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Iuxta humanum modum. Dialettiche trinitarie e discipline della parola nel De Trinitate di Riccardo di San Vittore

di Manlio Della Serra (Roma, 26-28 maggio 2011)

Sembrava che il Padre adorasse il Figlio che gli aveva rivelato la sua umanità...

-- J. Benda, L'ordination

Riprodotto in una miniatura del secolo XV1 e forse racchiuso nel segreto domestico di una generazione intima e privata, il motivo faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram (Gn 1, 26) è interamente restituito dalla generosità del dono divino che agita la fiamma di un cero ancora acceso. Diversamente, l'immagine corale e solenne voluta da J. Fouquet,2 in cui dettagliatissime eccellenze si elevano al cielo per allestire il motivo architettonico di un portale, culmina nella visione delle tre figure sedute sullo sfondo. Oltre a riferire orientamenti artistici assai eterogenei, la rappresentativa natura di queste scelte illustrative in chiara opposizione (spazio privato/spazio pubblico, individuo/folla, asimmetria/rispecchiamento speculare) traduce visivamente differenti tentativi di decifrazione del dogma trinitario, forse al punto da spiegare come nel tardo medioevo, tanto per un'incollocabile complessità, quanto per una resa teorica mai definitiva,3 la trasfigurazione del simbolo in umanità immediata e triplice rimanga un tentativo estremo di rendere la Trinità direttamente accessibile agli occhi disorientati della cristianità raccolta.

Senza voler ripercorrere le fasi iconografiche4 di un'evoluzione anzitutto concettuale, si proverà a sintetizzarne l'importanza mostrando le tappe di un complesso adattamento dialettico e terminologico, i cui più forti antecedenti agostiniani e boeziani, nonostante un aggiornamento sul versante linguistico di tipo aristotelico,5 non possono che interessare autori del secolo XI come Anselmo d'Aosta e Ugo di San Vittore. Un percorso che ritrova nella raffinata stesura del De trinitate6 di Riccardo di San Vittore un'elaborata giustapposizione di elementi dogmatici e di richiami alle discipline della parola, ormai nel secolo XII pienamente accolti e rispettati nella discussione teologica, nonostante le incalzanti puntualizzazioni di teologi intransigenti come Pier Damiani, o preoccupati dell'inevitabile deriva dialettica come Ruperto di Deutz.7

1. Oltre la fides: il primato dialettico della potentia dei nella gestione delle premesse trinitarie

In un periodo di estrema tensione politico-istituzionale, appesantito dalle condanne di Abelardo a Sens (1140) e di Gilberto Porretano a Reims (1148), il Contra quatuor labyrinthos Franciae di Gualterio di San Vittore, non mancando di una linea polemica forse troppo estemporanea,8 incrementa ulteriormente la costituzione di un fronte antiaristotelico, con il preciso obbiettivo di ridimensionare l'eresia dilagata tra i sostenitori della dialettica e volto a riconfermare il primato della carità interiore rispetto alle incerte garanzie offerte dal principio di comprensione razionale. Dello stesso periodo sono le invettive di Ruperto di Deutz contro i monaci di Laon, accusati di smarrire l'integrità agostiniana9 del permittere divino in complicati sofismi di scarsa importanza.

In un'opera come il De trinitate di Riccardo di San Vittore non mancano esempi di un certo virtuosismo espositivo che, se da una parte, aggiornati dalla maturità dei risultati ottenuti in lunghi anni di confronto teologico e ostilità, incrociano le fasi capitali della polemica tra sostenitori della dialettica e avversari del metodo d'indagine logico-grammaticale,10 dall'altra, rispettano un impianto architettonico ed una personale linea espositiva, predisponendo l'esplorazione dello schematismo trinitario in modo rigoroso, dall'unità del principio divino all'analisi, priva di salti e mancanze, di tutte le declinazioni dialettiche esposte a maggiore instabilità sul piano dogmatico.

Tra i riferimenti più immediati della letteratura trinitaria, oltre ad una costante oscillazione tra agostinismo e suggestive coordinate provenienti dalla cultura carolingia, è proprio l'opera di Ugo di San Vittore a costituire, nonostante la considerevole portata di un dibattito trinitario già occupato dalle figure di Roscellino, Abelardo, Gilberto Porretano e i teologi di Laon,11 un primo fronte effettivo nel reperimento dei nuovi schematismi teologici, poi reinseriti da Riccardo nel genere del trattato monografico, ma decisamente innovativi rispetto alla raccolta di sententiae e alle prime summae dei contemporanei. Sul modello del trattato trinitario, l'opera di Riccardo, contraddistinta da un verosimile richiamo alle linee guida delle più note sistemazioni già circolanti, articolandosi sulla rievocazione di argomenti tradizionali, somiglianti sul versante formale e poco innovativi su quello contenutistico (come nel caso di Alcuino, Anselmo d'Aosta, Ugo di San Vittore), risponde chiaramente ad un'esigenza di rinnovamento concettuale, confidando nella pretesa sistematica e nella difendibile compiutezza del ragionamento esposto.12

In un'esortazione alla ricerca che ormai si fonda tenacemente sul primato della fede,13 valida a disperdere qualsiasi raffigurazione del De trinitate come espressione di un razionalismo dequalificante e privo di ogni ancoraggio storico, il posizionamento teorico di un essere che esiste da sé, amministrato ricorrendo al puro ragionamento (ratiocinando colligitur),14 ma anche secondo l'evidenza della stessa esperienza (rerum expertarum evidentia),15 inquadra concettualmente i confini di un primato ontologico di Dio che prima di tutto esprime un'autosufficienza bilanciata attraverso la potentia. La preferenza accordata all'indagine empirica e la momentanea rimozione delle certezze di fede permettono a Riccardo di allestire una vera discendenza di valori ontologici in cui la mediazione della potenza possa spiegare non soltanto il passaggio da un determinato attributo a quello subordinato, secondo la logica della gradualità scalare, ma verificare ugualmente gli spunti più idonei sul piano empirico e concettuale per convalidare la necessità di tale discendenza come una prova di perfezione e integrità dell'ordine universale.16 Riccardo distingue il possesso di una facoltà o di una proprietà dalla piena identificazione tra la proprietà stessa e il relativo possessore,17 fino ad escludere, in un passaggio dialettico ormai consolidato dal De trinitate agostiniano, la sconveniente possibilità -- e, dunque, la relativa improponibilità -- di uno scarto nella sostanza divina tra le qualità necessarie all'esercizio dell'azione e l'essere stesso che le possiede:

Si una earum summam potentiam habere potest, et esse non potest aequipotens ei non est quae utrumque potest. Ex parte enim posse, et ex parte non posse, quod alteri est ex toto possibile, hoc non est de potentiae ipsius plenitudine, sed de eius participatione gaudere. Multo autem est maius multoque excellentius magnae alicuius rei habere plenitudinem, quam obtinere partecipationem.18

La coincidenza della sostanza divina con la suprema potenza,19 svolta in un'equazione che non permette ulteriori aggiunte, unitamente all'immediatezza di una differenza ontologica ideale e attribuibile ai soli limiti conoscitivi della creatura, enuncia e ripropone la necessità stessa dell'identità ontologica, poiché l'uguaglianza di due sostanze per potenza costituirebbe una scomoda premessa per rivedere la logica elementare ed atomica -- come, del resto, quella complessiva -- che regola ogni successiva subordinazione. Ribadire l'identità tra sostanza e attributi significa per Riccardo impostare i valori di una differenza ontologica che impedisca erronee comparazioni. Un'identità tra la sostanza e i relativi attributi (sostanziali), dunque, che poggia su una nota e consolidata tradizione trinitaria.20 Alla stessa conclusione, infatti, giunge Anselmo d'Aosta nell'Epistola de Incarnatione Verbi21 redatta contro Roscellino, quando esclude che la potenza sostanziale possa essere solo parte della divina essenza, caratterizzandola invece nell'annullamento della spazialità e della temporalità fisiche, non separabile, come nell'apparente riduzione dialettica consentita dal linguaggio, rispetto all'unicità sempre identica della sostanza:

Si enim dicit non ipsam divinam substantiam, sed potestatem eius esse semper et ubique; non tamen negabit potestatem illi esse, aut accidentalem, aut substantialem: accidentalis quidem non est Deo potestas; quia cum omne subiectum sine accidente, aut esse, aut in telligi possit; Deus sine potestate nec esse, nec intelligi potest. Si vero Deo potestas substantialis est, aut pars est eius essentiae, aut est idipsum, quod est tota eius essentia. [...] Idem igitur est esse Dei, et potestas eius. Sicut itaque potestas Dei est semper, et ubique: ita quidquid est Deus ubique et semper est.22

Alla fine dell'Epistola, Anselmo ribadirà come tale identificazione comporti necessariamente anche quella delle tre onnipotenze personali nella sostanzialità dell'unica potenza divina: «Ut omnipotentia in omnipotentia non est nisi una omnipotentia».23 Anche nel Monologion Anselmo torna a precisare come tale identità tra sostanza e attributi impedisca una sorta di partecipazione mediata alle qualità positive, che finirebbero per rendere Dio, ormai destituito da ogni primato entro una temporalizzazione di ordini immutabili e inaccessibili, non più per sé, ma per altro:

Quare ipsa summa natura non est iusta, nisi per iustitiam. Videtur igitur partecipatione qualitatis, iustitiae scilicet, iusta dici summe bona substantia: quod si ita est, per aliud est iusta, non per se.24

La diversità di molteplici attributi accomunabili e non più distinti all'interno di una sola essentia può così figurare nelle peripezie del nominare e del significare, entrambi tentativi di classificazione di una continuità ontologica che non ammette cesure. Se la sostanza non è separata dai suoi attributi -- perché in verità non si tratta di attributi in senso tradizionale -- la definizione onologico-linguistica che regola i rapporti categoriali essenziali meriterà una riconsiderazione a garanzia della coerenza stessa dell'insieme.

Non sarà, dunque, soltanto l'impraticabile assenza di scarto tra la sostanza divina e i suoi attributi a convalidare una differenza tra la partecipazione creaturale alla potentia e l'immanenza dell'identificazione divina, ma l'impossibilità di una duplicazione della divinità dedotta dalla configurazione della stessa sostanza, già ipotizzata da Agostino come una deriva senz'altro manichea,25 portata in ultimo a suggerire e disporre, nonostante la prima grazia adamitica e la somiglianza creaturale nello stato incorrotto, un piano di creazione in cui gli effetti siano irriducibili alla causa prima.

Richiamando l'onnipotenza come qualità sostanziale e identificante26 il primato dell'essere divino, oltre a rispettare la tripartizione trinitaria potenza-sapienza-bontà, Riccardo insiste giustamente sulla naturale evidenza che accomuna la potentia dei all'irripetibilità ontologica della sostanza, facendo di essa un elemento irriproducibile e linguisticamente27 scivoloso. Già Ugo di San Vittore, dovendo definire l'onnipotenza secondo la capacità di fare ogni cosa possibile,28 dimostra di aver ben presente come la stessa biunivocità del potere, nell'inevitabile trazione speculativa a cui la rimette anche Anselmo d'Aosta, sia anzitutto linguistica, cioè distribuita tra l'attivismo del poter realizzare qualcosa (ad aliquid faciendum) e la passività limitante (ad nihil patiendum) che rimane sinonimo di un non-potere:

Omnia quippe facere potest, praeter id solum quod sine eius laesione fieri non potest; in quo tamen non minus omnipotens est, quia, si id posset, omnipotens non esset. Dico ergo quod Deus omnia potest; et tamen se ipsum destruere non potest. Hoc enim posse posse non esset, sed non posse.29

Quanto il linguaggio possa intevenire in ambito trinitario, fino a svolgersi in una tempistica che mai risulta estranea ad un'espansione30 della matrice dialettica, lo chiarisce anche Alcuino (735-804), autore delle Quaestiones de Trinitate et de Genesi in cui dicere e significare vengono distinti in un sapiente recupero di fonti agostiniane e boeziane, già sufficienti ad illustrare l'implicazione semantica della parola Padre nel 'significare' appunto il Figlio.31

Oltre a ribadire la radicata instabilità della componente linguistica, la potenza divina apre nell'opera di Ugo uno scenario piuttosto articolato, in cui la manifestazione di tale potenza finisce per incontrare la dimensione storica, fino a rendere legittime ed anticipabili due ulteriori questioni sul dinamismo interno del potere: se Dio possa fare altro rispetto a quanto fa; se Dio possa agire meglio di come agisce.

L'affiancamento dell'onnipotenza a Dio all'interno di un primato concettuale rispetto agli altri attributi, più che rendere significativo il vantaggio teorico in una semplice esposizione di possibili predicati sostanziali di Dio,32 permette a Riccardo di ricomporre abilmente e con efficacia enumerativa i livelli di una composita gradualità di perfezioni al cui interno saranno disposti gli elementi più utili a motivare la differenza tra le proprietà delle Persone nonostante l'uguaglianza nella sostanza. Gli attributi dell'eternità, della persistenza, dell'infinità, della grandezza, dell'immensità, dell'incorruttibilità procedono tutti giustificati dal primato della potenza. Il principio partecipativo, spesso minato della natura equivoca dell'espressione linguistica, disperde senz'altro ogni possibilità di appropriazione dell'onnipotenza da parte dell'individuo, ma non per questo pone in secondo piano l'urgenza di una definizione linguistica adatta a ricordare la diversità sostanziale tra creatore e creatura nonostante le inaggirabili difficoltà nell'utilizzo di un vocabolario adatto a definire unicamente e con precisione la stessa sostanza divina.33

Almeno nel caso dell'onnipotenza divina, volendo forse legittimare ulteriormente una verosimile preminenza dell'attributo, Riccardo riconosce come non si possa incorrere, pur vittime di una distrazione, nell'utilizzo erroneo del medesimo attributo per la creatura individuale. L'essere onnipotente si presta così alla completezza che accoglie e conserva ogni altro attributo, alla singolarità assoluta di uno stato che impedisce ogni apertura verso possibili maggiorazioni.34 L'uguaglianza e la superiorità35 rispetto alla sostanza prima sono da escludere perché solo nella mediazione sostanziale di questo primato, nell'approvvigionamento scalare di gradi di perfezione che abbiano come referente la perfezione stessa, è possibile concludere e valutare correttamente l'ontologia degli esseri inferiori.

2. Dall'uno al due: la perfezione nella partecipazione

La spinosa questione della duplicazione, cui si è fatto cenno richiamando la polemica agostiniana, non tarda a comparire già nell'inserimento della seconda persona trinitaria, momento necessario all'espansione della bontà divina nella gratuità inizialmente ingestibile del dono, carico di implicazioni e intimo momento di confronto sostanziale. Se non può esserci che un solo Dio onnipotente, questa condizione dovrà essere espressa in accordo alla necessità di una distribuzione partecipativa della potenza, perché Dio possa, entro una pluralità ragionata e semplice36 da dimostrare, diffondere la pienezza della bontà37 nel tramite di una generazione. È infatti centrale nell'elaborazione trinitaria di Riccardo una profusione della bontà del Padre38 attraverso la generazione del Figlio, necessaria al compimento della natura onnipotente e faticosamente giustificabile nella scelta dell'unicità sostanziale; con tutta probabilità, una aggiunta necessaria a quella potenza che rimarebbe inespressa se eccessivamente controllata nella staticità della ritenzione.

Certe si sola una persona in divinitate esset, non haberet cui magnitudinis suae divitias communicaret. Sed et e converso, illa deliciarum et dulcedinis abundantia quae ex intimae dilectionis obtentu ei accrescere potuisset, in aeternum careret.39

Nel Monologion la perfezione caritatevole condivisa in seno alla Trinità è prima di tutto riconoscimento di sé attraverso memoria (Padre) e intelligenza (Figlio), entrambe capaci di confermare allo stesso titolo l'amore per il sommo spirito (Dio):

Pater igitur amorem summi spiritus ex eo procedere, quia sui memor est et se intelligit. Quod si in memoria summi spiritus intelligitur pater, in intelligentia filius: manifestum est quia a patre pariter et filio summi spiritus amor procedit.40

A differenza di Riccardo, Anselmo valuta in questo passo il rapporto meta-personale per definire l'organizzazione del complesso edificio trinitario, senza curare eccessivamente la dialettica che regola l'economia del dono come emergerà nel De trinitate del vittorino. All'origine dello sdoppiamento rimane comunque la logica inarrestabile del 'dono', capace di rievocare la sovrabbondanza neoplatonica di quell'essere divino per sua natura spinto a risolversi in altro.

Se la perfezione di una persona richiede necessariamente che l'amore di carità esibito ai massimi livelli venga rilasciato e posseduto da altre persone secondo deliberazione,41 queste ultime non soltanto saranno in grado di meritare gli effetti di questo amore, ma di eguagliare, nella possibilità dell'idonea restituzione dell'amore ricevuto, il dono di cui godono nell'identità sostanziale. La capacità di accogliere e fruire dell'amore necessariamente esteriorizzato sarà, dunque, il presupposto per la restituzione dell'amore stesso, mai sbilanciata a favore dell'agente o del ricevente e perfettamente equilibrata nello scambio. È secondo una modalità non ordinaria (admiranda ratione)42 che, anche rispettando la cautela implicita nel messaggio paolino (2 Cor 2, 16), l'unità della sostanza prelude ad una partecipazione e al pluralismo, difficilmente avvicinabili sul piano analogico-rappresentativo,43 ma allo stesso modo premesse necessarie per sorreggere tutta l'impalcatura argomentativa.

Ecce vidisti quanta dissimilitudo vel diversitas substantiarum sit in humana natura; audisti nihilominus quanta similitudo vel aequalitas personarum in natura divina. Explica mihi, obsecro, quomodo personalis unitas sit in tanta substantiarum dissimilitudine et diversitate, et ego dicam tibi quomodo substantialis unitas sit in tanta personarum similitudine et aequalitate.44

Se la diversità delle sostanze corpo ed anima non risulterà così incompatibile con l'unità della sostanza individuale, secondo una dimostrazione ancora non offerta al lettore, la tematizzazione esibita sul versante della psicologia non è impiegata parallelamente per dimostrare come la diversità delle Persone possa condurre ad un'unità sostanziale, ma per ribadire l'unità secondo un'ineguagliabile somiglianza tra Persone che, se diversamente pensata ed esposta alla differenza tra proprietà specifiche, contribuirebbe ad introdurre in questa iniziale fase argomentativa un elemento di disturbo.

Il richiamo alla psicologia individuale non svolge, dunque, una funzione antifrastica (poiché non muove dalla negazione per affermare) ma comparativa, rinsaldando per contro i criteri utili al posizionamento teorico di un'unità plurale, ma sostanzialmente indivisa. Come più sostanze possono coesistere e convergere in una e medesima unità fisica, così, ancor più facilmente, la pluralità di persone divine può costituire un'unità e uguaglianza di massimo grado. Se l'unità di sostanza può essere garantita nonostante le diverse sostanze del corpo e dell'anima, non vi è nulla di incredibile (mirum) nel fatto che un'uguaglianza tra Persone conduca ad un'unità nella sostanza quasi del tutto inaccessibile alla mente umana:

Quid ergo mirum si in illa tanta personarum aequalitate maneat vera unitas substantiae, quando quidem in tam contrariae qualitatis diversitate invenitur unitas identitasque personae?45

Ben consapevole di condurre la propria spiegazione per gradi e di procedere con il diretto ricorso a strutture deduttive più accettabili dei relativi contenuti, Riccardo si permette un lessico esplicitamente analogico-argomentativo, che rievoca l'imponenza della deduzione una volta poste alcune premesse: non impiegati con leggerezza e funzionali al senso di una progressione dapprima esplicativa per il lettore ancora visibilmente incerto, poi eminentemente lessicale,46 i termini invenire, consequens, discernere, explicare appartengono non a caso ad una coerente disciplina dell'argomentare e dell'esporre. La difficoltà di una corretta calibratura dell'apparato lessicale coinvolto nell'esposizione trinitaria è resa dallo stesso Riccardo a proposito del termine obtinentia,47 espressione ancora impropria e inadatta, ma precisata da un doveroso richiamo all'interno del contesto in cui è utilizzata.

Tutto il senso di questa avvertenza metalinguistica permette di riconoscere, oltre a prevedibili difficoltà espositive legate al tema di riferimento, gli elementi nodali di una disputa ormai già tempo avviata sulla valutazione dell'espressione linguistica in rapporto al significato e alle modalità di scambio verbale. È anche all'interno di questa cornice procedurale che l'apparente distanziamento anselmiano da Agostino (quasi deludentemente sfavorito dal costante richiamo a schematismi aristotelici nella descrizione del legame intertrinitario come rapporto tra genere e specie) andrebbe riletto come un tentativo condizionato dal tenore delle argomentazioni nominaliste di Roscellino, più che da un'eccessiva sfiducia nella logica tradizionale.48

È solo muovendo dalla condivisione di un'identità sostanziale tra le Persone, non derivata da un'altra sostanza e propria in sé,49 che si può analizzare l'esistenza comune dalla prospettiva dell'incomunicabilità delle proprietà personali. Un'essenza unica esiste in tre modi secondo la pluralità delle proprietà personali e nella necessaria manifestazione della carità istantanemente partecipata.50

Introducendo la chiarificazione delle dipendenze tra persone e dei reciproci scambi, Riccardo imposta nuovamente un'identità dialettica tra l'essere che esiste per sé (dal quale è esclusa ogni composizione) e il potere stesso, posseduto in pienezza come fosse ogni potere: onnipotenza ed essere coincidono quando può essere abolita ogni provenienza e l'essere resta incausato o per sé. La struttura fondamentale prevista da Riccardo a sostegno dell'ontologia complessiva è poi adattabile secondo una trasposizione linguistica quando la coeternità delle Persone può essere concettualmente distinta -- fino a riconoscere un momento intermedio -- dall'autogenerazione secondo un rapporto proporzionale (existendi modus proportionali),51 che tra i due estremi disponga appunto le Persone, cioè le esistenze tra loro coeterne, ma differenti nelle generazione. Ancora al metodo analogico, all'immagine metaforica della scala che avvicina gradualmente (dal visibile all'invisibile, dal creato all'increato),52 Riccardo affida i tempi e le motivazioni della ripartizione trinitaria, recuperando dialetticamente dai due estremi un punto intermedio in un disegno che mostra prima di tutto una continuità ragionata.

La garanzia offerta da una casistica di ordine linguistico, che permette, oltre ai due estremi, di trovare un medio che comprenda entrambi, rimane funzionale all'esclusione di una persona aggiuntiva e di un'eventuale moltiplicazione all'infinito delle Persone. La motivazione addotta da Riccardo può così poggiare sull'esclusione prevedibile di una mediazione nella processione delle Persone, certamente supposta come alternativa estrema rispetto all'immediatezza, ma non riguardante né il Figlio che procede in modo immediato, né lo Spirito, che in ultimo può procedere in modo immediato e mediato. L'esaurimento di ogni disponibilità teorica impone così di fissare nel numero tre la perfezione trinitaria, ancora risolta nelle soluzioni di una conoscenza individuale, ma anche nell'unica conoscenza possibile. Un procedimento fondato sul metodo analogico-induttivo e riducibile, grazie ad una compatibilità linguistica da esaurire in quella tra proprietà contrarie e in armonia, all'esclusione ragionata di alcune possibilità e all'accettazione necessaria di altre.

Una strategia trinitaria così esposta, rimessa al principio estetico di perfezione,53 deve evitare la comparsa di inutili figure aggiuntive quanto una dispersiva moltipicazione all'infinito. Così, non soltanto sarà necessario illustrare le ragioni di un'unica processione dello Spirito dalla coppia Padre-Figlio, in parte già introdotta dalla condilectio, ma convalidare la necessità della triade nell'impossibilità della quaternità secondo due argomentazioni convergenti.

3. Dal due all'uno: il principio estetico del numero

Dalla necessità che l'amore efficace e spontaneo del Padre si riveli a qualcuno che ne possa godere, Riccardo deduce la necessità che qualcuno condivida l'amore di cui ciascuno dei due è oggetto. A compimento di una bontà perfetta -- che non si direbbe tale se fosse ostacolabile nella diffusione -- si richiede che un terzo partecipi all'amore che i due sono in grado di scambiarsi.54 Con il superamento di un rapporto a due,55 destinato a fallire se disposto nella semplice partecipazione di un unico ricevente alla bontà somma e volto a completarsi soltanto nella ulteriore distribuzione degli effetti di questo rapporto verso qualcun altro che ne possa godere (condilectio), nel De trinitate non compare altra prova per la dimostrazione della necessità della triade (e dell'eccedenza superflua delle possibili aggiunte personali) che l'ideale di completezza raggiungibile con un'ulteriore specificazione della gratuità del primo dono, completato con la partecipazione di un terzo allo scambio della bontà donata al Figlio e successivamente corrisposta, secondo un'esigenza che le prime due persone già accolgono a coronamento della gratuità iniziale:

Hinc ergo manifeste colligitur quod summus ille benignitatis gradus in divinitate locum non haberet, si in illa personarum pluralitate tertia persona deesset, et certe in sola geminatione personae non esset cui posset quivis duorum praecipuas iucunditatis suae delicias communicare.56

Nella condilezione Riccardo trova la necessità di uno smistamento triadico dell'amore vissuto tra Padre e Figlio che sia anzitutto completamento di un rapporto ancora imperfetto (dilectio?), provando unitamente, tanto sul piano dogmatico quanto sul versante puramente concettuale, a rispettare quella simmetria grafica e illustrativa che vede al centro di una triangolazione di rapporti la biunivocità dello scambio entro la permanenza della triplice concatenazione.57

Poiché non compaiono ragioni immediate per confutare l'erronea pensabilità di una perfezione compiuta nella maggiorazione e nell'estensione infinite, Riccardo illustra in primo luogo le pericolose conseguenze cui si giungerebbe con un simile avanzamento, tutte probabilmente riconducibili all'inammissibilità di una seconda infinità procedente da quella del principio ingenerato, che, proprio essendo da sé, non può essere eguagliato o superato -- ancor meno per sua stessa volontà -- nella caratteristica che meglio lo contraddistingue. Così, non soltanto ammettere una quarta persona procedente dallo Spirito potrebbe indurre ad inserirne ulteriori, tutte tra loro dipendenti, ma proprio con la quadratura estetica rappresentata dal numero 'tre', entro un risvolto grammaticale che ne confermi l'esattezza, poi nodale nell'impostazione di una manovra metalinguistica, si provvede a rimuovere la possibilità che dai primi due possano scaturire generazioni separate e indipendenti. È infatti il Padre, che dà senza ricevere, ad avere il suo contrario apparente -- in termini di proprietà -- nello Spirito, che riceve senza dare, con la puntuale mediazione del Figlio che riceve e dà:58

Videtur itaque necesse est, ut inter illam cuius est plenitudinem dare, nec accipere, et eam cuius est accipere, nec dare, sit sola una media cuius sit proprie proprium tam dare quam accipere, ut constituta in medio, uni altrinsecarum cohaereat ex uno, et alteri earum connectatur ex altero.59

Pur non accennando ad una scomoda ipotesi di superiorità del Figlio, contraddistinto da proprietà 'positive' sul piano linguistico, Riccardo torna ripetutamente a formulare, ancora servito da una definizione di onnipotenza di cui prova a rispettarne letteralmente il senso, una difficoltà espositiva che molto spesso traduce tutto l'imbarazzo dovuto ad un lessico limitato ed esplicitamente analogico. L'onnipotenza divina, ora direttamente coinvolta nella rimozione di simili difficoltà, rispetta il movente agostiniano di una piena identificazione etica con quel velle60 che, se solo rimanesse inespresso, cioè non tradotto in un adeguato facere, ridurrebbe il potere assoluto in impotenza, confermando unitamente l'invalidità del binomio potere-volere che resta determinante nell'attuazione di ogni necessità ontologica.

Pro certo cui summe sapiens bonitas inest, nihil omnino velle potest, et maxime circa divina, nisi ex ratione, ut sic dicam, intima et summa. Et si vere constat eum omnipotentem esse, quidquid ibi esse voluerit, erit pro voluntate. Nam, si in solo volendo non poterit obtinere quod voluerit, quomodo, quaeso, omnipotens veraciter dici poterit?61

Sottointendendo, dunque, la portata necessaria di questa componente etica implicitamente dedotta da premesse agostiniane, si tratterà di un essere onnipotente soltanto se la rappresentazione del velle non è ostacolata nella relativa attuazione, senza che, tuttavia, la riduzione al facere possa incrinare la definizione del posse assoluto quale si ricava dalla considerazione del potere non attuato. Da Agostino, infatti, Riccardo trae la certezza di una compatibilità tra posse e velle, così radicale da supportare quell'inversione etica che promuove il velle al di sopra del posse, come se non fosse di alcuna utilità trattare di un potere astratto e inespresso rispetto a quello eticamente orientato e finalizzato all'ordine universale.62

Soltanto insistendo in forma interrogativa sulla definizione della potenza («quomodo omnipotens veraciter dici poterit? »),63 l'urgenza di una riqualificazione del linguaggio impiegato in campo trinitario può auspicabilmente introdurre la scelta terminologica presentata nel libro sesto.

Si igitur indignum est germanitas vocabula transferre ad divina, ex sola parte qua nonnulla similitudinis ratio alludit, quomodo congruum erit inde transumere ubi proportionalitatis congruentia nulla occurrit?64

La necessaria constatazione di una processione trinitaria incontrerà allora i limiti dell'unica possibile enunciazione, quando si pretende di affidare analogicamente la corrispondenza di tale rapporto metatemporale alla regolarità della generazione fisica. Ad un'unica volontà che si ripartisce mirando alla comunicazione della grandezza, rivolta alla pari dignità del Figlio (condignus) e dell'amore, che abbia per oggetto lo Spirito nella condivisione della carità (condilectus), bisognerà riferire l'intera processione del Figlio e dello Spirito, disposta secondo natura e non occasionata dalle regole con cui si gestiscono i legami di parentela tra individui.

Se il diretto ricorso ad un vocabolario improprio e ad una specifica forma espressiva, entrambi supportati dall'analogia (pro similitudinis ratione), non garantisce altro che l'inadeguata trasposizione linguistica di criteri conoscitivi individuali -- come la necessità di risollevare le antiche preoccupazioni agostiniane sulla discendenza parentale (De Trinitate, 12, 5, 5),65 secondo restrizioni linguistiche più idonee e nel reperimento di modalità di revisione e perfezionamento condotte oltre i limiti di un lessico tipicamente traslato -- non è da escludere che tale richiamo possa bilanciare la debolezza dell'argomentazione utilizzata per l'inserimento dello Spirito, già ripetuta in più occasioni e perfettibile sul piano dialettico rispetto ad un ampliamento ipotetico che, specialmente nel caso del De Trinitate, non solo non si verifica ma sarebbe fortemente limitante.

Poiché il giusto contrappeso alla condignitas si mostra solo nella condilectio, è proprio l'inalterabilità del bisogno ampliare lo stesso amore donato al Figlio in direzione di un terzo (lo Spirito appunto) ad attuare e risolvere l'intima esigenza del donatore, senza del resto essere rifinito con una chiara motivazione che illustri perché tale piacere consista nella fruizione di una sola Persona e non di molte.66 Pur tenendo conto di un principio estetico, le spiegazioni presentante nei libri precedenti (III, 19-20) non svelano a sufficienza le dinamiche che regolano il rapporto tra la gratuità dell'amore donato -- svolta anche nella spontaneità partecipativa della condilectio -- e l'effettività o la finalizzazione del parteciparne, che soltanto nella modulazione di difficoltà linguistiche di vario genere trovano per ora una plausibile spiegazione.

L'irreperibilità di una definitiva motivazione a sostegno del carattere restrittivo dell'amore partecipabile ricorderà, allora, entro quale spinta dialettica venga esposto il complessivo ragionamento trinitario. La necessaria processione dello Spirito sarà, in tal modo, dipendente dagli altri due, ma non secondo un legame di parentela principale come quello che regola la processione del Figlio dal Padre.67 È in questa occasione che si inserisce una precisazione linguistica riguardo alla discendenza immediata che, tuttavia, non deve esprimere una parentela principale. La serie di richiami alla Scrittura che occupa tutto il capitolo nono del libro VI, giustificata dall'esigenza di una comprensione più accurata (ad prufundiorem intelligentiam) da rivolgere alle proprietà delle Persone e finalizzata a definirne meglio la natura, evolve nella progressiva chiarificazione dell'assimilazione del Figlio al Padre nel tramite del verbum, elemento di mediazione tra interiorità ed esteriorità, ma anche di apertura al creato nella metafora sonora di quella parola che può rimanere inespressa -- anche quando pensata con il cuore -- o pronunciata perché venga recepita dalle creature.

In hoc verbo loquitur Pater Spiritui sancto. In hoc loquitur spiritui creato angelico et humano. Locutio autem secundum superius dicta alia intrinseca, alia extrinseca. Intrinseca vero est illa quam capit solus Spiritus sanctus, extrinseca est illa quam capit spiritus creatus. Et, sicut interior locutio in nobis fit sine humani flatus cooperatione, exterior autem omnino non fit nisi ipso cooperante, sic sane in illa supereminenti natura interna illa locutio agitur auctore Patre solo. Nam solus Pater dicit, solus Spiritus sanctus audit. Exterior autem locutio peragitur auctore etiam flamine divino, hoc est Spiritu sancto.68

Servito ancora dal procedimento analogico, Riccardo dispone la fusione di più componenti argomentative, da riversare in ambito propriamente dogmatico e scritturale (Gv 16, 13) o in campo semantico, con la conseguente elaborazione di un confronto propriamente intertrinitario o di quello tra creatura e creatore. Senza perlustrare le innumerevoli implicazioni assegnabili alla centralità del verbum, basterà sottolineare come l'esposizione dei rapporti intertrinitari sia conseguenza metalinguistica di una predisposizione concettuale che, insistendo proprio sulle numerose difficoltà di natura logico-grammaticale, esteriorizzi l'inaccessibile portata del dialogo generativo tra persone secondo riduzioni linguistiche spendibili in vario modo e inevitabili.

Affrontato e risolto il problema della duplicazione sostanziale, che nella ricostruzione della genealogia trinitaria rappresenta un delicato momento di fondazione dell'ontologia delle personae, Riccardo può giustamente perfezionare la relativa differenza in termini di alterità (alietas) più che come diversità (diversitas), poiché l'appartenenza ad una stessa specie imporrebbe di assegnare la diversità soltanto a cose differenti anche nel genere.69

Ripercorrendo tematiche ormai classiche come la creatio ab nihilo, l'inesistenza del tempo prima della creazione, l'immensità della natura divina, Riccardo perfeziona e rifinisce il ragionamento sull'incomunicabilità della sostanza per accertare come non vi siano equivoci riguardo al trasferimento degli attributi sostanziali, destinati a rimanere propri di una sola natura tanto da renderla unica e, ugualmente, vettori della sua comparabilità ad altre creature tanto da impostare un confronto che rispetti ogni differenza di grado.

Saranno allora una temporalità non misurabile e una spazialità non occupabile a definire la sostanza divina oltre la consueta categorizzazione, per ricordare tutte le difficoltà incontrate dalla conoscenza individuale e per rimarcare il primato della fede. Ma l'appello rivolto alle possibilità conoscitive è un momento così presente nella progressione del De trinitate che, se da una parte Riccardo invita ad indugiare con sospetto sulle capacità dell'indagine conoscitiva, dall'altra le incentiva perché si possa accedere ad uno stato non più immediato come quello offerto dalla contemplazione spirituale, ultimo traguardo dopo l'acquisizione della virtù nel compimento dell'immortalità offerta con l'esistenza dell'anima individuale.

Riccardo è intenzionato ad esplorare un dominio ulteriore rispetto alla certezza di fede, convinto che anche la necessità di perfezionamento della conoscenza individuale contribuisca a rendere, nonostante oggettive difficoltà riguardanti l'inadeguatezza del conoscere e l'incapacità di una formulazione linguistica soddisfacente,70 la simmetria dell'ordine voluto da Dio, esposto solo in apparenza, come nel dettato agostiniano, all'equivoco e all'interruzione dell'errore.

Ma la complessità del rapporto trinitario impedisce che una semplice riduzione ai procedimenti conoscitivi possa svelare l'intima natura dello scambio tra Persone nonostante la persistenza dell'unità. All'interno di un realismo (II, 12) che non può evitare derive dialettiche, Riccardo è costretto a sostenere che se una sostanzialità individuale o particolare contraddistingue le creature, anche l'Essere sommo sarà contraddistinto da una sostanzialità particolare (che lo rende unico ed esistente di per sé),71 incomunicabile e certa quanto i relativi attributi sostanziali (potenza e sapienza). Questa sostanzialità è, tuttavia, partecipata cioè disponibile e capace di comunicare non integralmente quanto possiede.

Consapevole di una difficoltà che, prima di tutto, di natura linguistica («utrobique dictio una, sed ratio nominis diversa»),72 Riccardo riorganizza la generazione delle Persone osservano un preciso schema di rispecchiamenti ontologico-linguistici,73 in gran parte già impreziosita dalla conquiste anselmiane, ma evidentemente da rifinire secondo la compresenza di due principi: uno estetico-numerologico, l'altro ontologico.

La solidità ontologica offerta dal realismo, con la persistenza dell'unicità sostanziale di Dio (che dà e non ricevere) e la conversione degli attributi in una partecipazione mediata (del Figlio che riceve e dà, dello Spirito che riceve e non dà), accoglie una dimostrazione rigorosa sull'impossibilità dell'inserimento di una quarta persona trinitaria. Soltanto Dio, in virtù della potenza e dell'unicità, può generare senza soffrire di una mancanza. Nell'esempio di Riccardo, se si introducesse un'ulteriore persona tra la prima e la terza (tanto da sdoppiare il Figlio in due persone di cui una sola è in grado di ricevere e dare), la persona restante non sarebbe portata né a dare né a ricevere, tanto da essere identica alla prima (V, 15), eterna e autooriginata.

L'ordine estetico-numerologico sottolineato da Riccardo prevede, al contrario, l'inserimento del Figlio in un modus proportionali (V, 5), che pretende di risolvere l'impossibilità dell'esistenza da sè con l'acquisizione di proprietà nella mediazione perfetta del dono e della conseguente acquisizione. Tutto ciò comporta due conclusioni rilevanti: l'impossibilità di una moltiplicazione infinita delle persone (introdotta anche dalla pensabilità della quaternità); l'irriproducibilità -- nonostante l'accordo e la coerenza interni -- delle proprietà peculiari delle singole persone. È soltanto il reciproco coinvolgimento di queste due premesse, mantenute nella difficoltà ingombrante della riduzione linguistica, a permettere a Riccardo di esercitare la sottile arte del ragionamento nel rispetto della tradizione e di personali esigenze speculative.

Copyright © 2011 Manlio Della Serra

Manlio Della Serra. «Iuxta humanum modum. Dialettiche trinitarie e discipline della parola nel De Trinitate di Riccardo di San Vittore». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**72 B].

Note

  1. Il dettaglio iconografico di riferimento è una miniatura di scuola francese del secolo XV intitolata Trinitas creator hominis. Si veda al riguardo W. Braunfels, Die heilige Dreifaltigkeit, Düsseldorf 1954, p. 10. Testo

  2. J. Fouquet, La Trinité et tous les saints, Musée Condé, Chantilly. Testo

  3. A disporre la tematica trinitaria entro i limiti di una struttura razionale e argomentativa, che sottenda l'appartenenza ad una scuola o il relativo grado di ortodossia, contribuisce senz'altro la sua complessa portata teorica. In tal modo, ci si è spinti in teologia alla commutazione della pura pensabilità dell'argomento trinitario in enunciabilità nel modo più corretto, facendone appunto una questione argomentativo-metodologica (si veda al riguardo: M. Parodi-M. Rossini, Fra le due rupi. La logica della trinità nella discussione tra Roscellino, Anselmo e Abelardo, Milano 2000, pp. 8-9). Testo

  4. Le illustrazioni risalenti ai secoli XII-XIII riproducono il Padre mentre sorregge la croce (si tratta della miniatura proveniente da un messale degli inizi del XII secolo conservato a Cambrai, Bibliotheque municipale, 234, fol. 2) o, in una versione più conciliante, mentre si sdoppia in figure identiche che osservano un centro comune, attratte dalla quiete dello Spirito (un volatile) appena posato sulla sfera (miniatura francese risalente al 1380 e conservata a Berlino; si veda W. Braunfels, Die heilige, cit., p. 22). Allo Spirito è spesso affidato il dialogo tra Padre e Figlio, posti nell'identità sostanziale da una trasfusione di significato che procede di bocca in bocca: questo schema rappresentativo ricorda la relazione tra storicità e parola divina. Quasi identica nello schema compositivo, l'immagine del Mauritius Tragaltar di Siegburg (1150). La verticalizzazione propria delle opere di epoca tardomedievale sembra ridimensionarsi progressivamente nell'immediatezza prospettica e tridimensionale che, soprattutto nel Cinquecento italiano, promuove una raffigurazione trinitaria più composta e meno accessibile, già sufficientemente svolta nella completezza di un volto prospetticamente tripartito che, oltre a suggerire l'allargamento spaziale della propria incidenza e incorniciato dal motivo dominante della circonferenza, comporta un'assolutizzazione visiva del potere divino, non più tripartito nella storicità dell'Incarnazione e della crocifissione, ma concentrato nella simultaneità del suo inaccessibile scopo. La Trinità dipinta da Fra Bartolomeo nel 1510 a Firenze presenta una grande affinità compositiva con quella realizzata da Andrea del Sarto per il Refettorio S. Salvi (Firenze) nel 1519. Testo

  5. Questo aggiornamento colpisce soprattutto l'intuizione agostiniana che ammetteva implicitamente la relazione tra le Persone non come accidentale, ma come sostanziale (M. Parodi-M. Rossini, Fra le due rupi. La logica della trinità nella discussione tra Roscellino, Anselmo e Abelardo, Milano 2000, pp. 16-17). Testo

  6. Per la data di composizione da riferire al periodo tra il 1148 e il 1162 si veda: Riccardo di San Vittore, La Trinità, a cura di M. Spinelli, Roma 1990, [= Trinità], pp. 30-31. Testo

  7. Pur richiamando interessanti spunti utili a precisare il pensiero riccardiano, non si avrà modo in questa sede di offrire un bilancio esaustivo della disputa verificatasi nel secolo XI tra sostenitori della dialettica e detrattori. Si vedano al riguardo: G. D'Onofrio, Anselmo e i teologi 'moderni', in P. Gilbert-H. Kohlenberger-E. Salmann (Eds.), Cur Deus homo. Atti del Congresso Anselmiano Internazionale, Roma 21-23 maggio 1998, (Studia Anselmiana 128), Roma 1999; M. Della Serra, La prova dialettica nel De divina omnipotentia di Pier Damiani, in « Schede Medievali » 46 (2008), pp. 179-193; Id., Non omnia potens. Spunti per una grammatica dell'onnipotenza in Anselmo d'Aosta, in « Gregorianum » 91/1 (2010), pp. 29-42. Testo

  8. A. M. Piazzoni, I vittorini, in G. D'Onofrio (a cura di), Storia della Teologia Medievale, Casale Monferrato 1996, vol. II, pp. 197-198. Testo

  9. Augustinus, De correptione et gratia, 10,27. Testo

  10. Ricorda giustamente F. Corvino (Società e cultura nel secolo di Anselmo d'Aosta, in «Bollettino di storia della filosofia dell'Università degli Studi di Lecce» 2 (1974), p. 167) che la contrapposizione storiografica tra cultura monastica e insegnamento secolare, oltre a prestarsi a doverose precisazioni, costituisce uno dei più interessanti aspetti operativi della 'riforma gregoriana', soprattutto in riferimento alla riorganizzazione delle competenze politico-istituzionali e alle decisive scelte dogmatiche che nel secolo XI sono finalizzate al consolidamento della Chiesa d'occidente. Testo

  11. Assai efficace per la ricostruzione del pensiero trinitario di Ugo e dei principali precedenti teorici il lavoro di J. Hofmeier, Die Trinitätslehre des Hugo von St. Viktor, München 1963. Testo

  12. A.-M. Éthier, Le 'De Trinitate' de Richard de Saint-Victor, Paris-Ottawa 1939, p. 59. Rispetto a una configurazione della modalità 'speculativa' agostiniana, che pretenderebbe di ritrovare nel dominio delle realtà sensibili elementi speculari alla perfezione divina, nel De Trinitate Riccardo si riferisce alle cose create in termini comparativi, che rinviano ad altri oggetti di natura metafisica senza definirli specularmente. All'interno della tripartizione imaginatio-ratio-intelligentia, Riccardo arresta la conoscenza individuale alla similitudine tra realtà visibili e invisibili, per poi confidare nel dinamismo di un impegno morale e soggettivo che riconosca la priorità del procedimento scalare, più che la corrispondenza tra realtà visibili e invisibili (Ibid., pp. 72-74). Testo

  13. Ibid., p. 50. Il prologo del De trinitate si può estendere senza difficoltà a tutti i contenuti del libro I quando, all'interno di una cornice metodologica, si provvede al naturale ampliamento della fede, legittimo perché mai da intendere come superamento o miglioramento, ma come prova di perfezione ontologico-estetica e di riorganizzazione del conoscere individuale: è proprio all'immortalità dell'anima già conseguita con la nascita che l'individuo vuole aggiungere la virtù prima di ottenere l'eternità con la contemplazione spirituale. Testo

  14. Riccardo di San Vittore, Trinità, I,8. Testo

  15. Ibid., I,11. Testo

  16. È qui rievocata un'immagine dell'onnipotenza alcuiniana (De fide sanctae Trinitatis libri tres, PL 176,25CD), non superabile perché capace di pervadere internamente e esternamente ogni cosa, non come potenza localizzabile in grandezza, ma come 'presenza potenziale' (potentiali praesentia). Testo

  17. A.-M. Éthier, Le 'De Trinitate', cit., pp. 80-82. Non appare così diversa la posizione di Ugo di San Vittore (De sacramentis christianae fidei, PL 176,215CD: «Sed nos ad hoc respondemus, quod si mutaretur eventus quod fieri potest, nec mutaretur nec cessaretur providentia; quia hoc omnino fieri non potest») quando intenzionato a rivalutare la perfezione della prescienza divina in rapporto alla rivedibilità di eventi non ancora accaduti e all'adattabilità di un potenza che dovrebbe, per dirsi infinita, contemplare anche possibili variazioni. Testo

  18. Riccardo di San Vittore, Trinità, I,14. Testo

  19. Ibid., I,14. Testo

  20. A.-M. Éthier, Le 'De Trinitate', cit., p. 41: «Il fait tout procéder de cette supersubstance qui se communique ou bien par des opérations gratuites appelées, à cause de cela, des 'operationes gratiae': c'est l'ordre des créatures ou de la grâce». Che l'approfondimento in ambito linguistico-grammaticale interessi in questo periodo la definizione del problema trinitario lo ricordano sia le accuse di 'triteismo' rivolte a Roscellino, quanto la polemica avviata da Anselmo con un 'francigena quidam', sostenitore della somiglianza tra la predicabilità delle Persone rispetto a Dio e le qualità rispetto alla sostanza (uomo). Si veda al riguardo G. D'Onofrio, Anselmo e i teologi 'moderni', in P. Gilbert-H. Kohlenberger-E. Salmann (Eds.), Cur Deus homo. Atti del Congresso Anselmiano Internazionale, Roma 21-23 maggio 1998, (Studia Anselmiana 128), Roma 1999, pp. 96-97. Testo

  21. S. Anselmi, Opera Omnia, a cura di F. S. Schmitt, Stuttgart-Bad Cannstatt 1968, [= Opera], t. I, vol. II, pp. 3-35. Testo

  22. S. Anselmi, Opera, t. I, vol. II, p. 22. Testo

  23. S. Anselmi, Opera, t. I, vol. II, p. 29. Testo

  24. S. Anselmi, Opera, t. I, vol. I, p. 30. Testo

  25. Per evitare spiacevoli contrapposizioni e annullamenti tra due principi identici, Agostino (Confessiones, XII,7,7) esclude la pensabilità di una comune appartenenza (di Dio e della materia) alla componente metatemporale (eternità), per rilanciare una definizione ontologica del primato divino nello scarto tra un potere irriproducibile e i suoi effetti: «Fecisti enim caelum et terram non de te; nam esset aequale Unigenito tuo ac per hoc et tibi, et nullo modo iustum esset, ut aequale tibi esset, quod de te non esset». Le fasi di questa conquista dialettica, escludendo l'ipotesi di due esseri ugualmente onnipotenti in contrapposizione o in perenne stasi, consegnano, ben oltre le premesse manichee, una definizione assoluta del potere per viam negationis, ossia muovendo da effetti improponibili e raggiungendo il risultato sperato in modo indiretto. Scegliendo la potenza divina come parametro discriminante, Agostino mira a rimuovere in modo definitivo una contrapposizione che non può che risolversi in annullamento. Si veda al riguardo J. Guitton, Le Temps et l'Éternité chez Plotin et Saint Augustin, Paris 1933, p. 138. Testo

  26. Riccardo di San Vittore, Trinità, I,24: «Siquidem potentiae plenitudo, non est aliud aliquid quam ipse. Constat itaque eum potentem esse potentiae plenitudine. Ubi autem plenitudo potentiae est, nullum posse deesse potest. Consequens est ergo omnipotentiam eum habere, et veraciter omnipotentem esse, cui inest omne posse». Testo

  27. Riccardo accennare alcune distinzioni classiche riguardanti la potentia in I,21. Testo

  28. Ugonis de S. Victore, De sacramentis chrstianae fidei, PL 176,216C. Testo

  29. Ibid., PL 176,214B. Testo

  30. Non è forse lecito identificare la dialettica del secolo XII come la stessa arte del trivium di epoca precedente. Accogliendo le puntualizzazioni di G. D'Onofrio (Gli studi teologici e il progresso culturale dell'Occidente, in G. D'Onofrio (a cura di), Storia della Teologia Medievale, Casale Monferrato 1996, vol. II, p. 49), la dialettica può espandersi nella disputatio o ars disputandi: si tratta di una formalizzazione del puro ragionamento interiore svolto appunto nel confronto, ormai aggiornato, tra maestro e discepolo, capace di maggiore immediatezza e chiarezza. Testo

  31. Alcuinus, Quaestiones de Trinitate et de Genesi, PL 101,1173, q. VII. Sul problema dei relativi si veda inoltre Id., De fide sanctae Trinitatis libri tres, PL 101,16AB. Alcuino si pronuncia sulla differenza tra nomina relativa e substantialia nelle Quaestiones XXVIII de Trinitate ad Fredegisum (PL 176,59CD) sostenendo la singolarità dei secondi in quanto indubitabilmente portati a significare la sostanza di Dio o la sua essenza. Testo

  32. Ancora motivo di chiarimento contro le derive del triteismo di Roscellino, la sostanzialità del potere (S. Anselmi, Opera, t. I, vol. II, p. 14) deve essere riferita secondo Anselmo d'Aosta a quanto le personae condividono secundum deitatis substantiam, quae communis illis est. Testo

  33. Riccardo di San Vittore, Trinità, II,13. Testo

  34. Ibid., II,16. Testo

  35. Ibid., I,15. Testo

  36. Ibid., III,2. Testo

  37. Ibid., III,2. Testo

  38. Ibid., III,14. Testo

  39. Ibid., III,14. Testo

  40. S. Anselmi, Opera, t. I, vol. I, p. 65. Testo

  41. A.-M. Éthier, Le 'De Trinitate', cit., p. 91. Testo

  42. Riccardo di San Vittore, Trinità, III,8. Testo

  43. Ibid., III,9-10. Proprio da un confronto antitetico con la disposizione dell'unità individuale dell'uomo che Riccardo propone un confronto tra l'organizzazione della simplicità trinitaria e l'unione di anima e corpo nella natura umana. Predisponendo così validi elementi per l'inserimento di una coordinazione antropologica, pur nell'imperfezione e nell'imprecisione del risultato, riflesso della perfezione divina trinitaria, il vittorino può agevolmente contrapporre l'uguaglianza sostanziale alla disparità contingente, fino a sottolineare ulteriormente il senso delle difficoltà rappresentative connesse alla vera comprensione dell'unità plurale. Testo

  44. Ibid., III,10. Testo

  45. Ibid., IV,10. Testo

  46. Ibid., IV,11. Testo

  47. Ibidem. Testo

  48. Si può leggere allo stesso modo l'invettiva damianea del De divina omnipotentia contro i dialettici una volta assicurata una linea argomentativa agostiniana come accade nella prima parte del trattato. Non è infatti casuale che alcuni capitoli (X-XII) del libro IV del De Trinitate sia dedicata all'accurata esposizione di precisazioni grammaticali, richiamate da Riccardo per introdurre quelle difficoltà linguistiche che già rendevano faticosa la comprensione della pluralità delle Persone nell'unicità della sostanza. Testo

  49. Ibid., IV,16. Testo

  50. Ibid., IV,19. Testo

  51. Ibid., V,5. Testo

  52. Il tema introdotto da Rm 1,20 è ormai noto ai tempi di Riccardo. Testo

  53. Riccardo di San Vittore, Trinità, V,14. Riccardo fa cenno esplicito alla proporzione geometrico-matematica: «In illa autem superiori proprietatum dispositione, iuxta unam considerationem medietas arithmetica iuxta considerationem aliam medietas geometrica, iuxta Trinitatis et unitatis collectionem medietas harmonica specietenus occurrunt, et miranda ratione invicem sibi alludunt». Testo

  54. Ibid., III,11: «In illis itaque mutuo dilectis quos dusputatio superior invenit, utriusque perfectio ut summata sit, exhibitae sibi dilectionis consortem aequa ratione requirit». Testo

  55. Ibid., III,14. Testo

  56. Ibid., III,18. Testo

  57. Si fa qui riferimento alla tarda iconografica trinitaria (secc. XVI-XVII) di cui si trovano testimonianze in Spagna. Si veda al riguardo: G. De Pamplona, Iconografia de la Santisima Trinidad en el Arte Medieval Español, Madrid 1970, pp. 61-64. Testo

  58. Riccardo di San Vittore, Trinità, V,11. Testo

  59. Ibid., V,14. Testo

  60. Al margine di una piena identificazione tra posse e velle, si pone immediatamente la riqualificazione di una potenza che risulta più ampia di quanto realizza in atto. Sarà questo uno dei punti più discussi nelle Sententiae di Pietro Lombardo e nei relativi commenti. Nella Summa Halensis (pars I, inq. I, tract. IV, q. II, II, c. 1, contra II.2) si fa esplicita menzione dell'identificazione di posse e velle in riferimento al De trinitate di Riccardo per approfondire la distinzione tra la potenza assoluta e la relativa operatività espressa nella mediazione del volere. Testo

  61. Riccardo di San Vittore, Trinità, VI,3. Testo

  62. Distinguendo la pura pensabilità della potenza dalla volontà che discerne e dall'azione che la verifica nella pratica, non deve sorprendere che Riccardo rispetti, anche in una versione più aderente alle esigenze allegoriche del caso, una scansione teorica tra posse, velle e facere, come dimostra di osservare in un breve trattato come il De exterminatione mali et promotione boni (Riccardo di San Vittore, Lo sterminio del male, a cura di D. Racca, Torino 1999), dove compaiono note assolutamente significative sull'interpretazione allegorica di Gs 3,4. La forma tripartita del potere è qui riproposta con l'aggiunta del dovere in una perfetta coincidenza nella vita futura tra velle, facere, debere. Oltre ad escludere prevedibilmente l'appartenenza del posse divino alla natura umana, Riccardo affronta una specificazione del puro facere intenzionato a rivalutarne la perfetta coincidenza con l'imperativo del velle, fino a trasformarlo in un dovere che, oltre a confermare la perfetta coerenza della triade, esalta la capacità esecutiva del 'poter fare' nella conseguente affermazione di un dovere che fissa l'esecutività dell'azione compiuta nella sua inalterabile perfezione. Testo

  63. Riccardo di San Vittore, Trinità, VI,3. Testo

  64. Ibid., VI,4. Testo

  65. Si vedano inoltre: S. Anselmi, Opera, t. I, vol. I, p. 67; Ugonis de S. Victore, De sacramentis christianae fidei, 1,3,23. Testo

  66. Si prova qui a rifinire la traduzione dell'interrogativa presentata da Riccardo nel libroVI,7 rispetto alla traduzione offerta da M. Spinelli (Riccardo di San Vittore, Trinità, p. 221: « Quid est vero [...], nisi habere velle qui secum a suo dilectore pariter diligatur et exhibiti sibi amoris deliciis secum fruatur?». La difficoltà consiste nel comprendere se la definizione di 'oggetto d'amore (habere condilectum)' si realizzi maggiormente nello Spirito che ama il Padre (almeno quanto il Figlio ama il Padre), ovvero se l'amore del Figlio per lo Spirito sia dedotto dall'amore che il Figlio rivolge al Padre. Se lo Spirito è amato parimenti dal Figlio (quanto il Figlio ama il Padre) si compie la gioia del dono che il Padre gli rivolge (ripetizione del secum), ma se si sposta il movimento di diffusione dell'amore, è il Figlio che fa da intermediario nel dirigere l'amore verso lo Spirito.

    Anselmo tratta nel Monologion (Opera, t. I, vol. I, p. 66) la questione di un amore che procede parimenti dal Padre e dal Figlio perché insieme capaci di un solo amore. Riccardo riprende il gioco anselmiano di rimandi ed equivalenze quando intenzionato a mostrare la necessità di un terzo nell'immediatezza di un amore da subito condiviso e non donato. Così la necessità dello Spirito è tale da riflettere l'amore restituito dal Figlio al Padre ma ugualmente protagonista di un amore vissuto nel'interezza. L'immediatezza della parentela con lo Spirito non sarà tuttavia principale (De trinitate, 6,7), così da impedire qualsiasi riduzione linguistica che voglia esprimere l'esatto rapporto indicante la processione dello Spirito. Testo

  67. Riccardo di San Vittore, Trinità, VI,8. Testo

  68. Ibid., VI,12. Testo

  69. Ibid., IV,9. Testo

  70. Ibid., II,22: «Ex his, ut arbitror, perfacile est intelligere quam ineffabile imo et incomprehensibile quod ratio ratiocinando compellitde Deo nostro sentire». Testo

  71. Ibid.: «Ex superioribus agnovimus quod in illa natura, quae Deus est, sit vera unitas et summa simplicitas nulla ibi compositio, nulla concretio, ipsa nulli, nihil ipsi inest velut in subiecto. Dicitur et est velut summa potentia; dicitur et est summa sapientia, et ne in subiecto esse putetur, substantia nominatur». Un momento di particola rilievo nella disputa tra Anselmo e Roscellino (G. D'Onofrio, Anselmo e i teologi 'moderni', in P. Gilbert-H. Kohlenberger-E. Salmann (Eds.), Cur Deus homo. Atti del Congresso Anselmiano Internazionale, Roma 21-23 maggio 1998, (Studia Anselmiana 128), Roma 1999, p. 102; p. 113) riguarda la l'assunzione da parte del Verbo della natura umana in termini di partecipazione all'universale 'uomo' in qualità di persona e non di individuo. L'unità della natura (ossia l'individuo cui si riferisce Roscellino) è così distinta dall'unità della persona perché se la generazione implicasse l'acquisizione di una aliam humanam personam vi sarebbe una sorta di duplicazione: in tal modo, ogni individuo è una persona, ma non la persona divina (Cristo) deve essere individuo (omnis homo individuus esse persona) quando partecipa della natura umana. Anselmo sostiene che l'acquisizione della natura (umana) che si realizza in Cristo non comporta l'acquisizione di un'altra persona nonostante l'acquisizione di un'altra natura (homo adsumptus): «ita in Christo deus est persona, et homo est persona, nec tamen duae sunt personae, sed una persona. Non enim est alius deus, alius homo in Christo, quamvis aliud sit deus, aliud homo: sed idem ipse est deus qui et homo. Verbum enim caro factum assumpsit naturam aliam, non aliam personam». Si veda inoltre: S. Anselmi, Opera, t. I, vol. II, p. 10: «Denique, qui non potest intelligere aliquid esse hominem nisi individuum, nullatenus intelliget hominem nisi humanam personam. Omnis enim individuus homo est persona. Quomodo ergo iste intelliget hominem assumptum esse a verbo non personam, id est naturam aliam non aliam personam assumptam esse?»; Ibid., p. 24: «Nam qui recte suscipit eius incarnationem, credit eum non assumpsisse hominem in unitatem naturae, sed in unitatem personae. His [scil. Roscellinus] autem somniat hominem a filio dei magis esse assumptum in naturae unitatem quam in personae unitatem». Testo

  72. Riccardo di San Vittore, Trinità, II,13: « De Deo dicimus quod sapientia sit, de homine dicimus quod non sapientia sit, sed quod ei sapientia insit: ibi sapientiae nomine designatur tale quid quod sit substantia, et plus quam substantia hic nomine sapientiae designatur tale quid quod non sit substantia ulla. Utrobique dictio una, sed ratio nominis diversa». Testo

  73. Muovendo dai rilievi di G. D'Onofrio (Anselmo, cit., pp. 125-128), si può avvistare una somiglianza con la norma dialettica che Guitmondo di Aversa (De corporis et sanguinis Christi veritate in eucharistia libri tres, I, PL 149, 1442A-1443C) impiega nella lettura analogica della 'generazione' umana secondo un principio ugualmente simmetrico e quadripartito: 1. senza padre né madre; 2. da un padre, senza madre; 3. da un padre e una madre; 4. da una madre senza padre. Testo

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