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Circuminsessione e Cuore

di Giovanni Cogliandro (Roma, 26-28 maggio 2011)

Là, nell'anima della Vergine Santa, noi adoreremo la SS. ma Trinità. Avviciniamoci alla Vergine tutta pura, tutta luminosa, affinché ci introduca in Colui nel quale Essa penetrò così profondamente.

-- Elisabetta della Trinità

1. Circuminsessione e circumincessione

La tradizione cattolica ci ha donato in due millenni una messe adeguatamente sconfinata di testimonianze e riflessioni relative alla manifestazione della Trinità, culminanti nei teologi e dottori della Chiesa che meglio hanno saputo coniugare la teologia speculativa all'esperienza mistica delle relazioni tra le persone divine. L'esperienza mistica ha come soggetto-oggetto sovraeminente e attivo Dio Creatore, Redentore e Santificante. Nell'esperienza mistica della Trinità è Dio che prende l'iniziativa di comunicarsi all'anima, facendole gustare nell'amore le sue perfezioni, spesso in modi dolorosi. Il mistico con la sua vita stessa significa il mistero eminente di Dio e di ciò che vuol dire appartenerGli, dall'incontro che Abramo ebbe con i tre angeli presso la quercia di Mambre, immortalato simbolicamente nella notissima icona di Rublëv, fino a Elisabetta della Trinità e Antonietta de Geuser. Analizzare l'esperienza mistica della Trinità, la circumincessione -- circuminsessione delle divine Persone, è un tentativo di filosofia del limite, di comprensione del dono più elevato che ci è giunto per il tramite della morte in Croce di Cristo. Servono quindi le cautele dei mistici stessi, in particolare deve essere sempre tenuta presente la massima del Dottore Mistico «è più preziosa davanti a Dio un'opera o atto di volontà fatto in carità che tutte le visioni o rivelazioni e comunicazioni che si possono avere dal cielo, perché queste non sono né merito né demerito» e «molte anime, non avendo nessuna di esse, si trovano senza comparazione più avanti nella perfezione di altre anime che ne hanno molte» (S. Giovanni della Croce, Salita al monte Carmelo, 11, 20).

La Chiesa propone e chiede al cristiano non solo di imitare il Salvatore, ma di prolungarne l'esistenza, di esserne la copia vivente, di diventare insomma un altro Cristo. Per salvarci, infatti, Cristo si è fatto uno di noi, ma ha voluto ancora di più, ha fatto cioè di noi qualcosa di Lui. "Io sono la vite, e voi siete i tralci" (Gv 15, 5): vita e vite completa, Corpus Domini plenarium, come dice S. Agostino,1 il tronco che è Gesù Cristo porta i tralci avvinghiati all'unico tronco divino, e cioè tutti i cristiani, o almeno quelli che si conserveranno in stato di grazia. Attenendoci alla rivelazione vediamo come la storia di Cristo sia l'esercizio della libertà come amore liberamente realizzato nella pericoresi trinitaria. È questa la prima libertà che trascende la storia, una radice che rende possibile la libertà storica e quindi la storia di Cristo. Noi non abbiamo una radice eterna, siamo creati, la nostra libertà e la nostra storia hanno la loro condizione di possibilità nell'atto di affidamento a Cristo, cioè a colui che ha questa radice eterna. Gesù Cristo, che possiede la pienezza della vita divina, è stato confitto in Croce sul Calvario e per mezzo dell'apertura delle sue Piaghe, noi siamo stati innestati in Lui nel Battesimo, e siamo diventati partecipi con Lui e in Lui della vita del Padre, del Verbo e dello Spirito Santo.

La nostra vocazione è quindi quella di vivere, come deve vivere chi fa parte integrante di Cristo, e il Salvatore Gesù desidera di prolungarsi in noi il più perfettamente possibile, usque ad perfectionem aetatis plenitudinis Christi. Questo approccio esperienziale alla Trinità è volto in primo luogo ad evitare le secche della speculazione organicista-idealistica sulla Trinità, che ha portato a renderla forma della storia, ma la ha deformata e le ha tolto il suo riverbero divino-umano.2 Negli scorsi decenni la teologia cattolica ha recuperato il senso del mistero (e della liturgia del mistero stesso) volgendo lo sguardo all'oriente cristiano: l'opera di Florenskij e la trilogia trinitaria delle opere di Sergej Bulgakov rientra in questa forma mentis feconda, incrocio tra la speculazione più elevata e l'esperire dell'inafferrabile simplicissimus della divina Monotriade. Un inafferrabile denso, sublime e vicinissimo ai cuori. Anche la complessa figura di Lanza del Vasto sin dai suoi primi approcci al pensiero teologico risente dell'esperienza di una concezione anti idealistica della Trinità: egli si laurea in filosofia a Pisa con una tesi sulla Trinità Spirituale, muovendosi poi allo studio e al confronto con Tommaso d'Aquino proprio a partire dalle sue tesi sulla Trinità come filosofia della relazione. Lanza attribuisce la propria conversione alla lettura di una frase da lui attribuita alla trattazione che della Trinità fa S. Tommaso: "Deus enim est relatio, non autem relativa quia immutabilis".3

Tale esigenza di ripensare le forme filosofiche della Trinità viene indagata con acribia negli ultimi anni, ad esempio in un recente volume da Lewis Ayres.4 Ayres ha condotto una rilettura della più influente teologia trinitaria, quella di S. Agostino, e questo "New Canon" muove dalla rottura che Agostino ha operato con la prospettiva neoplatonica: i pregi di questo testo sono però anche i suoi limiti, cioè cercare una descrizione della Trinità escludendone l'esperienza. Di converso i pensatori che si sono occupati della mistica, elaborandone una metafisica o una specifica teoria della percezione, si sono a volte indirizzati soprattutto verso l'indagine psicologica, come ad esempio Alston, ponendosi principalmente il problema del discrimine fra esperienza mistica autentica e falsa.5 Il nostro abbozzo sarà invece volto ad alcuni sperimentatori della Trinità, persone di grande semplicità che per mezzo di Maria, la donna eletta hanno avuto l'esperienza trasformante della consumazione nell'unità divina. A partire da tale punto di vista ciò che ci proponiamo è una teologia dell'esperienza vitale, non però una generica ed indeterminata esperienza del divino, ma una esperienza trasformante della circumincessione, quale è stata vissuta e resa comunicabile come esperienza della Trinità delle Persone e dell'Unità consumante di Dio.

Nell'ambito del nostro primo convegno di studi dal titolo «Elaborare l'esperienza di Dio. Contributi teologici» ho presentato e discusso un contributo dedicato alla comprensione filosofica dell'esperienza mistica, con particolare attenzione alla teologia mistica di Giovanni della Croce.6 A partire dall'esperienza maturata in questo studio, la ricerca che vorrei esporre è condotta sulla simbolica teologica recente della Trinità. In ogni evento in cui Dio si è relazionato all'uomo possiamo scorgere costantemente l'azione delle Tre Persone divine secondo quella che nella teologia latina viene definita circumincessio, la processione circolare che da Dio Padre porta al Figlio, da Dio Figlio porta allo Spirito Santo, da Dio Spirito Santo ritorna al Padre, nella perfetta unità di Dio. Circumincessione e circuminsessione sono i due aspetti, statico e dinamico, del relazionarsi tra di loro delle Somme Persone, relazionarsi ad intra e poi ad extra con l'anima da Loro eletta.

Nella sua vita intima Dio è amore (come affermato in 1Gv 4, 8. 16), amore essenziale, comune alle tre divine Persone: tale amore personale è lo Spirito Santo, Spirito del Padre e del Figlio. Per questo, solo nello Spirito Santo è possibile scrutare le profondità di Dio (1Cor 2, 10). Lo Spirito Santo forgia i mistici in quanto è amore increato, spingendosi ancora oltre si può arrivare ad affermare arditamente con S. Massimiliano Kolbe che lo Spirito Santo è l'Immacolata concezione increata, del quale la Madonna è il corrispettivo creato.7 Si può dire che nello Spirito Santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore fra le divine Persone, e che per lo Spirito Santo Dio esiste come di dono. È lo Spirito Santo l'espressione personale di un tale donarsi, di questo essere-amore (S. Tommaso, Summa Theologiae, I, qq. 37-38). Lo Spirito Santo è del Padre e del Figlio, come amore e come dono, e poi viene detto che nonostante possa sembrare strano Egli è una persona. Non c'è dubbio quindi che si pensa a una identificazione, a una unificazione in un soggetto, che ha comunque una sua specifica valenza indipendente dagli altri. Il concetto di persona coglie questo senso di unità che costituisce un soggetto irriducibile ad altri, e lo applica nella fede, allo Spirito Santo.

Lo studio della mistica è lo studio dei fenomeni vissuti da taluni spiriti privilegiati, uniti alla divina Monotriade dallo Spirito Santo con un legame d'amore ineffabile. Di essi noi conosciamo a volte soltanto il lato spettacolare, il cosiddetto meraviglioso mistico, come il miracolo e la profezia, il dominio sui fenomeni della natura, le stesse manifestazioni diaboliche, le visioni, le estasi, gli incendi, le stimmate. Eppure, come si è rilevato più volte, proprio il silenzio e la quiete sono l'origine e i primi segni della esperienza mistica, il silenzio sarebbe quindi la brezza leggera della visione profetica in cui Dio ama mostrarsi. Un terreno adeguato alla comprensione dell'esperienza potrebbe essere il punto di partenza classico della teologia sapienziale, volta a unificare dogmatica, ascetica e mistica prima d'altro, in una sintesi unica che muova dall'oggetto formale della deitas,8 volta a comprendere e a descrivere le modalità sempre nuove e le forme del darsi di dio amore nella vita delle persone che a Lui vogliono lasciarsi assimilare.

2. Communicatio idiomatum e pericoresi

Dunque come il Padre ha generato, il Figlio è stato generato, così il Padre ha mandato, il Figlio è stato mandato. Ma Colui che ha mandato e Colui che è stato mandato sono una cosa sola, perché il Padre e il Figlio sono una cosa sola. Così pure lo Spirito Santo è una cosa sola con essi, perché i Tre sono una cosa sola. Come infatti per il Figlio nascere è essere dal Padre, così per il Figlio essere mandato è essere conosciuto nella sua origine dal Padre.9

Abbiamo deciso di accostarci al tema complesso della circuminsessione -- circumincessione, dinamica immanente della relazione tra le persone della Trinità. Tale coppia di termini è la duplice versione latina dell'originale greco pericoresi (περιχώρησις, "penetrazione"; da περιχωρέω, "ruotare", "moto circolare"). La pericoresi indica la comunione tra i Tre, ciò la compenetrazione senza mescolanza delle persone divine, come indicata nel vangelo di Giovanni «io e il Padre siamo una cosa sola» (cfr. Gv. 14, 9ss).

A partire da Gregorio Nazianzeno, per passare attraverso Agostino e Anselmo, il magistero definì questa verità nel concilio di Firenze (come riportato in DS 1330) con l'assioma: «in Deo omnia sunt unum, ubi non obviat relationis oppositio» (in Dio tutte le cose sono una cosa sola dove non vi si opponga la relazione). Si afferma l'Unità con i termini natura, sostanza, essenza, si afferma la Trinità con i termini persona, hypostasis, soggetto, si afferma da ultimo la dinamica della Comunione con il termine pericoresi o con la coppia di lemmi circuminsessione - circumincessione.

Tale termine è specifico della teologia Trinitaria, ed indica la compenetrazione reciproca e necessaria delle Tre Persone divine nella Trinità, sulla base dell'unità di essenza in Dio. Le tre ipostasi del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo si muovono l'una nell'altra, si appartengono a vicenda. Il termine nasce in ambito cristologico, dove serve per chiarire la complessa questione della comunicazione degli idiomi (communicatio idiomatum10). La persona divino-umana di Cristo non è da concepirsi come una mescolanza da cui scaturisca una terza realtà a metà tra divino e umano: già i Padri della Chiesa hanno sempre rifiutato una simile concezione dell'unione ipostatica. Giovanni Damasceno sostenne la pericoresi, intesa come penetrazione tra divinità ed umanità: in tale pericoresi la realtà divina del Logos e la realtà umana comunicano tra di loro le proprie caratteristiche, in modo tale però da rimanere le stesse. Gesù è il Logos, e proprio per questo motivo egli è in sommo grado Persona e persona umana: nella comunicazione vale anche l'affermazione inversa: la persona del Logos è in Cristo la persona umana.11

Il Figlio assumendo la natura umana l'ha resa propria attraverso la proprietà incomunicabile dell'unione personale, in modo non comparabile a quello delle altre due Persone: in Cristo c'è una Persona con due nature, quella umana e quella divina. A parte le relazioni personali, non c'è in Dio una reale distinzione: i nomi astratti e gli attributi di Dio, sebbene rappresentino formalmente la natura Divina, implicano realmente anche le persone Divine. Parlando in senso assoluto, noi possiamo sostituire un nome divino concreto con il suo nome corrispondente astratto e ancora mantenere la communicatio idiomatum. Pertanto si può affermare che «l'Onnipotenza fu crocifissa» nel senso che l'Onnipotente è lo stesso Crocifisso: questa possibilità è conseguenza anche della inerenza e interpenetrazione delle tre Persone divine nella suddetta pericoresi. San Gregorio Nazianzeno introdusse questo termine che come accennato acquistò il suo pieno significato tecnico con san Giovanni Damasceno, con cui ne inizia l'uso trinitario. Il concetto di pericoresi, così come viene esposto dal Damasceno, permette anche di comprendere l'unione ipostatica in maniera dinamica: per questo motivo abbiamo nella sua dottrina un'identità tra pericoresi e unione ipostatica. Secondo l'ipostasi e possedendo la reciproca pericoresi, sono unite l'umanità e la divinità. Il lemma «pericoresi» a partire dal XIII secolo venne tradotto in latino con il termine circumsessio (così la rende San Bonaventura) e anche con circuminsessio (così in San Tommaso d'Aquino). Il primo termine ha una connotazione più dinamica, il secondo una connotazione più statica: il primo termine viene poi sostituito dal termine circumincessione.

I due termini latini esprimono la diversità tra impostazione greca e impostazione latina, ovvero fra due diverse correnti presenti nella stessa dottrina trinitaria latina: i teologi greci partono dalle ipostasi e intendono la pericoresi come compenetrazione attiva, come il vincolo che unisce la persona. Invece i teologi latini partono in genere dall'unità della sostanza e vedono la pericoresi più come un'interconnessione fondata sull'unica sostanza; in questa diversa comprensione la pericoresi non è più il moto, ma la quiete in Dio. Le processioni intratrinitarie sono il tentativo teologico di descrivere il modo con cui la seconda e la terza persona della Trinità hanno origine dal Padre. L'origine del Figlio dal Padre è chiamata anche generazione, mentre quella dello Spirito dal Padre e dal Figlio è chiamata anche spirazione. Sant'Agostino interpretò la generazione del Figlio come atto di autoconoscenza da parte del Padre, mentre lo Spirito procede dal reciproco amore del Padre e del Figlio. Tommaso d'Aquino cerca una sintesi diversa e fonda la circuminsessio sia sull'unità sostanziale, sia sulle relazioni e sui rapporti originari tra le persone. Tommaso fu attento alle spiegazioni dei Greci, e seppe dare molta rilevanza alle processioni, mostrando una notevole originalità rispetto alla teologia dominante latina centrata sulle relazioni, proprio al fine di meglio evidenziare la differenziazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Egli era pienamente favorevole, per la processione dello Spirito Santo, sia alla formulazione latina del filioque, sia alla espressione greca per Filium. Lavorò per la preparazione al concilio di Lione, al quale non poté assistere a causa della sua morte. Ma in questo concilio non si ebbe un riconoscimento della formula greca per Filium, ma anzi una eccessiva insistenza e giustificazione della formula latina. Fu poi il Concilio di Ferrara-Firenze (1439-1442) a sancire la piena validità di entrambe le formule come voleva San Tommaso. Già Fulgenzio di Ruspe († 533) nel suo De fide ad Petrum afferma: «Per questa unità di natura, tutto il Padre è nel Figlio e nello Spirito Santo, tutto il Figlio nel Padre e nello Spirito Santo e tutto lo Spirito Santo nel Padre e nel Figlio. Nessuno di loro è fuori di chiunque di loro stessi, poiché nessuno precede l'altro nell'eternità, né lo eccede in grandezza, né lo supera in potenza.»12

S. Agostino ha il merito di chiarire che la relazione in Dio non può essere accidentale: "nihil accidens in Deo, quia nihil mutabile".13 Ma neanche è riducibile alla sostanza perché la sostanza è esse ad se, mentre la relazione è esse ad aliud. In concreto i tre in Dio si predicano come relazioni ad alium. Da Agostino questa interpretazione del mistero trinitario in base alle relazioni passa a Boezio, poi a S. Anselmo e giunge al medioevo. Anche nei sinodi della Spagna visigotica a Toledo abbiamo un progressivo passaggio da una teologia fondata sulle processioni a una teologia fondata sulle relazioni. Alla elaborazione dogmatica di questi sinodi dobbiamo una definizione di relazione: "si parla di relazione in quanto una persona si riferisce all'altra; infatti quando si dice 'Padre' viene designata anche la persona del Figlio, e quanto dice 'Figlio', appare che il Padre senza dubbio è in lui".14 Il frutto di tutta questa riflessione viene raccolto nel Concilio di Firenze, con la definizione della Persona divina in base alle relazioni, nel decreto Cantate Domino sull'unione con i copti e gli etiopi: "Queste tre persone sono un solo Dio, non tre dei, poiché dei tre una sola è la sostanza, una l'essenza, una la natura, una la divinità, una l'immensità, una l'eternità, e tutte le cose sono una cosa sola, dove non si opponga la relazione" (DH 1330). Il Concilio si ispira ad un testo di S. Fulgenzio di Ruspe (De fide seu de regula fidei ad Petrum 1, n. 4, PL 65, 674AB), e a un testo di S. Anselmo (De processione Spiritus Sancti, c. II PL 158, 288 C).

Il Concilio di Ferrara-Firenze per descrivere la circuminsessione si richiama a Fulgenzio con una delle espressioni più complete del magistero solenne della Chiesa:

Propter hanc unitatem Pater totus est in Filio, totus in Spiritu Sancto; Filius totus est in Patre, totus in Spiritu Sancto; Spiritus Sanctus totus est in Patre, totus in Filio.15

Nella circumincessione il primo ad agire è il Padre; nel sacrificio del Calvario la Sua azione è l'invio del Figlio, che alcuni teologi sulla scia di von Balthasar hanno elaborato come kènosi di Dio nello spazio e nel tempo.16 L'Altissimo si china e si delimita, si espropria per farsi prossimo all'uomo; quindi viene inviato il Figlio Unigenito, Verbo coeterno al Padre, che attua la kènosi di Dio offrendosi come vittima volontaria sulla Croce; il Padre si china e il Figlio si annienta perché, tramite il Figlio l'uomo risalga al Padre. La Croce nella circumincessione è al secondo posto dopo la kènosi del Trascendente: secondo delle tre Persone è il centro ed esprime il senso misterioso della relazione di Dio con l'uomo, immagine per adozione della relazione del Figlio con il Padre. Infine agisce lo Spirito Santo che perpetua l'adventus di Dio nel Sacrificio delicato e sublime della Messa fino alla fine dei tempi. Perpetuare il sacrificio della Croce vuol dire renderlo autenticamente accessibile al cuore di ogni cristiano in ogni tempo e luogo, non solo come idea o rievocazione analogica, ma come reale riproposizione del Calvario in ogni Messa. Questo è il prodigio che lo Spirito compie nell'Eucaristia: attraverso segni trascurabili dalla sensibilità umana, lo Spirito rimanifesta il pathos della Croce: i diversi gradi di esperienza di questa sono i diversi gradi di conformazione mistica alla Passione, alla Morte e alla Gloria di Cristo.

La comunicazione personale che Dio fa di sé agli uomini e che rende possibile sia il quotidiano miracolo dell'offerta del Sacrificio incruento, come anche il miracolo dell'esperienza delle Persone divine trova la sua condizione di possibilità nelle due missioni divine del Figlio e dello Spirito: Dio non solo fa doni agli uomini, ma dona Sé stesso nella sua realtà personale. Per missione in teologia trinitaria si intende l'invio e l'agire ad extra di una delle tre Persone divine all'umanità per operare la nostra salvezza. La Scrittura parla dell'invio, della missione del Figlio ad opera del Padre (Gal. 4, 4; Gv. 3, 17; 5, 23; 6, 57; 17, 18) e dell'invio e della missione dello Spirito ad opera del Padre (Gal. 4, 6; Gv. 14, 16. 26) e del Figlio (Lc. 24, 49; Gv. 15, 26; 16, 7). Le missioni trinitarie non solo implicano l'invio di una Persona ad una persona creata, ma, istituendo un nuovo modo di presenza, implicano anche una trasformazione nella persona umana che riceve questa grazia: le Persone inviate le comunicano qualcosa della loro caratteristica personale.

È questa la manifestazione della Trinità economica: l'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo si effonde anche ad extra attraverso le due missioni. Il fine di queste missioni è di elevare la natura umana al livello soprannaturale. Nella missione del Figlio e dello Spirito, Dio si rende presente nella storia. La missione del Figlio è l'incarnazione e la redenzione, quella dello Spirito Santo è l'inabitazione nelle anime, la loro santificazione. Parlando delle missioni divine è necessario tenere presente l'uguaglianza delle Persone divine tra loro e la loro circuminsessione. Per questa ragione, la missione di una Persona divina non si può concepire né come un mandato né come un consiglio da parte della Persona inviante. La missione non può scaturire dalla superiorità di una Persona su un'altra, ma solamente dalla relazione di origine. L'origine della missione spetta al Padre, lui invia e non può essere inviato poiché al Padre spetta una precedenza assoluta, dunque la missione può riguardare solo il Figlio e lo Spirito i quali sono inviati dal Padre. Ciò in quanto vi è la dipendenza eterna e originaria del Figlio dal Padre e dello Spirito dal Padre e dal Figlio. La missione nel tempo suppone e rispetta così la processione eterna, essa è un modo nuovo di presenza.

Le relazioni tra le tre Persone sono dette Processioni: il Figlio dal Padre, lo Spirito dal Padre e dal Figlio, ma principialmente dal Padre. La Bibbia fa riferimento a queste processioni (Gv 8, 42 per il Figlio, Gv 15, 26 per lo Spirito), ma solo in termini temporali, intendendo la missione. Ma per necessità si intende la processione eterna quale condizione di possibilità della processione storica: la processione storica esprime la processione eterna, così la Trinità economica è la Trinità immanente. La processione del Figlio dal Padre è definita generazione, in senso analogico, non in riferimento ad una generazione carnale, bensì ad una generazione intellettuale. Quella dello Spirito (anche sulla base di Gv. 15, 26), ha mantenuto in senso stretto il senso della processione, ma sulla base del significato di Spirito è stata anche designata con il termine spirazione. Nell'unità intratrinitaria viene anche affermata la distinzione individuale: la dottrina delle relazioni parte dalle due processioni. Le processioni intradivine stanno, infatti, alla base delle relazioni.17

In Dio le differenze sono relazioni, ma questa relazionalità ha una portata ontologica, indica una diversità reale. Le relazioni distinguono il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo, ma in modo che convergano nell'unico Dio. Infatti si predica di essi una esistenza relativa, e non assoluta; cioè esistono, sussistono come tali in quanto sono in relazione all'altro: il Padre non ha una sussistenza autonoma, antecedente alla relazione con il Figlio, ma è soltanto nel senso che è Padre di quel Figlio. Così il Figlio è soltanto nel senso di essere Figlio di quel Padre, e così lo Spirito è soltanto nel senso che è spirito dei due. Il concetto di relazione riporta all'unico Dio l'esistenza o sussistenza dei tre, che non vanno mai concepiti autonomamente l'uno dall'altro, ma riuniti e ricondotti sempre all'uno. È la nozione preferita da S. Agostino, preoccupato dai pericoli dell'arianesimo e del triteismo. Egli non sembra gradire molto il concetto di persona applicato ai tre della Trinità, e lo ammette solamente per l'uso invalso: tale nozione viene ancora dopo otto secoli inserita da S. Tommaso solo dopo averla ampiamente giustificata e dedotta,18 in senso pieno e con significato che ormai può pienamente andare oltre le incertezze di Agostino.19

La missione è temporale, ma rinvia sempre alla processione eterna, perché le missioni sono il prolungamento temporale delle processioni eterne. Afferma san Tommaso nella Summa Theologiae: «Missione non solo implica derivazione da un principio, ma stabilisce anche un termine temporale di tale processione. Quindi il termine missione è soltanto temporale. O [possiamo dire che] missione include la processione eterna e le aggiunge qualcos'altro, cioè l'effetto temporale: perché la relazione della Persona divina al suo principio non può essere che dall'eternità. Quindi la processione può chiamarsi doppia, cioè eterna e temporale: non perché si raddoppi la relazione al principio, ma il raddoppiamento avviene nel termine che è insieme temporale ed eterno»20

Tommaso sottolinea la strettissima ed indissolubile relazione tra la processione eterna e la missione temporale, giustificano il fatto che si consideri le missioni come il prolungamento delle processioni eterne nella creatura razionale.

3. Lo straniero e il Sacro Cuore: De Certeau e Rahner dinanzi ai simboli della mistica

Le missioni divine, visibili ed invisibili, hanno come fine la santificazione degli uomini; le prime manifestano al mondo le Persone inviate; le seconde implicano la loro donazione a quelli che le ricevono. La missione invisibile, come l'inabitazione dello Spirito Santo, eleva l'uomo al di sopra di tutto il creato e lo introduce nell'intimità trinitaria. Uno dei simboli di questo introitus nella vita divina è stato negli ultimi tre secoli il sacro Cuore, il cui culto è nato negli ordini contemplativi ed è stato diffuso dalla Compagnia di Gesù. Sarebbe utile confrontarsi metodologicamente con due diverse comprensioni dell'esperienza mistica che negli ultimi decenni sono offerte proprio a partire dalla sensibilità gesuitica: da una parte la comprensione della mistica barocca proposta da De Certeau21 e dall'altra con la simbolica della vita spirituale proposta da Rahner nella sua teologia del Cuore di Cristo.22

Incrociare la teologia mistica della Trinità e confrontarsi criticamente con alcuni spunti dalla metodologia di pensatori diversi come De Certeau e Rahner è una tappa del nostro tentativo di comprendere dentro la tradizione cattolica del XX. secolo un tema così abissale quale l'esperienza della circumincessione.

De Certeau descrive il percorso di un lemma: nel XVII secolo l'aggettivo "mistico" che qualificava sin dal XIII secolo un tipo di teologia o di discorso, diventa un sostantivo: nasce un genere di narrazione, la letteratura mistica, una via sperimentale per accedere a Dio, fatta di visioni, di metafore inusitate oppure apofatica. La scrittura di Certeau mostra una continua tensione nel rendere intellegibili quelle realtà che riguardano l'indicibile dell'esperienza. In questo tentativo, che spesso lo porta ad adottare un linguaggio allusivo che fa forza su delle intuizioni piuttosto che su dei veri e propri argomenti, il risultato è quello di mostrare un pensiero che, pur tenendo viva una certa forma dialettica intende superarla con una forma di conciliazione che egli indicherebbe come ossimorica, figura retorica tipica del linguaggio mistico come è ben dimostrato nel suo Fabula mistica23. Tale forma retorica è la negazione del razionalismo della mediazione che troverà il suo compimento nella filosofia borghese e nel suo compimento sistematico ottocentesco. Meister Eckhart, nella sovrainterpretazione di alcuni autori contemporanei, sarebbe stato il pensatore che per primo ha inteso descrivere Dio come la sola sostanza, annullando con un gesto che si vorrebbe fichtianamente tetico il dualismo Dio-creatura: in questa prospettiva, adottata da alcuni seguaci di Schelling ed Hegel, lo stesso Eckhart viene inserito in una progressione essa stessa dialettica che lo pone più indietro di Böhme, il quale in questa visione sarebbe stato capace di raggiungere compiutamente la nozione di pura differenza. Eckhart parlerebbe di un Grund della divinità che si troverebbe al di là delle persone trinitarie, di un nulla originario che dovrebbe essere ancora superato. È uno dei tentativi di cattiva filosofia della mistica, direi persino di ideologia della mistica, proposto da chi si fa latore di una ideologia nostalgica e con pretesa di onnicomprensività.24

Il Dio cristiano è il Dio che dà alla luce, che fa nascere nei modi più impensati la vita che non muore: per Certeau il discorso della Mistica, di fronte al crescente razionalismo moderno, prorompe come discorso essenzialmente marginale e quindi radicalmente nuovo25: padre Surin, il mistico francese studiato da Certeau, si troverà ad osservare nel monastero femminile di Loudun fenomeni incerti tra il rapimento celeste e la possessione diabolica.26 Altrove sarà la via veloce a Dio, il luogo della meraviglia. La mistica che Michel de Certeau indaga è più che un genere del discorso religioso: penetra nella cultura di un secolo che va consolidando la propria scienza come testimone dell'alterità, dell'irriducibilità delle parole e del corpo ai soli segni. Non potendo disporre di enunciati specifici, la mistica si esprime attraverso un modo particolare di praticare la lingua di tutti, attraverso una forma di intervento: un modus loquendi. Qui come nei movimenti di tipo marginale, l'enunciato teologico ha lo stesso statuto di altri enunciati; è il materiale che viene rimodellato dai modi di agire o di parlare, i soli veramente pertinenti. Forse l'acribia con la quale Certeau si concentrò su questo aspetto pur ben originale della sua trattazione, unitamente alla sua densa ricerca sulle declinazioni della esclusione dell'estraneità nella modernità, è il limite lievemente intellettualistico della sua analisi, aperto alla trascendenza dell'altro, ma forse non eccessivamente aperto alla personalità dell'azione divina nella persona del mistico, a quelle missioni invisibili su cui prima ci siamo volutamente concentrati.

Il sacro Cuore è oggetto centrale della spiritualità cattolica, propagato dai gesuiti, scandalo per il razionalismo e per i giansenisti, scandalosa (per i filosofi moderni) ostensione della più preziosa parte del corpo umano divinizzato dalla persona di Cristo. Dal 1685 alla Rivoluzione il Sacro Cuore è rappresentato, pensato e venerato come inscindibilmente legato alle persone della Santissima Trinità, secondo un'ottica che sarà riproposta in seguito da Pio XII ma che ancora non ha avuto molto seguito nell'iconografia.27 Rahner ne tratta in alcuni saggi spirituali organici alla sua proposta teorica, ed essi sono una conseguente esplicazione in chiave di teologia spirituale della sua antropologia teologica. Da questa antropologia sembra però esclusa la nozione, certo scandalosa per la filosofia contemporanea, di riparazione. La preghiera a Cristo nella teologia spirituale di Rahner sembra indirizzarsi oggettivamente e direttamente al Cristo ormai glorificato. Una «preghiera al Redentore sofferente» è dal punto di vista dell'antropologia teologica una preghiera al Cristo che ha sofferto ma che ha ormai concluso la sua missione di espiazione e redenzione. La rappresentazione contemplativa della passione di Cristo non può quindi essere il fondamento di una consolazione attiva del Signore sofferente. Questa concezione ha poi il suo correlato iconografico nella sempre maggiore rimozione della rappresentazione del crocifisso insanguinato e del cuore trafitto. Questi simboli, da sempre raccomandati alla venerazione dei cristiani, sono invece un mezzo eccellente per accostarsi nella contemplazione al sangue e delle sofferenze attuali del Redentore; questo include la riparazione come movimento ad Deum nel presente, congiungendo l'attualità dell'orante e all'agonia del Getsemani e al sacrificio unico del Golgota. Nei crocifissi moderni Gesù non viene quasi più mostrato nella sofferenza o ancor meglio nell'attimo che segue la sua morte, si predilige l'immagine del Glorioso a quella dell'Agnello immolato, crocifisso. Vi è in questo senza dubbio la logica del tempo della redenzione: Cristo ha sofferto ciò che doveva-voleva soffrire e ormai sarebbe fisso nell'eternità del suo stato di uomo-Dio risorto: sembra incongruente concepire la contemporaneità reale dell'orante con il Cristo sofferente e morente. Tale difficoltà di natura metafisica è diventata ormai un fatto di psicologia sociale, ma sembra estendersi anche alla realtà effettuale della rinnovazione del Sacrificio della Croce nella S. Messa. In questo si compie per negationem quella identificazione del cuore di Cristo con l'Eucarestia che si diffuse nel XIX secolo, in particolare per il tramite dell'ordine degli Agostiniani,28 anche se non ebbe poi seguito ulteriore, diventando esempio di quello straniero di cui tanto si interessò la filosofia della mistica di De Certeau.29 Tale tentativo cercava di coniugare il simbolo della riparazione per eccellenza alla ripetizione del sacrificio unico del Golgota in maniera incruenta nella Messa: oggi invece la rimozione della dinamica orante della riparazione come ripresentazione e vicinanza reale all'offrirsi del Cristo si coniuga con un certo affievolimento della comprensione del Sacrificio della Messa.

Chiarisce bene la connessione tra Sacrificio della Messa e riparazione Cornelio Fabro quando afferma: «Quando i mistici e S. Gemma affermano di vedere Gesù sofferente, che porta la croce, che ha le piaghe aperte, che è grondante di sangue intendono riferirsi a un presente reale e non a una semplice immagine o a un ricordo del passato: sarà un presente mistico, ma deve pur essere sempre reale com'è reale su di un altro piano, quello sacramentale, la rinnovazione del sacrificio della croce nella consacrazione del pane e del vino nella S. Messa: rinnovazione mistica».30 Cornelio Fabro spiega la natura di questo presente come contemporaneità mistica, su quel piano di eterno presente reso possibile dalle missioni a loro volta rese possibili dalle processioni divine di cui si faceva cenno sopra. È questa la più profonda genetica dell'affettività, radicata nell'eterna missione sacrificale di amore del Cristo, la cui visione è oscurata se non ai semplici, a coloro che si fanno contemporanei del Cristo sofferente, e per questo sono partecipi del mystikos. Tale mystikos non è la ripetizione di un vagheggiare misterico o platonizzante, ma è esperienza dell'infinita semplicità che si offre, come del resto afferma anche Bouyer in un suo studio illuminante: «gli autori cristiani ai quali è dovuto l'uso senza precedenti di tale termine, che essi conoscano o meno la filosofia greca, lo sempre non in relazione a questa, ma sempre in rapporto a ciò che S. Paolo chiama «il mistero», cioè il carattere salvifico della croce di Gesù.»31

4. L'esperienza per Mariam della circumincessione

Risulta ancora aperta ad approfondimenti l'esperienza che alcuni mistici del '900 hanno fatto delle missioni invisibili della Trinità, e la comprensione della connessa mediazione mariana nella esperienza trinitaria.

La vita intima di Dio, con tutti i suoi segreti, si mostra nel Verbo in cui è possibile agli eletti contemplare Dio faccia a faccia. Per questa ragione, l'anima umana di Gesù, unita personalmente al Verbo, gode, come nessun'altro, di questa intimità e visione. Vicinissima a Cristo, immensamente sopra tutti i beati che fruiscono della visio beatifica, Maria, Madre del Verbo, gode ineffabilmente di tale fruizione divina insieme a Cristo: la gloria di Dio la illumina al sommo grado, la sua luce è l'Agnello che ella ha nutrito nella sua missione in terra, a questo preparata da quello stesso verbo che la volle Immacolata, sommo privilegio e fondamento di tutti i suoi titoli gloriosi.

Lo Spirito Santo, cioè l'Amore nella SS. Trinità, ci conduce al Figlio ed al Padre con la Sua azione materna. Egli dall'interno ci spinge in tal senso ed è la causa prima della nostra santificazione: questa verità è mostrata per paradosso dal fallimento visibile della missione terrena del Crocifisso e, ad appena cinquanta giorni di distanza, dal successo dello Spirito nel giorno di Pentecoste. Tale contrasto mostra quale sia la sorgente della fede e del suo dinamismo, che ci cambia e ci mette in moto verso le altre due persone della Trinità: l'Amato e l'Amante. San Massimiliano Kolbe spiega come si inserisca l'Immacolata in queste considerazioni: «Nell'unione dello Spirito Santo con Lei, non solo l'amore congiunge questi due Esseri, ma il primo di essi è tutto l'amore della SS. Trinità, mentre il secondo è tutto l'amore della creazione, e così in tale unione il cielo si congiunge con la terra. Fra le creature una sposa riceve il nome dello sposo, per il fatto che appartiene a lui, si unisce a lui, si rende simile a lui e, in unione a lui, diviene fattore creativo di vita.»32

Pertanto dove è in azione lo Spirito Santo, ovvero l'Immacolata Concezione Increata, lì agisce la Sua sposa, l'Immacolata Concezione Creata, come Maria stessa si compiacque di definirsi a Lourdes. San Massimiliano trova anzi «la definizione di Sposa dello Spirito Santo una somiglianza assai lontana della vita dello Spirito Santo in Lei ed attraverso di lei.»33

Tale comunione d'azione fra le due Concezioni è un concetto largamente diffuso nel Trattato della Vera devozione a Maria di Luigi Maria Grignon de Monfort, santo e dottore della Chiesa. Questo è anzi il concetto fondamentale della sua teologia: Dio, Spirito Santo, ha comunicato a Maria, Sua sposa, i suoi doni ineffabili. «L'ha scelta quale dispensatrice di tutto ciò che possiede; di modo che Ella distribuisce a chi vuole, quanto vuole, come vuole e quando vuole, tutti i doni e le grazie dello Spirito Santo. Nessun dono del cielo è concesso agli uomini che non passi per le mani verginali di Lei. Questo è infatti il volere di Dio: che tutto ci sia dato dalla Vergine Maria». E questo, aggiunge Kolbe, non solo perché Maria è Madre di Dio, non solo perché è piena di grazia, non solo per la sua condizione di creatura privilegiata e perfetta, ma anche per l'unione con la terza persona della SS. Trinità così «inesprimibile e perfetta che lo Spirito Santo agisce unicamente attraverso l'Immacolata, la Sua sposa. Di conseguenza Ella è la Mediatrice di tutte le grazie» (SK 1310).

Molteplici sono le forme che la spiritualità mariana ha avuto nel corso dei secoli: ci limiteremo a notare che essa ha assunto una particolare complessità e poliedrica bellezza tra il XIX e il XX secolo. Basti pensare ad esempio a Gabriele dell'Addolorata, emulo di Luigi Gonzaga, morto nel 1862 a ventiquattro anni. Spinto alla vita religiosa nella famiglia dei passionisti, in occasione di una processione in onore di Maria a Spoleto, si consacra ad onorare soprattutto la Vergine dello Stabat, giungendo ad affermare: "Il mio Paradiso sono i dolori di Maria".

Nella dottrina cattolica si cerca di tracciare un itinerario tipico del percorso attraverso il quale l'anima entra in comunione intima a sperimentale con Dio. Tale semplificazione è un tipico esempio di astrazione filosofica, in quanti tale percorso e sempre diverso, se ne potrebbero tracciare tanti quanti sono gli essere umani che lo hanno percorso e ne sono giunti al lieto fine, il solo vero lieto fine e il massimo concepibile, l'unione con Dio nostro Padre, Salvatore, nostro Amore. L'anima vi giunge dopo essere passata attraverso la purificazione attiva e passiva ed elevata ai doni dello Spirito Santo nella contemplazione. Essa viene raggiunta passando attraverso quattro stadi:

  1. Il raccoglimento infuso, dono soprannaturale di pensare abitualmente a Dio.
  2. L'orazione di quiete, riposo dell'anima in Dio.
  3. L'orazione di unione semplice: le facoltà dell'anima vengono totalmente assorbite in Dio.
  4. L'unione estatica: anche i sensi esterni sono assorbiti in Dio e si ha l'estasi vera e propria.

Questi gradi di avvicinamento a Dio sono stati variamente interpretati e ordinati dalle diverse scuole di teologia spirituale. L'umanità di Cristo è il passaggio che ci ha consentito di fare il salto prima impensabile tra la natura lapsa e la possibilità della visione di Dio nella sua Trinità circumincedente e poi nella sua unità semplicissima. Questa visione nello stato della vita terrestre non è mai disgiunto nelle estatiche più sublimi, come Veronica Giuliani, da una profonda vicinanza esperienziale ai dolori di Cristo. Da parte di Cristo c'è una contemporaneità di misericordia con l'anima: Egli vive in tutte le membra sofferenti della Chiesa e a ciascuno in particolare offre la sua divina misericordia e tutti i frutti della sua Passione. Da parte dei credenti c'è una contemporaneità di pentimento e di espiazione, che arriva fino ad interagire con le sofferenze del Salvatore, accrescendole o diminuendole. Questa duplice contemporaneità si realizza mirabilmente al massimo grado ogni qualvolta viene offerto il Santo Sacrificio della Messa.

5. Circumincessione nel Cuore: Maria Antonietta De Geuser

Sepolta nell'Unità delle Tre Persone... perduta nell'adorazione.

Io mi abbandono, SS. Trinità, Unità indivisibile, per mezzo di Maria SS., interamente alla vostra volontà adorabile. Amore divino, consumatevi tutta intera in voi. Non sia più io che vivo, ma voi vivete in me per la vostra gloria, per quella del nostro comune Padre e della SS. Trinità.

-- Maria Antonietta De Geuser

Nella dinamica dell'espiazione, della quale furono figure eminentissime tra le altre Veronica Giuliani e Gemma Galgani, si situano una serie di esperienze che portano dalle dinamiche delle passione del Figlio all'inserimento nella trinità circumincedente. Una delle esperienze più originali a tal riguardo è quella di Maria Antonietta de Geuser (1889-1918),34 postulante carmelitana morta come altri fiori del Carmelo in giovane età. La sua dottrina e la sua esperienza conobbero un certo interesse nella prima metà del XX secolo, per poi essere alquanto trascurate. Scriveva in una lettera del 22 giugno 1913: "Gesù mi conduce sempre per la medesima via. Non elevandomi verso la perfezione, ma sprofondandomi sempre più nella mia miseria. Direi che ogni grado di umiliazione per me, produce un grado di gloria in più per Lui. (...) Direi che per essere puri di quell'ammirabile purezza che è la sua, basta riconoscere le proprie innumerevoli miserie, perché dal momento in cui siamo annullati completamente, Egli è noi tutto intero. Direi che se Egli fa vivere questa piccola cosa, una con Lui, e se la colma delle sue grazie, è soltanto perché è veramente minima".35

Questa donna come molti altri mistici è stata formata da Maria Immacolata, che la condusse a vivere l'unione trasformante in relazione alle singole persone della SS. ma Trinità, e poi a sperimentare la sublime e semplicissima Unità divina. Lo dice lei stessa con molta semplicità: "lo depongo tutti i miei affari sempre più nelle sue mani e vivo sotto la sua direzione. Maria completa tutto meravigliosamente! Non saprò mai dire quanto io devo a questa Madre incomparabile né potrò mai ringraziarla abbastanza della sua bontà verso di me che sono sua figlia! Se sapeste quanto è delizioso vivere sotto lo sguardo di Maria e non fare alcuna cosa senza chiederle il permesso e l'aiuto! Confidando tutto a lei siamo sicuri che ogni cosa nostra è nelle sue buone mani. Maria dispone tutto in vista della maggior gloria di Dio. Le nostre opere così misere si immolano nelle sue mani". Anche il von Balthasar la include tra le mistiche più significative per la loro dottrina: «La sorgente della pura contemplazione, principio intimo e propulsore d'ogni vita spirituale, deve essere mantenuta perfettamente libera o di nuovo purificata. A fianco di Teresa di Lisieux e di Charles de Foucauld si ergono oggi le grandi anime oranti di Antonietta de Geuser, Elisabetta della Trinità, Josefa Menéndez, Edith Stein.» Il tratto peculiare di questa mistica è l'esperienza della circumincessione delle Persone divine, alla quale viene introdotta per il tramite dell'Immacolata che, secondo la dottrina di diversi santi, la visse sin dal suo concepimento in maniera continuativa. Nel caso di Maria Antonietta si ha poi l'esperienza dell'unità divina vissuta dall'anima, passo ancora ulteriore rispetto all'esperienza della circuminsessione, cui la dinamica della circumincessione sembrerebbe condurre, con un significativo parallelo mistico-esperienziale rispetto alla sistematica teologica classica. Tale esperienza al momento unica, certo molto più cattolica ed adeguata al verbo divino del perdersi nel freddo Abgrund di Eckhart e dei suoi seguaci, al quale la contrapponiamo con convinzione.

La sofferenza e la purezza di Maria Antonietta diventano la sofferenza e la purezza di Maria: "L'ideale è che io scompaia e non resti in me nulla se non Maria e la SS. Trinità. Ma io sono troppo debole per questo, non ho il coraggio necessario e così lo vado a trovare presso la nostra amata Madre che mi dà sempre il coraggio di cui ho bisogno. Con la Vergine io mi offro sempre di più al Signore e credo che egli accetti questa piccola ostia. lo soffro molto, ma ho capito che è questa la mia vocazione e ne sono felice".

L'unione trasformante mira a trasformare l'anima in Dio, affinché divenga una sola cosa con Lui. Questo grado d'unione è detto pure matrimonio spirituale, perché stabilisce un'intima unione tra l'anima e Dio. L'anima, trasformatasi progressivamente sempre di più in Cristo, continua a vivere la sua vita sulla terra. La vita terrena di Cristo uomo-Dio ebbe due aspetti: la missione verso le anime da redimere, la continua visione ed esperienza della compenetrazione del Padre e dello Spirito Santo. In maniera analoga la vita dell'anima cristificata viene assumendo gradatamente gli stessi due aspetti: continuazione della vita del Redentore del genere umano «completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo» (Col. 1, 24); nello stesso tempo partecipazione allo zelo e all'amore di Cristo per lo Spirito Santo e per il Padre. Giunta l'anima a possedere Iddio in una unione già così perfetta, ha ancora bisogno di Maria? Vi è ancora posto per Maria in una operazione che tocca già Iddio direttamente e in una maniera così immediata? Certamente. E si direbbe: ora più che mai. Le esperienze vissute danno, su questo punto, testimonianze di inarrivabile bellezza.

Il progresso dell'unione trasformante e della vita mistica è dato dal progresso della trasformazione dell'anima in Cristo, vivente in essa. Il compimento, quindi, della unione trasformante e della mistica sarà dato dal compimento della trasformazione dell'anima in Cristo. Ora resta da considerare il Figlio in seno alla SS. Trinità, nella sua più intima vita trinitaria, nei suoi ineffabili rapporti allo Spirito Santo e al Padre. Questa è certo la consumazione della Vita Divina: e parteciparvi è la consumazione delle supreme possibili aspirazioni dell'anima, è il vertice della mistica. Afferma Maria Antonietta: «Ho sentito come un gran vuoto in me che si ricolmava di Amore, come se il tutto si sostituisse al nulla. Ho sentito in me la presenza dello Spirito di Amore e da lui sono stata trasformata nella stessa SS. Trinità».

L'ideale di M. Antonietta era di riprodurre fedelmente la vita piena in Cristo, e questo le riuscì tanto da poter verificare nel modo più perfetto il desiderio del Maestro: essere consumata nell'unità della Trinità, Consummata. In questo si differenzia da Elisabetta della Trinità, che sperimentò le Tre Persone nel loro essere Tre, per quanto possano in ciò soccorrerci il nostro linguaggio e la nostra concettualità limitata. Proprio il confronto tra queste piccole grandi anime ci fa cogliere il limite della metafisica e il costante stimolo filosofico della mistica, stimolo ad aprire non solo i sensi (come affermato da Salmann in alcuni suoi contributi) ma anche ad ampliare estensione ed intensione dei nostri concetti. In tal senso non concordiamo con La Bruyère che scriveva: "Tutto è stato detto e ormai si giunge troppo tardi": ci troviamo invece a concordare sempre di più con M. M. Olivetti nel suo affermare che si danno problemi nuovi nella filosofia. Il mistico è il nuovo.

Copyright © 2011 Giovanni Cogliandro

Giovanni Cogliandro. «Circuminsessione e Cuore». Elaborare l'esperienza di Dio [in linea], Atti del Convegno «La Trinità», Roma 26-28 maggio 2009, disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/teologia/>, [**65 B].

Note

  1. «Corpus Domini plenarium», S. Agostino, Enarrationes in Psalmos, 110. Testo

  2. Questo dicasi anche delle più recenti deformazioni dell'immagine della Trinità economica, quale quella «mostruosa» di Žižek. Tale lettura è frutto di superficialità sconcertante o di una completa ignoranza della Tradizione e della Rivelazione: è purtroppo un esempio alquanto diffuso nella letteratura contemporanea. Si veda S. Žižek, J. Milbank, The monstrosity of Christ. Paradox or Dialectics?, MIT Press, Cambridge (Mass.) 2009, trad. it., La mostruosità di Cristo. Paradosso o dialettica?, Transeuropa, Massa 2010. Testo

  3. Questa frase in realtà non si trova nel De Trinitate, e a tutt'oggi gli studiosi di Lanza del Vasto non sono stati in grado di rintracciarne il riferimento. Testo

  4. Nicaea and its Legacy: An Approach to Fourth Century Trinitarian Theology, Oxford University Press, 2004. In tale volume si offre una interessante rilettura dei rapporti tra le teologie trinitarie orientali e occidentali a cavallo tra IV e V secolo, in particolare tra i padri Cappadoci e Agostino. Testo

  5. William P. Alston, Perceiving God: The Epistemology of Religious Experience, Cornell University Press, Ithaca, N.Y. 1991. Alston tuttavia ha il pregio di difendere il carattere realistico di ogni adesione di fede. Ogni sincero credente crede sempre nell'esistenza effettiva di ciò cui afferma di aderire, manifestando così l'insostenibilità di molte posizioni gnostiche e sincretistiche, le quali tendono a sottovalutare la specifica intenzionalità delle singole fedi religiose. Testo

  6. «¡Oh noche amable más que el alborada!»Un tentativo filosofico di approccio alla mistica unitiva di Giovanni della Croce. in Elaborare l'esperienza di Dio. Contributi teologici. Parma, 20-21 March 2009, preprint: http://mondodomani.org/teologia/cogliandro.htm Testo

  7. Esiste una profonda unità tra la persona dello Spirito Santo e Maria, tra queste due «immacolate concezioni» l'una, increata, quella dello Spirito Santo e, l'altra, creata, quella di Maria. Testo

  8. Si veda al riguardo Raimondo Spiazzi, San Tommaso dopo il Concilio, Città nuova 1966, in specie pp. 234 ss., ove si invoca un ritorno alla organizzazione vitale dei trattati, coniugando sapienza e dottrina. Testo

  9. S. Agostino, De Trinitate, IV, 20. Testo

  10. Nel linguaggio ordinario tutte le proprietà di un soggetto sono predicabili della sua persona, di conseguenza le proprietà delle due nature di Cristo devono essere predicate della Sua unica persona, dal momento che esse hanno soltanto un soggetto di predicazione. Il Verbo di Dio, a motivo della sua eterna generazione, è anche il soggetto delle proprietà umane ed il Cristo uomo, avendo assunto la natura umana, è il soggetto degli attributi divini. Cristo è Dio, Dio è uomo. La communicatio idiomatum si basa sull'unicità della persona sussistente nelle due nature di Gesù Cristo. Quindi può essere usata fino a quando il soggetto ed il predicato di un'affermazione risiedono nella persona di Gesù Cristo o presentano un soggetto comune di predicazione. Poiché in questo caso noi affermiamo semplicemente che Colui il Quale sussiste nella natura Divina e possiede delle proprietà Divine è lo stesso il Quale sussiste nella natura umana e possiede delle proprietà umane. Testo

  11. Si veda tra gli altri W. Kasper, Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia 1981, pp. 348 ss. Testo

  12. Fulgenzio di Ruspe, De fide ad Petrum seu de regula fidei, 1, 4, in Corpus Christianorum, Series Latina, Turnholt, 1953 ss., vol. 91 A, p. 714. Testo

  13. De Trinitate 5,4. Testo

  14. Concilio di Toledo XVI, Professione di fede DH 568-573, in particolare DH 568. Testo

  15. «Per questa unità il Padre è tutto nel Figlio, tutto nello Spirito Santo; il Figlio è tutto nel Padre, tutto nello Spirito Santo; lo Spirito Santo è tutto nel Padre, tutto nel Figlio.» Bolla di unione dei Copti e degli Etiopi Cantate Domino, conosciuta anche come Decretum pro Iacobitis, DS 1331. Testo

  16. «Pasqua consente di scrutare non solo l'inizio del mondo in Dio, ma Dio stesso come mistero del mondo. In modo peculiare, nell'evento pasquale è la "kènosi" del Verbo, il supremo abbandono del Figlio sulla Croce, a illuminare la Sua presenza nell'atto creatore di un riflesso a prima vista paradossale: l'amore in forza del quale il Figlio eterno ha spogliato se stesso, umiliandosi fino alla morte e alla morte di Croce (cfr. Fil 2,6ss.), lascia intravedere il suo presupposto eterno nel mistero insondabile dell'umiltà divina, condizione trascendente di possibilità della chiamata all'esistenza del mondo. Il Dio trinitario "fa spazio" in se stesso alla Sua creatura: l'assoluta gratuità dell'amore, che motiva il Padre a porre l'atto creatore, lo spinge ad auto-limitarsi perché la creatura esista nella libertà.» Bruno Forte, Ma Dio non si nasconde, in Avvenire, 29-5-2007. Testo

  17. Poiché ogni processione coinvolge due soggetti, le due processioni (generazione e spirazione) danno luogo a quattro relazioni, dato che ogni processione è espressione di un qualcosa che è dato e un qualcosa che è ricevuto: 1. La relazione del Padre con il Figlio viene definita generazione attiva, o anche paternità. Essa esprime l'individualità del Padre. 2. La relazione del Figlio con il Padre viene definita generazione passiva, o anche figliolanza. Essa esprime l'individualità del Figlio. 3. La relazione del Padre e del Figlio con lo Spirito viene definita spirazione attiva e non esprime alcuna individualità. 4. La relazione dello Spirito con il Padre e con il Figlio viene definita spirazione passiva. Essa esprime l'individualità dello Spirito Santo. Le tre relazioni di paternità, figliolanza e spirazione passiva sono solo di ognuna delle tre persone. La spirazione attiva è invece comune al Padre e al Figlio. Ne consegue che in Dio le differenze tra le persone non riguardano la sostanza o l'essenza divina che è la stessa in tutte e tre, bensì le tre reciproche relazioni (si esclude la spirazione attiva in quanto comune al Padre e al Figlio). Testo

  18. «Quantunque, se si bada alla sua etimologia il nome persona non convenga a Dio, tuttavia gli conviene, e in grado sommo, se si considera il suo significato. Siccome nelle commedie e nelle tragedie si rappresentavano personaggi famosi, il nome persona fu imposto per significare soggetti costituiti in dignità. Di qui venne l'uso della Chiesa di chiamare persone quelli che rivestivano una carica. Per questo alcuni definiscono la persona come «un'ipostasi contrassegnata da una qualifica connessa con una dignità». E siccome è una grande dignità sussistere come soggetto di natura ragionevole, perciò, come si è detto, ogni individuo di tale natura fu chiamato persona. Ma la dignità della natura divina eccede qualsiasi dignità, perciò a Dio massimamente conviene il nome persona.». Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, parte I, q. 29, a. 3, ad 2. Testo

  19. «A quel modo dunque che la deità è Dio, così la paternità divina è Dio Padre, il quale è persona divina. Perciò la persona divina significa una relazione come sussistente. E questo equivale a significare la relazione come sostanza, vale a dire un'ipostasi sussistente nella natura divina; benché ciò che sussiste nella natura divina non sia altro che la stessa natura divina. E stando a queste premesse è vero che il nome persona significa direttamente la relazione e solo indirettamente l'essenza: non però la relazione in quanto relazione, ma in quanto significata come ipostasi. -- Parimente significa pure direttamente l'essenza e indirettamente la relazione: in quanto l'essenza si identifica con l'ipostasi, ma l'ipostasi in Dio viene significata come distinta da una relazione, e quindi la relazione nel suo significato di relazione rientra indirettamente nel concetto di persona. Per questo si può anche dire che il significato del nome persona non era ben conosciuto prima delle critiche degli eretici: perciò non si usava il termine persona se non come uno degli altri nomi assoluti. Ma dopo, per l'adattabilità del suo significato, il termine persona fu portato a fungere da relativo; sicché questo suo stare per il relativo non l'ebbe solo dall'uso, come voleva la prima opinione, ma l'ebbe in forza del suo significato.» Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, parte I, q. 29, a. 4, resp. Testo

  20. Ivi, parte I, q. 43, a. 2, ad 3. Testo

  21. Michel de Certeau, Fabula mistica. XVI-XVII secolo, Jaca Book, Milano 2007. Testo

  22. Karl Rahner, Teologia del cuore di Cristo, Apostolato della Preghiera, Roma 2003. Testo

  23. Michel de Certeau, Fabula mistica,cit., p. 201. Testo

  24. Contro tutto questo sta l'interpretazione di John Milbank che sposta l'attenzione sulla priorità, nel pensiero eckhartiano, del concetto di nascita: si veda al riguardo S. Žižek, J. Milbank, La mostruosità di Cristo. Paradosso o dialettica?, Transeuropa, Massa 2010, alla cui analisi è dedicato il contributo di Gonzi. Testo

  25. Si vedano al riguardo due tesi recentemente dedicate in Italia a De Certeau: E. Prandi, L'unità del pensiero di Michel de Certeau, presso l'Università degli Studi di Padova, anno 2003 (in www.ilmondodisofia.it) e S. Pepe, L'histoire n'est jamais sûre. Il viaggiare di Michel de Certeau attraverso la frammentarietà delle storie, presso Sapienza Università di Roma, anno 2010. Testo

  26. Loudun, cittadina della Borgogna, divenne famosa nella prima metà del XVII secolo per il fenomeno singolare ed inquietante di un intero monastero di religiose viene investito dal fenomeno della possessione diabolica. M. De Certeau, La possession de Loudun, (1970), Gallimard/Julliard, Paris 1990. Testo

  27. L'idea di rappresentare Gesù a mezzo busto, col cuore in mano o addirittura in piedi sul mondo è datata 1870 e strettamente legata al voto nazionale di costruire la basilica di Montmartre. In quest'epoca infatti, dopo gli orrori della Rivoluzione Francese, la devozione al Sacro Cuore di Gesù viene proposta come sinonimo di un ritorno ai valori cristiani, che spesso si colorano di valenze politiche conservatrici. La Sacra Congregazione del Santo Uffizio ancora il 26 agosto 1894 raccomandava questa immagine per la sola devozione privata, proibendone l'esposizione sull'altare e qualsiasi forma pubblica. Il culto al Sacro Cuore infatti è proposto soprattutto ai peccatori e rappresenta un valido strumento di salvezza anche per chi non ha i mezzi o la salute di compiere grandi gesti, come hanno insegnato la beata Marie Deleuil-Martiny o Santa Teresa del Bambino Gesù. Testo

  28. Tra le poche testimonianze segnaliamo un quadro del Sacro Cuore eucaristico custodito nella sacrestia del Santuario della Madonna del Buon Consiglio di Gennazzano. Testo

  29. L. Mantuano, Lo straniero o l'unione nella differenza. Sulla teologia di Michel de Certeau, in Asprenas, 42 (1995), pp. 21-36. Testo

  30. Cornelio Fabro, Gemma Galgani testimone del soprannaturale, CIPI, Roma 1989, p. 61. Testo

  31. Louis Bouyer, Mysterion. Dal mistero alla mistica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, p. 13. Testo

  32. Massimiliano Maria Kolbe, Scritti, Centro Naz. Milizia Immacolata, (SK) 1318. Testo

  33. SK 1310. Testo

  34. Sulla sua esperienza tuttora la fonte più documentata è P.R. Plus S. J., Consummata: I. Vita di Maria Antonietta de Geuser; II. Lettere e scritti spirituali, Marietti, Torino 1930. A questo testo fa riferimento la pregevole opera di Severino Ragazzini, O.F.M. Conv., Maria vita dell'anima. Itinerario mariano alla SS. Trinità, Roma 1960 (ristampa, Frigento 1984). Testo

  35. Citazioni tratte da P. D. Mondrone S.J., I santi ci sono ancora, vol. VI. Testo

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