodlibet in quolibet, tipica della tradizione neoplatonica, è stato scritto molto, in particolar modo in riferimento alla fonte principale, ovvero l'Eriugena. Nel De ludo globi, tuttavia, Cusano si limita solo ad accennare una dottrina secondo la quale «anche se [l'anima] è circoscritta nel luogo sì da essere solo qui, non occupa nessun luogo, poiché è spirito» (DLG, p. 66); sul modo in cui la dottrina dell'Eriugena si trasmette fino al Cusano, cfr. W. Beierwaltes, Eriugena. Grundzüge seines Denkens, V. Klostermann, Frankfurt am Main 1994, tr. it. di E. Peroli, Eriugena, I fondamenti del suo pensiero, Vita e Pensiero, Milano 1998, cap. X., p. 295, dal titolo Eriugena e Cusano. Testo

  28. DLG, p. 65. Testo

  29. L'argomento giunge direttamente da Sofista 243d o Fedro 246a, in cui, com'è noto, Platone descrive l'anima come fonte di vita e movimento; sull'influsso di Platone e i platonici nel neoplatonismo medievale, cfr. W. Beierwaltes, Denken des Einen. Studien zur neoplatonischen Philosophie und ihrer Wirkungsgeschichte, V. Klostermann, Frankfurt am Main 1985, tr. it. di M.L.Gatti, Pensare l'Uno, Vita e Pensiero, Milano 1992, p. 323. Testo

  30. M. Falcioni, Cusano e Bruno, in M. Thurner (a cura di), Nicolaus Cusanus zwischen Deutschland und Italien, Akademie Verlag GmbH, Berlin 2002, p. Testo

  31. In questo contesto non possiamo approfondire ulteriormente il primo senso, ovvero in quanto è legata al corpo. In quel caso, l'anima sente e patisce l'influsso delle passioni, si esprime perciò nel corpo come volontà e, dice Cusano, vivifica, sente e immagina. In tale situazione, pur restando unica, essa si distingue dunque in una triplicità di funzioni, che sono appunto rese possibili dal suo legame con il corpo: i) vivifica il corpo inanimato, poiché «dove essa si trova, essa dà vita» (DLG, p. 64) -- ed è detta, appunto, anima vegetativa; ii) sente, ovvero «è afflitta dalle afflizioni del corpo» (DLG, p. 67) -- e si chiama anima sensibile; iii) immagina, nel senso che esercita la ragione e perciò la indichiamo con il nome di anima razionale. La terminologia qui utilizzata dal Cusano e la stessa distinzione terminologica tra anima e mente sono di origine agostiniana; in merito ci è da guida M. Vannini nel suo La morte dell'anima, Le Lettere, Firenze 2003, p. 79: «Agostino chiama in genere questo elemento spiritus, oppure animus, che allude piuttosto al versante della volontà, ma soprattutto mens, quando vuole indicarlo come principio delle operazioni spirituali. In questo senso mens, come anche animus, è chiamata "ciò che è più elevato nell'uomo e non si trova nell'animale", "ciò che è più elevato nell'anima", "capo, volto, occhio dell'anima"». Seguendo ancora l'insegnamento agostiniano, Cusano presenta qui una concezione dell'anima come uni-trina e come lo specchio divino grazie al quale poter contemplare il Principio. Per quanto riguarda l'impronta del Deus Trinitas nell'anima, ci soffermeremo più avanti su un livello più alto di visione, ovvero sull'attività razionale; è tuttavia importante tener presente come anche a livello dell'anima vegetativa e sensibile funzioni la stessa struttura unitrina che cercheremo di mettere in evidenza nell'attività intellettiva. Testo

  32. Alla mens è dedicato il celebre De mente, che costituisce il terzo libro dell'opera Idiota; per la traduzione italiana si può consultare Nicolò Cusano, Scritti filosofici, op.cit., p. 104. Testo

  33. DLG, p. 69. Testo

  34. Ibid, p. 66. Testo

  35. La metafora, celebre in Cusano, è riportata in particolar modo in DVD, p. 267, in cui si distinguono i diversi gradi di visione e nel cui gradino "più basso", c'è la vista sensibile, che usa gli occhi del corpo per vedere. Testo

  36. La platonica via del distacco presente soprattutto nel Fedone giunge a Cusano attraverso le mediazioni neoplatoniche e in particolar modo grazie alle opere di Meister Eckhart, di cui è vivo lettore e interprete, come ci attesta E. Vansteenberghe, Le cardinal Nicolas de Cues. L'action, la pensée, Alcan, Paris 1920; le opere di Eckhart, tra l'altro, ci sono giunte proprio grazie alla collezione cusaniana nella biblioteca a Bressanone. Testo

  37. Questo esercizio di morte dell'anima, come lo intendeva Platone nel Fedone, è stato codificato dalla tradizione agostiniana come un doppio movimento di "discesa" nel fondo dell'anima umana e, simul, di "salita" teoretica verso il Principio Trinitario che vi abita; allora, pernottare al fondo della propria anima significa farsi-nulla e rendersi adatto alla visione del principio -- come appare chiaramente, il concetto di "fondo dell'anima" è qui il perno di ogni possibile itinerarium. In merito a questo interessante doppio-cammino, scrivevo nel saggio A. Fiamma, La ricerca cusaniana dell'infinito nel De Visione Dei, op. cit., p. 154, «progressivamente distaccandosi dai concetti, si scende nell'interiorità dell'uomo, al fondo dell'anima. Ora si intende pienamente il senso di quel lavoro teoretico di semplificazione e "pulizia", che oltrepassi l'albero e il seme dirigendosi verso quella forza o virtù sbalorditiva, a quell'inconcepibile-impensabile, che, in quanto tale, è propriamente inafferrabile; imprendibile forza originaria, di cui, qui ed ora, humaniter, avvertiamo solo l'eco: ma non vi è perfetta analogia tra la caccia a quest'imprendibile Presupposto e l'approssimarsi a quel luogo - non luogo nel quale discendere? E quel monito dell'oracolo di Delfi, cosa indica se non l'incessante cammino verso il fondo dell'anima, che è fondo senza fondo (Grund Abgrund)? Difatti se l'anima fosse prendibile non avrebbe senso alcuna ricerca, non avrebbe ragion d'essere nessun monito: essa non è altro che quel continuo trascendersi, a cui è condannato chi lotta per conoscersi; chi lotta anzitutto contro se stesso, contro quella Eigenschaft che ci spinge lontano a disperderci nel molteplice, «sotto il dominio d'un principe che è avverso a te». Ecco perchè Eckhart più volte sottolinea come il fondo (Grund) sia in realtà senza-fondo (Abgrund), poiché esso non indica un contenitore materiale né deve essere pensato come un qualcosa di corporeo da riempire; il Grund Abgrund sta ad indicare quel continuo trascendersi a cui è costretto chi vuole percorrere la propria anima alla ricerca di sé -- non indica forse questo il monito dell'Oracolo a Delfi? Per la mistica cristiana questa ricerca infinita in se stessi è in perfetta analogia con la ricerca teoretica del Principio; entrambe hanno trovato dinanzi a sé la stessa strada e proseguendo sono state costrette ad inabissarsi nella caligine, pur dovendo obbedire a quel desiderium infinito di conoscenza. Bene si intende come nel concetto di filiazione Dei si saldino i due aspetti: in quel fondo dell'anima dimora lo stesso imprendibile Dio, a cui l'uomo anela in ogni singolo atto conoscitivo verso il mondo così come in ogni passo verso se stesso. E allora, se nell'anima dell'uomo dimora Dio stesso, ecco che la ricerca non può che dirigersi verso il luogo più prossimo nel quale abita l'imprendibile, ossia l'anima». Testo

  38. Platone, Fedro, 248c Testo

  39. DLG, p. 71. Testo

  40. Ibid, p. 70 (corsivo nostro). Sul primato dell'intelligenza tra le virtù dell'anima è possibile riferirsi anche M. Eckhart nella predica Homo quidam erat dives, citando Gregorio Magno, dice: «se una cosa in Dio fosse più nobile di un'altra -- se lo si potesse dire -- sarebbe l'intelletto, perchè nell'intelletto Dio è manifesto a se stesso, nell'intelletto Dio si effonde in se stesso, nell'intelletto sgorga in tutte le cose, nell'intelletto creò tutte le cose. E se non vi fosse in Dio intelletto non potrebbe esservi la Trinità, e non sarebbe fluita da Dio nessuna creatura» (da M. Eckhart, Sermoni tedeschi, a cura di M. Vannini, Adelphi, Torino 1985, p. 243. Testo

  41. Ivi. Testo

  42. Ibid, p. 72. Come poc'anzi segnalato, giova ribadire come anche a livello dell'anima vegetativa e sensibile funzioni la stessa struttura unitrina appena rintracciata nell'attività intellettiva. In questa sede purtroppo non è possibile approfondire tale aspetto, per cui rimandiamo a lavori più strutturati, come, ad esempio,W. Beierwaltes, Platonismus im Christentum, Klostermann, Frankfurt am Main 1998, trad it. a cura di G. Reale, Platonismo nel cristianesimo, Vita e Pensiero, Milano 2000, in particolar modo il capitolo L'autoriferimento del pensiero, p. 203. Testo

  43. Ibid, p. 71. Testo

  44. Può essere significativo notare come in queste pagine l'argomentazione riposi a livello profondo sui cinque generi del Sofista di Platone: essere, quiete e movimento, identità e differenza; ognuno di essi è stato trattato e, in qualche modo, enunciato nell'esposizione dell'aenigma della palla. Testo

  45. DLG, p. 83. Testo

  46. Ibid., p. 97. Testo

  47. Nel centro si realizza, come vedremo nel dettaglio più avanti, quella coincidentia oppositorum che attiene propriamente soltanto al Principio. Testo

  48. DLG, p. 98. Il tema rimanda chiaramente ad una più amplia riflessione sull'esplicazione del Principio trinitario attraverso dei gradi di contrazione dell'uni-verso, per il quale rimandiamo a Nicola Cusano, D.I., libro II, VII e Le congetture, libro II, VII. Testo

  49. A tal proposito, il Cusano introduce la dottrina dei cori angelici assumendola integralmente dalla tradizione precedente e in particolar modo dionisiana, assunta forse anche dalla lettura dei Commentari di Alberto Magno; tale visione del cosmo nasce dall'interessante convergenza tra l'angelogia presente nei due Testamenti e la demonologia platonica, che talvolta incontra altre correnti ermetiche e persino gnostiche; di tutto questo Uni-verso ce ne offre una chiara immagine Agostino, soprattutto nel libro X del De Civitate Dei, dove affronta la demonologia platonica fatta risalire al De deo Socratis di Apuleio e a Porfirio. Le fonti cristiane in merito all'angelogia sono molteplici e complesse e non possiamo trattarne in questo contributo, ma è bene sottolineare come il tentativo fortemente teoretico di caratterizzare l'angelo sulla base del grado di visione sia decisivo nel nostro contesto per intendere la profonda unità (filosofica) di Dio con il cosmo e l'anima; tuttavia per Cusano, coerentemente con la tradizione mistica, il cammino di visione è sempre tutt'uno con l'esercizio del distacco. Torna in mente una pagina della predica di Meister Eckhart, Jêsus hiez sîne jüngern ûfgân, presente nel già citato M. Eckhart, Sermoni tedeschi, p. 58: «San Paolo fu rapito al terzo cielo. Quali sono i cieli? Notatelo bene! Il primo è un distacco da ogni corporalità, il secondo un allontanamento da tutto ciò che è immagine, il terzo una conoscenza pura e diretta in Dio. Si pone questa questione: se Paolo fosse stato toccato al momento in cui era rapito, avrebbe sentito? Io dico di sì»; curiosamente lo stesso Cusano in DLG, p. 116 dopo aver enunciato la dottrina dei cori si pone un quesito simile e cita il caso del presbitero Restituito, raccontato da Agostino in De Civitate Dei XIV, 24. Testo

  50. «Qual è 'l geomètra che tutto s'affigge / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond'elli indige, / tal era io a quella vista nova: / veder voleva come si convenne / l'imago al cerchio e come vi s'indova; / ma non eran da ciò le proprie penne: / se non che la mia mente fu percossa / da un fulgore in che sua voglia venne. / A l'alta fantasia qui mancò possa; / ma già volgeva il mio disio e 'l velle, / sì come rota ch'igualmente è mossa, / l'amore che move il sole e l'altre stelle», da Dante, Paradiso XXXIII, 133-145. Testo

  51. In questa tensione, allora, «le miriadi di schiere angeliche che conta la mistica ebraica del Trono del Santo, le gerarchie dello Pseudo-Dionigi, gli Angeli islamici mostrano tutti una necessità: che in Nomi (infiniti nomi) la Verità deve ri-velarsi per corrispondere al theorein dell'uomo e perchè l'uomo possa, a sua volta, aderirvi» (da M. Cacciari, L'angelo necessario, Adelphi, Torino 1986, p. 19). Testo

  52. Il riferimento del Cusano è, come anticipato, il Dionigi del De coelesti hierarchia, cap. III. Ma Chi è l'Angelo? Ci affidiamo anche in questo caso a M. Eckhart, predica Missus est Gabriel Angelus, in M. Eckhart, Sermoni tedeschi, op.cit., p. 236 (ma la stessa struttura è rintracciabile nella predica Ecce mitto angelum meum, p. 231): «Cosa è un angelo? Tre maestri si esprimono in tre modi su ciò che è l'angelo. Dionigi dice: un angelo è uno specchio senza macchia, purificato all'estremo, che riceve il riflesso della luce divina. Agostino dice: l'angelo è vicino a Dio, e la materia è vicina al nulla. Giovanni Damasceno dice: l'angelo è un'immagine di Dio che penetra di sé tuutto il suo essere. L'anima possiede questa immagine nella sua cima più alta, nel suo ramo più alto, dove la luce divina splende incessantemente». Testo

  53. In merito all'angelogia dantesca, la cui struttura ricalca il neoplatonismo dionisiano, nota M. Cacciari: «ciò che rende il cosmo uni-verso non è, dunque, un processo di identificazione ma la religio analogico-simbolica che collega gli elementi, l'armonia musicale che ne informa la struttura e ne fa "un'unica danza di numerosi Coreuti" (Plotino, Enneadi, IV, iv, 33). [...] L'ad-tendere alla visione dell'Invisibile, che informa l'intero universo, impedisce ogni iato tra spirituale e corporeo, ma altresì ogni identità. Questo ad-tendere collega grado a grado, nota a nota, attraverso le cerchie angeliche, lungo l'albero delle Sephirot, il mondo terreste al Volto del Signore [...]» (M. Cacciari, L'angelo necessario, op.cit., p. 21). Testo

  54. DLG, p. 101. Testo

  55. Ibid, p. 103; cfr anche Dionigi, De coelesti hierarchia, cap. VII. Testo

  56. Ivi. Testo

  57. Ivi; cfr. anche Dionigi, De coelesti hierarchia, cap. VII. Testo

  58. Ivi. Testo

  59. Ivi. Testo

  60. Ivi. Testo

  61. Ibid, p.101. Testo

  62. Ibid, p. 97. Testo

  63. Ibid, p. 98. Testo

  64. Ivi. Testo

  65. Ivi. Testo

  66. Ibid, p. 107. Testo

  67. Ibid, p. 97. Testo

  68. Il sommo Alighieri offre la stupenda immagine dei cori angelici come «schiera d'ape» in Paradiso XXXI, 1-13: «In forma dunque di candida rosa / mi si mostrava la milizia santa / che nel suo sangue Cristo fece sposa; / ma l'altra, che volando vede e canta / la gloria di colui che la 'nnamora / e la bontà che la fece cotanta, / sì come schiera d'ape che s'infiora / una fïata e una si ritorna / là dove suo laboro s'insapora, / nel gran fior discendeva che s'addorna / di tante foglie, e quindi risaliva / là dove 'l süo amor sempre soggiorna». Testo

  69. DLG, p. 108. Testo

  70. L'immagine del muro del Paradiso è di DVD, cap. 9. Testo

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